mercoledì 29 dicembre 2010

La dialettica repulsione-attrazione della materia (parte seconda)

Riportiamo integralmente il seguente paragrafo:

La legge del dispendio in fisica

Nella concezione dialettica il dispendio dell'energia è fondamentale per la creazione delle forme materiali. In questo paragrafo riassumeremo le riflessioni, fin qui sviluppate, per precisare la natura di questo dispendio  in quanto dipendente dalla dialettica naturale di caso e necessità.

Dire energia significa dire non soltanto che essa è il contenuto essenziale di ogni forma materiale, la cui caratteristica più evidente è la massa, ma soprattutto che originariamente essa rappresenta il caos della materia informe. Il punto di partenza di ogni ciclo universale è il caso: l'energia allo stato primigenio si manifesta in maniera informe e caotica.

Come si rovescia la casualità delle infinite particelle energetiche nella necessità dei complessi o forme materiali? Mediante decadimenti successivi, che comportano un grande dispendio di energia. Abbiamo visto che la questione si riduce a questo: la repulsione genera il suo opposto, l'attrazione; solo così l'energia repulsiva genera la massa attrattiva, e ciò è coerente con la generazione della necessità attraverso il caso, dell'ordine attraverso il disordine.

domenica 26 dicembre 2010

Indagine sulla dialettica hegeliana per la soluzione dei rapporti di caso-necessità, possibilità-realtà, causa-effetto (parte terza)

La critica hegeliana al "sapere immediato" di Jacobi

Sebbene la concezione di Jacobi, fra quelle fin qui esaminate, sia la più ingenua e superficiale, eppure, proprio per questo, permette di togliere loro la maschera: la concezione infantile qui gioca il ruolo del bambino nella favola del re nudo. Basti pensare che, se il criticismo kantiano, giungendo alla conclusione che il pensiero non può comprendere la verità oggettiva, si deve rifugiare nel dover essere, il sapere immediato di Jacobi, giungendo alla stessa conclusione, si rifugia nella fede, nelle credenze. "Nell'uso linguistico di questo modo di filosofare accade che la parola fede venga pronunziata anche in relazione alle cose ordinarie del presente sensibile. Noi crediamo, dice Jacobi, di avere un corpo; noi crediamo all'esistenza delle cose sensibili" (Hegel, "Enciclopedia").

Seguiamo l'indagine di Hegel: "Nella filosofia critica, il pensiero è concepito come soggettivo, e il suo ultimo e invincibile carattere è l'universalità astratta, l'identità formale; il pensiero vien in tal modo opposto alla verità, che è universalità in sé concreta". "Il punto di vista opposto è nel concepire il pensiero come attività solo del particolare e dichiararlo, per questa via, parimenti incapace di comprendere la verità".

Il "punto di vista opposto" di Jacobi porta il riduzionismo alle sue estreme conseguenze: infatti esso ammette, come oggetto della conoscenza, solo le singole cose, e soltanto le connessioni singole tra singole cose. "Spiegare e comprendere significa, secondo questo indirizzo, mostrare una cosa mediata da un'altra: ogni contenuto è perciò solo particolare, dipendente, finito; l'infinito, il vero, Dio, resta fuori dal meccanismo di questa connessione in cui il conoscere è rinserrato". "Questo punto di vista non si accontenta di aver mostrato che il sapere mediato, preso isolatamente, è insufficiente per la verità; ma la sua peculiarità consiste nell'affermazione che il sapere immediato, preso isolatamente, con l'esclusione della mediazione, abbia contenuto di verità". "Il sapere immediato dev'essere preso, dunque, come fatto".

giovedì 23 dicembre 2010

La dialettica repulsione-attrazione della materia (parte prima) (da "Il caso e la necessità -l'enigma svelato- volume secondo Fisica)

Sotto questo titolo compariranno alcuni post nei quali saranno citati ampi stralci del suddetto libro inedito dell'autore di questo blog, sia in forma di interi paragrafi sia in forma di singole citazioni commentate. Questo materiale, concepito nel 1996, permette al lettore di stabilire la precisa periodizzazione del sorgere di una fondamentale tesi sulla evoluzione della materia.

I   L'evoluzione delle forme materiali e la legge del dispendio

Partiamo dal primo paragrafo del capitolo IV: "Il dispendio si manifesta nel "difetto di massa", che rappresenta il deficit di energia delle forme materiali rispetto all'energia degli elementi che, per dirla alla Hegel, sono tramontati nelle forme materiali stesse. Questo deficit è il risultato di emissione di energia, il che equivale a una diminuzione di repulsione, cui corrisponde un aumento di attrazione che stravolge l'esistenza indipendente degli elementi e li fa "annullare" nel complesso. Ma, viceversa, ogni assorbimento di energia, che raggiunga e superi la soglia del difetto di massa, fa prevalere di nuovo la repulsione la quale provoca la distruzione della forma materiale e la espulsione degli elementi, ricostituiti nella forma originaria.

Ciò che alla fisica contemporanea continua ad apparire come forza di legame tra componenti, tenuti insieme in un composto, è invece il reale prevalere dell'attrazione sulla repulsione che crea un complesso, o forma materiale, nel quale i singoli costituenti, ovvero le forme materiali di livello inferiore, scompaiono come entità autonome".

domenica 19 dicembre 2010

Indagine sulla dialettica hegeliana per la soluzione dei rapporti caso-necessità, possibilità-realtà, causa effetto (parte seconda)

La critica di Hegel all'impostazione metafisica dell'empirismo Humiano e del criticismo kantiano

La prima concezione che Hegel prende in considerazione è la vecchia metafisica, il cui modo di procedere ingenuo "senz'ancora aver coscienza del contrasto del pensiero in sé con se stesso, contiene la credenza che, mediante la riflessione, si conosca la verità e si acquisti la coscienza di ciò che gli oggetti veramente sono. In questa credenza, il pensiero va diritto agli oggetti, riproduce il contenuto delle sensazioni e delle intuizioni facendolo contenuto del pensiero, e ne è soddisfatto come della verità. Tutta la filosofia nei suoi cominciamenti, tutte le scienze, ed anche il modo di procedere quotidiano della coscienza, vivono di tale credenza". (I passi qui riportati sono tratti dall'"Enciclopedia")

E' questo il senso comune metafisico, "che divenne dommatismo, perché, seguendo la natura delle determinazioni finite, doveva ammettere che di due affermazioni opposte, come ne porgevano quelle proposizioni, l'una dovesse essere vera, l'altra falsa". Questo modo di pensare procede, quindi, per antitesi assolute, tra le quali, le principali sono: "accidentalità e necessità; necessità esterna ed interna; cause efficienti e finali, o causalità in genere e finalità; essenza o sostanza ed apparenza; forma e materia; libertà e necessità; felicità e dolore; bene e male". Dunque, le principali polarità del pensiero dialettico furono originariamente concepite in opposizione diametrale tra loro, nella filosofia, e continuarono ad esserlo nella scienza moderna e nel senso comune.

giovedì 16 dicembre 2010

Le illusioni perdute della "più fondamentale delle scienze"

In più occasioni abbiamo criticato il riduzionismo di origine cartesiana nella forma che pone come oggetto della scienza il singolo elemento semplice di un complesso; mentre abbiamo trascurato come inessenziale la seconda forma, quella che riconduce tutte le scienze della natura alla "più fondamentale delle scienze": la matematica-fisica. Sembrano due forme distinte e indipendenti: in realtà la seconda è uno sproposito madornale derivato dalla prima che costituisce un profondo errore di teoria della conoscenza.

