venerdì 26 settembre 2014

Il motivo della cancellazione di tutti i commenti


La conclusione della pubblicazione dei principali scritti sulla dialettica caso-necessità ha reso i vecchi commenti inutili sia nella forma (di commento) sia nel contenuto (di critica contingente). Per questo motivo sono stati cancellati. Rimane, comunque, la voce "commento" per eventuali precisazioni o notizie che siano considerate particolarmente rilevanti dall'autore del blog. 

Nel frattempo, una breve nota: ciò che in questo blog è stata definita senescenza del capitalismo nell'era della globalizazione sta mostrando tutte le sue infermità. E il vecchio detto: "non c'è due senza tre" potrebbe avere come oggetto le guerre mondiali, anche se le nuove tecnologie informatiche dovrebbero comportare nuove e imprevedibili forme belliche.

giovedì 24 luglio 2014

VII La stupidità secondo Wikipedia. Conclusioni

(Continuazione) Prima Wikipedia cita l'aforismo di Einstein che abbiamo già riportato: "Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità. Della prima non sono sicuro". Poi cita Carlo Maria Cipolla che, come abbiamo visto, definisce lo stupido "una persona che causa un danno ad un'altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita".

Infine, considera la definizione classica di stupido "Il termine deriva (sec. XIV) dal verbo latino stùpeo, ossia "son stordito, resto attonito". Lo "stupido" è infatti colui che non sa dominare il circostante, e le situazioni, con tutti i loro fenomeni: ne resta attonito, spiazzato. L'inetto descritto da Italo Svevo è un tipico esempio di "stupido": di fronte al bivio non saprà mai che direzione imboccare".

mercoledì 23 luglio 2014

VI] Carlo Cipolla: l'unico teorico della stupidità e soltanto in campo economico

(Continuazione) Economista, allievo di Braudel, Cipolla ha preso in considerazione il "fattore" stupidità in economia. Però, sembra, che non abbia tradito l'impostazione tradizionalmente pudica sull'argomento. Pudore che si è manifestato, nella forma di divertissement, in una pubblicazione che in Italia è uscita con il titolo di "Allegro ma non troppo" (1988). Nella sua impostazione c'è il gusto del paradosso che si manifesta nel concepire gli stupidi come un gruppo non organizzato ma che riesce a operare con maggiore potenza delle lobby e delle mafie. Così come paradossali sono le sue cinque regole fondamentali della stupidità:

1) "Prima legge fondamentale: sempre e inevitabilmente ognuno di noi sottovaluta il numero di individui stupidi in circolazione". Qui il paradosso è che "ognuno di noi", come soggetto, allude a "tutti", o almeno a tutti i non stupidi che sono contrapposti a "loro", ossia a tutti gli stupidi. Dunque per Cipolla la stupidità sarebbe come un marchio di fabbrica: un carattere assoluto.

V] Impossibile definire l'intelligenza senza rivolgersi alla stupidità?

(Continuazione) Tanto è difficile definire l'intelligenza, quanto è difficile leggere su di essa aforismi intelligenti. Talvolta gli aforismi hanno per soggetto il genio, inteso come qualcosa di superiore e di indefinibile se non in opposizione alla mediocrità, ma anche quelli che cercano di definire una normale intelligenza non riescono a farlo se non in contrapposizione alla stupidità, come se quest'ultima fosse più interessante della prima. Lo mostrano i seguenti aforismi:

"All'intelligenza il buon Dio ha posto dei limiti, alla stupidità no".
(Adenauer).

"L'intelligenza è uno strumento - e questo strumento è finito in mano agli stupidi"
(Roberto Bazlen "Note senza testo" 1979).

"Perché l'intelligenza umana ha dei limiti, e la stupidità no?"
(George Courteline)

martedì 22 luglio 2014

IV] Qualche aforisma sulla polarità stupidità-intelligenza

(Continuazione) "Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui". Jonathan Swift.

"Una delle sventure delle persone molto intelligenti è di non poter fare a meno di capire tutto: i vizi non meno che le virtù". Honoré de Balzac.

"Il problema dell'umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi". Bertrand Russell.

"La solitudine è il destino di tante grandi menti: un destino a volte deplorato, ma sempre scelto come il minore dei mali". Arthur Schopenhauer.

III] La paura dell'intelligenza e la prevalenza della stupidità

(Continuazione) Definendo, come abbiamo fatto in questo blog, il Novecento come il secolo della paura dell'intelligenza, implicitamente lo abbiamo definito come il secolo della prevalenza della stupidità -che troppi filosofi, con compiacimento, hanno definito pensiero debole. Dobbiamo, perciò, aggiungere che il Novecento è stato il secolo nel quale la stupidità è salita sui trampoli, mentre l'intelligenza si è fatta piccola. Ecco, dunque, l'epoca della "prevalenza dello stupido", sulla quale ci accingiamo a sviluppare qualche nuova riflessione.

Cominciamo dalla seguente considerazione: possiamo paragonare il rapporto stupidità-intelligenza al rapporto caso-necessità. Ma, come c'è molto pudore a considerare il caso e la necessità in rapporto tra loro, così accade con la stupidità e l'intelligenza. Lo conferma la mancanza di una tradizione di studi e di teorie sulla stupidità, sull'intelligenza e sul loro reciproco rapporto.

C'è una forma di pudore così grande nel non voler trattare questi due temi con la serietà che meritano, che la coda di paglia dell'amor proprio umano li respinge nel limbo degli aforismi. Quanto più fa male all'amor proprio considerarli seriamente, tanto più essi vengono presi come oggetti di battute, ironie, sarcasmi. E qui ce n'è per tutti i gusti. Basta fare ricerche su Google.

lunedì 21 luglio 2014

II] La polarità stupidità-intelligenza

(Continuazione) Per poter approfondire la stupidità, occorre innanzi tutto prendere in considerazione il suo opposto polare: l'intelligenza. Ora, se l'intelligenza fosse conseguenza del rovesciamento della stupidità, come la vista è conseguenza del rovesciamento delle immagini nella retina, avremmo tanti intelligenti quanti sono i vedenti, mentre, già a prima vista, il rapporto tra intelligenti e stupidi mostra una grande prevalenza di questi ultimi.

Proseguendo l'approfondimento scopriamo, però, che la questione non è tanto semplice: stupidità e intelligenza potrebbero riservarci sorprese. Innanzi tutto, come si può leggere anche su Wikipedia: "In ambito accademico una definizione universalmente condivisa di intelligenza non esiste ancora". E non esisterà mai, ad avviso di chi scrive, nel senso che, in questo ambito, nessuno correrà mai il rischio di esprimere un giudizio negativo riguardo all'intelligenza di qualche collega o superiore.

domenica 20 luglio 2014

I] La prevalenza dello stupido e il pudore dell'intelligenza

Non volendo annoiare i vacanzieri con argomenti troppo seriosi di filosofia e scienza, l'autodidatta ha ritenuto di approfittare della calura estiva per affrontare un tema "leggero" come la stupidità. La stupidità è molto simile al caso: entrambi sono i fedeli compagni delle nostre esistenze quotidiane nei loro singoli momenti. Quante volte anche la persona più intelligente ha esclamato: che stupido sono stato!

Dedicheremo diversi post all'indagine su questo tema. Un tema che nella storia del pensiero umano non è stato molto indagato in se stesso, anche se, a riguardo, non mancano aforismi e riflessioni in ogni epoca. Comunque, le origini della stupidità spudorata dell'era della globalizzazione, che ci riguardano da vicino, si trovano nel "Truman show", nella "Società dello spettacolo" ("La prevalenza del cretino" di Fruttero e Lucentini ne rappresenta un esempio). Ma occorrerebbe leggere anche il libro di Gianfranco Marrone dal titolo laconico di "Stupidità",  libro presentato da Luca Menichetti nel dicembre 2012.

sabato 19 luglio 2014

Hegel sulla evoluzione della materia

La materia infinita e i cicli finiti delle forme materiali

Concludiamo questa prima parte del volume, dedicata alla dialettica caso-necessità nella teoria della conoscenza, con alcune riflessioni sull'evoluzione della materia che produce le più diverse forme fisiche e biologiche, oggetto di studio delle scienze della natura. Può sembrare paradossale ma è un fatto degno di considerazione che l'elaborazione filosofica dell'idealismo hegeliano inizi con il divenire, concetto fondamentale per la comprensione della reale evoluzione della materia nel cosmo.

Hegel risolve il problema del cominciamento della propria filosofia idealistica partendo dal puro essere (tesi), continuando con la sua negazione (antitesi) e quindi mostrando l'unità dialettica dell'essere e del nulla nel divenire (sintesi). Il risultato stabile del divenire è l'essere determinato che rappresenta l'unilaterale, il finito del divenire stesso; perciò l'antitesi sembra sparita; e invece nell'essere determinato essa si ripresenta, perché l'essere determinato è un qualcosa con determinate qualità che il divenire trasforma in un altro essere determinato con qualità modificate, ecc.

L'essere determinato, che sorge dal divenire, è una sintesi di essere e nulla, che concretamente si manifesta come qualcosa che è altrimenti dall'essere e il nulla, e che il divenire trasforma in altro. "L'alcunché -scrive Hegel- diventa un altro; ma l'altro è anche un alcunché; dunque diventa parimenti un altro; e così all'infinito". Nella filosofia idealistica hegeliana il divenire trasforma ogni essere determinato in un altro essere determinato con una progressione all'infinito.

venerdì 18 luglio 2014

3. La logica formale di Gottlog Frege

Frege scrive a Russell  3 agosto 1902.

(Continuazione) In questa lettera l'autore scrive: "Le ho appunto già scritto nella mia ultima lettera che nella fondazione dell'aritmetica e nella logica si può sostituire ciò che Lei vorrebbe chiamare classe, che è propriamente sistema, totalità, aggregato, e non ciò che io chiamo classe. In verità il sistema non è niente di logico". Osserviamo che la classe, come intesa da Frege, tratta oggetti di uno stesso tipo (ciò che l'autore di questo blog, seguendo Hegel, ha chiamato genere universale, ad esempio, il genere umano, il genere elettrone, il genere stella, ecc. )

Ma una cosa è la classe universale, tipologica, ecc. altra cosa è il complesso. Se una stella appartiene logicamente al genere delle stelle, essa però, appartiene realmente al suo proprio complesso: alla sua specifica galassia. Ma, a sua volta, essa stessa è un complesso: un complesso di atomi, i quali appartengono al genere atomi. Allo stesso modo un uomo appartiene al genere umano, ma può appartenere anche a una classe sociale e a una qualsiasi altra classificazione relativa alla sua condizione lavorativa, familiare, ecc. Qui non c'è possibilità di confusione solo se si ha l'accortezza di considerare i complessi e i singoli elementi dei complessi come reali, materiali, concreti, senza confonderli con gli oggetti astratti della logica matematica.

giovedì 17 luglio 2014

2. La logica formale di Gottlob Frege

Hilbert risponde a Frege 29 dicembre 1899

(Continuazione) Hilbert respinge (B1) "Lei scrive: "Attribuisco il nome di assiomi a enunciati... Il fatto che gli assiomi sono veri ci assicura che essi non si contraddicano fra loro". Mi ha molto interessato leggere nella Sua lettera proprio questa frase, poiché io, da quando ho cominciato a riflettere, scrivere e tenere conferenze su questo argomento, ho sempre detto esattamente il contrario: se assiomi arbitrariamente stabiliti non sono in contraddizione, con tutte le loro conseguenze, allora essi sono veri, allora esistono gli enti definiti per mezzo di questi assiomi. Questo è per me il criterio della verità e dell'esistenza".

