Secondo Rossi** la scienza moderna nasce al di fuori delle università e in polemica con queste [quindi, non in una torre d'avorio come quella dell'attuale comunità scientifica]. La scienza moderna nasce con questo duplice carattere: 1) la filosofia meccanica, 2) la nuova immagine di Dio come ingegnere e orologiaio [che nuova non era nella sostanza ma solo nella forma. L'idea del Dio creatore, causa del mondo era già in Platone e in Aristotele. E, riguardo alla forma, ogni epoca ha attribuito a Dio il proprio livello tecnologico raggiunto, i propri meccanismi]
Rossi ricorda che alle origini della scienza moderna convivevano il nuovo (meccanicistico, sperimentale, ecc.) e il vecchio (ermetico, alchemico, ecc. Ad es. Newton che ha scritto manoscritti alchemici con più di un milione di parole, equivalenti a circa 3.500 pagine di libro). E sottolinea: "Gli scienziati del Seicento non sapevano e non potevano sapere ciò che ora sappiamo: che l'alchimia seicentesca "era l'ultimo fiore di una pianta morente e la matematica del Seicento era il primo fiore di una robusta pianta perenne" (Westfall, 1989)".
Rossi ricorda che alle origini della scienza moderna convivevano il nuovo (meccanicistico, sperimentale, ecc.) e il vecchio (ermetico, alchemico, ecc. Ad es. Newton che ha scritto manoscritti alchemici con più di un milione di parole, equivalenti a circa 3.500 pagine di libro). E sottolinea: "Gli scienziati del Seicento non sapevano e non potevano sapere ciò che ora sappiamo: che l'alchimia seicentesca "era l'ultimo fiore di una pianta morente e la matematica del Seicento era il primo fiore di una robusta pianta perenne" (Westfall, 1989)".
Per Rossi, le generalizzazioni precedenti la scienza moderna sarebbero legate "a una concezione antropomorfica del mondo, che assume le sensazioni e i comportamenti e le percezioni dell'uomo, nella loro immediatezza, come criteri della realtà". Dunque il soggettivismo è antropomorfico. Ma sarebbe ancora più esatto concepire l'antropomorfismo come quella tendenza ad attribuire alla natura ciò che è dell'uomo, e non solo le sensazioni ecc. umane, ma anche le stesse macchine, e persino il computer com'è avvenuto di recente. E il fatto che nel Seicento-Settecento convivessero, ingenuamente, magìa e scienza, ciò non toglie che ancora oggi esse convivano in modi più raffinati soprattutto in fisica (teoria delle stringhe, teoria M a 11 dimensioni, ecc.)
Sempre su magìa, ma anche su religione e scienza, si può affermare che l'incapacità, ovvero la difficoltà di comprendere la natura si è manifestata nei secoli come "mistero" da svelare, e i modi vecchi e nuovi di questo disvelamento si sono frammischiati tra loro e si sono propagati di generazione in generazioni arrivando fino ad oggi. Solo là dove un aspetto della natura veniva parzialmente chiarito, allora magìa e religione venivano scansati. Engels dice che Newton allontanò Dio dal sistema solare. E oggi il mistero è stato allontanato al di sotto di distanze molto piccole (le costanti di Planck) e al di là di distanze molto grandi (Teoria M, universo inflazionario).
Rossi insiste sul tema della magìa del tempo che fu, del Seicento, e non vede la magìa del tempo di oggi nelle teorie fisiche più strane elaborate anche per ottenere finanziamenti (mentre, molto più modestamente, Galileo faceva oroscopi per incassare un pò di denaro). Ma, se, come altri storici della scienza, non riesce a prendere posizione e si limita a descrivere e a fornire molto materiale affastellato è perché non ha a sua disposizione punti di riferimento teorici, generali, validi per tutto, a causa del piccolo cabotaggio della teoria della conoscenza che frantuma le scienze in mille paradigmi continuamente cangianti.
Tutto, così, appare frammentario, complicato e caotico. Allora, anche mostrare la figura di Newton come di un nevrotico preso dalla fisica cosmologica non più che dalla alchimia e dalla teologia, significa togliere ogni certezza, ogni punto di riferimento. Mentre si può ben comprendere e sottolineare che, se Newton continuò a dedicarsi alla teologia e alla magia, fu perché la sua conoscenza della gravitazione era limitata e incompleta, non avendo risolto quella che si riteneva allora la domanda principale (quale ne era la causa?), e fu anche perché il determinismo causalistico dominava da oltre due millenni le menti di filosofi, studiosi e scienziati: era l'ossessione teologica della causalità divina a giustificare la schizofrenia della scienza moderna e contemporanea.
In questo senso, si spiegano tutte le tribolazioni dei moderni scienziati, quali Copernico, Keplero, Galileo, Cartesio, Leibniz per l'intransigenza teologica dei Lutero, Bellarmino, ecc. a difesa del vecchio sistema Tolemaico. Partendo dal presupposto dogmatico che la prima scienza era la teologia, ne derivarono allora conseguenze imprevedibilmente drammatiche: Bruno arso vivo, Galileo abiurante, Cartesio scappato, ecc. Ma il punto fondamentale continuerà ad essere anche in seguito per gli scienziati: perché abbandonare una facile certezza teologica a favore di una scienza faticosa, parziale e spesso erronea? Ragionando così si comprende anche il comportamento incerto di Newton e, in seguito, persino quello reticente di Darwin.