In sintesi, che cosa sosteneva Cartesio? Il suo metodo della riduzione dalle idee complesse alle idee semplici partiva dal presupposto che le prime sono involute e oscure, perciò devono essere ridotte per gradi alle seconde, "e poi dall'intuito di tutte le più semplici" si deve "salire per i medesimi gradi alla conoscenza di tutte le altre" ("Discorso sul metodo"). In questo modo egli separò metafisicamente il semplice dal "composto", senza alcuna consapevolezza del fatto che il "semplice" rappresenta il singolo elemento casuale dei numerosi elementi che costituiscono il complesso necessario.

Ma Cartesio poteva ritenere di risolvere le "oscurità" riducendole alla determinazione del semplice, per poi indagare come il semplice viene a comporsi, perché partiva dalla premessa, allora comunemente accettata, che la natura fosse immutabile, a somiglianza di una macchina. Il riduzionismo cartesiano aveva la sua ragion d'essere in una natura immutabile, data una volta per tutte, per la quale ogni cosa era posta sullo stesso piano, come parte di un meccanismo complicato.

mercoledì 15 dicembre 2010

Due forme di memoria in reciproca contraddizione

Un argomento che vale la pena di approfondire, poco sviluppato nella teoria della conoscenza, è la contraddizione esistente tra la forma di pensiero filosofico-concettuale e la forma di pensiero matematico-fisica: forme polarmente opposte che derivano dalla fondamentale contraddizione esistente tra la memoria concettuale e la memoria visiva. Abbiamo già preso in considerazione la memoria straordinaria in senso generale. Come tutti i fenomeni la memoria si manifesta con minore o maggiore intensità fino ai due estremi opposti di esagerazione per difetto o per eccesso:  la smemoratezza o la memoria straordinaria.

Se ora consideriamo le due forme di memoria polarmente opposte, possiamo affermare che valgono per entrambe le situazioni estreme e quella intermedia. Avremo così non solo per la memoria visiva ma anche per quella concettuale individui molto o poco dotati. Hegel, ad esempio, era dotato di una memoria concettuale straordinaria, tanto da non riuscire a perdersi neppure nelle sue elucubrazioni più lambiccate e oscure. Al contrario, Fermi ha rappresentato un esempio di eccezionale memoria visiva, una memoria enciclopedica.

martedì 14 dicembre 2010

La super memoria: il peggior nemico della riflessione

Il punto fondamentale è la contraddizione esistente tra la riflessione concettuale sulla essenza delle cose, dei fenomeni e dei processi e l'eccessiva memoria dei loro minuti particolari. Se questo vale per il singolo individuo, vale anche per l'intera comunità di studiosi, scienziati e storici. Ma vale anche per la tecnologia dei computer che assicura una smisurata memoria e il supercalcolo veloce. L'eccesso di memoria, già individuato in rari individui, è oggi a disposizione di tutti, persino degli smemorati cronici, grazie alla tecnologia dei computer. Il guadagno ottenuto con la quantità dei dati incamerati, registrati, e con la velocità del calcolo, si rovescia nella perdita di comprensione: più cresce l'oceano dei dati empirici e numerici che ci investe, più diminuisce la capacità della comunità scientifica di comprendere l'essenza della realtà.

La novità, rispetto al passato, è che i problemi creati ai rari individui dalla loro supermemoria si estendono a tutti in proporzione all'uso del computer, con la pratica di Internet. Ora qual è il principale problema creato all'individuo dalla supermemoria? Il fatto che non riesce a dimenticare nulla, neppure i momenti peggiori, le offese e persino le impressioni più insignificanti. Con una mente così ingombra e continuamente soggetta a sensazioni e impressioni sempre vive, viene a mancare quel distacco, quella calma della riflessione, quella concentrazione della mente distaccata dal sé, in definitiva la possibilità di riflettere freddamente sulle questioni fondamentali.

lunedì 13 dicembre 2010

Memoria della conoscenza e conoscenza della memoria: Hegel e Diderot

Per Hegel l'individuo è un "serbatoio" di sensazioni, conoscenze, pensieri "senza esistenza". Nell'enciclopedia, egli osserva: "Ogni individuo è una ricchezza infinita di sensazioni, rappresentazioni, conoscenze, pensieri ecc.; ma io sono, tuttavia, perciò affatto semplice: un fondo indeterminato, nel quale tutto ciò è serbato, senza esistere. Solo quando io richiamo alla mente una rappresentazione, io la porto fuori da quell'interno all'esistenza innanzi alla coscienza". Le conoscenze sono conservate senza esistere; ed esistono solo quando sono richiamate alla mente: "Così l'uomo non può mai sapere quante conoscenze egli di fatto serba in sé, quantunque le abbia dimenticate: -esse non appartengono alla sua attualità, alla sua soggettività come tale, ma soltanto al suo essere in quanto è in sé".

La questione del serbatoio di conoscenze, che non esiste se non è richiamato all'attualità della coscienza, viene semplicemente concepita come faccenda di memoria: così appare che il ricordare sia l'aspetto principale. Se così fosse, che cosa accadrebbe se, ad esempio, la conoscenza acquisita dallo studio di migliaia di volumi fosse sempre immediatamente presente alla coscienza? La risposta a questa domanda va cercata nel paradosso della cosiddetta memoria prodigiosa di rari individui nei quali il serbatoio di conoscenze è sempre immediatamente presente alla coscienza, essendo sempre appartenente alla loro attualità.

domenica 12 dicembre 2010

Il fenomeno e la legge scientifica

Possiamo affermare che la dialettica hegeliana ha in sé la soluzione del "rapporto del pensiero con la realtà", aspetto questo che, come abbiamo già visto, fu affrontato da Marx nel suo saggio giovanile sulla differenza tra la filosofia di Democrito e quella di Epicuro. In questo paragrafo ci occuperemo del rapporto del pensiero con la realtà nella forma del rapporto delle leggi scientifiche con il mondo reale. Hegel prima distingue il mondo riflesso in sé dal mondo dei fenomeni, poi considera la relazione dell'uno con l'altro. Poiché l'essenza deve apparire, "l'essenza che esiste è la cosa, e questa è apparenza o fenomeno". Ora, la cosa che esiste è diversa dalla cosa che è: "La cosa viene distinta dalla sua esistenza, come il qualcosa può venir distinto dal suo essere". Ne consegue "la differenza di cosa in sé e di esistenza esteriore". Semplificando, il fenomeno contiene in sé questa distinzione, la quale si presenta come differenza tra ciò che nel fenomeno è destinato al sorgere e al perire, e ciò che invece permane.

giovedì 9 dicembre 2010

Passato e futuro: i tempi lunghi della necessità. Presente: il tempo breve della casualità

"Tutto, si dice, nasce e muore nel tempo, se si astrae da tutto, vale a dire dal riempimento del tempo, e anche dal riempimento dello spazio, restano il tempo vuoto e lo spazio vuoto, -cioè si pongono e si rappresentano allora codeste astrazioni dell'esteriorità come se esse fossero per sé. Ma non è già nel tempo che tutto nasce e muore; il tempo stesso è quel divenire, nascere e morire; è l'astrarre che insieme è; è Kronos, produttore di tutto e divoratore dei suoi prodotti". L'idealista Hegel pone in luogo della evoluzione della materia, dove le forme materiali nascono e muoiono, il tempo astratto, simile a Kronos. La maschera mitologica nasconde la dispendiosa evoluzione della materia che produce e divora tutti i suoi prodotti.