Hilbert chiarisce (B2): "Voler dare in tre righe una definizione del punto è a mio modo di vedere una cosa impossibile, poiché una definizione completa di esso la dà piuttosto solo l'intero complesso di assiomi. Proprio così: ogni assioma contribuisce alla definizione, e quindi ogni nuovo assioma fa variare il concetto. "Punto" è di volta in volta qualcosa di diverso, a seconda che lo consideriamo nella geometria euclidea, non euclidea, archimedea, non archimedea. Ne deriva da ciò che quando un concetto è stabilito in modo univoco non è lecito aggiungere un qualunque altro assioma".

mercoledì 16 luglio 2014

1. La Logica Formale di Gottlob Frege

Epistolario filosofico di Gottlob Frege con Hilbert, Husserl e altri*

Iniziamo con una considerazione dell'autore di questo blog sull'errore della Logica formale che pretende stabilire valori di verità (ossia, la verità o la falsità) di singole asserzioni. Ma una singola asserzione, una singola frase (o persino un brano di diverse frasi) non può essere assolutamente o vera o falsa. La verità vale soltanto per complessi teorici. Spesso ci vogliono parecchi brani se non libri per giungere a caratterizzare una legge o un'idea profonda non ancora del tutto definita o sviluppata, e questo vale anche per la critica delle teorie.

Questa complessità non può essere bloccata, sezionata, divisa in serie di asserzioni separate, delle quali si possa o si debba provare singolarmente la verità o la falsità. Ciò sarebbe stucchevolmente metafisico. A parte le verità banali, come diceva Engels, del tipo: Napoleone è nato a Sant'Elena in tale ora, giorno e anno. Verità che non riguardano la logica, ma semplicemente eventi appurati, dove, comunque, un errore, ad esempio, di trascrizione dell'ora o del giorno, non hanno alcuna rilevanza per la conoscenza, riguardando soltanto la semplice erudizione.

domenica 13 luglio 2014

Impasse della fisica dopo il bosone di Higgs?

Commento sul recente numero di "Le Scienze" Luglio 2014, dedicato alla "fisica in crisi" dopo la scoperta del bosone di Higgs.

Il fatto paradossale è che, per i fisici, rappresenta un punto fermo della storia della loro scienza la validità dei quanti e della relatività, considerate due grandi rivoluzioni e due esempi di come deve progredire la fisica, anche se poi i conti non sono mai tornati, a cominciare dalla insolubile contraddizione tra la fisica quantistica e la fisica relativistica.

Insomma, esiste una storia mitizzata che presenta queste due dottrine oscurandone tutte le contraddizioni fondamentali. Si sarebbe, invece, dovuto sottolineare che i fisici del primo Novecento arrancavano tra mille difficoltà e con una tecnologia ancora molto modesta e quindi erano giunti a teorie molto discutibili. Ma niente da fare, il mito ha prevalso: il mito di Plank, Einstein, Bohr, ecc. fino a Dirac. Cosa che in altre scienze, stranamente, non è successo... in una simile misura.

giovedì 10 luglio 2014

Motti, aforismi e massime d'autore. Gautier (1811-1872)

Da "Il capitan Fracassa" di Gautier

Il nobile straccione  aveva "un blasone talmente consunto che non l'avrebbe decifrato l'araldo più esperto;"

"In assenza dell'opera dell'uomo, la natura riprende i suoi diritti cancellando quanto vi era di tracce di lavoro umano: una cosa che sembra fare volentieri"
.

La descrizione di una pittura muraria andata in rovina: sembrava "non più una pittura, ma lo spettro di una pittura, tanto che a parlarne ci vorrebbero le ombre delle parole: i vocaboli soliti paiono, per questo specifico scopo, troppo sostanziosi".

Motti, aforismi e massime d'autore. Chamfort (1741-1794)

Da  "Massime e pensieri" di Chamfort


"Vi sono due cose alle quali bisogna assuefarsi, a meno di trovare la vita insopportabile: le ingiurie del tempo e le ingiustizie degli uomini".

"La sciocchezza non sarebbe completa se non temesse l'intelligenza. Il vizio non sarebbe completo se non odiasse la virtù".

"C'è un certo piacere insito nel coraggio che sa porsi al di sopra della ricchezza. Disprezzare il denaro equivale, infatti, a detronizzare un re"
.

mercoledì 9 luglio 2014

Motti, aforismi e massime d'autore. Vauvenargues (1715-1747)

Da "Riflessioni e massime, e altri scritti" di Vauvenargues


Sul caso, Vauvenargues non comprende ciò che ha intuìto qui di seguito: "La necessità di questo concorso di molte qualità indipendenti le une dalle altre, spiega come il genio sia così raro. Quando la natura riunisce quelle differenti attitudini in un solo uomo, sembra addirittura un caso". Non sembra. E' un caso! Però, eccezionale in senso statistico!

"Quelli che deridono le inclinazioni serie amano poi seriamente le bazzecole".

"Lo sciocco dotato di buona memoria è pieno di pensieri e di fatti; ma non sa trarne alcuna conclusione: mentre tutto dipende da ciò".

Motti, aforismi e massime d'autore. Montaigne (1533-1592)

[Per molti sono iniziate le vacanze. Perciò, proponiamo qualcosa di leggero, ma non troppo, su cui riflettere sotto l'ombrellone]

Dal "Dizionario della saggezza"   di Montaigne                              

"Deificazioni. Le cose che conosciamo meno si adattano più delle altre ad essere deificate. Perciò aver creato degli dèi a nostra somiglianza, come è avvenuto nell'antichità, va molto al di là dell'estrema debolezza umana... Aver costruito dèi tenendo come modello la nostra condizione, della quale dovremmo conoscere la fallacia, aver attribuito loro desideri, ire, vendette, matrimoni, accoppiamenti e parentele, amori e gelosie... le nostre cupidigie e i nostri piaceri, è veramente il prodotto di una eccezionale ubriacatura dell'intelletto umano"

 "E' difficile nelle azioni umane stabilire una regola tanto giusta, basata sulla ragione, sulla quale il caso non vi faccia pesare il suo diritto". 

E sull'incertezza dovuta al caso: "Gli uomini, anche quando la sorte faccia loro buon viso, non possono definirsi felici finché non sono giunti all'ultimo giorno della loro vita, per l'incertezza e la variabilità delle cose umane, che con lievissimo movimento possono mutare da una condizione a un'altra totalmente diversa".  

lunedì 7 luglio 2014

Bellone. Il mistico Maxwell e l'autistico Dirac: il convenzionalismo e l'irrealismo in fisica

Un omaggio critico a Enrico Bellone

Scrive Bellone che Maxwell suggerì "di distinguere tra due forme di conoscenza, l'una definita storica e l'altra statistica. Le equazioni della meccanica enunciavano in modo completo "le leggi del metodo storico applicato alla materia". Era tuttavia impossibile, sulla base di ciò che si sapeva a proposito della materia stessa, applicare effettivamente il metodo storico a grandi numeri di particelle e di eventi: "ed allora siamo obbligati ad abbandonare il rigoroso metodo storico e ad adottare  il metodo statistico". Quest'ultimo, pur essendo prezioso a fini pratici, non poteva tuttavia pretendere di avere "quel carattere di assoluta precisione che appartiene alle leggi della dinamica astratta" (Maxwell 1873...)."

"Maxwell -continua Bellone- era dunque convinto che l'analisi statistica non potesse rivaleggiare con l'analisi meccanica dei processi naturali". Così, egli aprì il periodo storico della scienza convenzionale e fittizia del '900: essendo un religioso mistico, non poteva ammettere l'irregolarità in natura, non potendo accettare il caso. E se pure l'uomo fosse stato incapace di determinare le singole molecole, per Maxwell, la loro regolarità era comunque rigorosamente determinata. Così potè affermare: "Quando passiamo dalla contemplazione dei nostri esperimenti alla contemplazione delle molecole stesse, allora lasciamo il mondo del caso e del mutamento ed entriamo in una regione dove ogni cosa è certa e immutabile".

II] Bellone. Altro che caos e armonia: un paradosso del Seicento

Un omaggio critico a Enerico Bellone

(Continuazione) "E' infatti lecito -scrive Bellone- chiedersi per quali motivi esista, nei primi anni del Seicento, una disparità notevole tra le teorie e le misure relative all'astronomia e alla meccanica da un lato, e quelle relative ai fenomeni elettrici e magnetici dall'altro". Keplero ha teoremi e può confrontare i calcoli con le misure astronomiche di Tycho Brahe, ma riguardo alla teoria dell'attrazione tra il Sole e i pianeti non può superare l'analogia tra la virtù motrice del sistema planetario e le idee di Gilbert sul magnetismo. Galilei, "che lavora su un programma di matematizzazione della teoria del moto", ammira l'ingegnosità del De Magnete, ma ne critica l'assenza della matematica.

Riguardo all'astronomia, la questione principale era spiegare la gravitazione e non solo limitarsi a calcolarla. Cartesio, che cercava di spiegare l'intero Universo, non apprezzava il metodo di Galileo dello studio di problemi ben definiti. E, viceversa, Galilei non comprendeva le tecniche algebriche di Cartesio. Ma quest'ultimo fingeva ipotesi: voleva spiegare le cause e le riferiva alla causa prima, Dio. Anche Leibniz non apprezzava Cartesio per via del suo "metodo" che considerava inutile.

domenica 6 luglio 2014

"Il potere delle formule" di Piergiorgio Odifreddi

 "Le Scienze" Luglio 2014

Riprendendo il passo di Galileo sull'universo scritto in lingua matematica, Odifreddi si pone il problema della determinazione della forza, o meglio come "poter descrivere l'effetto di una forza F su una massa m" e dice che "è necessario capire a quale caratteristica del moto sia legata la forza. Agli inizi la cosa non era chiara, e si discusse a lungo su varie possibilità: in particolare Galileo e Cartesio proponevano la "quantità di moto" mv, Leibniz la "forza viva" mv2, e Newton ma. Paradossalmente, tutte e tre le proposte erano sensate, ma si riferivano ad aspetti diversi.

Oggi sappiamo che la definizione corretta è quella proposta nel 1687 da Newton nei Principia, cioè F = ma. Chiarito questo, il resto segue automaticamente dalle tre formule precedenti, moltiplicandone entrambi i membri per la massa. Dalla prima si ottiene Ft = mv , che uguaglia l'impulso di una forza alla quantità di moto. E dalla terza si ottiene Fs = mv2/2 che uguaglia il  lavoro di una forza all'energia cinetica, ma misurato il suo effetto nel tempo e nello spazio: cioè l'impulso fornito e il lavoro effettuato".

sabato 5 luglio 2014

I] Bellone. La proposta di compromesso di Osiander e la scienza moderna

Un omaggio critico a Enrico Bellone

In questo e nei due successivi post, prenderemo in considerazione alcuni importanti contenuti del libro di Enrico Bellone, "Caos e armonia" (2004), dove egli, in particolare, sottolineò che, nell'epoca attuale, milioni di studiosi operano nel campo della scienza e rappresentano quella "comunità scientifica" penalizzata da troppi vincoli che si pretendono porre alla scienza  stessa.

