Nella Dialettica della natura (edizione 1971 degli Editori Riuniti) troviamo, nel pensiero di Engels, un interno dissidio, un contrasto tra la vecchia idea di necessità, fondata sulla connessione di causa-effetto, e la nuova idea di necessità fondata sul caso. Questo contrasto si manifesta dopo la stesura dell'AntiDhuring (1876-1878). Prima del 1876, Engels è fortemente influenzato dal determinismo riduzionistico, come dimostra uno dei paragrafi scritti nel 1874 (vedere pag 239-241 nell'edizione sopracitata), che difende il principio di causa con i seguenti argomenti: "La prima cosa che ci colpisce, considerando la materia in movimento, è la connessione dei movimenti singoli dei singoli corpi, il loro essere condizionati l'uno dall'altro".
Poiché, inoltre, noi siamo in grado di riprodurre le condizioni dei movimenti naturali e possiamo anche produrre movimenti che in natura non si presentano, Engels deriva la seguente conseguenza: "Da ciò, dall'attività dell'uomo, trae il suo fondamento l'idea di causalità, l'idea che il movimento è la causa di un altro". Però, poi, respinge l'idea che "il regolare succedersi di certi fenomeni naturali", pur suggerendo l'idea di causalità, possa anche dimostrarla. Perciò Hume ha ragione a negare il "post hoc" come fondamento del "propter hoc".
Ma sull'osservazione che "l'attività dell'uomo costruisce la prova della causalità", Engels non si rende conto che ciò vale per l'opera dell'uomo non per quella della natura. Così, con l'esempio dello schioppo che fa cilecca, egli crede di fornire la prova della causalità, ma, in realtà, prova soltanto che noi possiamo applicare la connessione di causa-effetto ai meccanismi che produciamo. I prodotti della natura vanno, invece, per la loro strada, mentre egli pensa di poter equiparare le due situazioni, quella naturale e quella artificiale, osservando che l'uomo reagisce alla natura cambiandola. Ma la realtà che cosa mostra? Mostra che non solo nei processi naturali, ma persino in quelli sui quali interviene direttamente l'opera dell'uomo, i risultati non sono sempre prevedibili e predeterminabili come prodotti di cause o di catene causali dirette.
Poiché, inoltre, noi siamo in grado di riprodurre le condizioni dei movimenti naturali e possiamo anche produrre movimenti che in natura non si presentano, Engels deriva la seguente conseguenza: "Da ciò, dall'attività dell'uomo, trae il suo fondamento l'idea di causalità, l'idea che il movimento è la causa di un altro". Però, poi, respinge l'idea che "il regolare succedersi di certi fenomeni naturali", pur suggerendo l'idea di causalità, possa anche dimostrarla. Perciò Hume ha ragione a negare il "post hoc" come fondamento del "propter hoc".
Ma sull'osservazione che "l'attività dell'uomo costruisce la prova della causalità", Engels non si rende conto che ciò vale per l'opera dell'uomo non per quella della natura. Così, con l'esempio dello schioppo che fa cilecca, egli crede di fornire la prova della causalità, ma, in realtà, prova soltanto che noi possiamo applicare la connessione di causa-effetto ai meccanismi che produciamo. I prodotti della natura vanno, invece, per la loro strada, mentre egli pensa di poter equiparare le due situazioni, quella naturale e quella artificiale, osservando che l'uomo reagisce alla natura cambiandola. Ma la realtà che cosa mostra? Mostra che non solo nei processi naturali, ma persino in quelli sui quali interviene direttamente l'opera dell'uomo, i risultati non sono sempre prevedibili e predeterminabili come prodotti di cause o di catene causali dirette.