Per Hegel, "Il finito è passeggero e temporale". "Perciò solo le cose naturali sono soggette al tempo, essendo finite: il vero, per contrario, l'idea, lo spirito, è eterno". Le cose naturali sono le forme materiali passeggere e temporali. Come si vede, nel concetto di tempo è contenuta l'idea dell'inizio e del termine: tutto ciò che è temporale, è soggetto al nascere e al perire. L'eternità appartiene a ciò che non ha inizio né termine, ossia, che non ha tempo. Con buona pace di Hegel e di tutti gli idealisti, è la materia che non ha tempo ed è perciò eterna, mentre sono le forme materiali prodotte dalla evoluzione della materia in ogni ciclo universale che hanno un tempo e perciò sono finite. E lo spirito, il prodotto più elevato di una forma materiale: il cervello umano, è tra le cose più brevi e passeggere che l'evoluzione della materia eterna possa produrre ad ogni ciclo.

lunedì 6 dicembre 2010

Indagine sulla dialettica hegeliana per la soluzione dei rapporti caso-necessità, possibilità-realtà, causa-effetto (parte prima)

Premessa al pensiero di Hegel

L'introduzione di Hegel alla "Enciclopedia" può servire come premessa al pensiero hegeliano sulle difficili questioni riguardanti i rapporti di caso e necessità, possibilità e realtà, causa ed effetto, in relazione ai quali egli ha criticato l'empirismo scettico di Hume, la critica trascendentale di Kant, il sapere immediato di Jacobi e ha elaborato la sua concezione dialettica. 

Hegel inizia distinguendo le rappresentazioni dai pensieri: "Sentimenti, intuizioni, appetizioni, volizioni, ecc., in quanto se ne ha coscienza, vengono denominati, in genere, rappresentazioni: si può dire perciò, in generale, che la filosofia pone, al posto delle rappresentazioni, pensieri, categorie e, più propriamente, concetti. Le rappresentazioni in genere possono essere considerate metafore dei pensieri e dei concetti". Egli poi deplora la "mancanza d'abitudine a pensare astrattamente": "alla coscienza sembra come se, col toglierle il modo della rappresentazione, le sia tolto il terreno, che era suo fermo e abituale sostegno". E ne attribuisce la responsabilità sia alla coscienza ordinaria, i cui pensieri "sono vestiti ed uniti con la consueta materia sensibile e spirituale", sia alla "impazienza di voler innanzi a sé in forma di rappresentazione ciò che nella coscienza sta soltanto come pensiero e concetto".

Così, anche Hegel inizia la sua indagine distinguendo ciò che riguarda l'esperienza sensibile, che chiama rappresentazione, da ciò che riguarda l'intelletto, ossia il concetto; distinzione questa, che riflette la differenza tra ciò appare e ciò che è reale. Dopo aver sottolineato che "l'esistenza è, in parte, apparizione, e solo in parte realtà", egli osserva che a parecchi sono sembrate strane le seguenti "semplici proposizioni": "Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale". E giustamente obietta: "Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l'errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure qualsivoglia difettiva e passeggera esistenza. Ma già anche per l'ordinario modo di pensare, un'esistenza accidentale non meriterà l'enfatico nome di reale": "l'accidentale è una esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile, che può non essere allo stesso modo che è".

domenica 5 dicembre 2010

L'inevitabile fallimento della fisica teorica - parte terza

Che cosa mai potrà garantire l'LHC?

Dice Smolin (sempre in "L'UNIVERSO SENZA STRINGHE", 2006)  che uno modo "di reagire al fallimento di una grande teoria consiste nel cercarne un'altra più grande". Le simmetrie non funzionano? Allora dovranno funzionare le supersimmetrie! Ma sono passati decenni senza alcun risultato! Così tutto è affidato alle risposte del Large Hadron Collider.

Se al momento della stesura del suo libro, nel 2006, l'autore prevedeva che l'LHC sarebbe entrato in funzione nel 2007, dopo il guasto del 2008 l'acceleratore ha ripreso a funzionare soltanto nella primavera del 2010 e, al momento (22 agosto 2010), ancora nessun risultato. Chi scrive, da molti anni, ha previsto che l'LHC non risolverà i problemi della fisica teorica non potendo né verificare né falsificare le cosiddette previsioni, a meno di imprevedibili e strani aggiustamenti "ad hoc".

Sembra che anche Smolin sia assai scettico se scrive: "I fisici delle particelle sperano ardentemente che questa macchina porrà fine alla nostra crisi. Innanzi tutto, vogliamo che l'LHC osservi la particella di Higgs (...) Se non succederà, ci ritroveremo in un mare di guai. Tuttavia il settore in cui la posta è più alta è quello della supersimmetria. Se l'LHC osserverà la supersimmetria, i suoi ideatori riceveranno senza dubbio un Nobel. In caso contrario, saranno distribuiti berretti d'asino: non a loro, poiché ideare un nuovo genere di teoria non ha nulla di vergognoso (!), ma a quelli della mia generazione che hanno trascorso tutta la carriera a sviluppare questa teoria".

giovedì 2 dicembre 2010

L'inevitabile fallimento della fisica teorica - parte seconda

Le ragioni della crisi della fisica teorica

Scrive Smolin (Sempre in "L'UNIVERSO SENZA STRINGHE" 2006) che "Negli ultimi trent'anni, i teorici hanno propo­sto almeno una dozzina di nuovi approcci, tutti motivati da ipotesi convincenti (sic!), ma finora nessuno ha avuto successo. Nel regno delle particelle questi approcci comprendono la teoria del technico­lor, i modelli basati sui preoni e la supersimmetria; nel dominio dello spazio-tempo (!), la teoria dei twistor, gli insiemi causali, la supergravità, le triangolazioni dinamiche e la gravità quantistica a loap. Alcune idee sono proprio bizzarre come sembrano".

Ma "Una teoria ha suscitato più attenzione di tutte le altre messe insieme: la teoria delle stringhe" che "pretende di spiegare il gran­de e il piccolo - la gravità e le particelle elementari - e a tale fine formula l'ipotesi più audace di tutte le teorie, postulando che il mondo contenga dimensioni finora inosservate e molte più particelle di quante ne conosciamo oggi. Allo stesso tempo, avanza la proposta che tutte le particelle elementari abbiano origine dalle vibrazioni di un'unica entità -una stringa- che obbedisce a leggi semplici e meravigliose. Sostiene di essere la sola teoria che unifica tutte le particelle e tutte le forze in natura e, come tale, permette di for­mulare previsioni chiare e inequivocabili per qualsiasi esperimento si sia mai fatto e che mai si potrà fare".

domenica 28 novembre 2010

L'inevitabile fallimento della fisica teorica - parte prima

Premessa: l'imprevedibile durata della "tolemaica stringhista"

Lee Smolin è forse l'unico teorico della fisica contemporanea che abbia avuto il coraggio di smascherare le gravi difficoltà che attanaglia­no la fisica teorica (matematica), fino al punto di prefigurarne un quasi inevitabile fallimento. Lo ha fatto naturalmente dall'interno, senza potersi liberare da quella rete di tutele che avvolge ogni appar­tenente alla comunità scientifica, impedendogli di "uscire dai ranghi". Anche perché un fisico matematico, immunizzato fin dalle aule univer­sitarie contro il virus dello spirito critico persino di fronte a pale­si assurdità, finisce col non possedere altro modo logico di pensare che quello metafisico-matematico. E' per questo motivo che, come vedre­mo, le soluzioni proposte da Smolin sulla crisi valgono molto meno del­la sua descrizione della crisi stessa.