Così scrisse: "In quanto l'evoluzione della scienza fondamentale ha una spiccata caratteristica di non intenzionalità, l'idea stessa di porre vincoli preliminari sulla libertà della ricerca è una pia illusione, anche se appare a molti intellettuali saldamente ancorata alla distinzione tra cultura (la cui libertà d'espressione va comunque garantita) e tecnica (la cui libertà operativa dovrebbe essere invece regolata con prescrizioni etiche, politiche, religiose e giuridiche, ed eventualmente punite in caso di violazione)".

In senso sociale, il problema del controllo delle applicazioni della scienza è di difficile soluzione, ma non ha nulla a che vedere con le questioni, sollevate da Bellone, della libera conoscenza e dei vincoli che la storia ha posto alla scienza, a cominciare dai divieti teologici. E', comunque, dei suddetti vincoli che tratteremo in questo post.

sabato 28 giugno 2014

3) Paolo Rossi. La cultura del pessimismo*

(Continuazione) Scrive Rossi: "L'idea di una crescita e di uno sviluppo del genere umano e la nozione dell'advancement of learning, si andranno articolando -nell'età dell'illuminismo- in una vera e propria teoria nella quale entreranno in gioco la nozione di perfettibilità dell'uomo e di una sua natura alterabile e modificabile; l'idea di una storia unitaria o "universale" del genere umano; i discorsi sul passaggio dalla "barbarie" alla "civiltà", soprattutto l'affermazione di costanti o di "leggi" operanti nel processo storico. Fra la metà del settecento e la metà dell'ottocento l'idea di progresso finirà per coincidere -al limite- con quella di un ordine provvidenziale immanente al divenire della storia".

Erano convinti dell'esistenza di quest'ordine, anche se in forma diversa, ad esempio, Comte e Spencer; e, in seguito, troviamo questa convinzione anche "negli esponenti del darwinismo sociale presso i quali il progresso si configura come una necessità naturale e la civiltà viene considerata come una parte della natura. L'evoluzionismo assume tonalità religiose; la teoria dell'evoluzione viene fatta coincidere con quella del progresso; le aspirazioni degli uomini si identificano con quelle della natura".

2) Paolo Rossi. Magìa e scienza*

(Continuazione) Scrive Rossi: E' indubbiamente vero che magìa e scienza costituiscono entrambe due tecniche per controllare la natura, dominare il mondo esterno, ampliare i poteri dell'uomo. E' anche vero che entrambe si sono configurate, almeno in determinati periodi storici, come strumenti di riscatto e di salvezza e che la scienza si è talvolta caricata di tonalità e finalità religiose".

Ecco un modo molto generico di porre in connessione storica scienza, magìa e religione. Anche la contrapposizione tra strumento di "riscatto" e strumento di "dominio" della scienza, quasi fossero, rispettivamente, il suo lato buono e il suo lato cattivo, non chiarisce la questione rimanendo sul piano ideologico. Magìa e scienza più che due strumenti di generico riscatto o salvezza dell'uomo, sono due modi inconciliabili e opposti di affrontare la conoscenza e la manipolazione dei fenomeni naturali. Ma la magìa, ovvero tutte le credenze superstiziose e le pratiche magiche, si poteva e può ancora affermarsi, ma solo nel campo della non conoscenza: la cieca necessità non conosciuta non può essere trattata in altro modo, consapevole o meno, di quello magico.

1) Paolo Rossi. Il concetto di immagine della scienza*

Il termine "immagine" sta per rappresentazione o riproduzione di qualcosa. Allora, qui c'è la cosa, la scienza e poi c'è la sua rappresentazione, l'immagine. Da notare, però, che dalla stessa etimologia di origine incerta del termine "immagine" viene fuori anche il termine imago che è un modo di rappresentare con la mente qualcosa che è solo nel pensiero, quindi inventato con la fantasia, senza un fondamento oggettivo e ancor meno realistico.

E' dal Novecento che, complice Schrodinger, va di moda parlare dell'"immagine della scienza", e se Rossi parla di immagine al plurale è perché nella storia della scienza moderna, dal Seicento al Novecento, la sua immagine si è modificata molte volte adeguandosi alle nuove metodologie, alle nuove teorie, ecc. Risultato: sembra che nessuno abbia più l'ardire di considerare la scienza come conoscenza, e soprattutto come rappresentazione della realtà (ad esempio, della natura).

venerdì 27 giugno 2014

Spazi e tempi specifici della natura

In estrema sintesi

Spazio e tempo sono astrazioni, concetti che non hanno quel valore assoluto che gli attribuì Newton, ma neppure quel valore relativo che gli hanno attribuito prima Huygens e poi Einstein. L'assoluto dello spazio è la sua estensione infinita senza limiti osservabili. L'assoluto del tempo è l'eternità, un fluire senza fine.  E il relativo che cosa è ? E' la forma materiale.

Ma le forme materiali che noi osserviamo, universo, superammassi, ammassi, galassie, stelle, pianeti, terra ecc. (e il sorgere della vita, le forme viventi e la loro evoluzione fino all'uomo) sono complessi che possiedono rispettivi spazi e tempi specifici che sono reali. Perciò, il calcolo degli spazi-tempi dell'universo e delle sue forme materiali non può essere soltanto un calcolo matematico astratto, puramente formale o ideale.

IV] Paolo Rossi. Nata dalla teologia, la scienza moderna non ha ancora risolto i suoi problemi*

(Continua) Nello scolio generale aggiunto alla seconda edizione dei suoi Principia, Newton si pone il problema della regolarità dei moti planetari. Paolo Rossi così riassume: "Quella regolarità, a suo avviso, non può dipendere da princìpi meccanici. L'essere del mondo non trova il suo fondamento in quei princìpi ed è necessario fare appello alle cause finali, al teleologismo. Da una cieca necessità metafisica non può nascere la varietà delle cose create. Il cieco fato non potrebbe mai far mutare tutti i pianeti nella stessa direzione in orbite concentriche".

Rossi così continua, citando Newton: "La uniformità del sistema planetario è il risultato di una scelta: "Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non poté sorgere senza la presenza di un Essere onnipotente e intelligente". Colui che ha ordinato l'universo, ha collocato le stelle fisse a un'immensa distanza le une dalle altre "per timore che questi globi non cadessero l'uno sull'altro per forza di gravità"." Dio "regge le cose non come l'anima del mondo, ma come Signore dell'Universo"." 

III] Paolo Rossi. Le quattro regole di Newton che capovolgono la realtà della natura*

(Continua)

1) Prima regola: "Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni". "Questa regola -dice Rossi- afferma la semplicità della natura che "non sovrabbonda di cause superflue" e "non fa nulla invano"". E' l'applicazione del cosiddetto "rasoio di Occam": "entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem" (ovvero gli enti non vanno moltiplicati al di là del necessario, o anche, invano si fa con molte cose ciò che può essere fatto con poche).

2) Seconda regola: "Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno assegnate ad effetti naturali dello stesso genere". Newton "afferma -scrive Rossi- la uniformità della natura o la validità generale delle leggi naturali"... ad esempio le pietre cadono allo stesso modo in Europa e in America.

3) Terza regola: "Le qualità dei corpi non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile effettuare esperimenti devono essere ritenute qualità di tutti i corpi". Questa regola afferma "l'omogenità della natura, il suo carattere di entità invariabile, regolare, prevedibile".

4) Quarta regola: "Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate ad eccezioni". Questa regola afferma la necessità di un controllo della teoria "perchè l'argomento dell'induzione non sia eliminato mediante ipotesi". Le teorie scientifiche devono essere in accordo con gli esperimenti e devono essere considerate vere finché tale accordo sussista".

II] Paolo Rossi. Sul caso Galileo*

(Continuazione) Rossi ha compreso che la vera questione era per Galilei "la descrizione della realtà delle cose", distinguendo così tra ciò che appare e ciò che è reale, ossia tra ciò che è soggettivo e dipendente dalla percezione dei sensi e ciò che è reale nel mondo. La seconda questione teorica di Galilei era quella relativa al famoso passo riportato da tutti perché interpretato come supremazia della matematica. 

A questo riguardo, Rossi scrive: "I caratteri in cui è scritto il libro della natura sono diversi da quelli del nostro alfabeto, e non tutti sono in grado di leggere in quel libro. Su questo presupposto Galilei fonda la fermissima, ostinata convinzione di tutta la sua vita: la scienza non si limita a formulare ipotesi, a "salvare i fenomeni", ma è in grado di dire qualcosa di vero sulla costituzione delle parti dell'universo in rerum natura, di rappresentare la struttura fisica del mondo".

giovedì 26 giugno 2014

I] Paolo Rossi. Come nasce la scienza moderna*

Secondo Rossi** la scienza moderna nasce al di fuori delle università e in polemica con queste [quindi, non in una torre d'avorio come quella dell'attuale comunità scientifica]. La scienza moderna nasce con questo duplice carattere: 1) la filosofia meccanica, 2) la nuova immagine di Dio come ingegnere e orologiaio [che nuova non era nella sostanza ma solo nella forma. L'idea del Dio creatore, causa del mondo era già in Platone e in Aristotele. E, riguardo alla forma, ogni epoca ha attribuito a Dio il proprio livello tecnologico raggiunto, i propri meccanismi]

Rossi ricorda che alle origini della scienza moderna convivevano il nuovo (meccanicistico, sperimentale, ecc.) e il vecchio (ermetico, alchemico, ecc. Ad es. Newton che ha scritto manoscritti alchemici con più di un milione di parole, equivalenti a circa 3.500 pagine di libro). E sottolinea: "Gli scienziati del Seicento non sapevano e non potevano sapere ciò che ora sappiamo: che l'alchimia seicentesca "era l'ultimo fiore di una pianta morente e la matematica del Seicento era il primo fiore di una robusta pianta perenne" (Westfall, 1989)".

Per Rossi, le generalizzazioni precedenti la scienza moderna sarebbero legate "a una concezione antropomorfica del mondo, che assume le sensazioni e i comportamenti e le percezioni dell'uomo, nella loro immediatezza, come criteri della realtà". Dunque il soggettivismo è antropomorfico. Ma sarebbe ancora più esatto concepire l'antropomorfismo come quella tendenza ad attribuire alla natura ciò che è dell'uomo, e non solo le sensazioni ecc. umane, ma anche le stesse macchine, e persino il computer com'è avvenuto di recente. E il fatto che nel Seicento-Settecento convivessero, ingenuamente, magìa e scienza, ciò non toglie che ancora oggi esse convivano in modi più raffinati soprattutto in fisica (teoria delle stringhe, teoria M a 11 dimensioni, ecc.)

mercoledì 25 giugno 2014

"La scienza ha ancora bisogno di Dio?"

E' il titolo di un articolo di Roberto Paura

Sottotitolo: "Due grandi scienziati, l'italiano Edoardo Boncinelli e l'americano Lawrence Krauss, riaprono il dibattito sui rapporti tra scienza e fede: l'universo è nato dal nulla e si è evoluto per caso, come la specie umana". Ecco espresso, in breve sintesi, il contenuto essenziale dell'errore di Boncinelli e di  Krauss. Il caso sarebbe "padrone" dell'universo e della sua evoluzione fino alla vita e alla vita cosciente. Questo errore giustificherebbe la possibilità laplaciana di fare a meno dell'ipotesi-Dio.

