lunedì 26 dicembre 2016

Il caso e la necessità secondo la provvidenza divina

Riferendoci ancora agli "ATTI" del convegno "SCIENZE E RELIGIONI" del 2007, un'altra preoccupazione della teologia odierna riguarderebbe una scienza che pretendesse fare a meno dell'ordine divino. Secondo Vincenzo Caputo del Politecnico delle Marche esisterebbero oggi due posizioni contrastanti in seno alla teologia cattolica.

1) La prima che sostiene non essere un problema rilevante per la teologia l'evoluzione darwiniana. Come ha affermato Mons. Carlo Molinari nel 1984: "a qualsiasi conclusioni gli scienziati potranno pervenire sul fatto e sulla modalità dell'evoluzione (...) il teologo non avrà motivo di turbamento o di compiacimento". Inoltre "Lo stesso Papa Giovanni Paolo II sostenne, in un discorso del 1986, che l'evoluzione è più che una teoria".

2) La seconda posizione è, invece, intransigente nei confronti della spiegazione darwiniana della evoluzione (Schonborn, 2005; Ratzinger, 2006): "tale controversia attiene soprattutto alle implicazioni sul comportamento e la morale umana: la descrizione del processo evolutivo -privo di orientamento e condizionato dalla contingenza- fornita da Darwin viene ritenuta infatti moralmente pericolosa poiché potenzialmente in grado di sprofondare il credente nell'abisso del relativismo etico, dell'ideologia e dell'ateismo".

sabato 24 dicembre 2016

Una posizione teologica sulla creazione e sull'evoluzionismo

Per valutare l'attuale posizione della teologia, soprattutto nei confronti dell'evoluzionismo e in genere della scienza, abbiamo a disposizione gli "ATTI" di un convegno sul "ruolo delle scienze naturali", dal titolo "SCIENZE E RELIGIONI" (28 febbraio 2007). Per i nostri scopi prenderemo in considerazione la prefazione del gesuita George V. Coyne.

La sua premessa è che, per spiegare l'origine della vita non c'è bisogno di Dio sul piano scientifico: "Dio non è la risposta a un bisogno di carattere scientifico". Anche se certi credenti vorrebbero riempire i vuoti della scienza con Dio, Coyne ritiene che "La pienezza di Dio va cercata nella creazione. Dio non va cercato per riempire i vuoti della scienza... Ma il Dio di cui ho parlato è anche il Dio creatore dell'Universo".

Come si vede, nonostante il richiamo all'indipendenza della scienza, il teologo ribadisce la creazione divina, e anzi ribadisce che "La fede cristiano-giudaica è radicalmente creazionista". Questa fede crede "che tutto dipende da Dio, o meglio, tutto è dono di Dio". "Dio è sempre all'opera nell'universo". Qundi "Panteismo e materialismo sono ugualmente falsi". Con affermazioni così assolute e definitive, ci sarebbe poco da discutere, se non fosse, però, che poi vengono fuori i distinguo: innanzi tutto, che ogni epoca ha la sua immagine del Dio creatore: "Perciò, l'immagine attuale di Dio creatore deve rispondere ai concetti della cosmologia moderna".*

venerdì 23 dicembre 2016

Teoria della conoscenza, teologia e scienza

Compatibilità o incompatibilità tra scienza e religione?

Questa è una domanda che ritorna spesso nell'Occidente,  provocata com'è dalle continue oscillazioni nel rapporto tra scienza e religione. Eppure, nonostante le apparenze, la realtà storica mostra una sostanziale compatibilità perché la scienza, fino ad oggi, non ha mai reciso il cordone ombelicale che continua a tenerla legata alla teologia.

La premessa era necessaria prima di affrontare le interessanti tesi esposte dal teologo Francisco Ayala nel suo libro dal titolo rivelatore: "IL DONO DI DARWIN alla scienza e alla religione" (2009). Grazie a queste tesi potremo mettere in evidenza alcune difficili questioni mai risolte perché sono insolubili, sia per una religione che oscilla tra la pretesa di conciliare la teologia con la scienza e il desiderio opposto di metterle in contrasto, sia per una scienza che oscilla tra l'affermazione della incompatibilità e l'accettazione della compatibilità con la religione.

La principale questione riguarda quella che ha rappresentato la nota dolente dei principali filosofi e teologi dal Seicento fino ad oggi. Espressa con le parole di Ayala, la questione si presenta così: se Dio è onniscente, onnipotente e misericordioso, come mai la natura "è prodiga di catastrofi, calamità, imperfezioni, disfunzioni, sofferenze e crudeltà?" E' il problema della teodicea mai veramente risolto.

mercoledì 21 dicembre 2016

II] Hegel. Possibilità-realtà, caso-necessità (dalla "Logica")

Forse nessuno ha mai sottolineato il fatto che Hegel, nella sezione dedicata alla "realtà", ha affrontato il rapporto possibilità-realtà, prima dal punto di vista del rapporto caso-necessità soffermandosi a lungo, e poi dal punto di vista del rapporto causa-effetto soffermandosi molto meno. Neppure Engels che, pure, scrisse a Marx di non voler risparmiare agli scienziati del loro tempo l'ostica Logica di Hegel.

E Lenin, nei suoi "Quaderni filosofici", dopo aver snobbato, nella Logica, tutta la parte riguardante il caso, la necessità, la possibilità e la realtà, riprendendo le poche pagine di Hegel sulla connessione di causa ed effetto annota: "Quando leggi Hegel sulla causalità, sembra, a tutta prima, strano che egli abbia indugiato relativamente così poco sul tema preferito dai kantiani". Ma, se Hegel ha trascurato il rapporto di causa-effetto, è solo perché a procurare i maggiori problemi al pensiero fin dal tempo di Democrito e di Epicuro -come ha dimostrato Marx in giovanissima età- è stato il rapporto caso-necessità.

