sabato 31 maggio 2014

I] La necessità di Democrito e il caso di Epicuro nell'indagine del giovane Marx

Il saggio che Karl Marx scrisse per conseguire il dottorato in filosofia merita d'essere preso in seria considerazione perché d'importanza fondamentale per la teoria della conoscenza. L'argomento è noto. Si tratta, come indica il titolo, della differenza tra la filosofia di Democrito e quella di Epicuro. Ma, essendo il primo lavoro teorico di un giovanissimo ventitreenne, ancora alle prese con l'idealismo hegeliano, esso è stato trascurato e considerato più come una curiosità (anche per quella preferenza verso Epicuro che generalmente gli viene attribuita) che come un serio contributo teorico.

Il biografo ufficiale di Marx, Franz Mehring*, ha scritto: "Era nello stile di Marx, e lo è rimasto fino alla fine della sua vita, che la insaziabile brama di sapere lo costringesse ad affrontare rapidamente i problemi più difficili, e che d'altra parte l'inesauribile autocritica gli impedisse di venirne altrettanto rapidamente a capo". Ciò vale anche per questo primo saggio, nel senso che egli affrontò la più difficile questione di teoria della conoscenza: quella della opposizione tra il caso e la necessità.

Ma se non poté venirne a capo, è pur vero che seppe riconoscerla e impostarla correttamente, mentre il suo biografo, compiendo una sua personale analisi della "Differenza tra la filosofia di Democrito e quella di Epicuro", tralascia la prima parte del saggio, quella fondamentale, per spulciare la seconda e stupirsi del giudizio sfavorevole dell'autore nei confronti di Democrito. Mehring crede quindi doveroso correggere il grande maestro per un'opera scritta quando ancora non era né grande né maestro, stabilendo che il vero pioniere della scienza è stato Democrito e non Epicuro. Ma, per non danneggiare l'immagine di Marx, corre ai ripari esaltandone le energiche doti di lottatore, espresse persino quando era un idealista hegeliano. Così, per il biografo, importante è sottolineare che egli preferì essere Prometeo incatenato alla roccia, invece che schiavo degli dei. E se questo è vero, non è affatto vero che la sua prima opera debba essere valutata principalmente per il suo valore morale.

Per chi scrive la vera importanza del primo studio fondamentale di Marx può essere giudicata per il suo valore teorico, perché egli era riuscito, giovanissimo, a vedere la vera differenza tra la filosofia di Democrito e quella di Epicuro proprio nel principale rapporto della teoria della conoscenza: il "rapporto del pensiero con la realtà". E, poiché la principale relazione di questo rapporto è quella tra il caso e la necessità, il genio di Marx si è qui mostrato nella consapevolezza che la vera opposizione tra i due grandi filosofi del materialismo greco si manifestò proprio nel diverso atteggiamento che essi assunsero nei confronti del caso e della necessità.**

"Oltre alle testimonianze storiche, molti elementi depongono a favore dell'identità tra la filosofia di Democrito e quella di Epicuro. I princìpi -atomi e vuoto- sono incontestabilmente gli stessi. Solo in singole determinazioni sembra esserci una diversità dovuta all'arbitrio e quindi inessenziale. Così resta però uno strano, insolubile enigma. Due filosofi insegnano la stessa identica dottrina nello stesso identico modo, ma -quale incoerenza!- essi si contrappongono diametralmente in tutto ciò che riguarda la verità, la certezza, l'applicazione di questa dottrina e, in generale, il rapporto del pensiero con la realtà. Dico che si contrappongono diametralmente e cercherò di dimostrarlo".

Insomma, come può succedere che si possa avere un'identica dottrina e ci si collochi in maniera diametralmente opposta dal punto di vista della teoria della conoscenza? Seguiamo l'analisi di Marx: "Il giudizio di Democrito sulla verità e la certezza della conoscenza umana sembra difficile da accertarsi" perché si contraddice in diversi passi. Nonostante ciò, la sua posizione può essere definita come "concezione scettica, incerta ed intimamente contraddittoria", la quale "non fa che svilupparsi ulteriormente nel modo in cui viene determinato il rapporto tra l'atomo e il mondo che appare ai sensi. Da un lato, l'apparenza sensibile non va attribuita agli atomi stessi. Essa non è apparenza oggettiva, ma parvenza soggettiva. "I veri princìpi sono gli atomi e il vuoto; tutto il resto è opinione, parvenza". "Solo per opinione esiste il freddo, per opinione il caldo, in verità, invece, gli atomi e il vuoto". In verità, dunque, non è che da molti atomi proceda un'unità, ma "è per il congiungimento degli atomi che ogni cosa sembra divenire un'unità"."

"Ma d'altro lato -continua Marx- l'apparenza sensibile è l'unico vero oggetto, l'intelleggibile, e consiste nella sensazione, ma questo vero è mutevole, instabile, è fenomeno. Che però il fenomeno sia il vero, è contraddittorio". Perché esso è anche parvenza soggettiva. Allora, come evita Democrito la contraddizione tra l'oggettivo e il soggettivo? Ripartendolo, dice Marx, tra due mondi: quello dell'atomo e quello della realtà sensibile. In altre parole, se l'atomo e il vuoto sono l'apparenza oggettiva, e il congiungimento degli atomi trasforma l'oggettività in parvenza soggettiva, la contraddizione rimane nella coscienza, nel conflitto tra il concetto di atomo e il concetto di intuizione sensibile, tra oggettivo e soggettivo.