E che cosa rimarrebbe nell'ipotesi del puro caso? Ossia quello che è stato giustificato come principio antropico: le cose stanno così perché esistiamo, la nostra esistenza ci appare una fortuna cosmica perchè è lo stesso della vincita di una lotteria? E ciò varrebbe sia riguardo all'evoluzione della materia non vivente sia riguardo all'evoluzione della vita e della vita cosciente. Ma qui sta l'errore fondamentale, che consiste nel confondere il puro e semplice caso singolare con la necessità della frequenza statistica.

La principale questione del realismo

La principale questione del realismo non è l'opposizione tra new realism e postmodernismo, e cioè se il mondo esterno sia reale e indipendente dalla mente umana o costruito da essa. Questa falsa opposizione deriva più o meno consapevolmente dalla circostanza che noi effettivamente costruiamo il nostro mondo economico, sociale e politico, ma soprattutto il nostro mondo tecnologico.

Insomma, l'uomo e la sua scienza hanno di fronte, fin dall'antichità, ma molto di più dall'epoca del capitalismo, una realtà direttamente da lui costruita. La prima conseguenza è stata la confusione derivata dalla determinazione di causa ed effetto perfettamente plausibile per l'opera dell'uomo, ma non per l'opera della natura.

La scienza in balia del caso e dell'imprevista necessità

Steven Levitt è il tipico rappresentante di una scienza in balia del caos. Nel titolo del suo libro troviamo un ossimoro "Il calcolo dell'incalcolabile". Ma il giovanotto ha scoperto, giustamente, che non si può fare affidamento sul rapporto di causa-effetto applicato ai singoli individui, eventi ecc. Perciò, ne ha conseguito correttamente che rilevante è il calcolo statistico sui complessi di individui ed eventi. Ma poi si è fermato qui, non sapendo che farsene, per i suoi scopi, della teoria. 

Così, un'impostazione che poteva essere giusta se fosse stata sviluppata e applicata alle grandi questioni complessive delle scienze è stata sprecata per seguire minuzie e per insegnare ai singoli d'essere meno ingenui e più scettici. Di conseguenza, nel suo libro, troviamo soltanto delle applicazioni statistiche di breve momento su pochi e irrilevanti esempi che, riguardando però la vita di tutti i giorni, si guadagnano il facile gradimento dei lettori. Ma c'è un'eccezione: un'osservazione molto interessante che mostra come spesso sia sufficiente un caso apparentemente banale per rovesciarsi in una rilevante conseguenza ciecamente necessaria. Si tratta del calo imprevisto della delinquenza giovanile in America che ha smentito la  previsione di una crescita inarrestabile con conseguenti "bagni di sangue".

Michael Hanlon: domande ancora senza risposta della scienza*

L'autore inizia chiedendosi perchè il tempo sia così misterioso: il tempo scorre? "E che cos'è 'la sostanza' che scorre?" Eppure la risposta dovrebbe essere ovvia: è la materia che evolve nel tempo. Del resto, sostenere che "il passato è morto" significa dimenticare che la morte è un concetto che entra in scena solo con la vita, mentre il concetto di passato vale per ogni processo, rappresentando quella fase in cui le forme materiali si sono prodotte. Il passato è l'opposto dialettico del futuro e il tramite tra i due è il presente. Qualsiasi cosa, fenomeno o processo, ha un passato dietro dei sé, un futuro davanti a sé e un presente che è un continuo passaggio del futuro nel passato.

Ma Hanlon prende in considerazione solo la sensazione soggettiva del tempo: un'ora con una bella ragazza sembra un minuto e un minuto su una stufa rovente sembra un'ora. Questa, secondo lui, sarebbe la relatività einsteniana, ossia qualcosa di puramente soggettivo riguardo alla percezione del tempo, e aggiunge ancora che per Einstein la distinzione tra passato, presente e futuro era un'illusione; da ciò ricavando la possibilità dell'idea del tempo come unico blocco: "un panorama temporale einsteniano o platonico in cui il passato, il presente e il futuro sono tutti altrettanto reali, è popolare tra i fisici poiché mette da parte l'apparente soggettività del passaggio del tempo".

martedì 24 giugno 2014

L'impossibile successo di un blog scientifico

Tratto da uno articolo comparso su "Scienzainrete" il 21 giugno, 2014, che l'ha ripreso da "Scienza § società" -Open Scienza Open Data-. Autore Emiliano Bruner. Titolo "La neurogenesi di Gaia: scienza e informazione digitale". Molto interessante di questo scritto è, in particolare, la questione del rapporto tra conoscenza e informazione nell'era di Internet.

L'autore entra direttamente nel merito quando scrive: "A livello generale e trasversale, uno dei problemi principali è che si sta confondendo "informazione" e "conoscenza". Internet ci offre soprattutto informazione che richiede un processo lento di filtro, integrazione e strutturazione per poter diventare "conoscenza". Il processo di download di informazione è rapido, quasi istantaneo. Il processo di trasformazione in conoscenza è invece lento e richiede uno sforzo e una dedicazione molto più complessa. E' inevitabile che, se si scarica informazione e si pensa di aver scaricato conoscenza (e questo succede soprattutto nelle generazioni più giovani), i rischi e i problemi possono essere davvero seri generando menti con relazioni cognitiva troppo lineari e una capacità di gestione in continua diminuzione e impoverimento".

lunedì 16 giugno 2014

7) L'infinito della logica matematica e il paradosso della riflessività. Conclusioni

(Continuazione) I filosofi e i matematici del passato, fino all'Ottocento, hanno respinto il concetto di infinito attuale a causa del paradosso della riflessività che compare nella corrispondenza di serie tra loro subordinate come, ad esempio, l'insieme dei numeri interi e l'insieme dei numeri pari o dispari: è il paradosso delle "parti grandi quanto il tutto". Se Gauss dovette ribadire il rifiuto dell'infinito come un tutto completo fu perché Bernardo Bolzano, nella prima metà dell'Ottocento, pretese affermare l'esistenza di questo infinito utilizzando un escamotage tipico dei matematici puri.

A questo proposito, Luminet e Lachièze-Rey scrivono: "Bolzano segna una tappa matematica decisiva là dove difende con convinzione l'idea di un infinito attuale, e non solo potenziale. Il suo statuto ontologico dovrebbe essere esattamente lo stesso che spetta agli altri numeri (finiti), e la matematica dovrebbe essere in grado di manipolarlo nello stesso modo in cui manipola qualsiasi altro oggetto". Per Bolzano è possibile il concetto di un insieme infinito di oggetti "che può essere pensato tutto insieme". L'escamotage  da lui utilizzato consistette nell'eliminare il paradosso della riflessività con un paradossale rovesciamento: trasformare il paradosso stesso nel fondamento teorico del concetto di infinito attuale: la riflessività divenne così il contrassegno dell'infinito inteso come un tutto completo. Insomma, l'argomento usato da oltre due millenni per respingere l'infinito attuale divenne la proprietà fondamentale che lo definiva.

domenica 15 giugno 2014

6) L'infinito dello spazio, del tempo e della materia

Per questo e per il prossimo post conclusivo della serie dedicata al rapporto infinito-finito, utilizzeremo il libro di Jean-Pierre Luminet e Marc Lachièze-Rey, dal titolo "Finito o infinito? Limiti ed enigmi dell'universo" (2006). Semplificando molto, ci limiteremo a considerare, in particolare, il paradosso del "bordo" in relazione all'universo finito, i paradossi di Zenone  riguardo alla negazione del movimento e altro ancora riguardo alla materia, per terminare con il concetto di infinito matematico. 

L'antico pensiero greco ha concepito sia lo spazio infinito come contenitore (Leucippo e Democrito); sia l'universo finito (Parmenide e Platone), ma anche il suo opposto: la pluralità dei mondi (Erodoto). A sua volta, Aristotele ha criticato l'atomismo negando lo spazio, contrapponendogli il semplice "luogo" come limite che racchiude le cose. Infine, i sostenitori del mondo finito dovevano non solo assegnarli un "centro", ma ammettere anche una frontiera come limite insuperabile, cioè un "bordo" invalicabile che lo racchiudesse.

sabato 14 giugno 2014

5) Engels sulla polarità infinito-finito

Engels affronta il rapporto infinito-finito osservando " 'Noi possiamo conoscere solo il finito ecc. [affermazione di Nageli]'. Questo è del tutto giusto, nel senso limitato che soltanto oggetti finiti cadono nel dominio della nostra conoscenza. Ma la proposizione ha la necessità anche del completamento: Noi possiamo in definitiva conoscere solo l'infinito." Ma a quale infinito fa riferimento? "Di fatto ogni conoscere effettivo, esauriente consiste soltanto in ciò: che noi con il pensiero eleviamo il singolo dalla singolarità alla particolarità e da quest'ultima alla generalità, che noi ritroviamo e stabiliamo l'infinito nel finito, l'eterno nel caduco. La forma della generalità è però forma chiusa in sé, con ciò infinita; essa è la sintesi di molti finiti nell'infinito".

E' questo ancora il determinismo riduzionistico che crede di poter trovare leggi a partire dalla singolarità per arrivare alla generalità attraverso la particolarità. E' dunque ragionando ancora da determinista riduzionista che Engels può concludere: "Ogni vera conoscenza naturale è conoscenza dell'eterno, dell'infinito, e perciò, nella sua essensa, assoluta". Occorre, invece, rovesciare i suddetti assunti riduzionistici: la generalità della legge naturale è sintesi dell'infinito nel finito, nella forma del rovesciamento degli infiniti casi singolari nelle necessità finite dei loro complessi o forme materiali. La conoscenza reale è conoscenza di complessi finiti, in cui si rovesciano gli infiniti singoli, casuali, elementi costituenti.

venerdì 13 giugno 2014

4) Engels e la nuova idea di necessità fondata sul caso

Nella Dialettica della natura (edizione 1971 degli Editori Riuniti) troviamo, nel pensiero di Engels, un interno dissidio, un contrasto tra la vecchia idea di necessità, fondata sulla connessione di causa-effetto, e la nuova idea di necessità fondata sul caso. Questo contrasto si manifesta dopo la stesura dell'AntiDhuring (1876-1878). Prima del 1876, Engels è fortemente influenzato dal determinismo riduzionistico, come dimostra uno dei paragrafi scritti nel 1874 (vedere pag 239-241 nell'edizione sopracitata), che difende il principio di causa con i seguenti argomenti: "La prima cosa che ci colpisce, considerando la materia in movimento, è la connessione dei movimenti singoli dei singoli corpi, il loro essere condizionati l'uno dall'altro".

