mercoledì 30 marzo 2011

Casualità dell'individuo e necessità della specie: il "lato buono" e il "lato cattivo" della selezione naturale

Se la conservazione di ogni singolo individuo e (della sua progenie), a qualsiasi specie esso appartenga, non può essere lo scopo della natura, non può essere neppure lo scopo dei singoli individui stessi. Conservazione e riproduzione individuale, così come il loro opposto, l'eliminazione, sono soltanto il risultato del movimento complessivo della vita. Nel concetto di vita dobbiamo comprendere sia la vita individuale sia la vita dei complessi: le specie.

Cominciamo dall'individuo: che cosa muove l'individuo? L'organismo vivente ha dei bisogni fisiologici che rappresentano la sua cieca necessità. Questa necessità individuale si manifesta, negli stati più primordiali e nel regno vegetale, come semplice repulsione e attrazione; negli stati più evoluti, come sensazioni di fame, sete, freddo, caldo, piacere, dolore, ecc. E' partendo da queste necessità che l'individuo, nel suo movimento, va incontro a tutta una serie di correlazioni casuali con altri individui e oggetti dell'ambiente a lui esterno.

martedì 29 marzo 2011

"Dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)*

Prefazione 

La maggior parte degli eventi storici sono pensati per scopi particolari, sono gestiti senza produrre risultati voluti e sono realizzati con grande dispendio. Come cercheremo di dimostrare in questo volume, alla base dell'imponderabile e dell'imprevedibile nella storia umana c'è la cieca dialettica di caso e necessità, secondo la quale i risultati reali, cioè i risultati complessivi della storia, rappresentano una necessità cieca e non predeterminabile perché fondata sulla casualità dei singoli, numerosi eventi. Così, non sono prevedibili né gli eventi singoli pensati e realizzati, né l'insorgere di altri singoli eventi inattesi e da nessuno voluti che ostacolano e persino impediscono la realizzazione degli eventi illusoriamenti attesi.

Ora, quando cerchiamo di ricostruire la storia di un dato periodo, abbiamo sotto gli occhi le registrazioni scritte di eventi, fatti, risultati, indagando i quali possiamo distinguere il necessario dal casuale, ovvero la realtà necessaria da quella puramente contingente e inessenziale. Per questo motivo, la "storia del passato" può essere scientifica: ha gli strumenti per essere scienza. Ma se prendiamo in considerazione la "previsione storica", che possiamo chiamare "storia del futuro", ci troviamo in una situazione affatto diversa. Innanzi tutto, la pretesa previsione di eventi futuri non è un semplice esercizio accademico: essa serve a promuovere nuovi eventi nella attualità, i quali sono posti in opera indipendentemente dal valore della previsione stessa.

lunedì 28 marzo 2011

Uno spettro si aggira per il mondo: l'imprevisto

Il caso, questa volta, ha tirato un brutto scherzo a studiosi, scienziati, storici e opinionisti, provocando una paradossale concomitanza tra eventi imprevedibili della natura e della storia umana: rispettivamente, il tragico movimento della crosta terrestre in Giappone e i drammatici moti del Nord Africa, in particolare di Egitto e Libia. Il paradosso si è impresso, come un marchio, nella forma di un titolo: "IL GRANDE TSUNAMI" che il numero di Limes di Marzo ha usato in riferimento alla "guerra di Libia" e alla "rivoluzione d'Egitto", non potendo sapere che da lì a poco un vero tsunami avrebbe sconvolto la costa nordorientale del Giappone nel Pacifico.

sabato 26 marzo 2011

In attesa dei risultati di LHC II

I limiti della matematica secondo i maestri della dialettica: Hegel ed Engels

Prima o poi qualcuno doveva assumersi il compito di rimettere in discussione la matematica pura ridimensionandone le pretese. E quale momento migliore per farlo di quello in cui queste pretese sfociano nella ricerca della Teoria del Tutto, della teoria che dovrebbe porre la parola fine alla scienza "più fondamentale": la fisica? Nell'Ottocento, a ridimensionare le ben più modeste pretese della matematica ci pensarono i maestri di quella dialettica che, non a caso, fu respinta con orrore da una comunità scientifica che aveva cominciato a indirizzarsi verso la matematizzazione della fisica.