Ora, nell'affrontare la "Logica", valga una volta per tutte l'avvertenza di leggere materialisticamente i passi di Hegel che abbiamo citato, senza preoccuparsi se vi compaiono l'assoluto, l'idea assoluta, ecc. Ad esempio, Hegel scrive: "Realtà (attualità), possibilità e necessità costituiscono i momenti formali dell'assoluto, ossia la sua riflessione". Di fronte a questo passo, noi trascuriamo l'assoluto e la sua riflessione, perché abbiamo qualcosa di meglio da fare, e cioè sottolineare che qui manca un concetto fondamentale: il caso.

martedì 20 dicembre 2016

I] Hegel. Possibilità-realtà, caso-necessità (dalla "Enciclopedia")

Numerosi paragrafi del mio libro, "Il caso e la necessità- L'enigma svelato- Primo volume- Teoria della conoscenza" (1993-2002), sono già stati postati su questo blog in tutti questi anni. Però ne sono rimasti fuori diversi che valgono la pena d'essere letti. Tra questi, voglio aggiungere, in questi giorni di festività natalizie, due paragrafi fondamentali su Hegel. Cominciamo dal primo:

I] Hegel. Possibilità-realtà, caso-necessità (dall'Enciclopedia)

Hegel parte dalla critica del concetto kantiano di possibilità formale, per il quale è possibile tutto ciò che non si contraddice. Abbiamo visto che, nel suo saggio su Democrito ed Epicuro, Marx attribuisce quest'idea di possibilità a quest'ultimo. Dunque già sappiamo che se è possibile tutto ciò che non si contraddice, "tutto così è possibile", come rileva anche Hegel. Epicuro, infatti, finì col porre sullo stesso piano ogni sorta di possibilità, ogni sorta di ipotesi; e questo, abbiamo già visto, rappresentò il suo principale limite, che gli derivò dal fatto di avere considerato solo il caso, respingendo la necessità.

Hegel giustamente osserva: "Ma altresì tutto è impossibile; perché in ogni contenuto, in quanto è un concreto, può essere concepita la determinatezza come antitesi determinata, e quindi come contraddizione. -Non vi è perciò discorso più vuoto di quello di tale possibilità e impossibilità". Perciò egli avverte filosofi e storici: "Specialmente in filosofia non si deve mai parlare di mostrare che qualcosa sia possibile, o qualcos'altro sia anche possibile, o che qualcosa, come si dice, sia pensabile. Anche lo storico resta per tal modo avvisato di non usare questa categoria, già dichiarata non vera; ma la sottigliezza del vuoto intelletto sommamente si compiace nel vano escogitare possibilità o serie di possibilità".

Sulla durata della specie umana

Chiedete a qualcuno che cosa ne pensa del fatto che l'uomo possa  estinguersi molto presto nei tempi geologici, ad esempio fra 100.000 anni o anche molto prima. La risposta sarà un netto rifiuto. (Chi scrive lo ha ricevuto, sensa troppi complimenti, anche da sua figlia). Paradossalmente ogni persona accetta, bene o male, razionalmente, l'idea di scomparire entro un massimo di cento anni, ma non ammette che la specie umana possa scomparire, ad esempio, entro centomila anni.

Il fondamento dell'idea della lunga durata della specie umana sembra potersi sostenere sulla convinzione che l'uomo, se non si distruggerà da solo, potrà vivere con i propri mezzi così a lungo da preoccuparsi della propria estinzione per cause naturali, persino, paradossalmente, per la morte del nostro Sole, prevista fra circa 5 miliardi di anni. Preoccupazione questa, manifestata anche da alcuni scienziati nei loro libri di divulgazione!

domenica 18 dicembre 2016

La fisica teorica ha perso ogni freno e ogni pudore

Che cosa farà la fisica? *

Per ora, mi limito a raccogliere materiale per approfondire la questione. Ma posso già anticipare che la fisica teorica sembra aver perso ogni freno e ogni pudore: sembra proprio di essere tornati al medioevo, con i "dottori" [della fisica teorico-matematica] a consulto per trovare un accordo: "concedeteci il bosone di Higgs che noi vi concediamo le onde gravitazionali e l'inflazione".

E così è avvenuto anche nell'estate del 2013: hanno cominciato con la pretesa scoperta del bosone di Higgs, scoperta che nessuno ha messo in discussione; poi il 17 marzo 2014 hanno continuato con una pretesa, doppia scoperta sperimentale: l'esistenza della quarta forza, il gravitone, per confermare le onde gravitazionali e la conferma dell'inflazione cosmica. Se persino Pietro Greco, su Scienzainrete, ha dato il suo beneplacito alle suddette conferme, possiamo proprio stare tranquilli: l'esito è scontato perché tutti ci stanno mettendo la faccia.

domenica 4 dicembre 2016

Scalfari e la società globale in occasione del referendum italiano

Per tenermi aggiornato, senza dover perdere troppo tempo con quotidiani e riviste on line, seguo, ormai da diversi anni, gli editoriali domenicali di Eugenio Scalfari, convinto che, anche quando non sono d'accordo, acquisisco informazioni rilevanti sulla politica italiana, europea e internazionale o trovo considerazioni importanti tralasciate dall'autore.