Epicuro, invece, rifiuta la scepsi e afferma il dogma. "Il saggio, egli dice, ha un atteggiamento dogmatico, non scettico. Anzi, proprio questo è il vantaggio su tutti gli altri, che egli sa con convinzione. "Tutti i sensi sono nunzi del vero"." Così Marx giunge a stabilire una prima differenza tra i due filosofi: "Mentre dunque Democrito fa del mondo sensibile una parvenza soggettiva, Epicuro ne fa un'apparenza oggettiva. Ed è con consapevolezza che egli si differenzia su questo punto; infatti afferma di condividere gli stessi princìpi, ma non di fare delle qualità sensibili qualcosa di puramente opinato".

Il punto di partenza dei due filosofi dell'antichità è, quindi, il medesimo, ma il modo di concepire il rapporto tra l'essere e il pensiero si differenzia in completa opposizione: così, se per Epicuro alla percezione sensibile corrisponde l'apparenza oggettiva, per Democrito è soltanto parvenza soggettiva. Marx cita Cicerone che "con un'alzata di spalle" commenta: "A Democrito il sole sembra grande perché egli è un uomo erudito e che conosce perfettamente la geometria; ad Epicuro esso sembra di circa due piedi di diametro, perché egli giudica che sia tanto grande quanto appare".

Ora, se Cicerone preferisce l'erudito Democrito all'autodidatta Epicuro, non si può dire, come fa Mehring, che Marx preferì Epicuro. L'autore del saggio che stiamo considerando non poteva ancora esprimere una preferenza dal punto di vista della teoria della conoscenza perché era ancora alle prese con la conoscenza della teoria. Qui siamo soltanto all'inizio del lungo percorso teorico compiuto da Marx. Del resto, se nella fase in cui era ancora un idealista hegeliano avesse preferito la concezione di Epicuro, o meglio, se nel momento dello "sturm und drang" avesse preferito "l'ardito canto tonante di Lucrezio" alla "chiusa aula di Plutarco", o alla inesorabile necessità di Democrito, scoperte le "ferree leggi" del capitale non avrebbe dovuto ricredersi?

Ma non è questo il punto che vogliamo sottolineare: ciò che vogliamo togliere dalla muffa e dalla polvere del dimenticatoio è quella parte dello studio di Marx che dimostra l'esistenza di un problema teorico fondamentale, anzi del problema teorico fondamentale cui, in ultima istanza, sono riconducibili tutti i problemi teorici: il rapporto del caso con la necessità. Dopo aver citato la "preferenza" di Cicerone per Democrito, Marx non perde tempo a distribuire ulivi e ortiche, ma esamina il nesso tra "la differenza nei giudizi teoretici e la diversa energia scientifica e prassi di questi due uomini": Democrito ed Epicuro.

Democrito, che considera il mondo della percezione sensibile come parvenza soggettiva, è spinto all'osservazione empirica, perché quel mondo è "al tempo stesso l'unico oggetto reale, quel mondo ha valore ed importanza in quanto tale". "Insoddisfatto della filosofia, egli si getta nelle braccia del sapere positivo". Cicerone lo chiama virus eruditus. Gira mezzo mondo, per scambiare cognizioni ed osservazioni. La brama di sapere non gli dà pace. E Marx sottolinea: "ma nello stesso tempo è anche il suo non essere soddisfatto del sapere vero, cioè filosofico, che lo spinge ad andare lontano. Il sapere che egli ritiene vero è privo di contenuto, quello che gli offre contenuto è privo di verità".

Epicuro assume, invece, l'atteggiamento opposto: "Egli trova la sua soddisfazione e la sua beatitudine nella filosofia". "Mentre Democrito, insoddisfatto della filosofia, si getta nelle braccia del sapere empirico, Epicuro disprezza le scienze positive, perché secondo lui esse non contribuiscono affatto alla vera perfezione. Egli viene chiamato un nemico della scienza, un dispregiatore della grammatica. Lo si accusa persino di ignoranza". "Mentre Democrito sente il bisogno di andare in tutte le regioni del mondo, Epicuro lascia il suo giardino di Atene si e no due o tre volte, e va in Ionia non per fare ricerche, ma per visitare amici".

Marx qui conclude: "Le diversità testé esposte non sono da attribuirsi all'individualità accidentale dei due filosofi: si tratta di due orientamenti opposti che prendono corpo. Noi vediamo come differenza nell'energia pratica ciò che prima si esprimeva come diversità di coscienza teoretica". (Continua)

* F. Mehring, "Vita di Marx".

** Cosa questa che è sfuggita ad Hegel.

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato"  Volume primo  Teoria della conoscenza (1993-2002) Inedito

1 commento:

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