Il filo conduttore del suo libro, "L'UNIVERSO SENZA STRINGHE Fortuna di una teoria e turbamenti della scienza" (2006), è una tesi più volte ripetuta dall'autore in svariate versioni. Nell'introduzione troviamo una versione da tragedia greca per la generazione dei fisici contemporanei: "La storia che narrerò -scrive Smolin- si potrebbe interpretare come una tragedia. Per parlare chiaro -rivelando il finale-, abbiamo falli­to: abbiamo ereditato una scienza, la fisica, che aveva continuato a progredire a tale velocità così a lungo che spesso veniva presa a mo­dello per altri generi di scienza. La nostra comprensione delle leggi della natura ha continuato a crescere rapidamente per oltre due secoli, ma oggi, nonostante tutti i nostri sforzi, di queste leggi non sappiamo con certezza più di quello che sapessimo nei lontani anni settanta".

venerdì 26 novembre 2010

Materia oscura: l'intuizione di un autodidatta

Dopo aver letto un brano tratto da "Origini" (2005) di N. de Grasse Tyson e D. Goldsmith, chi scrive ha deciso di ribadire sinteticamente la sua soluzione della materia oscura, basata su una concezione realistica della evoluzione della materia nel cosmo, senza alcuna concessione a fantascientifici universi paralleli o altre cose del genere.

Il brano è il seguente: "Non ci stiamo inventando la materia oscura dal nulla; al contrario, ne deduciamo l'esistenza dai dati sperimentali, e possiamo affermare che la sua realtà è pari a quella dei cento e più pianeti extrasolari […]. Il peggio che possa accadere è che i fisici (o chiunque altro abbia un'intuizione profonda) scoprano che la materia oscura non è affatto composta da materia, ma da qualcos'altro, e che non riescano a confutare la nuova interpretazione. Potrebbe trattarsi dell'effetto di forze provenienti da un'altra dimensione? Oppure di un universo parallelo venuto a intersecare il nostro? Anche se così fosse, nessuna di queste possibilità eliminerebbe la necessità di ricorrere all'effetto gravitazionale della materia oscura nelle equazioni di cui ci serviamo per comprendere la formazione e l'evoluzione dell'universo".

giovedì 25 novembre 2010

Evoluzione naturale: caso e necessità dell'evento straordinario

Gli effetti della larga base della casualità si accumulano di generazione in generazione. Di conseguenza, nei tempi lunghi delle generazioni, si possono verificare, di tanto in tanto, eventi straordinari. Perciò un singolo evento straordinario, statisticamente eccezionale, (nel linguaggio probabilistico, oggi di moda, l'eccezione statistica è considerata un "evento altamente improbabile") può verificarsi, talvolta, nel corso di una o poche generazioni.

Trattandosi di un singolo evento casuale, ogni evento straordinario è imprevedibile; tuttavia, si può prevedere che, sulla larga base degli eventi singoli casuali, si realizzi non soltanto una frequenza media statistica ma anche un evento raro, straordinario, purché possibile. L'uscita di 5 assi in una mano di Poker è impossibile, ma che, in una mano di Bridge, ciascun giocatore possa ricevere tutte le carte di uno stesso seme è possibile, anche se rappresenta l'evento più raro che possa mai verificarsi in questo gioco.

domenica 21 novembre 2010

La soluzione del mistero della gravitazione nello spazio vuoto, privo di dimensioni e geometria

Per Smolin ("L'universo senza stringhe" 2006), "lo spazio ha tre dimen­sioni e una particolare geometria che impariamo a scuola": questo è stato il punto di partenza per le successive concezioni che hanno au­mentato il numero delle dimensioni spaziali. Ma qui non c'interessa il numero delle dimensioni riferite allo spazio: qui ci occupiamo della apparente ovvietà che lo spazio abbia delle dimensioni e una o più geo­metrie.

Il fatto accertato è che la materia, costituendo corpi, può acqui­sire delle dimensioni e una geometria, giacché le figure geometriche sono proprio astrazioni di corpi. Così la geometria euclidea, fornendo tre coordinate, ha permesso di ricostruire forme e dimensioni corporee astratte. Allora, dire che un corpo ha dimensioni spaziali e una geo­metria, significa dire che ha questa o quella grandezza, questa o quella forma geometrica. Ma lo spazio è il vuoto che può essere occupato dai corpi materiali che si muovono in esso. In quanto tale, non ha alcuna dimensione e soprattutto non ha alcuna geometria. O meglio, non ce le ha in senso reale, perché in fisica teorica le ha sempre avute entrambe in senso convenzionale e fittizio.

giovedì 18 novembre 2010

Tre esempi di selezione naturale

Riprendiamo  da "L'evoluzione biologica" (1987) di Luciano Paolozzi tre noti esempi di selezione naturale, per cominciare a verificare in concreto l'impostazione fin qui sviluppata.

Cominciamo dalla falena di betulla, una farfalla nota soprattutto agli agricoltori per i danni arrecati dalle sue larve. E' citata molto spesso nei vari testi come esempio perfetto di selezione operata dall'ambiente. Fino alla metà del secolo scorso (1845), nella zona di Manchester era prevalente la variante di colore grigio brillante con mac­chioline scure, che risultava ben mimetizzata, mentre la variante scura era presente solo nella misura dell'1%. Dieci anni dopo, era salita al 99%. Che cosa era successo? L'introduzione delle fabbriche a Manchester aveva prodotto l'annerimento dell’ambiente a causa del fumo, perciò la falena scura si trovò improvvisamente ben mimetizzata, mentre la variante grigio brillante divenne facile preda dei rapaci. I biologi stabilirono che in questo caso si aveva la prova della selezione operata dall'ambiente.

domenica 14 novembre 2010

Teoria delle stringhe: vittoria postuma di Bellarmino

Quando Lee Smolin ("L'universo senza stringhe" 2006) pone il seguen­te aut aut: "O la teoria delle stringhe è il culmine della rivoluzione scientifica iniziata da Einstein nel 1905, oppure non lo è", non sa che la prima alternativa è molto vicina alla verità (verità che ab­braccia un arco di tempo molto più grande). Egli, ovviamente, ritiene che l'avverarsi della seconda alternativa comporterebbe la non scien­tificità della teoria delle stringhe. Invece, essa non è scientifica proprio perché rappresenta il culmine di quella operazione convenzio­nalistica iniziata da Einstein nel 1905, sul solco tracciato nei secoli dal convenzionalismo bellarminiano. Altro che rivoluzione scien­tifica! Con Einstein si è imposto il definitivo convenzionalismo dei modelli matematici "strani", subito imitato da Heisenberg e Bohr in meccanica quantistica.

Allora, se la teoria delle stringhe "per oltre vent'anni ha cattu­rato l'attenzione di molti tra i più brillanti scienziati del mondo", significa soltanto che il convenzionalismo fittizio ha raggiunto il suo culmine; e la propensione degli stringhisti verso il misticismo teologico conferma che la reazione bellarminiana alla rivoluzione ga­lileiana si è infine saldata con il più irrealistico dei modelli mate­matici-fisici, quello delle stringhe. Insomma, la teoria delle strin­ghe è non solo il culmine della svolta attuata dalla relatività gene­rale e dalla meccanica quantistica, ma è la conclusione naturale della "ex suppositione" bellarminiana imposta quando la fisica cominciò a fare i suoi primi passi.

domenica 7 novembre 2010

Dispendio ed eccezione statistica in biologia

Nell'introduzione alla sua opera fondamentale, Darwin spiega "la lotta per l'esistenza fra tutti i viventi ed in tutto il mondo", facendola dipendere "dalla loro elevata capacità di moltiplicarsi in ragione geometrica", e crede che si tratti della conferma della dottrina di Malthus da parte del mondo vivente. Infatti scrive: "Gli individui di ciascuna specie, che nascono, sono molto più numerosi di quanti ne possono sopravvivere e quindi la lotta per l'esistenza si ripete di frequente".