In occasione del referendum italiano gli stimoli sono stati diversi. In ordine la "crisi epocale che ha colpito perfino l'America con la vittoria di Donald Trump e che colpisce in modo particolare l'Europa (e l'Italia), un continente che stenta terribilmente a unificarsi". In questo modo Scalfari è certamente consapevole di tranquillizzare l'egemonia USA, alludendo con il termine di disfacimento all'Italia e all'intera Europa, termine che dovrebbe essere una carezza per le orecchie della governance Trump.

giovedì 1 dicembre 2016

I "Grundrisse" di Marx prima del diluvio

L'importanza che i "Grundrisse" [Lineamenti fondamentali] hanno avuto negli anni Sessanta del Novecento è andata via via scemando fino a passare nel dimenticatoio. Scritta tra il 1858 e il 1859, quest'opera può essere considerata un'anticipazione -quasi una brutta copia- del primo volume de "Il capitale". La ragione di queste numerose (oltre mille) pagine, hegelianamente malagevoli, si trova in una lettera di Marx spedita ad Engels nel novembre 1857: "Lavoro come un pazzo, le notti intere, per riassumere i miei studi economici, in modo da aver chiaro almeno i lineamenti fondamentali prima del diluvio". Insomma, Marx temeva che scoppiasse una rivoluzione prima ancora di aver terminato quel lavoro teorico che avrebbe dovuto rappresentarne la guida.

Non deve neppure stupire il fatto che affrontare un testo complesso e ancora "irrisolto" come i "Grundrisse", considerati generalmente illeggibili, abbia rappresentato, per alcuni giovani filosofi italiani degli anni '60, un'autentica sfida intellettuale; mentre chi scrive, in tutt'altre più modeste faccende affaccendato, non li abbia presi in considerazione per decenni, ma soltanto di recente [si fa per dire, erano i primi anni '90], cogliendo, però, immediatamente, una fondamentale connessione con la precedente tesi di laurea di Marx.

domenica 27 novembre 2016

L'egemonia mondiale è ormai una faccenda di continenti

"L'indagine sulla "Globalizzazione"* ha tentato di stabilire i fondamenti della fase senescente del capitalismo che nulla hanno a che vedere né con la volontà dei singoli individui né con le scelte di governi, di partiti politici, organizzazioni sociali, ecc., né con le scelte di organizzazioni sovranazionali e di superpotenze. Da troppo tempo economisti, sociologi e storici respingono l'indagine della necessità per osservare le molteplici manifestazioni del caso, ribattezzato con l'encomiabile nome di "pluralismo". Preferendo correre dietro al caso adulando il pluralismo, economisti, sociologi e storici dell'epoca della globalizzazione tralasciano la necessità, credendo così di poter respingere ogni obbligo nei confronti della cieca necessità complessiva a favore di una illusoria libertà individuale.

Nell'indagine svolta in questo volume è stata rovesciata questa concezione capovolta della realtà della società umana, ponendo in primo piano la necessità del processo capitalistico complessivo e delle sue conseguenze sull'intero complesso della specie umana divisa in classi, popoli, nazioni, religioni, ecc. e in due tipi di società contrapposte: quella della opulenza e quella della penuria. Abbiamo, così, potuto dimostrare che la necessità, analizzabile scientificamente, riguarda l'economia capitalistica che ha assunto il nome di "Globalizzazione", termine che pretende ringiovanire il capitalismo senescente. E', infatti, la cieca necessità della senescenza capitalistica che abbiamo indagato dimostrando che il caso, l'arbitrio, la soggettività della pratica politica (nazionale e sovranazionale) sono semplicemente conseguenze dell'impossibile teoria scientifica in campi quali la politica del marketing, la politica monetaria e bancaria, la politica energetica, la politica militare, ma ancor prima la giurisprudenza nazionale e internazionale, infine l'etica.

venerdì 18 novembre 2016

Il determinismo secondo Wikipedia e le precisazioni dell'autore di questo blog

"In filosofia e filosofia della scienza si definisce determinismo quella concezione per cui in natura nulla avviene a caso, invece tutto accade secondo ragione e necessità. Il determinismo dal punto di vista ontologico indica il dominio della necessità causale in senso assoluto e nega quindi nel contempo l'esistenza del caso. Il determinismo è associato alla teoria della causalità, sulla quale esso si appoggia". [Esatto! Il determinismo si fonda sulla causa e, di conseguenza, sulla negazione assoluta del caso.]

"Descrizione

Escludendo qualsiasi forma di casualità nelle cose, il determinismo individua una spiegazione di tipo fisico per tutti i fenomeni, riconducendo il tutto alla catena delle relazioni causa-effetto (principio di causalità). La principale conseguenza è che date delle condizioni iniziali tutto quel che accadrà nel futuro è determinato dalle leggi fisiche dell'Universo.

Ciò non vuol dire che si sia in grado di pre-determinare gli eventi: per poterlo fare si dovrebbe conoscere con precisione lo stato di tutte le particelle dell'universo in un dato istante e tutte le leggi che lo governano. Inoltre, ammettendo che ciò sia possibile, l'osservatore che misura questi stati con lo stesso atto della misurazione influenzerebbe la misura, in quanto esso stesso è parte del sistema. Quindi non vi è, in linea di principio, alcun modo per stabilire in modo inequivocabile il determinismo o il probabilismo dei fenomeni fisici."

 [Insomma, il determinismo si preclude da solo la dimostrazione, ossia la prova, della propria esistenza]

mercoledì 16 novembre 2016

"Il significato dell'esistenza umana"

Questo titolo ambizioso è tratto dal libro di Edward Osborne Wilson, uscito nel 2014 e pubblicato su "Le Scienze" di Gennaio 2015. Nelle intenzioni dell'autore questo "significato" va inteso in senso scientifico, come visione del mondo che non dipende dalle intenzioni di un architetto: "nessun disegno tracciato in anticipio, bensì reti sovrapposte di cause ed effetti fisici. La storia del suo dispiegarsi obbedisce soltanto alle leggi generali dell'Universo; ogni evento è casuale, e nondimeno altera la probabilità di eventi successivi".