Poiché, inoltre, noi siamo in grado di riprodurre le condizioni dei movimenti naturali e possiamo anche produrre movimenti che in natura non si presentano, Engels deriva la seguente conseguenza: "Da ciò, dall'attività dell'uomo, trae il suo fondamento l'idea di causalità, l'idea che il movimento è la causa di un altro". Però, poi, respinge l'idea che "il regolare succedersi di certi fenomeni naturali", pur suggerendo l'idea di causalità, possa anche dimostrarla. Perciò Hume ha ragione a negare il "post hoc" come fondamento del "propter hoc".

giovedì 12 giugno 2014

3) Hegel sulla polarità infinito-finito

Nella "Enciclopedia", Hegel concepisce l'essere determinato, risultato del divenire, sintesi di "essere" e "nulla" e, in quanto tale, finito; ma, a sua volta, l'essere determinato è mutevole, è qualcosa che diventa altro: "L'alcunché diventa un altro; ma l'altro è anche un alcunché; dunque diventa parimenti un altro: e così all'infinito". Questo progresso all'infinito è per Hegel la "cattiva infinità": "Questa infinità è l'infinità falsa e negativa, giacché essa non è se non la negazione del finito, il quale però nasce di nuovo, e per conseguenza non è ancora superato: -vale a dire, questa infinità rappresenta solo il dover essere del superamento del finito. Il progresso all'infinito si arresta alla dichiarazione della contraddizione, contenuta nel finito, che questo, cioè, è tanto l'alcunché quanto l'altro; è il perpetuo cangiamento di queste determinazioni, che s'ingenerano l'un l'altra".

Se riusciamo a superare la difficoltà di questo linguaggio hegeliano e della sua traduzione negli anni '50 del Novecento, dalla quale abbiamo attinto, possiamo procedere. Innanzi tutto, Hegel critica l'applicazione della cattiva infinità alla concezione riduzionistica della divisibilità della materia: "Il progresso all'infinito, che concerne la divisibilità della materia" si serve del seguente procedimento: "Una cosa una volta è presa come un tutto, poi si passa alla determinazione delle parti; questa determinazione viene quindi dimenticata, e ciò che era parte viene considerata un tutto; poi si ha di nuovo la determinazioni delle parti, ecc. all'infinito".

mercoledì 11 giugno 2014

2) La polarità dialettica infinito-finito. Premesse

Esiste una reale contraddizione nella teoria della conoscenza: la contraddizione tra ciò che la mente umana può arrivare a concepire in astratto e ciò che, nella pratica, l'uomo, con i suoi strumenti, può arrivare a determinare e a misurare. Questa contraddizione si riflette anche e soprattutto nel rapporto tra i concetti di infinito e finito. Per gli antichi greci, che arrivarono a misurare migliaia di stadi, grandezze superiori erano praticamente infinite. Esiste perciò un infinito relativo che semplicemente travalica le grandezze misurabili in una data epoca storica.

Ma il pensiero astratto può andare oltre: già quando si potevano misurare soltanto migliaia di stadi, i filosofi concepirono un infinito, per così dire, assoluto, indipendente dalla capacità umana di misurare grandezze finite, per quanto grandi. E' da qui che dobbiamo partire per comprendere i concetti  di infinito e di finito. Ora, se l'infinito "relativo" è un finito che non siamo ancora in grado di misurare perché smisurato, l'infinito "assoluto" è qualcosa di non misurabile perché sconfinato, illimitato. In sostanza questo infinito non è determinabile come un finito. Il problema allora è di stabilire il contrassegno di questo infinito e il suo rapporto con il finito. 

martedì 10 giugno 2014

1) La soluzione dialettica del rapporto infinito-finito. Introduzione

Con una serie di post affronteremo una questione molto complessa che, finora, nel pensiero filosofico scientifico, non ha trovato una soluzione soddisfacente né, tanto meno, risolutiva: si tratta del concetto di infinito, il quale non ha senso se non in rapporto al concetto di finito. Come punto di partenza, occorre distinguere la polarità infinito-finito della materia dalla polarità infinito-finito della conoscenza: la prima riguarda la realtà materiale, la seconda riguarda la conoscenza reale. La realtà materiale va per la sua strada, indifferente e indipendente dalla coscienza dell'uomo, ma la conoscenza reale può e deve riflettere il reale percorso dell'evoluzione della materia.

Reali sono le forme materiali finite, e reale è l'infinita materia nello spazio e nel tempo infiniti. Questi sono anche gli unici assoluti. In che senso assoluti? nel senso che la materia è indeterminata e infinita così come lo sono lo spazio e il tempo della sua esistenza. Questa materia, però, si determina in un eterno processo evolutivo di forme materiali transitorie. Perciò si può affermare: se la materia è eterna e infinita, le sue forme (le forme materiali) sono effimere e finite.

giovedì 5 giugno 2014

Le principali combinazioni fra i termini causa-effetto, caso-necessità, singolo-complesso nel pensiero moderno

La principale tesi di questo blog sostiene che solo la concezione dialettica, che parte dal caso inerente i singoli elementi di un complesso e mostra il rovesciamento nell'opposto, nella necessità inerente il complesso stesso, è in grado di riflettere la reale evoluzione della materia. Ogni altro modo di concepire la connessione tra i termini singolo, complesso, caso, necessità rappresenta un errore. Vedremo subito che finora, nella storia del pensiero moderno, nessuna combinazione tra di essi è stata tralasciata, eccetto quella corretta.

1) La prima combinazione, la più remota, è quella che, sbarazzatasi del caso, concepisce soltanto la necessità. Già affermatasi nell'antichità, nella forma del determinismo assoluto, si fonda sulla connessione di causa ed effetto. Nella sua forma riduzionistica, essa parte dalla necessità dei singoli elementi e si illude di poter determinare come conseguenza la necessità dei complessi, concepiti come composti o meccanismi. Questa forma deterministica riduzionistica, nella sua veste moderna, risale a Cartesio.

La soluzione del rapporto caso (singolo) - necessità (complesso) intuìta da Marx

Nel terzo libro del Capitale, spiegando il motivo per il quale la domanda e l'offerta non permettono di determinare le leggi della produzione capitalistica, Marx giunge alla definizione di necessità come media statistica complessiva di numerosi eventi che, presi di per sé, variano a caso e solo per caso si equilibrano.

Arriva a questa conclusione partendo dalla seguente osservazione: "Le vere leggi intrinseche della produzione capitalistica non possono essere spiegate in base all'azione reciproca della domanda e dell'offerta (...), perché queste leggi si manifestano nella loro forma pura solo quando domanda e offerta cessano di agire, ossia si equilibrano. In realtà, domanda e offerta non si equilibrano mai, o, se si equilibrano, questo avviene solamente per caso, cosicché il fenomeno non ha alcun valore scientifico e deve essere considerato come  inesistente".

Per Marx le "leggi pure" rappresentano la necessità depurata dalla casualità. Perciò, per la conoscenza delle leggi scientifiche, ciò che è casuale deve essere considerato come inesistente in quanto indeterminabile. In altre parole, la conoscenza scientifica deve astrarre dal caso. Ma che cosa avviene nel rapporto tra domanda e offerta? Che solo quando si equilibrano si può astrarre dal caso, ma in realtà esse si equilibrano soltanto per caso. Questo è un circolo vizioso. Dunque, non c'è alcuna possibilità di determinazione scientifica.

mercoledì 4 giugno 2014

Hegel: l'evoluzione della materia

la materia infinita e i cicli finiti delle forme materiali

Concludiamo questa prima parte del volume, dedicata alla dialettica caso-necessità nella teoria della conoscenza, con alcune riflessioni sull'evoluzione della materia che produce le più diverse forme fisiche e biologiche, oggetto di studio delle scienze della natura. Può sembrare paradossale ma è un fatto degno di considerazione che l'elaborazione filosofica dell'idealismo hegeliano inizi con il divenire, concetto fondamentale per la comprensione della reale evoluzione della materia nel cosmo.

Hegel risolve il problema del cominciamento della propria filosofia idealistica partendo dal puro essere (tesi), continuando con la sua negazione (antitesi) e quindi mostrando l'unità dialettica dell'essere e del nulla nel divenire (sintesi). Il risultato stabile del divenire è l'essere determinato che rappresenta l'unilaterale, il finito del divenire stesso; perciò l'antitesi sembra sparita; e invece nell'essere determinato essa si ripresenta, perché l'essere determinato è un qualcosa con determinate qualità che il divenire trasforma in un altro essere determinato con qualità modificate, ecc.

L'essere determinato, che sorge dal divenire, è una sintesi di essere e nulla, che concretamente si manifesta come qualcosa che è altrimenti dall'essere e il nulla, e che il divenire trasforma in altro. "L'alcunché -scrive Hegel- diventa un altro; ma l'altro è anche un alcunché; dunque diventa parimenti un altro; e così all'infinito". Nella filosofia idealistica hegeliana il divenire trasforma ogni essere determinato in un altro essere determinato con una progressione all'infinito.

Kant sul rapporto singolo-complesso (individuo-specie) nella storia

Abbiamo già visto che Kant, nella "Critica della ragion pura", non tenendo in alcun conto il caso, ha preteso stabilire una causa oggettiva sulla base del suo soggettivismo trascendentale. Ma, nella "Critica della ragion pratica" e soprattutto nei suoi "Scritti di filosofia e di storia", nonostante non giunga mai ad accettare il caso, non respinge però argomenti che, come abbiamo già tentato di dimostrare, sono connessi al rapporto caso-necessità: si tratta in particolare dell'attribuzione dell'ordine e della necessità al complesso (la specie) e del disordine e del caso al singolo (l'individuo).

In uno scritto del 1784, intitolato "Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico", Kant scrive: "La storia che si propone di narrare queste manifestazioni, per quanto profondamente occulte possano essere le cause, fa tuttavia sperare di essere in grado di scoprire nel gioco della libertà umana, considerato in grandi proporzioni, un ordine per cui ciò che nei singoli individui si rivela confuso e irregolare, nella totalità della specie possa riconoscersi come sviluppo continuato e costante, anche se lento, delle sue tendenze originarie".

martedì 3 giugno 2014

Conclusioni sull'individualismo egocentrico di Schrodinger

Schrodinger vorrebbe che la personalità dello scienziato contasse di più: "se la personalità ne è [dall'immagine del mondo] esclusa per convenzione, come potrebbe essa contenere l'idea più sublime che si presenta nello spirito umano?". Così, egli si preoccupa del fatto che l'immagine scientifica del mondo "è di un silenzio spettrale su tutti i problemi generali e particolari vicini al nostro cuore, che hanno veramente importanza per noi. Non ci può dire una parola sul rosso e l'azzurro, l'amaro e il dolce, il dolore e la gioia fisica; non sa nulla della bellezza e della bruttezza, del bene e del male, di Dio e dell'eternità".*

E' la solita storia: prima si fanno astrazioni e poi si pretende mangiare la frutta e non pere e mele. E se le pere e le mele non sono considerate oggetti del mondo reale indipendente dalla nostra coscienza, ma soltanto dei costrutti personali o comuni di sensazioni quali dolce e amaro, ecc., come stupirsi poi che si pretenda mangiare o assaporare la frutta in quanto tale e si rimanga delusi perché la scienza non ci dice nulla della frutta in quanto tale? E se le "mie sensazioni", in comune con le altrui sensazioni, mi fanno costruire l'immagine di Dio e del diavolo, perché la scienza non fornisce informazioni a tal proposito?

lunedì 2 giugno 2014

L'individualismo egocentrico ostile alla polarità caso-necessità (Schrodinger 3)

La statistica come metodo d'indagine che rinuncia al singolo particolare

(Continuazione) Alla fine del capitolo che stiamo considerando Schrodinger definisce la statistica come metodo d'indagine che "consiste in una saggia rinuncia alla conoscenza del particolare", e respinge l'idea che limitare la fisica alle teorie statistiche "provenga da una specie di "rassegnazione"." Quindi, vede l'analogia della statistica economica e sociologica con la statistica della fisica. Ma, sottolineando che non si può "sapere nulla della sorte di una singola molecola e tanto meno influire sul suo andamento", non conclude che la stessa cosa vale anche, ad esempio, per il singolo scienziato. Abbiamo già considerato il motivo psicologico che impedì a Schrodinger di essere del tutto conseguente con le sue osservazioni e riflessioni. Qui ci limiteremo a segnalare i momenti di maggiore vicinanza alla soluzione, contrapponendoli a quelli nei quali si ritrae e diventa reticente.