Perciò, prima di affrontare l'attuale predominio della matematica pura in fisica, è opportuno vedere come Hegel ed Engels giudicarono i limiti della matematica del loro tempo. Una premessa è però indispensabile: la teoria della conoscenza e la matematica hanno una lunga storia in comune, il cui inizio risale all'antico pensiero greco. Ma la logica matematica ha avuto sempre una posizione subordinata rispetto alla logica dei concetti, essendo semplicemente lo strumento di calcolo delle grandezze. Essa doveva misurare delle quantità; ma le quantità da misurare non erano astrazioni pure, erano quantità di qualità concrete delle cose, astratte dalla logica dei concetti.

mercoledì 23 marzo 2011

Concetti fondamentali di teoria della conoscenza I

Prima di inoltrarci nell'indagine del rapporto caso-necessità nel pensiero antico e moderno, è opportuno farsi un'idea di alcuni concetti fondamentali di teoria della conoscenza, che distinguiamo secondo la loro appartenenza: 1) alla sfera del caso, 2) alla sfera della necessità, 3) alla sfera della causalità. A questo scopo, utilizzeremo il Dizionario di filosofia di Abbagnano.

CONCETTI DELLA SFERA DEL CASO

Cominciamo con il concetto stesso di caso. Aristotele distingue due significati: il primo, che attribuisce all'ignoranza dell'uomo l'imprevedibilità e l'indeterminazione di un evento che appare, perciò, casuale; il secondo, che attribuisce la casualità dell'evento all'intersecarsi di cause diverse tra loro. Il primo significato è stato accolto dal determinismo riduzionistico, ed equivale alla negazione dell'oggettiva casualità; il secondo ha trovato impiego nella concezione probabilistica, ed è stato considerato come espressione di una oggettiva casualità. Ma entrambi i significati, per Aristotele, giustificano il rifiuto del caso e la sua sostituzione con la causa necessaria.

Sul concetto di accidente: Aristotele distingue due significati: 1) l'accidente casuale, come quando uno scava per mettere una pianta, e trova invece un tesoro; 2) l'accidente non casuale che, pur non essendo sostanziale, appartiene all'oggetto. Mentre nel primo significato, l'accidente è esterno all'oggetto in quanto deriva solo dal casuale intrecciarsi di varie cause, nel secondo è intrinseco all'oggetto stesso. Aristotele ha posto dentro la conoscenza scientifica solo l'accidente non casuale. Così, a partire dagli scolastici, per arrivare ai moderni, Locke, Spinoza, Kant ecc., tutti hanno accettato il significato di accidente non casuale che poteva rientrare nell'ambito della conoscenza.

sabato 19 marzo 2011

Il caso secondo Darwin

Sembra un paradosso, ma spesso le questioni principali, che presentano le maggiori difficoltà teoriche, vengono confinate dagli autori nelle note. Anche Darwin non si sottrae alla regola; anzi, egli confina in una nota, subito, nella prima pagina dell'Origine delle specie, la questione più difficile di tutte: quella del rapporto caso-necessità. E lo fa citando un passo di Aristotele "secondo la traduzione del sig Clair Grece, il primo che mi abbia fatto osservare questo passo": "Aristotele, nella Phisicae Auscultationes, dopo aver osservato che la pioggia non cade per far crescere il grano più di quanto non cada per danneggiare il raccolto quando il contadino si appresta a trebbiarlo, applica la medesima osservazione all'organismo e aggiunge [...]: "Che cosa dunque impedisce che le varie parti (dell'organismo) abbiano, in natura, questo rapporto puramente accidentale? Per esempio, i denti anteriori sono, per necessità, taglienti ed atti a lacerare, mentre i molari sono piatti e utili alla masticazione degli alimenti; tuttavia essi non furono fatti in tal modo a bella posta, bensì in conseguenza di fenomeni accidentali. Lo stesso si può dire di altre parti che sembrano essere adatte a determinati scopi. Quindi, tutte quelle cose (ossia tutte quelle parti di un complesso) che, per caso, risultano utili a qualche scopo, si sono conservate, in quanto una spontanea potenza interna ha conferito loro qualità appropriate. Invece tutto ciò che non possiede queste qualità è scomparso e sta scomparendo"."

mercoledì 16 marzo 2011

In attesa dei risultati di LHC I

Poiché l'attesa dei risultati di LHC non sarà breve, occupiamola con una serie di post sul predominio della matematica pura in fisica teorica che LHC, si spera, contribuirà a scalzare.