Se Darwin avesse accettato il fondamento casuale della selezione naturale, avrebbe potuto comprendere il dispendio relativo all'eccesso di nascite rispetto alla sopravvivenza. Invece, dando per scontato il dispendio, cercò la determina­zione necessaria della selezione naturale, credendo di trovarla nella lotta per l'esistenza; ma anche la lotta per l’esistenza doveva essere spiegata e Darwin ne trovò la causa proprio nella elevata capacità di moltiplicazione degli organismi viventi, superiore alla loro capacità di sopravvivere. In questo modo egli ottenne una formulazione determinista, stabilendo una connessione di causa ed effetto.

giovedì 4 novembre 2010

La teoria delle stringhe: croce dei fisici sperimentali e delizia dei matematici puri

Fra i tanti libri e articoli sulla teoria delle stringhe, sceglia­mo, per una breve sintesi critica, l'articolo di Peter Woit pubblica­to su "Le Scienze" (giugno 2007). Il titolo dell'articolo pone una domanda precisa: "La teoria delle stringhe è scienza?" Ma poi l'auto­re introduce un elemento di confusione, scindendo la domanda in due parti: "La questione tende ad assumere due diversi risvolti: il primo è se la teoria delle superstringhe non debba forse essere considerata matematica piuttosto che fisica; il secondo, più drastico, pone il problema se la teoria sia realmente scienza".

Non si tratta di due risvolti di un'unica questione, ma di due di­verse questioni tra loro collegate: la prima è se la teoria (matemati­ca) possa essere realmente scienza, la seconda è se la teoria delle stringhe sia solo una teoria matematica senza alcun corrispettivo con la realtà fisica. Rispetto alla prima domanda, abbiamo già chiarito che la matematica può essere solo scienza delle grandezze, un ausilio alla reale teoria scientifica; perciò, da quando la teoria matematica pura è stata concepita come unica forma di teoria (avanzata) in fisi­ca, questa disciplina è diventata una scienza puramente convenzionale e fittizia. Rispetto alla seconda domanda, la risposta è semplicissi­ma: in fisica ormai l'unica teoria ammissibile deve scaturire da un modello fondato sulla matematica pura, senza alcun corrispettivo con realtà, anche perché si pretende indagare ciò che si dovrebbe trovare ai limiti della realtà, in "regioni" dove non arriva né la sperimentazione né l'osservazione.

mercoledì 3 novembre 2010

Menzogna o verità: il dilemma irrisolto di Umberto Eco

Prendiamo spunto dall'uscita dell'ultimo libro di Umberto Eco (2010) per ricordare i suoi esordi con uno scritto di molti anni fa  "Il nome della rosa".

I petali della gnoseologia contemporanea

Possiamo considerare "Il nome della rosa" una meta­fora, forse involontaria, della confusione gnoseologica contemporanea. I suoi "petali" non sono altro che le vecchie e nuove concezioni del­la filosofia della scienza. Cominciamo con la più vecchia di tutte, il determinismo riduzionistico che pone come oggetto della conoscenza il singolo oggetto, il singolo individuo.

Allora il riconoscimento del singolo cavallo, chiamato Brunello, "sarà la conoscenza piena, l'intuizione del singolare. Così io un'ora fa ero pronto ad attendermi tutti i cavalli, ma non per la vastità del mio intelletto, bensì per la pochezza della mia intuizione. E la fame del mio intelletto è stata saziata solo quando ho visto il ca­vallo singolo…" Così parla il saggio frate Guglielmo; e il suo no­vizio Adso conferma: "Altre volte lo avevo udito parlare con molto scetticismo delle idee universali e gran rispetto per le cose individuali".

domenica 31 ottobre 2010

Dalla casualità dei singoli alla necessità dei grandi numeri


Abbiamo visto che il principio darwiniano della lotta per l'esistenza impone alla selezione individuale una dire­zione benefica, mentre, in realtà, la selezione del singolo individuo è il risultato casuale delle infinite correlazioni tra organismi e ambiente, in tutte le direzioni. Perciò dire che gli individui sopravvissuti sono i più adattati o, viceversa, che gli individui più adattati all'ambiente, ecc. hanno maggiori probabilità di sopravvivenza, significa affermare qualcosa di arbitrario, perché qualsiasi organismo può trovare nei "rapporti infinitamente complessi" ovvero nel "groviglio" della natura, la propria fine accidentale o, al contrario, vantaggi di sopravvivenza persino insperati. Se, invece, da ciò ricaviamo che le specie che si conservano sono in media rappresentate da individui adattati, ciò ha valore solo per il complesso ed ha un valore solo descrittivo, non esplicativo.

Il determinismo ha sempre preteso determinare la necessità complessiva mediante la necessità dei singoli rapporti tra singoli oggetti, individui: così, se conside­riamo un singolo segmento del groviglio della natura, il determinista ci assicura di poter trovare concatenazioni di cause ed effetti. Per spiegarci con un esempio, citato da Darwin, leggiamo che cosa afferma Newman: "In prossimità dei villaggi e delle piccole città ho trovato nidi di bombi in maggior numero che altrove e attribuisco questo fatto al maggior numero di gatti che distruggono i topi". Darwin commenta: "Dunque è perfettamente credibile che la presenza di grandi gruppi di felini in un dato territorio possa condizionare, tramite l’intervento dei topi prima e delle api poi, la densità di taluni fiori del territorio" ("L'origine delle specie").

giovedì 28 ottobre 2010

Sulla "corrispondenza" fra teoria matematica e realtà fisica

Il grande incremento del numero di specialisti che si sparpagliano nei numerosi rami della fisica, da quella teorica a quella sperimen­tale, si accompagna a una vasta produzione di nuove ipotesi e nuovi modelli matematici. Il risultato complessivo è un corpo teorico scon­clusionato che ripropone la questione della "corrispondenza" fra teo­rie matematiche astratte e realtà fisica: questione stringente soprat­tutto in relazione ai costituenti ultimi della materia e al destino dell'universo, la cui risposta riguarda anche il ruolo della matema­tica pura in fisica.

Se si domandasse a un qualsiasi fisico che cosa rappresenta una teoria, risponderebbe certamente, in maniera generica, che una teoria è una rappresentazione matematica della realtà fisica. Ma se gli si chiedesse d'essere più preciso, allora sorgerebbero i distinguo, os­sia le diverse giustificazioni di teorie strane, paradossali e per­sino assurde.

Prendiamo ad esempio Heinz R. Pagels: in "Universo simmetrico" (1985), egli sostiene: "Questa è la grande efficacia della teoria in quanto rappresentazione della realtà: essa ordina le nostre esperienze in modi nuovi e rende intelligibile la complessità delle nostre perce­zioni". In questa definizione, l'ordine è prodotto dalle nostre teo­rie, non è intrinseco alla materia.

domenica 24 ottobre 2010

La lotta per l'esistenza

Una delle prime definizioni della selezione naturale, che troviamo ne "L'origine delle specie", è la seguente: "Grazie a questa lotta per la vita, qualsiasi variazione, anche se lieve, qualunque ne sia l'origine, purché risulti in qualsiasi grado utile a un individuo appartenente a qualsiasi specie, nei suoi rapporti infinitamente complessi con gli altri viventi e con il mondo esterno, contribuirà alla conservazione di quell'individuo e, in genere, sarà ereditata dai suoi discendenti. Quindi, anche i discendenti avranno migliori possibilità di sopravvivere, perché tra i molti individui di una data specie, che vengono periodi­camente generati, solo un piccolo numero riesce a sopravvi­vere. A questo principio, grazie al quale ogni piccola variazione, se utile, si conserva, ho dato il nome di selezione naturale, per farne rilevare il rapporto con le capacità selettive dell'uomo".

giovedì 21 ottobre 2010

L'ingiustificato primato della teoria matematica in fisica

I fisici teorici (matematici) pretendono trovare quelle che chiama­no leggi fondamentali alla distanza di Planck, per poter definire la teoria ultima, finale. Ma perché una teoria finale dovrebbe essere trovata nel 2010 invece che nel 2100 o nel 3000, ecc? E ancora, chi garantisce che questa minuscola distanza esista realmente? E anche esistesse, come arrivare a 10^-33 cm per un tempo di appena 10^-44 sec? Oggi la fisica sperimentale riesce a malapena a raggiungere la di­stanza di 10^-16 cm, corrispondenti alla energia di 10^3GeV. Insomma la minima distanza di Planck è sperimentalmente un nonsenso.