Engels, poi, prende in considerazione l'azione reciproca della causalità per affermare: "Solo partendo da questa azione mutua universale noi perveniamo al reale nesso causale. Per comprendere i singoli fenomeni noi dobbiamo strapparli dalla connessione generale, studiarli isolatamente e allora i movimenti che si avvicendano appaiono l'uno come causa, l'altro come effetto". Così può concludere polemicamente: "Per chi nega la causalità ogni legge naturale è un'ipotesi, e fra l'altro anche l'analisi chimica dei corpi celesti per mezzo degli spettroscopi. Quale squallore di pensiero, starsene fermi a cio".
La conclusione, qui, è rigorosamente deterministica, ed è più che comprensibile sulla base della vecchia opposizione tra determinismo democriteo e indeterminismo epicureo: il primo che ricercava cause da per tutto e il secondo che ammetteva soltanto il caso e perciò qualsiasi possibilità. Qui è evidente che negare la causalità avrebbe significato cadere nel possibilismo.
Ma, a pag 228 della suddetta edizione, troviamo lo scritto dal titolo "caso e necessità", dove Engels mostra con un altro esempio, quello famoso del baccello di piselli, i limiti del determinismo riduzionistico che pretende determinare i singoli elementi di un complesso; ma, soprattutto, dove fornisce una precisa definizione di "caso", e cioè la condizione del singolo elemento (di un complesso necessario*), che è indeterminabile perché infiniti sono i nessi e i caratteri che lo riguardano: ogni singolo baccello di piselli è, come la foglia di Leibniz, diverso da ogni altro baccello per caratteristiche puramente casuali. Certo, incontrare prima, a pagina 228, il paragrafo sul caso e la necessità, e successivamente, a pagina 239, quella sulla causalità può aver contribuito a confondere le idee a molti studiosi**.
L'Ottocento è stato il secolo del determinismo riduzionistico, perciò è più che naturale che anche Engels e Marx ne siano stati influenzati, ma il pensiero dialettico aiutò entrambi a superarlo nel loro campo, nell'economia politica e nella storia. Occorre qui sottolineare l'oggettiva difficoltà della teoria della conoscenza, posta per oltre due millenni tra l'incudine della causa democritea e il martello del caso epicureo, opposti diametrali mantenuti in questa opposizione metafisica ancora nell'Ottocento, così che, nonostante il suo netto predominio, il determinismo temeva il "caso" come una spina nel fianco. Paradossalmente, comunque, la preoccupazione espressa dall'Engels determinista del 1874 è tanto più comprensibile oggi che la teoria della conoscenza oscilla paurosamente tra un determinismo sempre più meccanicistico e un indeterminismo sempre più possibilistico.
Ma oggi non si tratta più di recuperare il predominio della causalità, bensì di indicare la dialettica caso-necessità. Per questo scopo è fondamentale confrontare le opposte concezioni di Engels prima e dopo l'AntiDhuring. Prima, nel 1874, egli, a sostegno della causalità, ha attribuito molta impostanza alla modificazione della natura ad opera dell'uomo, ma la storia delle modificazioni della natura da parte dell'uomo, nel Novecento, ha dimostrato che l'uomo non è in grado di dominare la natura in senso deterministico: in altre parole, non è in grado di determinare regolarità naturali intervenendo meccanicamente sulla natura; e ciò soltanto perché la regolarità e l'ordine in natura sono il risultato ogni volta molto dispendioso della cieca dialettica caso-necessità.
L'uomo può solo fare esperimenti "economici", riducendo il caso, ma, proprio per questo, non produce risultati naturali regolari e ordinati, bensì soltanto risultati "artificiali" che, quasi sempre, non danno il risultato che si voleva ottenere. L'uomo può solo ridurre il peso del caso, ma questa riduzione, se è vantaggiosa nella produzione umana, non lo è necessariamente nel suo intervento sperimentale sulla natura (ad esempio nella produzione biologica). La produzione naturale ottiene risultati soltanto sulla base di un grande dispendio, mentre l'uomo ha bisogno di ridurre il dispendio naturale, perché non se lo può permettere né in termini economici né in termini politici ed etici.