Ma se ogni evento è casuale che cosa ha a che vedere con le cause e gli effetti? E come può Wilson scrivere: "L'umanità, sostengo, emerse in modo del tutto indipendente attraverso una serie cumulativa di eventi avvenuti nel corso dell'evoluzione. Noi non siamo predestinati a raggiungere alcun obiettivo, né dobbiamo rendere conto a un qualsiasi potere che non sia il nostro. A salvarci sarà solo la saggezza basata sulla comprensione di noi stessi, e non la devozione religiosa"?

lunedì 7 novembre 2016

Supersimmetria - Superstringhe - Teoria M - Paesaggio cosmico

Questi i temi che tratteremo in questo interminabile post, diviso in quattro parti (riferendoci ancora al "Paesaggio cosmico" di Susskind): I] Dalla Supersimmetria alle Superstringhe. II] Dalle Stringhe al Megaverso. III] Digressione sullo spazio concepito dai matematici fisici. IV] Dalla teoria M alle Brane e al Paesaggio cosmico. Conclusioni.

I] DALLA SUPERSIMMETRIA ALLE SUPERSTRINGHE

Dice Susskind che "La parola più gettonata nel vocabolario dei fisici è "super": superconduttività, superfluidità, supercollisioni,  superstringhe... I fisici non vedono spesso messa alla prova la loro inventiva lessicale, ma l'unica parola che sono riusciti a trovare per questo gemellaggio tra fermioni e bosoni è stata Supersimmetria. Le teorie supersimmetriche contemplano l'energia del vuoto perché i contributi dei fermioni e dei bosoni si compensano esattamente".

Ci limitiamo alla seguente distinzione molto semplificata: mentre i bosoni (fotoni) possono occupare lo stesso stato quantico e quindi permettere un comportamento collettivo coordinato come quello di un fascio laser, in cui molti fotoni dello stesso calore agiscono insieme, i fermioni (elettroni, protoni, neutroni), invece, non possono trovarsi nello stesso luogo e possedere le stesse proprietà nello stesso momento. La teoria supersimmetrica afferma, inoltre, che per ogni fermione c'è un bosone gemello e, viceversa, per ogni bosone c'è un fermione gemello. E' il principio matematico di simmetria che ha prodotto questa stranezza. Però Susskind aggiunge: "Ma super o no, la simmetria fermioni-bosoni non è una caratteristica del mondo  reale. Non esiste un superpartner dell'elettrone né di qualsiasi altra particella elementare".

domenica 6 novembre 2016

Leonard Susskind. La fisica dei misteri: costante cosmologica, stringhe, megaverso, inflazione....

Riguardo all'evoluzione dell'universo, Heinz Pagels, in "Universo simmetrico" (1988), ricordava i due scenari opposti che sono stati ipotizzati a partire dalle masse di "grumi" che popolavano originariamente il cosmo: "[1] alcuni scienziati pensano che i primi grumi fossero molto grandi e avessero masse e dimensioni dell'ordine di quelle degli attuali ammassi e superammassi di galassie. In seguito essi si sarebbero frantumati in grumi di dimensioni galattiche. [2] Altri ritegono che i primi grumi fossero relativamente piccoli e avessero dimensioni e masse paragonabili a quelle delle attuali galassie, di cui avrebbero costituito gli embrioni. Secondo questa concezione, dopo essersi formate, le galassie cominciarono ad aggregarsi, costituendo gli ammassi e i superammassi che vediamo oggi". In parole povere: o "prima gli ammassi, poi le galassie" o "prima le galassie, poi gli ammassi".

Sebbene sia un'eccessiva semplificazione dei complessi materiali che si formano nel cosmo, le due teorie sopracitate rappresentano le opposte concezioni dell'universo denominate, rispettivamente, "a scendere" e "a salire". Ora, perché è quest'ultima che sta prevalendo nella comunità dei fisici? Si potrebbe rispondere: perché è quella che più si adatta all'antropocentrismo. L'uomo, e in particolare il fisico teorico, sembra non volere o non potere accettare qualcosa che inizi con grandi dimensioni e in seguito si frantumi e si diradi, mentre riesce a concepire spontaneamente che all'inizio qualcosa si presenti piccolo e poi, col tempo, cresca di dimensioni; ossia, che all'inizio le cose siano separate e poi si aggreghino. Un simile modo di vedere, infatti, rispecchia l'esistenza umana individuale e sociale. Ma è, indubbiamente, segno di uno smisurato narcisismo, del resto tipico dei fisici teorici, pretendere che l'evoluzione del cosmo ricalchi le modalità tipiche dell'evoluzione umana.

Julian Barbour e la pretesa fine del tempo

Secondo il motto "non si butta via niente, perché tutto può essere riciclato", Julian Barbour, autore di "LA FINE DEL TEMPO. La rivoluzione fisica prossima ventura" (1999), recupera l'antica concezione di Parmenide. Dopo aver premesso: "Due diverse visioni del mondo si sono scontrate fino ai primordi della civilità, da quando due tra i più antichi filosofi greci presero posizione contrapposte in materia di tempo e mutamento: Eraclito che sosteneva la necessità dell'eterno scorrere del tutto, e Parmenide che pensava addirittura che il tempo e il moto non esistessero", l'autore "rassicura" il lettore: "io invece sosterrò che l'eterno fluire eracliteo (...) forse non è che una radicata illusione. Vi condurrò in un punto in cui il tempo finisce".