Innanzi tutto, egli accomuna Boltzmann e Darwin scorgendo "un profondo carattere comune alle loro tendenze e al loro pensiero. Di che cosa si tratta? Altrove ho accennato alla legge statistica dei grandi numeri, che dovrebbe costituire questo carattere comune, che rappresenta la spina dorsale, il nerbo delle due teorie".* In questa affermazione Schrodinger va oltre le convinzioni di Darwin, ma proprio in questa forzatura dimostra il suo acume teorico, vedendo la soluzione statistica nell'idea darwiniana di variazione casuale non diretta verso uno scopo. Finalmente il biologo può sostenere di aver "incontrato nel suo ramo leggi del tutto esatte; tuttavia esse sono naturalmente, com'egli dice quasi scusandosi, "solo" leggi statistiche, che si verificano tanto più esattamente quanto più numerose sono le collettività che si prendono in esame".

L'individualismo egocentrico ostile alla polarità caso-necessità (Schrodinger 2)

II] La contraddittoria conoscenza del "mondo reale"

(Continuazione) La principale e più contrastata questione della teoria della conoscenza, che ha ossessionato le menti di intere generazioni di studiosi e scienziati, è stata e continua ad essere la definizione del mondo dei fenomeni da studiare. Per più di due millenni si sono fronteggiate due concezioni opposte e antagoniste, il materialismo e l'idealismo: il primo che fa derivare le idee dalla materia; il secondo che fa derivare la "materia", o meglio la "realtà", dalle idee.

Sebbene l'idealismo abbia sempre negato l'esistenza di un mondo materiale esterno alla coscienza e indipendente da essa, neppure l'dealismo estremo di Berkeley giunse fino al punto di negare la realtà del mondo, oggetto della scienza. Ma affermare la realtà di un mondo che non ha esistenza indipendente è soltanto un sofisma: l'astuzia idealistica ha contribuito a confondere la questione, perché sul concetto di realtà si può dire, ed infatti è stato detto, di tutto.

Così, la questione della definizione del mondo dei fenomeni naturali si è ridotta alla questione equivoca dell'interpretazione del termine "reale". E, mentre i materialisti ribadirono la realtà del mondo materiale indipendente dalla coscienza, gli idealisti, in buona compagnia degli agnostici, sostituirono con sottili sofismi la materia con le sensazioni, considerate o come pura manifestazione dello spirito (idealisti) o come manifestazione dell'essere umano sensibile (agnostici).

domenica 1 giugno 2014

L'individualismo egocentrico ostile alla polarità caso-necessità (Schrodinger 1)

I] Un motivo psicologico plurimillenario alla base del ritardo nella comprensione e nella accettazione della dialettica caso-necessità

Affronteremo in un apposito volume dedicato alla società e alla storia umana i motivi che per millenni hanno ostacolato la coscienza umana nella comprensione della reale dialettica caso-necessità. Qui ci limiteremo a considerare il motivo psicologico in se stesso, sebbene esso rappresenti, nella coscienza individuale, un riflesso di motivi fondamentali riconducibili ai rapporti economici, sociali e politici. Si tratta del rifiuto che l'individuo, e a maggior ragione l'individuo che si occupa di filosofia e scienza, ha sempre opposto al ruolo che il caso gli impone: quello di rappresentare una comparsa casuale della "commedia umana" che vede come protagonisti necessari i complessi di individui: le classi, i popoli, la specie umana.

La conseguenza, nei millenni, è stata che studiosi e ideologi hanno sempre cercato la necessità dell'operare umano principalmente a livello individuale; ma, così facendo, si sono preclusi la via per comprendere l'oggettiva posizione dell'individualità nel rapporto caso-necessità, e non solo nelle società che nei millenni andavano creando, ma soprattutto nel campo della faticosa conoscenza del mondo naturale e sociale, in particolare a partire dall'antica Grecia per continuare con la nascita della scienza moderna. Il risultato è stato il predominio del modo di pensare riduzionistico, che può essere definito il tentativo, fallito, di determinare il singolo come principale oggetto d'indagine scientifica.

sabato 31 maggio 2014

II] La necessità di Democrito e il caso di Epicuro nell'indagine del giovane Marx

(Continuazione) E' a questo punto che il giovane Marx individua la vera questione fondamentale -ancora oggi irrisolta nella filosofia ufficiale- della teoria della conoscenza: l'atteggiamento del pensiero umano nei confronti dei concetti di caso e di necessità. A questo proposito egli scrive: "Democrito adopera come forma di riflessione della realtà la necessità. Aristotele dice di lui che egli riconduceva ogni cosa alla necessità. Diogene Laerzio riferisce che il vortice degli atomi, da cui ogni cosa origina, è la necessità democritea". Seguendo i vari autori, Marx giunge alla conclusione che Democrito concepiva "la sostanza di questa necessità" nel respingersi degli atomi e nel movimento e nell'urto della materia. La sua dottrina, anche secondo Aristotele, respingeva il caso.

"Al contrario Epicuro [che afferma]: "la necessità, che da alcuni è introdotta come dominatrice di tutte le cose, non lo è; bensì alcune cose sono casuali, altre dipendono dal nostro arbitrio. La necessità non si può persuadere, e il caso d'altra parte è instabile. Sarebbe meglio seguire il mito degli dèi che essere schiavi del determinismo dei fisici. Quello infatti lascia adito alla speranza della misericordia se rendiamo onore agli dèi, questo è invece necessità inesorabile. Ma è il caso, e non Dio, come crede la moltitudine, che bisogna ammettere". "E' una sventura vivere nella necessità, ma vivere nella necessità non è una necessità. Ovunque sono aperte le vie verso la libertà, molte, brevi, facili. Ringraziamo dunque dio per il fatto che nessuno può essere trattenuto a forza in vita. Domare la necessità stessa è consentito". E di nuovo Marx: "Qualcosa di simile dice l'epicureo Velleio in Cicerone a proposito della filosofia stoica: "Qual conto si deve fare di una filosofia alla quale, come a donnette vecchie ed ignoranti, tutto sembra avvenire per opera del fato?... per merito di Epicuro siamo stati redenti, posti in libertà"."

I] La necessità di Democrito e il caso di Epicuro nell'indagine del giovane Marx

Il saggio che Karl Marx scrisse per conseguire il dottorato in filosofia merita d'essere preso in seria considerazione perché d'importanza fondamentale per la teoria della conoscenza. L'argomento è noto. Si tratta, come indica il titolo, della differenza tra la filosofia di Democrito e quella di Epicuro. Ma, essendo il primo lavoro teorico di un giovanissimo ventitreenne, ancora alle prese con l'idealismo hegeliano, esso è stato trascurato e considerato più come una curiosità (anche per quella preferenza verso Epicuro che generalmente gli viene attribuita) che come un serio contributo teorico.

Il biografo ufficiale di Marx, Franz Mehring*, ha scritto: "Era nello stile di Marx, e lo è rimasto fino alla fine della sua vita, che la insaziabile brama di sapere lo costringesse ad affrontare rapidamente i problemi più difficili, e che d'altra parte l'inesauribile autocritica gli impedisse di venirne altrettanto rapidamente a capo". Ciò vale anche per questo primo saggio, nel senso che egli affrontò la più difficile questione di teoria della conoscenza: quella della opposizione tra il caso e la necessità.

venerdì 30 maggio 2014

L'eterno ritorno di Nietzsche: l'esaltazione dell'eterna esistenza individuale

L'egocentrismo smisurato di Nietzsche era talmente ostile al caso individuale da non lasciargli, nella sua concezione dell'eterno ritorno, neppure un pertugio. Ciò che rimane è la più assoluta necessità, e in una forma così estrema che nessuna religione è mai riuscita a concepire e nessuna scienza a pretendere.

"Qualunque stato questo mondo possa raggiungere, esso deve averlo già raggiunto, e non solo una volta, ma innumerevoli volte. Così pure il momento presente: esso è già esistito una e molte volte, e così ritornerà, e tutte le forze saranno esattamente ripartite come sono ora: e lo stesso si deve dire del momento che generò il momento presente e di quello che è figlio del momento presente. Uomo! l'intera tua vita si svolgerà sempre come una clessidra e scorrerà sempre di nuovo, -passerà un grande minuto di tempo e poi tutte le condizioni dalle quali tu sei divenuto ritorneranno insieme nella circolazione del mondo. E allora tu ritroverai ogni dolore e ogni gioia...", fino a che a tutti sorgerà "il formidabile pensiero, quello dell'eterno ritorno di tutte le cose: -ogni volta è quella per l'umanità l'ora del Mezzogiorno".

Se questa, in sintesi, è la teoria dell'"eterno ritorno", occorre domandarsi: chi è l'uomo a cui si rivolge l'autore? La specie umana nel suo complesso o i singoli uomini? La specie umana è per Nietzsche niente di più che un armento, e il fatto che "con la morale l'individuo viene indirizzato a essere funzione dell'armento", ossia elemento della sua conservazione, significa solo che l'individuo sociale non conta nulla, che "la sua moralità è l'istinto dell'armento".

La gaia scienza di Nietzsche: il rifiuto dell'effimera esistenza individuale

Nonostante Nietzsche rappresenti un caso estremo della filosofia tedesca della seconda metà dell'Ottocento, caso unico nel suo genere -e, in quanto tale, poco rilevante per la reale teoria della conoscenza-, eppure, paradossalmente, egli ha intuìto la legge del dispendio, ed è soprattutto per questo motivo che lo prendiamo in considerazione.

Per un filosofo "nato e cresciuto in un'atmosfera di rigida pietà, nella casa del padre, pastore evangelico"*, con una propensione verso il mito del superuomo, -compensazione psicologica di una personale debolezza dovuta a una eccessiva sensibilità fisica e nervosa- l'intuizione del carattere effimero della maggior parte delle cose, per cui l'ordine dell'universo, come quello della vita, è soltanto l'eccezione di un grande dispendio, non poteva che produrre sconvolgimento.