Risultato: incertezze e spesso fraintendimenti scientifici da un lato, certezze teologiche (fittizie) dall'altro e, nel confronto, inevitabili conflitti e ulteriori confusioni. Si potrebbe dire: nessuno poteva parlare chiaro completamente, ma ognuno portava acqua al proprio mulino in mezzo a un'infinità di compromessi. Questa è la storia della scienza moderna. Basta vedere l'attacco di Lutero a Copernico: secondo Lutero -afferma Rossi- il copernicanesimo violava il fondamentale e irrinunciabile principio della sabalternatio scientiarum in base al quale "una scienza inferiore ha bisogno della scienza superiore". E la prima delle scienze era la teologia, ecc. ecc. Ma che dire oggi? Non vediamo ripreso questo principio dalla fisica teorica attuale che si erge come scienza prima e fondamentale, nonostante le diverse scuole contrastanti. La teoria M, ad esempio, non è quasi una nuova teologia? (Continua)
Sempre su magìa, ma anche su religione e scienza, si può affermare che l'incapacità, ovvero la difficoltà di comprendere la natura si è manifestata nei secoli come "mistero" da svelare, e i modi vecchi e nuovi di questo disvelamento si sono frammischiati tra loro e si sono propagati di generazione in generazioni arrivando fino ad oggi. Solo là dove un aspetto della natura veniva parzialmente chiarito, allora magìa e religione venivano scansati. Engels dice che Newton allontanò Dio dal sistema solare. E oggi il mistero è stato allontanato al di sotto di distanze molto piccole (le costanti di Planck) e al di là di distanze molto grandi (Teoria M, universo inflazionario).
Rossi insiste sul tema della magìa del tempo che fu, del Seicento, e non vede la magìa del tempo di oggi nelle teorie fisiche più strane elaborate anche per ottenere finanziamenti (mentre, molto più modestamente, Galileo faceva oroscopi per incassare un pò di denaro). Ma, se, come altri storici della scienza, non riesce a prendere posizione e si limita a descrivere e a fornire molto materiale affastellato è perché non ha a sua disposizione punti di riferimento teorici, generali, validi per tutto, a causa del piccolo cabotaggio della teoria della conoscenza che frantuma le scienze in mille paradigmi continuamente cangianti.
Tutto, così, appare frammentario, complicato e caotico. Allora, anche mostrare la figura di Newton come di un nevrotico preso dalla fisica cosmologica non più che dalla alchimia e dalla teologia, significa togliere ogni certezza, ogni punto di riferimento. Mentre si può ben comprendere e sottolineare che, se Newton continuò a dedicarsi alla teologia e alla magia, fu perché la sua conoscenza della gravitazione era limitata e incompleta, non avendo risolto quella che si riteneva allora la domanda principale (quale ne era la causa?), e fu anche perché il determinismo causalistico dominava da oltre due millenni le menti di filosofi, studiosi e scienziati: era l'ossessione teologica della causalità divina a giustificare la schizofrenia della scienza moderna e contemporanea.
In questo senso, si spiegano tutte le tribolazioni dei moderni scienziati, quali Copernico, Keplero, Galileo, Cartesio, Leibniz per l'intransigenza teologica dei Lutero, Bellarmino, ecc. a difesa del vecchio sistema Tolemaico. Partendo dal presupposto dogmatico che la prima scienza era la teologia, ne derivarono allora conseguenze imprevedibilmente drammatiche: Bruno arso vivo, Galileo abiurante, Cartesio scappato, ecc. Ma il punto fondamentale continuerà ad essere anche in seguito per gli scienziati: perché abbandonare una facile certezza teologica a favore di una scienza faticosa, parziale e spesso erronea? Ragionando così si comprende anche il comportamento incerto di Newton e, in seguito, persino quello reticente di Darwin.
Risultato: incertezze e spesso fraintendimenti scientifici da un lato, certezze teologiche (fittizie) dall'altro e, nel confronto, inevitabili conflitti e ulteriori confusioni. Si potrebbe dire: nessuno poteva parlare chiaro completamente, ma ognuno portava acqua al proprio mulino in mezzo a un'infinità di compromessi. Questa è la storia della scienza moderna. Basta vedere l'attacco di Lutero a Copernico: secondo Lutero -afferma Rossi- il copernicanesimo violava il fondamentale e irrinunciabile principio della sabalternatio scientiarum in base al quale "una scienza inferiore ha bisogno della scienza superiore". E la prima delle scienze era la teologia, ecc. ecc. Ma che dire oggi? Non vediamo ripreso questo principio dalla fisica teorica attuale che si erge come scienza prima e fondamentale, nonostante le diverse scuole contrastanti. La teoria M, ad esempio, non è quasi una nuova teologia? (Continua)
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* Paolo Rossi: "La nascita della scienza moderna in Europa" 1997
** Storico di filosofia della scienza, scomparso il 14 gennaio 2012.
** Storico di filosofia della scienza, scomparso il 14 gennaio 2012.
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