Allora, chi cerca di giustificare la possibilità di una teoria finale deve necessariamente affidarsi alla matematica, proprio perché manca la verifica sperimentale. Ma ammettere il ripiego non farebbe onore all'elevato rango della matematica. Per questo motivo, Leonard Susskind (“Il paesaggio cosmico”, 2006) capovolge il discorso pretendendo che la verifica sperimentale non sia importante, tanto che, a suo dire, la fisica avrebbe potuto farne a meno anche in passato.

domenica 17 ottobre 2010

La selezione ad opera dell'uomo e la selezione naturale

  
Com'e noto, Darwin prende in considerazione la sele­zione delle razze, attuata dagli allevatori, per aver un criterio di comparazione con l'evoluzione delle specie in natura. Il confronto è possibile perché in entrambi i casi si tratta della stessa base materiale, costituita dalle variazioni casuali. Ma c'è una fondamentale diffe­renza tra la selezione ad opera dell'uomo, che è intenzio­nale, e la selezione naturale che è involontaria.

Il termine selezione implica la scelta di ciò che è migliore o preferibile. Perciò, riferito alla pratica dell'allevamento, il termine selezione è ineccepibile; mentre, riferito al processo naturale di origine ed evolu­zione delle specie, può avere soltanto un valore metaforico, come del resto lo stesso Darwin ha più volte sottolineato. Se, al contrario, si sostiene che in natura avviene una scelta di ciò che è migliore o preferibile, ciò significa mantenere l'equivoco del finalismo, attribuendo una inten­zione cosciente a dei processi che sono in realtà ciechi, inconsapevoli e da nessuno voluti.

giovedì 14 ottobre 2010

L'universo e la coscienza

Invece di affermare che la materia nella sua evoluzione ha prodot­to la vita cosciente nel nostro pianeta, Silvio Bergia ("Dal cosmo immutabile all'universo in evoluzione" 2005) afferma: "attraverso il pensiero è come se l'universo fosse arrivato ad acquistare coscien­za di sé". E, dopo aver dato questa interpretazione convenzionale del­la coscienza, egli pretende attribuirle la realtà di una assurda appa­renza: "Questo, a guardar bene, è un fatto ben strano (!). Che della materia "creata" in un evento iniziale, possa, in certe sue parti, co­minciare a riflettere su se stessa e su quanto la circonda, suona, più che bizzarro, assurdo".

Da quando Einstein ha indicato la via dell'utile convenzione per avere successo, i fisici non fanno altro che porre convenzioni al po­sto della realtà, e poi, pretendendo considerarle cose reali, non la smettono mai di stupirsi della loro assurdità: com'è strana questa na­tura! Ma se prendiamo un'altra strada, partendo dalla realtà nuda e cru­da, possiamo affermare che di fronte abbiamo una materia eterna e in­finita in uno spazio e in un tempo infiniti ed eterni, materia che si manifesta mediante universi finiti con un'evoluzione ciclica: perciò nulla si crea e nulla si distrugge.

lunedì 11 ottobre 2010

Beati monoculi (Gould) in terra caecorum (Dawkins)

Kim Sterelny in "La sopravvivenza del più adatto", 2004, sottotitolo "Dawkins contro Gould", tenta una impossibile conciliazione tra due concezioni inconciliabili. Il titolo già la dice lunga sul perdurante equivoco tautologico riduzionistico: nella realtà concreta non esiste una connessione necessaria tra la sopravvivenza del singolo organismo e il suo adattamento all'ambiente; finché esso sopravvive è ovviamente "adatto"; ma se per caso viene colpito da un fulmine, muore pur essendo adatto a vivere.
Insomma, in quanto singolo organismo, è soggetto alla sfera dell'imprevedibile casualità. 

Chi sono i personaggi che si contrapposero tenacemente? Il primo, Richard Dawkins, un etologo inglese, studioso dei costumi e del modo di vivere di piante e di animali; il secondo, Stephen J. Gould, un paleontologo americano di Harvard, studioso di fossili. Entrambi si sono contesi l'eredità di Darwin, il primo con la metafora del "gene egoista", il secondo con la teoria degli "equilibri punteggiati".

giovedì 7 ottobre 2010

Il caso Dawkins

L'opera di Dawkins si può riassumere in un "centone" di metafore esoteriche, accompagnate da prolisse, pedanti e minuziose descrizioni empiriche. L'uso ossessivo di metafore, a cominciare dai titoli delle sue opere, quali il "Gene egoista", il "Monte improbabile", ecc., e l'eccessiva minuziosità delle sue descrizioni non riescono a coprire l'assoluta mancanza di pensiero, l'assoluta incapacità di riflettere. Tanto che riesce persino imbarazzante criticare la sua "teoria" per la banalità dei suoi scarsissimi contenuti.

Prendiamo, ad esempio, il "Gene egoista". Già attribuire una qualità appartenente alla coscienza individuale a un'entità che nessun biologo è mai riuscito a definire univocamente è un non senso. Se ogni uomo è letteralmente un "io" cosciente, egoista, nessuna cosa o organismo può essere considerata un "io" e per giunta egoista. Può esserlo soltanto in senso figurato. Quindi un gene può essere definito egoista per convenzione, non in senso letterale, tanto meno in senso reale.

mercoledì 29 settembre 2010

L'opposizione di Kant a Hume sul concetto di causa

C'è una parte della "Critica della ragion pratica" che Kant dedica al contrasto tra la propria concezione e quella di Hume in relazione al principio di causalità. Seguendo questa critica avremo modo di comprendere le ragioni del fallimento di entrambe le concezioni. Il pensiero di Hume, come abbiamo già considerato, è fondato sulla connessione di causa ed effetto, giustificata solo dall'abitudine. Per Hume non c'era altro da dire sulla inferenza induttiva in particolare, e sulla possibilità della conoscenza umana in generale: di più la conoscenza umana non poteva pretendere, perché la connessione empirica non permette la determinazione della necessità assoluta e, d'altra parte, non esiste alcuna conoscenza a priori. Se l'apriori non esiste, l'aposteriori garantisce soltanto una necessità soggettiva fondata sull'abitudine. E questo scetticismo rappresenta il risultato più ragionevole a cui possa pervenire il determinismo riduzionistico che ha come oggetto di studio la singola cosa.

