venerdì 27 giugno 2014

IV] Paolo Rossi. Nata dalla teologia, la scienza moderna non ha ancora risolto i suoi problemi*

(Continua) Nello scolio generale aggiunto alla seconda edizione dei suoi Principia, Newton si pone il problema della regolarità dei moti planetari. Paolo Rossi così riassume: "Quella regolarità, a suo avviso, non può dipendere da princìpi meccanici. L'essere del mondo non trova il suo fondamento in quei princìpi ed è necessario fare appello alle cause finali, al teleologismo. Da una cieca necessità metafisica non può nascere la varietà delle cose create. Il cieco fato non potrebbe mai far mutare tutti i pianeti nella stessa direzione in orbite concentriche".

Rossi così continua, citando Newton: "La uniformità del sistema planetario è il risultato di una scelta: "Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non poté sorgere senza la presenza di un Essere onnipotente e intelligente". Colui che ha ordinato l'universo, ha collocato le stelle fisse a un'immensa distanza le une dalle altre "per timore che questi globi non cadessero l'uno sull'altro per forza di gravità"." Dio "regge le cose non come l'anima del mondo, ma come Signore dell'Universo"." 

In questa sintesi del pensiero di Newton è riflessa tutta la difficoltà di una scienza nata dalla teologia, la quale, pur potendo in teoria separarsene, non poteva farlo perché ne aveva ereditato il principio di causalità, inteso come necessità di ordine predeterministico. Come comprese bene Kant, il determinismo che sta alla base dell'ordine del mondo è predeterminismo e nel contempo finalismo.

Quindi, la separazione della scienza dalla teologia, la rottura del legame che le teneva unite non era qualcosa che si potesse attuare per volontà "scientifica", mantenendo nel contempo l'idea che la natura fosse necessariamente ordinata ed economica. Per una natura ordinata ed economica era assolutamente necessaria, a suo fondamento, una causalità predeterministica -che non poteva sorgere dalla natura, neppure se concepita come meccanismo, ma da un creatore al di sopra della natura stessa.

Ne è derivata (grazie all'autore di questo blog), come conseguenza logica, che solo l'ammissione di una natura dispendiosamente necessaria, fondata sulla cieca dialettica caso-necessità, poteva eliminare d'un colpo ogni predeterminismo, ogni finalismo e ogni determinismo meccanicistico. Rimaneva, così, una necessità  molto dispendiosa della quale la natura, con la sua vastità, poteva rendere ragione. Ma la concezione dell'universo di Newton presentava un limite già ammesso al suo tempo. Come ricorda Rossi: "L'universo procede verso il decadimento e la consunzione e ha bisogno, per mantenersi in vita, dell'intervento divino". E a questa conclusione giunsero anche i termodinamici osservando la dissipazione del calore.

Scrive Rossi: "Il Dio di Newton -che crea un universo capace di esistere per molte età e non per l'eternità, che richiede di tanto in tanto delle riforme- apparirà a Leibniz un pessimo orologiaio. La macchina newtoniana del mondo si muove male e si ferma da sola, come un orologio che richiede interventi straordinari e che Dio deve ricaricare ogni tanto: "Sir Isaac Newton e i suoi seguaci hanno una ben strana opinione dell'opera di Dio. Secondo la loro dottrina , Dio onnipotente ha bisogno di ricaricare il suo orologio di tanto in tanto, perché, altrimenti, esso cesserebbe di camminare. A quanto sembra, Egli non sarebbe stato abbastanza previdente da imprimere al suo orologio un moto perpetuo" (Leibniz)".

Rossi così conclude: "Il fatto che la forza attiva diminuisca costantemente e naturalmente nell'universo materiale e abbia pertanto bisogno di nuovi impulsi, rispondeva il fervente newtoniano Samuel Clark, non è un difetto dell'universo. Dipende solo dal fatto che la materia non ha vita, è inerte e inattiva. Il mondo di Newton aveva ogni tanto bisogno di essere ricreato e rimesso a posto o riordinato". Su questo punto Leibniz aveva torto, ma proprio perché rimaneva su fondamenta "religiose". L'universo non può mantenere in eterno il suo movimento senza sprecarlo. Che poi Newton abbia speculato sulla possibilità di rinnovamento del moto e dell'attività del cosmo è per chi scrive secondario. Come è secondario anche il fatto che egli abbia prodotto diverse migliaia di pagine di alchimia: tutto ciò faceva parte dei pregiudizi del tempo.

Del resto Rossi ha dedicato fin troppo spazio a quegli studi alchemici, perché ha creduto molto importante mostrare che un Newton, inteso come primo grande scienziato moderno, era una interpretazione obsoleta. Non si è reso conto che ben altri erano i problemi di teoria della conoscenza che avrebbero dovuto essere risolti e superati, non dagli scienziati del Seicento, bensì da quelli dei secoli successivi. Ma questo non è avvenuto!

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* Paolo Rossi:  "La nascita della scienza moderna in Europa" (1997)

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