Ancora nel 1874, Engels scriveva: "In primo luogo, ogni qualità ha infinite gradazioni quantitative, per es. sfumature di colore, durezze e mollezze, durate di vita, ecc., ed esse, benché qualitativamente differenti, sono misurabili e conoscibili (!). In secondo luogo, non esistono qualità, ma solo cose con delle qualità e precisamente infinite qualità". L'influenza del determinismo, qui, è così forte che egli arriva a ritenere che, prendendo isolatamente due cose cose così diverse, come un meteorite e un uomo, "tra le due cose si inserisce una infinita serie di altre cose e processi naturali, che ci permettono di completare la catena dal meteorite su su fino all'uomo e di assegnare ad ognuna delle due cose il suo posto nel nesso naturale, e con ciò di conoscerle".
Ma se andiamo a leggere il paragrafo di pag 228, "Caso e necessità", scritto evidentemente diversi anni dopo, Engels è di tutt'altro avviso: le infinite qualità del baccello di piselli sono ora puramente casuali. Che questo baccello contenga cinque piselli e non quattro o sei non ha più nulla a che fare con le catene causali. Così può concludere: "La scienza che volesse dedicarsi al compito di voler ricostruire il caso di questo singolo baccello nella sua catena causale non sarebbe più per nulla scienza ma puro gioco; perché questo stesso baccello ha ancora innumerevoli proprietà individuali, che appaiono come casuali: sfumature di colore, spessore e durezza del guscio, grandezza del baccello, per non parlare per nulla delle particolarità individuali che possono essere rilevate al microscopio. Quell'unico baccello di piselli darebbe quindi da ricostruire già più nessi causali di quanti tutti i botanici di questo mondo potrebbero risolvere".
Insomma, qui, come abbiamo ampiamente mostrato nel primo paragrafo di Teoria della conoscenza, Engels prese decisamente partito contro il determinismo e, sebbene non fosse ancora in grado di sviluppare la sua nuova idea di necessità fino a risolvere dialetticamente la polarità caso-necessità, arrivò fino a sostenere, sia pure tra parentesi che "(il materiale di circostanze casuali che si era andato nel frattempo accumulando ha sfiancato e spezzato la vecchia idea di necessità)".
Questa digressione, che ci ha permesso di chiarire la differenza tra la vecchia e la nuova idea di necessità, quella fondata sulla causa e quella fondata sul caso, era necessaria per comprendere anche la posizione di Engels riguardo al rapporto infinito-finito, elaborata prevalentemente nel suo periodo deterministico. Occorre anche aggiungere che Engels fu costretto ad abbandonare i suoi studi sulla dialettica della natura dal 1883, anno della scomparsa di Marx, per dedicarsi completamente alla stesura del 2° e del 3° volume del Capitale. Non ebbe, perciò, più modo di riprenderli, così la sua nuova idea di necessità dialetticamente opposta al caso è rimasta soltanto abbozzata. Finché un autodidatta l'ha riscoperta e l'ha sviluppata dedicandole oltre un quarto di secolo.
* La precisazione tra parentesi serve solo a ricordare il nesso dialettico caso singolo - necessità complesso, che Engels non arrivò a stabilire perché non ebbe più tempo per tornare a trattare temi di teoria della conoscenza.
** A mio avviso, la scelta editoriale di porre lo scritto di Engels sul rapporto caso-necessità prima dello scritto dedicato alla causalità è voluta per non far risultare che le riflessioni sul caso appartengono al periodo successivo e più maturo dell'autore. Ma c'è anche quest'altra stranezza in quella edizione della "Dialettica della natura": nelle "tavole cronologiche", relative ai vari scritti, l'unico titolo che è stato "dimenticato", e quindi non compare, è proprio quello di "caso e necessità". Senza pensar male... pensiamo peggio: entrambe le strane circostanze mostrano la coda di paglia del determinismo minacciato dall'idea che il caso possa essere associato alla necessità, estromettendo la causa deterministica. E', però, arrivato il tempo di farsene una ragione!
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