Per capire il personaggio può bastare questa lettera scritta a un amico nel 1881: "Ah, amico, talvolta mi passa per la testa il presentimento di vivere una vita estremamente pericolosa, perché io sono uno di quegli uomini che possono scoppiare! Le intensità del mio sentimento mi fanno rabbrividire e ridere -già un paio di volte io non potei lasciare la camera per il ridicolo motivo che i mei occhi erano infiammati- perché? Perché ciascuna volta io avevo nelle mie passeggiate il giorno prima pianto troppo, non già lacrime sentimentali, ma lacrime di gioia, io cantavo e dicevo cose assurde, pieno di nuovo sguardo che io possiedo a preferenza di tutti gli uomini..."

martedì 27 maggio 2014

Il fato di Plutarco subordinato alla divina provvidenza

Prendiamo in considerazione "Il fato e la superstizione", opera nella quale Plutarco compie la sua ricerca sull'essenza del fato in relazione alla necessità. Già nell'introduzione, dopo aver detto che, nella "Repubblica", Platone ha definito il fato "quale espressione di Lachesi, figlia della necessità", osserva: "nell'esporre il suo pensiero, Platone si esprime proprio in termini teologici. Volendo semplificare e rendere questa definizione in un linguaggio corrente, possiamo dire che il Fato, in quanto al Fedro, è "una legge divina inviolabile", perché precede da una causa di cui niente e nessuno può intralciare gli effetti", quanto al Timeo, è "una legge conforme alla natura dell'universo, la quale regola il corso di tutto ciò che accade", e quanto alla Repubblica, è "una legge divina che collega il futuro al passato e al presente".

In questo giudizio ritroviamo il determinismo assoluto dell'antico pensiero greco nella forma della necessità fatale. Ma Plutarco si rende conto che una cosa è il fato (la necessità) in generale, altra cosa è la sua manifestazione nei singoli casi. Infatti dice: è "evidente che cos'è il fato in generale ma non quale esso risulta nell'ambito delle cose particolari e dei singoli individui". In altre parole, se non è un problema la definizione di necessità fatale in generale, il problema nasce quando si prende in considerazione la necessità fatale in relazione alle singole cose, ai singoli eventi, ai singoli individui.

lunedì 26 maggio 2014

De Rerum Natura: le intuizioni di Lucrezio sul caso e la necessità

Nell'antichità troviamo un allievo di Epicuro, in genere sottovalutato perché la sua opera, "De rerum natura", è pur sempre un poema, non un trattato filosofico: si tratta di Lucrezio, la cui importanza, riguardo alla dialettica, assume un rilievo maggiore di quella del suo stesso maestro, perché, diversamente da lui, non si limitò a considerare il caso separato dalla necessità, ma, collegando insieme i due concetti, intuì molti aspetti della dialettica caso-necessità.

Lucrezio fu anche molto avversato perché il suo poema filosofico inizia con un forte attacco alla religione: "Spesso proprio la religione ha dato vita ad azioni delittuose ed empie". Ed anche perché egli nega il finalismo provvidenziale di origine divina: la natura è "matrigna", non ha per fine il benessere dell'uomo. L'uomo è abbandonato a se stesso. La natura materiale del mondo ha per fondamento originario il caso e i suoi risultati, le cose, rappresentano una cieca necessità naturale.

domenica 25 maggio 2014

L'opposizione di Epicuro alla cieca necessità

Queste considerazioni su Epicuro di Samo sono frammentarie, come frammenti sono tutto ciò che ci è rimasto della sua opera. Qualcuno crede persino di potergli attribuire il determinismo fondato sulla causa che appartiene al suo vecchio maestro Democrito. Ma chi scrive ritiene che valgano per lui le seguenti valutazioni.

Il filosofo di Samo rifiuta la necessità assoluta del fato. Nella "Lettera a Meneceo", egli scrive: "è vana opinione credere il fato padrone di tutto", e aggiunge: "le cose accadono o per necessità, o per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è irresponsabile, la fortuna è instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per questo può meritarsi biasimo o lode". Nell'affermare che la necessità è irresponsabile, Epicuro ha in mente la cieca e incosciente necessità del fato. Ora, la necessità irresponsabile e la fortuna instabile non sono sotto il controllo dell'uomo, non dipendono da lui. L'arbitrio dell'uomo, invece, essendo indipendente dal fato "padrone di tutto", è concepito da Epicuro come libertà.

Riguardo alla cieca necessità naturale, egli dice: "Piuttosto che essere schiavi del destino dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono la speranza di placarli con le preghiere, invece dell'atroce, inflessibile necessità". Sebbene rifiuti sia la cieca necessità naturale che la necessità divina, polemicamente afferma che è meglio credere nella divinità, la cui necessità può essere, almeno nella speranza, modificata con preghiere.

Aristotele: cause finali e cause accidentali

Il più grande filosofo di tutti i tempi, sebbene avesse intuìto l'evoluzione della natura fondata sulla dialettica caso-necessità, la respinse. Il pensiero teorico antico, con Aristotele di Stagira, pur sopravanzando di gran lunga la conoscenza della natura, fu costretto a tirarsi indietro per adeguare la sua andatura al lento passo della scienza, ancora al suo stentato inizio.

Lo stagirista sapeva bene che "se si pone una sola assurdità, questa si tira dietro tutto il resto", e "per assurdo si deve intendere ciò che è impossibile". Eppure fu costretto a concepire quella "sola assurdità" che per due millenni si è tirata "dietro tutto il resto" portando il pensiero teorico su una falsa strada: si tratta del concetto di causa finale, ossia il ritenere che la natura "è fine e causa finale". Così che essa doveva essere predeterminata, e doveva esserlo in senso teologico.

Per quale serie di ragionamenti il pensatore più profondo dell'antichità ha potuto concepire la causa finale, oscurando il ruolo del caso in connessione con la necessità? La questione è di rilevanza fondamentale se consideriamo che il concetto di causa finale ha impedito, persino in epoca moderna, di comprendere e risolvere il reale rapporto caso-necessità. Cercheremo di rispondere a questa domanda rivolgendoci alla "Fisica" e alla "Metafisica"* di Aristotele.

sabato 24 maggio 2014

III] Domande e risposte della cosmologia

(Continuazione) Dice De Bernardis che dopo vari sforzi si è giunti a calcolare oltre al 4% della materia visibile un altro 25% di materia oscura ma normale. Totale 29%. Il restante 71% è stato attribuito all'energia oscura: un'entità misteriosa: "Altre ipotesi alternative sono state confutate successivamente e, a oggi, più di dieci anni dopo, l'ipotesi dell'accelerazione dell'universo è confermata da tutti i nuovi dati raccolti. La strana componente di massa-energia non diluibile fu chiamata energia oscura, un nome che manifesta la nostra ignoranza sulla sua reale natura".

Appunto un nome contraddittorio che riassume in sé una opposizione inconciliabile: come fa una energia ad essere oscura? Come rappresentare una simile essenza contraddittoria? Come si può avvalorare l'idea di una energia oscura che non si manifesti come radiazione ma soltanto come repulsione? Di assolutamente oscuro ci può essere solo la massima densità della materia gravitazionale: i cosiddetti buchi neri.

venerdì 23 maggio 2014

II] Domande e risposte della cosmologia

(Continuazione) Qui possiamo osservare il massimo del capovolgimento operato dalla relatività generale. Qui tutto è pura apparenza: a muoversi sarebbe solo lo spazio che si trascinerebbe dietro le masse presenti in esso, e De Robertis avvalora la banale immagine di un universo che si espande come un panettone, grazie alla pretesa espansione dello spazio stesso (sic!).

"La relatività generale ci consente di capire meglio l'origine del redshift. Non sono le galassie che si muovono, ma è il sistema di riferimento (la "metrica"), cioè lo spazio stesso, che si espande. Le galassie restano ferme rispetto allo spazio in espansione, come le uvette restano ferme nella parte del panettone che si espande lievitando. Ma se tutte le lunghezze cosmologiche si allungano a causa dell'espansione del sistema di riferimento, la relatività generale dimostra che si allungano nello stesso modo anche le lunghezze d'onda delle onde elettromagnetiche che viaggiano nello spazio. Più lontane sono le galassie osservate, più lungo è il tempo di percorrenza, maggiore è l'espansione dell'universo durante il viaggio della luce, maggiore sarà l'allungamento delle sue lunghezze d'onda. Se le lunghezze dell'universo si espandono di un certo fattore dal momento in cui la luce lascia la galassia osservata al momento in cui arriva ai nostri occhi, le lunghezze d'onda della luce proveniente da quella galassia si devono espandere dello stesso fattore. E' la spiegazione del fenomeno del redshift ".

I] Domande e risposte della cosmologia

Tratte da "Osservare l'universo" (2010) di Paolo De Bernardis

L'importanza di questo libro, sia in positivo che in negativo, merita una attenzione particolare. Per questo gli dedicheremo tre post. Cominceremo con la dichiarazione d'intenti del suo autore: "studieremo l'universo nella sua globalità e la sua evoluzione: studieremo la cosmologia". Ed ecco le domande che egli propone: "Quanto grande è l'universo? L'universo evolve? C'è stato un inizio? Ci sarà una fine? Di che cosa è fatto l'universo? Tutte domande che vengono da lontano". Interessante è, però, la seguente ammissione: "comincia a crollare l'idea dell'universo eterno e immutabile che tanto piaceva a Newton e che tanto piacerà a Einstein".

Riguardo a quest'ultimo, riportiamo subito alcune osservazioni di De Bernardis: la prima riguarda la relatività ristretta, nel cui ambito Einstein pensò "che la gravità non fosse necessariamente da descrivere come una forza: un'accelerazione opportuna può provocare esattamente gli stessi effetti. E quindi si possono descrivere gli effetti della gravità come effetti di un movimento. Ma dalla relatività speciale sappiamo che il movimento modifica il tempo e le lunghezze. L'effetto della gravità è quindi di modificare le lunghezze e i tempi, deformando così la geometria dello spazio-tempo".

giovedì 22 maggio 2014

3] L'universo oscuro. Origine, conformazione ed evoluzione

Astronomia e fisica delle particelle: due metodologie opposte

(Continuazione) Nel 2007 sorse una questione fondamentale sulla quale vale la pena di riflettere. Scrive Panek: "L'argomentazione centrale era che l'astronomia e la fisica delle particelle sono due culture distinte. Gli astronomi sono "generalisti" che esplorano la complessità dell'universo caso per caso. I fisici delle particelle sono "fondamentalisti" che affrontano la complessità dell'universo nella speranza di trarne un "fondamento ultimo": una "verità". "L'energia oscura -scrisse*- è un legame unico tra esse, che riflette gli aspetti profondi della teoria fondamentale, apparentemente accessibili, però, soltanto attraverso le osservazione astronomiche"."

Nelle ultime pagine conclusive del suo libro, Panek riassume la situazione rivelando cose molto interessanti. Innanzi tutto scrive: "Gli osservatori avevano fatto il proprio lavoro. Avevano usato supernove, lenti gravitazionali, BAO, ammassi di galassie e la radiazione cosmica di fondo per accumulare dati sempre più solidi a sostegno dell'espansione accelerata, finché la comunità fu concorde: l'effetto era genuino. Poi gli osservatori avevano continuato a fare la loro parte, tentando di capire se l'energia oscura fosse la quintessenza o la costante cosmologica. E avevano continuato a fare il loro lavoro. "L'energia oscura è il pifferaio magico -scrisse White- che attrae gli astronomi al di fuori del territorio a loro familiare e li induce a seguire i fisici delle alte energie in un percorso che porta all'estinzione professionale"."

mercoledì 21 maggio 2014

2] L'universo oscuro. Origine, conformazione ed evoluzione

Da Newton ad Einstein, fino ad oggi: soluzioni fittizie ad hoc per problemi reali insolubili 

(Continuazione) Sia Newton che Einstein ebbero il problema di giustificare il mancato collasso gravitazionale dei corpi cosmici. Newton lo attribuì alla preveggenza divina, Einstein inventò una costante lambda. Ecco il metodo dei fisici matematici da sempre: inventare soluzioni ad hoc. Scrive Panek: "Nel 1931 Einstein, dalla Germania, andò a far visita a Hubble al Mount Wilson Observatory, nelle montagne a nord-est di Pasadena. Dopo aver esaminato personalmente i dati che dimostravano l'espansione dell'universo, Einstein abbandonò il suo fattore ad hoc.