Le pretese della matematica pura

I matematici puri del Novecento hanno fatto fin troppo affidamento sulla incomprensibilità della loro disciplina, e solo per questa ragione hanno ritenuto di potersi sottrarre al giudizio della teoria della conoscenza. Non solo, ma in quanto si affidano a una logica indipendente e autosufficiente, sulla quale chi non appartiene alle loro file non può dare valutazioni di merito, hanno potuto sostenere che non esiste altra logica fondamentale che la logica matematica, e che, di conseguenza, la conoscenza umana è fondamentalmente una questione di matematica pura. Beata allora la fisica, in quanto unica scienza della natura che può utilizzare pienamente i risultati di questa matematica, senza limite alcuno.

Ma la logica matematica, in se stessa, è in grado soltanto di valutare la coerenza di assiomi, equazioni e modelli prodotti dalle elaborazioni dei matematici puri. E troppo spesso, trattandosi di prodotti matematici molto complicati, resi ancor più incomprensibili da astrusi modelli "fisici", vengono ammesse correzioni ad hoc anche truffaldine, pur che siano accettate dal consenso generale della comunità dei fisici.

Ad esempio, il sofferto passaggio dalla relatività ristretta alla relatività generale è stato mediato da un aggiustamento matematico, trasformando una pretesa quarta dimensione temporale, radice quadrata di -1 moltiplicata per ct, in una generica quarta dimensione x4, da cui la bizzarra conclusione di avere a che fare con una dimensione immaginaria a causa del numero immaginario, radice quadrata di -1, che ha giustificato la pretesa esistenza di un universo quadrimensionale immaginario. E questo imbroglio è stato accettato per consenso generale.

sabato 12 marzo 2011

La conoscenza reale e il "caso Galileo"

L'insistente citazione del famoso passo di Galileo sul libro della natura "scritto in lingua matematica", nelle intenzioni dei fisici teorici, è uno dei tanti modi per giustificare qualsiasi modello matematico dell'universo e della materia. Ciò che, però, essi dimenticano è la premessa che motivò quel passo: e cioè l'obiezione di Galileo a chi "stima che la filosofia sia un libro o una fantasia d'uomo, come l'Iliade e l'Orlando furioso, libri nei quali la meno importante cosa è che ciò che è scritto sia vero".

Dunque Galileo si servì della metafora del libro per affermare che la filosofia (scienza) non è un libro di fantasia, ma un libro di verità. Ed è solo dopo questa precisazione che egli scrisse il famoso passo: "Signor Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta innanzi agli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intendere la lingua e a conoscere i caratteri, nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto".

mercoledì 9 marzo 2011

Difficoltà e limiti del pensiero illuminista sul rapporto caso-necessità (terza parte)

La superiorità del pensiero indipendente


La sventura capitata a Diderot fa riflettere, soprattutto se paragonata alla sorte di Voltaire e Rousseau. Fermo restando che tutti gli illuministi hanno ricevuto le "attenzioni" dei governi e dei preti, in particolar modo dei gesuiti, si può dire che la misura della pena ci dà la misura della qualità della colpa! Ora è evidente che per i preti, le irrisioni e i sarcasmi alla Voltaire, o le denunce e le invettive alla Rousseau, quando non toccano le questioni fondamentali, vitali, sono cose da nulla. Diderot, invece, affronta le questioni fondamentali e le risolve in senso materialista e dialettico, perciò diventa ateo e riceve la massima pena.

sabato 5 marzo 2011

Difficoltà e limiti del pensiero illuminista sul rapporto caso-necessità (seconda parte)

Il dialettico realista Diderot

Il dileggio della religione, che contrassegnò il Settecento, attesta che gli illuministi furono molto più liberi degli ingegni del Seicento nei confronti della inflessibile necessità teologica, però essi furono soggetti ai capricci dei potenti; quindi più liberi, come giovani irridenti, nel pensiero, ma più schiavi dello stomaco, ossia più soggetti alla corruzione. Da qui le pene di Rousseau, incorruttibile e povero, il cinismo di Voltaire, corrotto e ricco, e in mezzo Diderot né povero né ricco e perciò non alieno ai compromessi, ma senz'altro il migliore perché più dialettico.

