II] La contraddittoria conoscenza del "mondo reale"
(Continuazione) La principale e più contrastata questione della teoria della conoscenza, che ha ossessionato le menti di intere generazioni di studiosi e scienziati, è stata e continua ad essere la definizione del mondo dei fenomeni da studiare. Per più di due millenni si sono fronteggiate due concezioni opposte e antagoniste, il materialismo e l'idealismo: il primo che fa derivare le idee dalla materia; il secondo che fa derivare la "materia", o meglio la "realtà", dalle idee.
Sebbene l'idealismo abbia sempre negato l'esistenza di un mondo materiale esterno alla coscienza e indipendente da essa, neppure l'dealismo estremo di Berkeley giunse fino al punto di negare la realtà del mondo, oggetto della scienza. Ma affermare la realtà di un mondo che non ha esistenza indipendente è soltanto un sofisma: l'astuzia idealistica ha contribuito a confondere la questione, perché sul concetto di realtà si può dire, ed infatti è stato detto, di tutto.
Così, la questione della definizione del mondo dei fenomeni naturali si è ridotta alla questione equivoca dell'interpretazione del termine "reale". E, mentre i materialisti ribadirono la realtà del mondo materiale indipendente dalla coscienza, gli idealisti, in buona compagnia degli agnostici, sostituirono con sottili sofismi la materia con le sensazioni, considerate o come pura manifestazione dello spirito (idealisti) o come manifestazione dell'essere umano sensibile (agnostici).
Nella fisica dei primi decenni del Novecento, la questione si ridusse ad un vuoto paradosso idealistico: è l'uomo che con l'osservazione crea la realtà del mondo delle particelle, ossia dei cosiddetti costituenti ultimi della materia. Una simile conclusione non poteva soddisfare un teorico del valore di Schrodinger. Però, anche lui partì col piede sbagliato, accettando come punto di partenza l'idea solipsistica, secondo la quale, il mondo non è altro che le "mie sensazioni". Ma, poiché ognuno parte dalle sue sensazioni, sarebbe la somma delle sensazioni comuni a costituire il "mondo reale", oggetto della scienza. Scriveva, infatti: "E' straordinario e assolutamente inatteso che queste diverse rappresentazioni accessibile alla mia mente abbiano elementi comuni correntemente interpretati come il "mondo reale"."*
Ma come si muove realmente la scienza, il cui compito è conoscere questo "mondo reale", sia che esso venga interpretato come somma delle sensazioni comuni, sia che venga interpretato più correttamente come mondo esterno indipendente dalla coscienza? Secondo Schrodinger: "La trama ideale delle scienze esatte è tessuta con un'enorme quantità di singoli risultati di esperienze riproducibili", le quali, "bisogna ammettere", sono "la sola materia prima che si possa impiegare"; ciò significa che "non si ammettono altre fonti di conoscenza, all'infuori dell'esperienza esatta,"... Poiché, però, "il numero degli esperimenti eseguiti, su cui ci basiamo, è bensì enormemente grande, ma, senza esagerare, infinitamente piccolo in confronto al numero di quelli che si possono fare, ma non si fanno", la questione è che ogni volta "si rinnova la necessità d'una scelta di quelle esperienze che riteniamo interessanti, importanti, atte a fornire numerose notizie", ecc.**
Ecco allora che nell'attività scientifica si presenta ogni volta, a livello individuale, la questione della scelta degli esperimenti da eseguire, scelta inevitabilmente soggettiva a causa della vastità del "mondo reale". Così, per Schrodinger, le "mie sensazioni" diventano i "miei esperimenti", scelti a caso tra gli infiniti esperimenti fattibili. "La scintilla d'un singolo pensiero accende talvolta l'interesse per ricerche che prima sembravano poco interessanti e senza conseguenza. Chi si sarebbe interessato trentanni fa del fatto che la capacità termica dei corpi varia con la temperatura, e in particolare del suo comportamento a temperature estremamente basse? Solo un pedante privo d'idee, o uno spirito molto geniale".
La necessaria conoscenza oggettiva del "mondo reale" si manifesta dunque come casuale "scintilla di un singolo pensiero", ossia come scelta soggettiva di ciò che è considerato interessante conoscere in un dato momento. Così, le "mie sensazioni" diventano i "miei pensieri". Partendo ognuno dalle "scintille" dei suoi singoli pensieri, è inevitabile che tra gli stessi scienziati si verifichino delle incomprensioni: "Non di rado se il collega fa una relazione su un suo lavoro, nel profondo del cuore dell'ascoltatore spunta timidamente il pensiero poco rispettoso: "Guarda un pò di che cosa s'interessano!" Non si tratta in realtà di scarso apprezzamento; si ha solo la prova lampante che dipende esclusivamente dall'indirizzo dato alle proprie ricerche il fatto che, fra molte domande che si possono rivolgere alla natura, alcune sembrano subito di grande importanza e interesse, altre di nessun interesse".
Dopo aver sottolineato il carattere soggettivo della scelta individuale, Schrodinger immagina l'obiezione degli oggettivisti: "Si potrebbe obiettare che pure gli scienziati di tutti i paesi sono abbastanza d'accordo sulle ulteriori ricerche che ritengono fruttuose nel loro ramo. Non è questo un giudizio oggettivo?" Nella risposta alla suddetta domanda egli espone i limiti di questa pretesa oggettività: in primo luogo, le decisioni su cui si può trovare un accordo riguardano un esiguo numero di scienziati di un solo ramo scientifico e di una sola epoca; in secondo luogo, nonostante "l'internazionalità della scienza", si è indotti "a pensare che qui, e in altri casi, la moda influisca in gran parte sul consensum omnium".