Egli dice che a cambiargli l'esistenza fu una frase letta in un articolo di Paul Dirac, che riguardava il tentativo di unificazione della meccanica quantistica con la relatività generale: "Questo risultato mi ha portato a dubitare del fatto che l'esistenza di quattro dimensioni sia un requisito essenziale della fisica". Riferimento questo abbastanza ambiguo se si pensa che in seguito le dimensioni concepibili sono arrivate a 10 + 1. Ma per farla breve, anche in considerazione del fatto che poche sono le cose sensate o almeno comprensibili e non ambigue di Barbour, la sua principale tesi è espressa nel seguente passo: "sono convinto (!) che il tempo non esista affatto e che il moto sia una pura illusione. Di più: penso che queste mie idee siano suffragate da prove fisiche anche solide. Ho una visione e voglio parlarne".

sabato 5 novembre 2016

La concezione ciclica dell'universo

La fantascienza delle congetture matematico fisiche

Nell'estate del 2014 avevo ripreso in considerazione il materiale di fisica, studiato e sintetizzato da diversi anni, e altro materiale accumulato negli ultimi due anni relativi alla pretesa scoperta del bosone di Higgs e persino del gravitone. In seguito motivi personali mi hanno impedito la "pubblicazione". Ma è arrivato il momento di porvi rimedio. E quale momento migliore del maltempo di questi giorni?

Comincerò con la concezione ciclica dell'Universo, sulla quale si esercita da lungo tempo la fantascienza delle congetture matematico-fisiche. Non c'è ramo della fisica nel quale le congetture non si susseguano con un ritmo così incalzante e frenetico come quello cosmologico. E' sufficiente leggere "A perdita d'occhio" di Asimov per farsi un'idea della paradossale catena di montaggio di assurdità teorico-matematiche prodotte dalla cosmologia già a partire dalla seconda metà del Novecento.

martedì 18 ottobre 2016

Un equivoco storico sul determinismo divino


L'autore di questo blog deve ammetterlo: ignorava che Papa Ratzinger, nel 1987, avesse scritto: "Molto in generale si può dire che se l'inizio del mondo è dovuto a uno scoppio primordiale, allora non è più la ragione il criterio e il fondamento della realtà, bensì l'irrazionale; anche la ragione è, in questo caso, un prodotto collaterale dell'irrazionale verificatosi solo per caso e per necessità, anzi per errore ed in quanto tale da ultimo è essa stessa irrazionale".

Ho appreso questo da un articolo di qualche anno fa (2013), pubblicato da "Scienza in rete" a firma di Cristian Fuschetto, il quale sottolineò anche "l'insofferenza per la teoria del Big bang e per quella evoluzionistica, divulgatrice di una visione "irrazionalistica" della Natura in cui ogni apparente ordine altro non sarebbe se non il frutto di uno "scoppio primordiale" e di "caso e necessità"": insofferenza che non poteva mancare alla teologia ratzingeriana e, più in generale, alla religione.

sabato 15 ottobre 2016

Il fondamento reale della inconciliabilità tra la scienza umana e la scienza divina e veneranda

Occorre partire dalle seguenti due premesse:

 1) Sia i credenti che i non credenti sono sempre stati accomunati dal medesimo interesse verso lo studio filosofico, matematico, scientifico, economico e storico. Anzi, nella relativamente recente esistenza dell'uomo cosciente, sono stati i credenti ad essere i primi depositari della conoscenza: originariamente, i funzionari di qualsiasi religione, i suoi sacerdoti, si sono elevati al di sopra dei loro popoli coltivando la conoscenza. E anche la scienza (europea) moderna è sorta dalla scienza di Dio, dalla teologia.

2) Ma la scienza moderna, a partire da Copernico, Galileo, Keplero, ecc. (scienziati pur sempre credenti) ha introdotto un elemento oggettivo di contraddizione tra la scienza di Dio e la scienza dell'uomo. Questa contraddizione riguarda il principale presupposto: come accostarsi alla conoscenza, come fare scienza? La risposta a questa domanda ha prodotto l'oggettiva inconciliabilità tra libera scienza e religione.

Vediamo perché e come. Lo scienziato non credente o, che pur credente, ritiene di dover conoscere la natura con i propri mezzi, concepisce una libera scienza, senza alcun divieto per le sue possibili scoperte, per le possibili leggi della natura da lui individuate. Lo scienziato credente o che è già scienziato di Dio (teologo) ritiene, invece, che la conoscenza scientifica abbia dei limiti, sia soggetta, insomma, ad alcuni divieti fondamentali, il principale dei quali che nessuna legge di natura scoperta dalla scienza umana può essere in contraddizione con la scienza di Dio, con la teologia, ossia con quella che Aristotele chamò "scienza divina e veneranda".

sabato 20 agosto 2016

Ambiente interno e processo di differenziazione cellulare

Il numero di "Le Scienze" di Gennaio 2015 pubblicò un articolo del biologo Stefano Piccolo, professore di biologia molecolare dell'Università di Padova, dal titolo "LA FORZA DEL DESTINO". "Il suo laboratorio studia come le cellule percepiscono l'ambiente circostante e usano questa informazione per costruire i tessuti."

All'inizio dell'articolo possiamo leggere: "Oggi i biologi tendono a spiegare la vita delle cellule in termini di geni e proteine: il gene A codifica per una proteina che controlla il gene B, che a sua volta codifica per la proteina X e così via, e queste molecole determinano il comportamento cellulare. Alla fine sono i geni a dire alle cellule come comportarsi". E questo è l'illusorio metodo riduzionistico del determinismo biologico. "Ma -aggiunge Piccolo- è sempre più evidente che alcuni dei principali processi endocellulari sono scatenati da trazioni e spinte meccaniche che hanno origine nell'ambiente circostante, come le cellule o i fluidi vicini."