"Jacques il fatalista", "Il nipote di Rameau" e "La lettera sui ciechi" sono i suoi capolavori: nel primo, è mostrata la condizione casuale del singolo individuo che Diderot fa apparire come fatalismo; nel secondo, è espressa la contraddizione insolubile tra la necessità del libero pensiero e la necessità dello stomaco: da qui la coscienza scissa del filosofo illuminista; nel terzo, c'è l'intuizione della dialettica caso-necessità in relazione all'evoluzione dispendiosa della materia e alle mostruosità naturali.

Jacques ha un padrone. "Come si erano incontrati? Per caso, come tutti quanti". "Dove andavano? Ma c'è qualcuno che sa dove va?" Jacques racconta al suo padrone della pallottola che lo ha colpito al ginocchio, come di un evento casuale che ha prodotti due effetti non voluti: "Senza quella fucilata, per esempio, credo che non sarei mai stato innamorato né zoppo". Diderot ha compreso la casualità della esistenza individuale, ma sa anche che il singolo individuo ha sempre bisogno di una spiegazione per gli accidenti che gli accadono. Così "Jacques diceva che il suo capitano diceva che quanto ci accade di bene e di male quaggiù stava scritto lassù".

giovedì 3 marzo 2011

LHC e i tempi lunghi della conoscenza IV

LHC: non è solo la ricerca del chimerico bosone di Higgs

Trovare il bosone di Higgs equivarrebbe a garantire il successo alla teoria standard, o vecchia fisica. Di conseguenza, non ci sarebbe bisogno di "nuova fisica". Allora, quando su "Le Scienze" si invoca, da più parti, la "nuova fisica" è come se implicitamente si ammettesse che il bosone di Higgs non verrà mai trovato (in quanto chimera, esistente soltanto nel modello matematico della vecchia fisica, come del resto chi scrive sostiene da tempo).

Ma, se questo pessimismo sottinteso di "Le Scienze" verrà confermato dalla realtà sperimentale, a soffrire saranno soltanto i fisici teorici legati alla vecchia teoria standard, e soltanto loro. Perché i fisici teorici della "nuova fisica", tra i quali soprattutto la più recente generazione di stringhisti, gioiranno nell'illusione di garantirsi il primato. A loro volta, gli sperimentali potranno felicitarsi in ogni caso, perché, comunque vada, avranno dimostrato le loro grandi capacità con colossali risultati tecnologici. Inoltre, potranno sempre sperare di scoprire qualcosa di nuovo, sul quale i teorici dovranno poi sviluppare "nuova fisica".

mercoledì 2 marzo 2011

Difficoltà e limiti del pensiero illuminista sul rapporto caso-necessità (prima parte)

Lo scettico pessimista Voltaire

Il Settecento illuminista, sebbene sia stato irriverente, polemico e profondamente critico nei confronti dell'ottuso potere teologico, non ha rappresentato un vero progresso teorico rispetto ai risultati filosofici e scientifici del Seicento, e, soprattutto, non è riuscito a rendersi indipendente dai condizionamenti sociali, religiosi e politici del morente sistema feudale aristocratico.

Oltre ai filosofi Hume e Kant, che tratteremo nei prossimi paragrafi, il secolo dei lumi ha espresso alcuni pensatori non sistematici, letterati, con interessi in campo filosofico e scientifico, che hanno riflettuto su temi naturali e sociali, che hanno polemizzato contro l'oscurantismo, che hanno criticato e messo alla berlina antichi pregiudizi, ma che alla fine non hanno trovato nuove soluzioni alle questioni fondamentali che avevano di fronte.
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