Kant non ci sta, perché pretende l'esistenza di una conoscenza a priori (sebbene nell'ambito della causalità a posteriori*). In questo modo, però, non supera Hume, perché sostituisce lo scetticismo giustificabile di Hume con una soluzione convenzionale e fittizia. Ma vediamo il nocciolo del contrasto. Kant critica Hume per aver considerato il concetto di causa falso e ingannevole "e, per parlarne nei termini più miti", "un'illusione scusabile, in quanto l'abitudine (una necessità soggettiva) di percepire spesso certe cose, o le loro determinazioni, l'una accanto o dopo l'altra, come associate nella loro esistenza, è presa senza avvedersene per una necessità oggettiva di porre una tale connessione negli oggetti stessi; e così il concetto della causa è usurpato e non è acquistato in modo giusto,...".

sabato 25 settembre 2010

I confini dell'io sono definiti dalla coscienza

Nel suo articolo "I batteri e i confini dell'io", Gottfried Schatz sostiene che il corpo umano è colonizzato dai batteri in una misura tale da dilatare e rendere incerti i confini dell'io. Ponendoci in quest'ordine di idee, potremmo anche accentuare la cosa ricordando che nel nostro corpo ospitiamo (anzi il nostro corpo è costituito di) moltissime colonie di cellule e non solo di tipo eucariotico, bensì anche ancestrali, somiglianti ai batteri (come lo sono i linfociti del sistema immunitario) o ai virus (come lo sono gli spermatozoi del sistema riproduttivo).

La biologia sperimentale ha scoperto nell'ultimo trentennio che il nostro corpo è costituito di numerosissime colonie di cellule di ogni tipo, di batteri e virus, e in quantità molto superiori a quelle che si potevano immaginare al tempo di Schrodinger e del suo famoso "Che cosa è la vita?". Ora, anche se è difficile, per il modo di pensare deterministico riduzionistico della biologia cellulare, accettare questo complicatissimo universo che è l'individuo umano, realmente un contenitore di contenitori assai diversificati, come non vederne l'estrema complessità?

domenica 19 settembre 2010

Tesi del 1996 sulla evoluzione della materia

Tesi di teoria della conoscenza sulla evoluzione della materia

I] Punto di partenza della teoria della conoscenza: la determinazione del reale rapporto caso-necessità. I processi e i fenomeni della natura appaiono a prima vista un groviglio inestricabile di caso e necessità. Il pensiero umano può districare questo apparente groviglio naturale mediante il pensiero dialettico: i concetti di caso e necessità vanno perciò concepiti come opposti polari che si manifestano l'uno mediante l'altro (determinazione reciproca e rovesciamento nell'opposto).

II] Come si esprime la dialettica caso-necessità in natura, e come può essere riflessa nel pensiero? Ogni forma  materiale inorganica e organica può sorgere soltanto in un processo di sviluppo, nel quale essa rappresenta un dato stadio o momento. Il raggiungimento di questo momento non è altro che il risultato da nessuno voluto del rapporto polare tra il caso relativo ai singoli numerosi oggetti o eventi e la necessità relativa al complesso specifico di questi numerosi oggetti o eventi. La casualità dei numerosi elementi che partecipano a un fenomeno o a un processo naturale si rovescia nella necessità del risultato complessivo, sia esso un atomo, una molecola, un corpo, ecc.; sia esso una cellula, un tessuto, un organismo, ecc.

giovedì 16 settembre 2010

Tra il "procurato allarme" e il "mancato allarme" la reale imprevedibilità del singolo evento-terremoto

Comunque gli esperti e le autorità si comportino e decidano, ad ogni terremoto è sempre la solita storia: o si rientra nella categoria del "procurato allarme" o si rientra in quella del "mancato allarme", e ciò accade proprio perché non esiste teoria scientifica in grado di prevedere il singolo evento-terremoto, e quindi di decidere correttamente se è meglio comunicare in anticipo l'evento catastrofico, ricadendo nella prima categoria, oppure se è meglio intervenire dopo, ricadendo nella seconda.  

Prendiamo spunto per queste riflessioni dal post uscito su "Scienza e rete", "Il terremoto e la comunicazione", di Luca Carra che appartiene alla prima categoria in polemica con un autorevole rappresentante della seconda categoria, Enzo Boschi (direttore dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia). Carra esordisce così: "Un pensatore non accademico, Peter Sandman, ha escogitato una formula che spiega bene i danni della cattiva comunicazione del rischio: R = H + O, dove R è il rischio percepito, H il rischio misurato (hazard) e O l'outrage, cioè il senso di offesa, oltraggio, ingiustizia patita che il pubblico prova ogni qualvolta non viene informato adeguatamente di un rischio".

mercoledì 15 settembre 2010

L'origine della nuova teoria della conoscenza fondata sulla dialettica caso-necessità

Vicende personali imprevedibili e contingenti orientarono l'interesse dell'autore di questo blog nella direzione del rapporto caso-necessità fin dal 1983, ma inizialmente senza risultati degni di nota. Anche l'approfondimento della "Dialettica della natura", nella quale Engels aveva posto il problema del rovesciamento del caso nella necessità, se era riuscito a indicare una strada, non mostrava però né l'ingresso, né alcuna via d'uscita. Finché, in una calda giornata estiva del 1985, un'improvvisa intuizione: i singoli elementi di un complesso vanno posti nella sfera del caso, mentre i complessi appartengono alla sfera della necessità. In sostanza, i singoli elementi di un complesso, in quanto tali, sono sempre soggetti al caso, caso che si rovescia nel suo opposto dialettico: la necessità del complesso stesso. 

L'intuizione fu il risultato di un confronto tra due esempi empirici: il traffico su strada dell'epoca contemporanea (suggerito dall'esodo estivo) e le battaglie della prima guerra mondiale (suggerite da letture storiche di quel periodo). Nel primo esempio, il singolo incidente mortale può essere concepito come effettivamente casuale, mentre se consideriamo il complesso del traffico automobilistico, troviamo frequenze statistiche effettivamente necessarie, perché rendono conto della regolarità e della costanza degli incidenti mortali nel loro insieme.

Nel secondo esempio, le lunghe battaglie della durata di mesi evidenziavano una statistica di elevata mortalità complessiva, all'incirca di frequenza 1/2. Quindi la cieca necessità era facilmente riconoscibile come statistica complessiva, sebbene il singolo fante fosse abbandonato ai capricci del caso secondo la probabilità 1/2. Insomma, la probabilità in se stessa non garantisce nulla all'individuo, e la sorte del singolo rimane imprevedibile, mentre la frequenza stabilisce la certezza del risultato complessivo. Nel nostro esempio, facile stabilire che su un milione di fanti, cinquecentomila sarebbero morti, ma impossibile stabilire a chi sarebbe toccato morire.

La scienza attuale, serva di due padroni contrapposti

L'uomo contemporaneo continua a non essere padrone di se stesso, perché resta debitore della propria esistenza materiale e spirituale verso due padroni: il capitale e la religione. Di conseguenza, anche quella che dovrebbe rappresentare la più alta espressione della coscienza umana, la scienza, rimane essa stessa debitrice della propria esistenza verso il capitale e la religione. In particolare, la comunità scientifica è sottomessa alla religione riguardo ai principi teorici fondamentali ed è sottomessa al capitale riguardo agli interessi pratici fondamentali, costretta nel primo caso ad autoimporsi limiti nelle elaborazioni teoriche e nel secondo ad autoimporsi determinati interessi nella ricerca sperimentale. Privata della guida teorica sottomessa alla religione e privata del genuino interesse alla reale conoscenza sacrificato al capitale, alla scienza contemporanea non rimane che rendere i suoi servizi pratici a quest'ultimo, guidata dal solo principio dell'interesse economico.

Ogni cosa al suo posto, caro Hawking

Qual è il posto della scienza? E qual è quello della religione? La religione è forse il più antico prodotto storico sociale dell'umanità: un'esigenza di spiegare l'inspiegabile, di capire e nel contempo di trovare conforto dai mali del mondo, un'esigenza di protezione e anche di sollievo. La stessa esigenza ha dato origine alla scienza, che, per usare una metafora, è stata partorita dalla stessa teologia: dunque una figlia che, cresciuta, ha preteso camminare con le proprie gambe, inciampando però su un sacro divieto.

domenica 5 settembre 2010

Un'ipotesi banalmente realistica sulla "materia oscura"

Punto di partenza il collasso estremo della materia, che produce la massima densità (erroneamente concepita come singolarità del "buco nero"). Ne consegue che il "big bang" è il primo e il più grandioso collasso estremo. L'ipotesi è dunque la seguente: ogni collasso estremo della materia si risolve nella produzione di "materia oscura" in forma di spinar, disco appiattito con grande momento angolare, e di energia-materia irradiata nello spazio circostante, la quale ruota attorno al suo centro, costituito appunto dallo spinar.