Se prima il problema era perché l'universo non stava collassando, sorse in seguito un'altra domanda: in che misura esso si espande, ossia in che misura sta rallentando l'espansione? Saltando alcuni passaggi secondari per il nostro scopo, veniamo alla fine del Novecento: "Nell'autunno del 1997 i due gruppi [di studiosi di supernove] avevano ormai raccolto dati a sufficienza per tentare di stabilire, almeno in via preliminare, in quale misura l'espansione dell'universo stia rallentando e se esso sia destinato a finire in un big crunch o in un big chill [grande freddo]".

martedì 20 maggio 2014

1] L'universo oscuro. Origine, conformazione ed evoluzione

[Per un approfondimento della fisica cosmologica, in tre post successivi, ci serviremo di un libro fondamentale di Richard Panek, uscito nel 2011 col titolo  "L'UNIVERSO OSCURO" ]

Se la materia oscura è valutata il 23 per cento dell'universo e un altro 73 per cento è concepito come energia oscura, "la materia che ci costituisce è solo il 4 per cento. Come ama dire un teorico durante le conferenze, "Siamo solo un poco di inquinamento". Se noi e tutto ciò che abbiamo ritenuto l'universo venissimo spazzati via, ben poco cambierebbe. "Siamo assolutamente irrilevanti" conclude allegramente".

La conclusione è coerente con la l'errata idea della rilevanza quantitativa e della conseguente irrilevanza della rarità statistica. Seconda questa logica, tutto ciò che è raro e scarso quantitativamente sarebbe trascurabile, di poco conto. Trascurabile sarebbe, allora, la "Divina commedia" rispetto alle numerose "commedie" che si sono accumulate nella letteratura mondiale? Allo stesso modo sarebbe irrilevante la materia vivente rispetto a quella non vivente? Così sarebbe irrilevante la specie umana rispetto ai miliardi di specie che si sono evolute sulla Terra? E che cosa pensare di chi considera irrilevante ogni rarità statistica?

Come decifrare l'universo?*

Con "Le Scienze" ottobre 2009 era uscito un dossier dal titolo significativo "Decifrare L'UNIVERSO". In questo post ci occuperemo dell'ultimo articolo del dossier: "Dal big bang ai buchi neri". Autori: Paolo De Bernardis e Stefano Vitale. Interessante il sottotitolo: "Dopo le grandi scoperte sulla nascita e l'evoluzione dell'universo, la cosmologia affronta le sfide di materia oscura e di energia oscura e della presenza delle onde gravitazionali". Sapendo come è andata a finire quasi 5 anni dopo, può essere utile riprendere l'analisi che l'autore di questo blog svolse in quell'anno.

Entriamo subito nel merito di alcuni aspetti empirici come i fotoni che, dicono i due autori, "si separarono dalla materia dell'universo primordiale 380.000 anni dopo il big bang, quando l'universo si raffreddò a una temperatura di circa 3000 Kelvin, rendendo possibile la formazione dei primi atomi". Se ciò ha un senso fisico, lo ha nel senso che l'evoluzione della materia dopo 380.000 anni, continuò solo grazie al suo stesso, costante raffreddamento.

La posizione di De Bernardis e Vitale è chiaramente deterministica-meccanicistica, come si può vedere dal riquadro "Paradossi cosmici": "Oggi la materia è organizzata (!) nell'universo in una gerarchia (!) di strutture, fatte di filamenti di galassie, ammassi di galassie, galassie, stelle. L'universo deve quindi evolvere non solo espandendosi e raffreddandosi, ma anche passando dalla semplicità alla complessità. Deve essere la gravitazione ad addensare la materia, partendo da piccole concentrazioni di densità iniziali, che lentamente attirano la materia circostante, crescendo e strutturandosi".

sabato 17 maggio 2014

"L'evoluzione della vita sulla Terra": un articolo del 1994 di Stephen Jay Gould

Rileggendo, dopo venti anni, gli estratti e le osservazioni riguardanti quell'articolo, l'autore di questo blog trova conferma alle sue tesi su Gould; anzi, trova in lui direttamente il passaggio dal fallimento del determinismo al fallimento del suo opposto, l'indeterminismo, confermando la millenaria opposizione metafisica del pensiero umano: determinismo democriteo / indeterminismo epicureo.

Di Darwin, Gould sottolineava- nel suo articolo- il "nuovo meccanismo della causalità evolutiva": "la selezione naturale". E aggiungeva: "Per quanta importanza possa avere questo principio, la selezione naturale non è la sola causa del cambiamento evolutivo (anzi, in parecchi casi, può essere messa in ombra da altre forze)". Non è molto strano che Gould, pur orientando tutto il suo articolo nella direzione della pura contingenza, lo iniziasse partendo da una impostazione deterministica, scomodando la causa, e dimenticando di ricordare che Darwin, come scrisse ad Asa Gray, fu molto colpito dalla presenza del caso?  "Sono conscio di essere in un terribile pasticcio non potendo pensare che il mondo, come lo vediamo, sia il risultato del caso: eppure non posso guardare ogni cosa come se fosse il risultato della necessità".

venerdì 16 maggio 2014

Che cos'è la biologia dei sistemi?

Vediamo la risposta data dall'autore di questa teoria, Leroy Hood, a un'intervista del 26 aprile 2010: "Per me, la biologia dei sistemi è il tentativo di guardare alla biologia da un punto di vista olistico piuttosto che atomistico. Per poter capire tutte le proprietà straordinarie del sistema che ne derivano è necessario definire tutte le sue componenti e le loro interazioni. Successivamente bisogna vedere come questi elementi si modificano in modo dinamico grazie agli stimoli che attivano l'intero sistema".

Si tratta della ricorrente opposizione diametrale (metafisica) tra il determinismo riduzionistico (che pone in primo piano la parte) e il determinismo olistico (che pone in primo piano il tutto). In altre parole, si tratta dell'opposizione diametrale tra i singoli elementi di un complesso e il complesso stesso. Ciò che per la dialettica caso-necessità riflette correttamente il rapporto polare singolo-complesso, nella concezione deterministica, rappresenta  una opposizione diametrale insolubile.

giovedì 15 maggio 2014

IV] La vita si origina dall'RNA e si evolve in DNA

(dal trattato di "Biologia molecolare della cellula", di Alberts e altri, 2011)

(Continuazione) Riguardo all'origine della vita, è vero che essa si origina dall'RNA e che da questo si evolve in DNA come magazzino dal quale attingono i vari RNA, ecc. per la sintesi delle proteine della vita. Falso, invece, è ritenere che, se alle origini preminente era stato l'RNA, "in una fase successiva dell'evoluzione il DNA avrebbe preso il sopravvento come materiale genetico e le proteine avrebbero assunto un ruolo preminente come catalizzatori e come componenti strutturali". In questa versione si dimentica l'importanza vitale dei vari tipi di RNA, grandi e piccoli, che fanno praticamente tutto in combinazione con le proteine polimerasi.

Ma, forse per una "distrazione" degli autori, salta fuori un brano corretto in questo trattato. Citiamolo: "Presumibilmente il DNA apparve più tardi sulla scena, e allora si dimostrò più utile dell'RNA come deposito permanente (si! E' proprio così!) di informazione genetica (no! non è così! Semplicemente si tratta di un deposito di sequenze nucleotidiche!). In particolare, il deossiribosio come componente dello scheletro zucchero-fosfato rende la catena del DNA chimicamente molto stabile, e quindi le permette di diventare più lunga senza rompersi". Permettendo in questo modo una evoluzione della vita verso forme sempre più varie, complesse e durature, in tutte le direzioni unicellulari e pluricellulari.

mercoledì 14 maggio 2014

III] Degradazione delle proteine: controllo fine o dispendioso turn over?

(dal trattato di  "Biologia molecolare della cellula" di Bruce Alberts e altri, 2011)

(Continuazione) Dal punto di vista teorico non è cambiato nulla in biologia molecolare dal 1998-99, anni in cui l'autore di questo blog decise di approfondire questa disciplina scientifica; ma, nel frattempo, i progressi nel campo della tecnologia sperimentale e dei risultati pratici sono stati notevolissimi, mentre le pretese spiegazioni sono rimaste deterministiche, tautologiche, alla maniera del "naso di Pangloss".

Ciò che, teoricamente, chi scrive concepisce realisticamente come enorme dispendio, turn over e omeostasi delle proteine, i biologi molecolari chiamano invece "controllo fine". E' questo un esempio di determinismo riduzionistico completamente irrealistico: si parte dalle proteasi, enzimi che degradano le proteine, ma, invece di riconoscere che questa degradazione è continua e incessante, per cui vitale è l'omeostasi mantenuta dal reale continuo processo di creazione-distruzione, i biologi molecolari affermano il seguente irrealistico procedimento programmato: "Le vie proteolitiche hanno la funzione (!) di degradare rapidamente le proteine che devono (!) avere vita breve (!) e anche di riconoscere (!), avviandole alla eliminazione, le proteine danneggiate o conformate erroneamente (!). Eliminare le proteine malformate ha una grande importanza per un organismo: malattie neurodegenerative come la sindrome di Huntington, di Alzheimer e di Creutzfeld-Jacob sono dovute all'aggregarsi di proteine mal formate".

II] Caratteristiche e funzioni delle genoteche di cDNA

(dal Trattato di "Biologia molecolare della cellula" di Bruce Alberts e altri, 2011)

(Continuazione) Nel Trattato leggiamo: "Le genoteche di cDNA contengono copie di cDNA clonate di tutti gli mRNA presenti in un particolare tipo di cellula o di tessuto. A differenza dei cloni di DNA genomico, i cloni di cDNA contengono prevalentemente sequenze che codificano proteine; non ci sono introni, sequenze regolatrici e promotori. Per questo motivo sono particolarmente adatti quando si vuol fare esprimere il gene clonato per produrre la proteina codificata".

Comodo nella pratica, questo metodo smentisce però completamente il dogma centrale DNA-RNA-proteine, sostituito da una tecnica (particolare) mRNA-cDNA-proteine. Insomma, nella pratica attuale, la doppia elica di DNA non è neppure più considerata, e quello che oggi chiamiamo gene è soltanto il cDNA con il quale lavorano gli sperimentatori, ricostruito a ritroso utilizzando l'mRNA maturo.

Questo comodo metodo è semplicemente una nuova tecnologia, che abitua i biologi molecolari a considerare fondamentale solo il cDNA (i cosiddetti esoni), ossia quella parte codificante di DNA concepita come vero gene: gene "tecnologico", non naturale. In questo modo scompare, come inutile vestigia di un passato sepolto, il vecchio concetto di genoma, identificato a suo tempo nella doppia elica di DNA e ricostruito, più nelle intenzioni che nella realtà, nel vecchio "Progetto genoma".
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