Per rendere l'idea, ci limitiamo a citare soltanto il più facile degli esempi di comportamento delle cellule: "Per esempio, cellule che dispongono di spazio attorno a sé continuano a dividersi, mentre cellule ammassate insieme a migliaia di altre crescono più lentamente o smettono di crescere."

martedì 16 agosto 2016

Un'intervista significativa riguardo al mondo della PNEI

 Si tratta dell'intervista di Stefano Lorenzetti a Enzo Soresi del 15-08-2008


"Dopo una vita passata a dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi, bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, 70 anni, tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche.

La posizione di Soresi è ritenere che esista un interruttore nell'encefalo che può determinare l'accensione o lo spegnimento delle patologie. Ma, da medico, incontra singoli casi umani che deve risolvere. Non accettando l'idea di operare sul caso, pretendendo lavorare sulla necessità, che cosa fa? Parla di combinazioni di fattori, mentre si tratta semplicemente di combinazioni di circostanze singole casuali. Chi scrive ritiene che non esistano interruttori in una dinamica multipla e ciecamente necessaria, nella quale il caso prevale sul singolo individuo e la necessità è, perciò, cieca.

Il mondo della PNEI

Come  risposta al quesito posto da un lettore di questo blog riprendiamo, da "Una finestra sul mondo della PNEI", le seguenti riflessioni, interpretate alla luce della dialettica caso-necessità: "La PNEI di per sè non pone più attenzione alla mente rispetto al corpo o viceversa, ma utilizzando i principi propri dell'epistemologia empirica del metodo scientifico si sforza di chiarificare quelle connessioni che rendono sistema nervoso, mente, immunità e regolazione ormonale un unico e complesso sistema di controllo omeostatico dell'individuo". Potremmo dire che la PNEI affronta lo studio della persona umana singola in maniera olistica, ossia come un complesso, come un tutto. Ma lo fa incontrando, ovviamente, grosse difficoltà dal punto di vista della comprensione di qualcosa che può obbedire soltanto alla dialettica caso-necessità.

"Come sostiene Ader nella Prefazione alla IV edizione di Psychoneuroimmunology, Elsevier Academic Press 2007, i confini tra le varie discipline hanno principalmente motivi storico-politici che possono condurre ad una frammentazione del sapere scientifico. Werner K. Heisenberg (1901-1976) sosteneva che i fenomeni da noi osservati non sono la natura stessa, ma la natura esposta al nostro approccio e metodo investigativo. In altre parole, il metodo con cui il ricercatore approccia la natura (ossia il fenomeno naturale) condiziona in un certo qualmodo i risultati stessi dell'indagine.

lunedì 8 agosto 2016

Il grande rimbalzo del Big Crunch

Oggi su "Repubblica.it" troviamo il seguente articolo dal titolo "L'universo ha avuto inizio con un esplosione o con un "grande rimbalzo" (big bounce)?" E continua:  "O con qualcosa di completamente diverso? La questione delle nostre origini è una delle più spinose della fisica, con poche risposte e un sacco di speculazioni e sensazioni forti. La teoria di gran lunga più popolare è l'inflazione, cioè l'idea che il cosmo si sia espanso esponenzialmente nelle prime frazioni di secondo dopo l'esplosione che l'ha fatto nascere."

L'autore di questo blog ha sempre affermato che la teoria dell'Inflazione è un "falso" tipico della fisica teorica che molto inventa con la matematica astratta e poco o niente garantisce di realistico. Alla teoria dell'"inflazione" si è sempre opposta la teoria del "big crunch" che, sempre ad avviso di chi scrive, non è sfociata nella chiara affermazione dell'universo pulsante: un universo, cioè, che inizi con il massimo di energia repulsiva, la quale si consuma a vantaggio della crescita dell'attrazione, realizzando una dialettica della materia dell'universo che, alternando repulsione e attrazione, dia luogo a cicli di lunga durata. E questa è la tesi dell'autodidatta.

venerdì 8 luglio 2016

Venti anni dopo la pecora Dolly

"Repubblica.it "Le Scienze" 07 luglio 2016 

Venti anni dopo la pecora Dolly, che fine ha fatto la clonazione?
 

Il 5 luglio 1996 nasceva la pecora Dolly, il primo mammifero concepito con una tecnica di clonazione a partire da cellule di ghiandola mammaria di un esemplare adulto. Vent'anni dopo, le applicazioni della tecnica sono ben lontane dalle previsioni di allora, e limitate agli animali di allevamento, mentre la clonazione di un essere umano è stata scongiurata più per motivi etici che per motivi tecnici. Dolly tuttavia dimostrò che anche le cellule di mammifero possono essere riprogrammate, aprendo la strada a importanti progressi nel campo della ricerca sulle cellule.

Era una bellissima giornata di 20 anni fa quando Ian Wilmut e Alan Trounson, scienziati, colleghi e vecchi amici, partirono per un'escursione sulle colline intorno a Edimburgo, in Scozia. Di fronte al panorama della città, Wilmut confidò di avere un segreto da rivelare. Nell'ambito di uno studio più ampio, lui e alcuni collaboratori erano riusciti a far nascere un agnello in laboratorio. Non da una cellula uovo e da uno spermatozoo, bensì dal DNA estratto dalla ghiandola mammaria di una pecora adulta: avevano clonato un mammifero.