Se la storia della scienza moderna mostra che importanti aspetti sono stati trascurati per secoli, la ragione va ricercata nel fatto "che il campo incommensurabile della ricerca" è "percorso solo passo per passo. Dipende un pò dal caso a che parte tocchi prima e a che parte tocchi dopo". Insomma, l'aspetto soggettivo della scelta incide anche sull'ordine di successione dei fenomeni da sottoporre a indagine. Insomma le "mie sensazioni" devono attendere il loro turno: prima di manifestarsi devono mettersi in fila. E non è finita: nella scelta individuale incidono i "fattori culturali": l'ambiente nel quale il singolo scienziato vive, i suoi interessi culturali, filosofici, artistici, in una parola lo "spirito dei tempi". Sono questi a influenzare, per vie indefinibili, le "mie sensazioni", a metterle in fila, a trasformarle, per altrettante imprecisabili vie, in quelle "scintille di pensieri" d'ogni sorta, pedanteschi o persino geniali.
Dopo aver visto quante trasformazioni subiscono le "mie sensazioni" nella concreta elaborazione di Schrodinger, vediamo ora se esse rappresentano davvero il punto di partenza dell'attività scientifica dei singoli scienziati. Nella sua risposta l'autore chiarisce una fondamentale verità: il punto di partenza ormai non ha più niente a che vedere con le "mie sensazioni". "Anche nel caso d'uno sperimentatore (per non parlare dei teorici, perché ciò va da sé!), la massima parte di ciò che egli sa e che utilizza nei suoi lavori di ricerca deriva non dalla sua esperienza, ma dalle osservazioni fatte da altri, di cui alcuni sono ancora in vita e alcuni sono morti da lungo tempo. Considerata dal punto di vista individuale, l'origine reale della conoscenza scientifica è, nella proporzione del 99,9%, la stessa che per le nostre conoscenze letterarie e storiche, ossia essa è rappresentata da documenti orali o scritti che altri ci hanno trasmessi e che noi accettiamo con fiducia"***.
Insomma, le "mie sensazioni" sono spodestate dagli altrui documenti orali o scritti! Questo è Il reale punto di partenza d'ogni singolo scienziato, questa è la reale base dalla quale può scoccare "la scintilla di ogni singolo pensiero". Ma che ognuno debba "fidarsi, per la massima parte del "mosaico", di ciò che gli altri gli dicono o gli scrivono o ne hanno scritto anni or sono", vale in genere per la maggior parte degli studenti universitari, dei docenti e degli scienziati di oggi, ma non può valere per lo studioso che ha bisogno di uno spirito critico necessario sia per assimilare la scienza nei suoi aspetti già risolti, sia per riflettere sulle difficili questioni non ancora risolte.
Riassumiamo: se il punto di partenza dell'individuo non può essere le sue personali sensazioni, le sue personali esperienze, ma lo studio di ciò che egli ancora non conosce, per cui deve rivolgersi unicamente a osservazioni e riflessioni teoriche riferite mediante documenti orali o scritti, da questo punto di vista individuale si tratta sempre e comunque di scelte soggettive, guidate da motivazioni indefinibili oggettivamente (e anche per l'individuo stesso non del tutto chiare). Perciò chi decide che quel determinato individuo scelga o sia portato a scegliere la fisica invece della biologia, la fisica delle particelle invece della cosmologia? Nient'altro che il caso, senza offesa per l'individuo che sceglie, ma senza offesa neppure per il caso.
Perché questa è la realtà: in maniera casuale, spinti da mille influenze indecifrabili e indeterminabili, i singoli scienziati prendono una direzione invece di altre, colgono un'occasione invece di altre, ora affollando un ramo che la moda esalta, ora cercando un buco di laboratorio pur di non rimanere disoccupati. Ed è soltanto in termini statistici che possiamo osservare il risultato dello sparpagliamento casuale dei singoli scienziati nei più diversi rami della scienza. E il risultato di tutto questo agitarsi caotico fornisce una determinata statistica che rappresenta la necessità di quel complesso totale chiamato comunità scientifica in una data epoca.
Può sembrare paradossale, ma il caso relativo all'individuo, che si rovescia nella necessità statistica relativa alla comunità scientifica, e che si trasmette di generazione in generazione, rappresenta il fondamento della evoluzione del settore scientifico dell'attività umana, caratterizzandolo come evoluzione di tipo naturale, ossia ciecamente necessaria. La scoperta di Marx del carattere naturale del processo di produzione materiale e di scambio capitalistico vale in generale per qualsiasi processo sociale complessivo, compreso quello della produzione spirituale, sia essa produzione filosofica o letteraria, scientifica o storica.
Non deve, quindi, sorprendere o scandalizzare il fatto che il singolo scienziato finisca, in maniera del tutto casuale, in un determinato ramo della scienza. Allo stesso modo si comporta il singolo capitalista che, partendo da se stesso, finisce in maniera altrettanto casuale in un determinato settore della produzione o della distribuzione di merci o servizi. E, come il singolo capitalista non può sapere in anticipo se la sua scelta sarà fortunata, se la sua azienda reggerà la concorrenza oppure dovrà chiudere i battenti, così il singolo scienziato non può sapere a priori se la sua scelta gli permetterà di produrre validi risultati. (Continua)
* "L'immagine del mondo", capitolo 7 "Come la scienza rappresenta il mondo" (1947)
* "L'immagine del mondo", capitolo 7 "Come la scienza rappresenta il mondo" (1947)
** Ibid capitolo 3 "La scienza dipende dall'ambiente" (1932)
*** Ibid capitolo 5: "Alcune osservazioni sulle basi della conoscenza" (1935)
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Tratto da "La dialettica caso-necessità - L'enigma svelato Volume primo Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito
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