“Diamine, ero sbalordito”, racconta Trounson, che, oggi come allora, lavora sulle cellule staminali presso la Monash University di Melbourne, in Australia. Era una giornata calda, ma Trounson sentì ugualmente un brivido lungo la schiena quando si rese conto delle implicazioni del risultato. “Da allora tutto cambiò”. La clonazione di un mammifero sfidava il dogma scientifico imperante a quel tempo. Il successo portò a previsioni fosche e fantastiche: anche gli umani sarebbero stati clonati. Le malattie sarebbero state sconfitte. I bambini persi durante la gravidanza sarebbero rinati. Oggi, due decenni dopo la nascita di Dolly, avvenuta il 5 luglio del 1996, l'impatto della clonazione sulla scienza di base ha superato le aspettative, mentre la realtà di ciò che tecnicamente si chiama trasferimento nucleare, la forma di clonazione utilizzata per Dolly, è in gran parte scomparsa dalla scena pubblica."

Come introduzione all'argomento basta così. Invece, come critica a questa impostazione che allora emozionò una generazione di biologi provocando l'invidia di una generazione di fisici, ripesco un paragrafo dal mio volume inedito "La dialettica caso e necessità in biologia" (1997) 

mercoledì 29 giugno 2016

Finalmente l'ipotesi giusta sulla materia oscura


In questo mese prima alla chetichella, poi sempre più apertamente, gli addetti ai lavori della fisica cosmologica, hanno cominciato ad ammettere qualcosa che fino ad oggi solo un autodidatta aveva ipotizzato.

sabato 18 giugno 2016

Lettere di Platone sui rapporti personali e il caso


Nella seconda lettera al tiranno Dionisio emerge una peculiarità del carattere politico di Platone. Egli inizia chiarendo subito i loro reciproci rapporti: partendo dal presupposto che sono entrambi ben conosciuti da tutti, cita esempi illustri di amici tra i quali Pericle e Anassagora, Creso e Solone per affermare che entrambi devono occuparsi anche del futuro: "gli uomini migliori fanno di tutto per acquistarsi buona fama per l'avvenire". Quindi pone una condizione come premessa: se Dionisio non apprezza la filosofia di Platone, ognuno per la sua strada; se, invece, la considera soddisfacente, più delle altre teorie filosofiche, deve anche onorarne l'autore. E solo dopo, come conseguenza, Platone onorerà Dionisio.

Per Platone era una conseguenza necessaria, che così argomentava: per avere entrambi un buon nome occorre che sia Dionisio per primo a onorare Platone, così si farà la fama di filosofo, mentre se fosse Platone a onorare per primo Dionisio (ovvero lo cercasse per essere onorato) ciò gli procurerebbe un cattivo nome: "si dirà che io ammiro e ricerco la ricchezza; ed è una voce, questa, che, tu lo sai, procura ovunque cattivo nome. Insomma se tu onori me, ne avremo gloria entrambi, se io onoro te, ne avremo entrambi vergogna".

Fine e sottile astuzia il filosofo esprime per mettere le mani avanti e non incorrere nel pericolo d'essere abbandonato e svergognato alla prima contoversia. Oggi si direbbe che egli pretendeva in anticipo una rassicurazione forte. Del resto, già Platone, come in seguito Seneca, dovettero risolvere il problema del rapporto tra filosofo e tiranno in maniera formalmente ipocrita. E ciò si evince dalla lettera tredicesima dove l'autore si mostra più occupato a trattare con Dionisio di affari di compravendita e di personali spese di rappresentanza, che non di filosofia (lettera che, non a caso, non si vorrebbe fosse stata scritta da lui, e perciò si "dubita" dell'attribuzione).

C'è anche da aggiungere che Platone parteciperà in prima persona all'intrigo tra Dionisio e Dione, e in seguito intrigherà anche con i parenti di Dione, ma con un atteggiamento che vorrebbe apparire quello di mediatore che teme di rimetterci le penne.

Socrate era di tutt'altra tempra! Ma il suo discepolo, Platone, aveva "imparato" dalla sorte del  maestro; perciò divenne un abile diplomatico. Nella lettera terza, ricordando a Dionisio la vicenda della cacciata di Dione, scrive: "In seguito un uomo forse, o un dio, o un caso, insieme con te cacciò Dione, e tu rimanesti solo". Citiamo anche la lettera settima per un altro cenno sul caso: "Fu un caso che vi venni, ma forse fu un dio che volle dare inizio a quello che è successo a Dione e a Siracusa" (Lettera ai parenti di Dione). Come si vede, Platone qui si barcamena nelle sue spiegazioni-giustificazioni appellandosi o a un caso o a un Dio.

Non ricordo in quale lettera, forse in quella sopracitata, troviamo una paradossale affermazione: "Perciò, chi è serio, si guarda bene dallo scrivere di cose serie, per non esporle all'odio e all'ignoranza degli uomini. Da tutto questo si deve concludere, in una parola, che, quando si legge lo scritto di qualcuno, siano leggi di legislatore o scritti d'altro genere, se l'autore è davvero un uomo, le cose scritte non erano per lui le cose più serie, perché queste egli serba riposte nella parte più bella che ha; mentre, se egli mette per iscritto proprio quello che ritiene il suo pensiero più profondo, "allora sicuramente", non certo gli dei, ma i mortali "gli hanno tolto il senno"."

Erano anche quelli tempi nei quali esprimere il proprio vero parere poteva essere pericoloso. Socrate se lo permise e mal gliene incolse. Platone non ne ebbe il coraggio, e non è un caso che il suo pensiero abbia accompagnato le preoccupazioni della cristianità dolente nel medioevo e fino alla modernità.

La paura dell'intelligenza ha perseguitato gli uomini di ogni epoca, sebbene in misura diversa. Dopo la sorte toccata a Socrate, Platone era sempre sul chi vive. Questo è il motivo per cui, ad esempio, nella prima lettera a Dionisio, espressa la preoccupazione che le sue idee venissero divulgate, pretese che il destinatario la leggesse più volte per impararla a memoria e poi la bruciasse.

Vediamo ancora qualcosa di interessante, ad esempio, la seguente affermazione sulle cose umane: "Così almeno si può congetturare, per quanto è possibile congetturare quando si tratta di accadimenti umani". Sembra proprio che per Platone la vita individuale fosse più soggetta a circostanze casuali e imprevedibili che a qualche determinazione oggettiva di origine divina.

E così tornando al caso Dione, egli si esprime con una metafora: non c'è niente di strano nelle vicende umane se capita come al buon navigatore "il quale non ignora quando una tempesta lo minaccia, ma non può sapere quanto violenta sarà e quanto imprevedibile sarà la sua forza, e così inevitabilmente sprofonda. Nello stesso modo cause insignificantissime fecero cadere Dione". Ma che cosa sono queste cause insignificantissime se non le conseguenze del caso?

Ancora, nella lettera nona, spedita ad Archita, Platone sottolinea che, sebbene nulla sia più gradito che dedicarsi alle proprie occupazioni preferite, bisogna tener presente che "della nostra vita una parte appartiene alla patria, un'altra ai genitori, un'altra agli amici; e che molto anche si deve ai casi che ci càpitano durante la nostra esistenza". Qui di nuovo egli si appella al caso non apparendo affatto un determinista.

Se poi si vanno a vedere le sue Definizioni, non è poi così strano che manchi il concetto di necessità, mentre troviamo quello del caso, sebbene erroneamente inteso come "processo dall'ignoto all'ignoto, causa accidentale di un evento straordinario".

Per concludere, sottoliniamo di Platone la definizione di dono come scambio di favori e l'importanza attribuita a tutti quei concetti legati alla cosiddetta capacità individuale di esprimere abilità, scelta, volontà, opportunità, previdenza, occasione, ecc. che sono tutti, comunque, appartenenti alla sfera del volubile caso.

mercoledì 15 giugno 2016

Una persona che non vuole comparire mi ha chiesto:

"Come fa Lei a essere tanto sicuro riguardo al realismo scientifico? Pietro Greco, che è un profondo conoscitore di teoria della conoscenza, mostra dubbi e modestamente si chiede se la scienza debba limitarsi a salvare i fenomeni o debba anche rendere conto della loro realtà. Lei, invece, pretende molto di più".

Potrei semplicemente risponderle che la realtà, correttamente intesa, esiste al di fuori di noi, nel senso molto concreto dell'esistenza della realtà materiale che soltanto con l'evoluzione della specie "pensante" ha potuto essere concepita.

venerdì 6 maggio 2016

La natura continua a stupire gli sperimentatori




Sul sito di "Le Scienze" in data 4 maggio è stato pubblicato un articolo dal titolo: La "potatura" dei collegamenti neuronali nel cervello adulto. In questo articolo troviamo un quesito che stupisce gli sperimentatori, i quali non comprendono i processi naturali: essi immaginano che i processi di produzione della natura debbano essere come i processi della produzione umana, cioè economici e non dispendiosi; perciò rimangono molto sorpresi quando scoprono, come in questo caso, cellulle che crescono in grande abbondanza e poi vengono notevolmente sfoltite. Ritengono, insomma, che sia uno spreco inutile.

"La domanda che i neuroscienziati si pongono ora è: perché sprecare energia per formare collegamenti neuronali che non sono necessari?"
Domanda questa che avrebbe valore soltanto se riguardasse la produzione umana: ad esempio in una fabbrica di televisori solo rari apparecchi possono essere imperfetti e perciò vengono scartati. Invece, i prodotti della natura seguono la via opposta, molto più dispendiosa: soltanto una minima parte del prodotto viene mantenuta in funzione, mentre la restante viene eliminata.

In uno dei suoi scritti l'autore di questo blog ha mostrato con due esempi il modo di operare dell'uomo cosciente e il modo di operare della natura incosciente. Il primo esempio, che riguarda l'uomo, è il tiratore scelto che coglie sempre il bersaglio con rarissimi errori; il secondo esempio, che riguarda la natura, è un gran numero di tiratori che sparano a casaccio e solo raramente fanno centro.

Se questo concetto fosse accolto dagli scienziati sperimentatori che cercano come funzionano i prodotti della natura, nessuno di loro si stupirebbe più del modo dispendioso di operare dei processi naturali: come ad esempio la produzione di cellule neuronali. Il ricercatore, invece di stupirsi del grande dispendio della produzione naturale, dovrebbe comprenderlo per poterlo volgere a proprio vantaggio.


giovedì 7 aprile 2016

In futuro post su argomenti a richiesta

Il blog "Studi e riflessioni di un autodidatta" è utile per la conoscenza reale, contro la conoscenza convenzionale e fittizia, e contiene già materiale sufficiente per chiunque voglia chiarirsi le idee in ogni settore teorico, scientifico e storico. Da tempo, però, dopo i post sulla dialettica stupidità-intelligenza, il blog si è fermato.

In passato c'è stato anche chi ha fatto notare la scarsità di visite e commenti, suggerendo un diverso modo di presentarsi. Ma vediamo i fatti: i blog che ricevono molte visite sono quelli che "intrattengono". Nei rarissimi blog che "formano", che trattano argomenti complessi, insomma che richiedono applicazione e studio, i visitatori, invece, latitano, riducendosi a piccoli numeri, che s'incrementano solo nelle vicinanze di sessioni d'esami di maturità e universitari. E' ciò che capita a questo blog.
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