Ipotizziamo inoltre che nel primo collasso estremo (big bang) la materia dell'universo in espansione si divida in parti uguali tra "materia luminosa" e "materia oscura". Avremo così che il 50% della materia nella forma luminosa ruota attorno al suo centro costituito dall'altro 50%, che si trova nella forma oscura della massima densità.

sabato 4 settembre 2010

LHC: da 10^2 GeV a 10^3 GeV: che cosa dobbiamo aspettarci?

Per ottenere la crescita di un fattore 10, risultato ancora incerto, sono state spese energie economiche e tecnologiche formidabili. Ma che cosa può rappresentare il raggiungimento di una “distanza” equivalente a 10^3 GeV, se il distacco dalla “lunghezza di Planck” (10^16 GeV) è praticamente incolmabile? Eppure, “Le Scienze” di Bellone avvalora l’attesa entusiastica di una nuova rivoluzione scientifica. Ma delle due, l’una: o a ogni fattore 10 occorrerà rivoluzionare la fisica, e di conseguenza la specie umana dovrà vedere molte di queste rivoluzioni, oppure bisognerà che la materia faccia la cortesia di confermare tutte le aspettative dei fisici teorici (compresa la Teoria del Tutto) già al livello di 10^3 GeV.

giovedì 2 settembre 2010

Il tempo irreversibile e lo spazio reversibile

La vera contrapposizione, nella questione del tempo, è tra una concezione statica, immutabile dell'universo, in genere concepita dai "geometri" (Platone, Cartesio, Einstein) e una concezione evolutiva della materia del cosmo, che nessuno riesce ancora a concepire. Nel primo caso il tempo è un di più, tanto che Einstein, dopo averlo concepito assieme allo spazio nella forma dello "spazio tempo",  lo ha poi abbandonato a favore di un astratto continuum quadridimensionale immaginario a quattro coordinate generiche: x1, x2, x3, x4.

mercoledì 1 settembre 2010

Riflessione notevole sulla discrepanza storica tra scienza e teoria della conoscenza

Will Durant, in "Gli eroi del pensiero" (1926), ha osservato che "la filosofia greca spiccò un salto ad altezze mai più raggiunte, mentre la scienza greca fece un balzo indietro. Il pericolo di noi moderni è quello precisamente opposto: dati induttivi affluiscono da tutte le parti, come la lava del Vesuvio: noi soffochiamo sotto una congerie di fatti non coordinati: la nostra mente è sopraffatta dalla moltitudine delle scienze coltivate che si moltiplicano nel caos della specializzazione per mancanza di pensiero sintetico e di una filosofia unificatrice. Siamo tutti frammenti di quel che dovrebbe essere un uomo solo e completo".

lunedì 30 agosto 2010

Il potere del cervello umano

Balzac, che ha studiato la natura umana in modo ineguagliabile, sia pure utilizzando la forma del romanzo, è giunto a una intuizione profonda del problema storico della conoscenza umana. Nelle sue note che accompagnano "La pelle di zigrino", egli si domanda: "Gli uomini hanno il potere di far venire l'universo nel loro cervello, o il loro cervello è un talismano col quale aboliscono le leggi del tempo e dello spazio?" La sua risposta coglie l'essenza del problema: "La scienza esiterà a lungo a scegliere tra questi due misteri ugualmente inesplicabili..."

sabato 28 agosto 2010

Il dispendio nella religione e nell'etica

"La chiesa riconosce sette peccati capitali e non ammette che tre virtù teologali. Noi abbiamo dunque sette prìncipi di rimorso contro tre fonti di consolazione! Triste problema questo qui: 3:7 = L'uomo: x". Balzac, nel suo "Trattato della vita elegante", intuisce che persino la chiesa è costretta ad ammettere la prevalenza dei peccati sulle virtù: insomma, c'è una sorta di dispendio, ammesso come dogma, nel rapporto tra il male e il bene. E Balzac intuisce il dispendio con il suo corollario, l'eccezione statistica: "Il male sa concludere degli accomodamenti, il bene segue una linea severa. Da questa legge eterna noi possiamo ricavare un assioma... il bene non ha che un modo, il male ne ha mille".

venerdì 27 agosto 2010

Il dispendio naturale nell'intuizione del grande Balzac

La natura realizza con enorme dispendio i suoi prodotti più elevati, primo fra tutti la specie umana, come il "sublime dell'atroce". Nell'usare questa efficace espressione, tratta da "Casa di scapolo", intendiamo rendere omaggio alla penna feconda di idee geniali e locuzioni felici del grande Balzac, il quale aveva intuito il "sublime dell'atroce" della natura.

giovedì 26 agosto 2010

La catastrofe che sconvolse il secolo dei lumi

Il disastroso terremoto che rase al suolo Lisbona nel 1755 mise in crisi la concezione della tendenza economica verso il meglio della natura, ponendo in risalto un dispendioso fenomeno naturale. Ne seguì un dibattito, a livello europeo, sull'ordine e la benignità del mondo. In questo dibattito si mise in luce Voltaire definendo ottimistica la visione di Leibniz e ridicolizzandola nel Candido (pubblicato nel 1759). La canzonatura è riassunta nel motto di Leibniz, "Noi viviamo nel migliore dei mondi possibili", ripetuto dal protagonista alla fine di tutte le sue numerose disavventure.

venerdì 20 agosto 2010

Il serio e il comico del pensiero condizionato

Quando, nel 1794, uscì la seconda edizione de "La religione", Kant fu accusato dal gabinetto del governo prussiano di screditare la religione, e venne invitato a usare meglio della sua fama e del suo talento, secondo le "intenzioni sovrane". La conseguenza fu che egli dovette rispondere scusandosi e promettendo di non trattare più argomenti religiosi.

Questo episodio, fra i tanti che si potrebbero citare, del dominio delle "intenzioni sovrane" sul pensiero degli studiosi, filosofi e scienziati di ogni tempo, può spiegare più facilmente di qualsiasi puntigliosa critica delle loro tesi, il fatto che quelle tesi dovevano essere pur sempre un compromesso tra i risultati raggiunti dal libero cervello e gli aggiustamenti apportati dal cervello "suddito", per renderli accettabili agli occhi sovrani.

martedì 17 agosto 2010

Scienza della natura oggi: lode ai tecnici e biasimo ai teorici

Per criticare il soggettivismo con un semplice motto, diventato un luogo comune, si è sempre detto: "la matematica non è un opinione". Oggi si dovrebbe dire che non solo la matematica, ma tutti i rami della scienza e della teoria della conoscenza sono diventati opinioni. Il pluralismo delle opinioni è stato l'inevitabile conseguenza del pluralismo relativistico, entrambi prodotti della crescita esponenziale di gruppi di scienziati (nell'accezione di Kuhn) che creano paradigmi per ogni quisquiglia. Ormai la comunità scientifica può vantare un numero di addetti ai lavori superiore alla somma di tutti quelli esistiti nel passato.

lunedì 16 agosto 2010

Cattiva diceria sul concetto

"Recentemente ci si poté credere tanto più dispensati dall'affaticarsi attorno al concetto, in quanto che, come fu di moda durante un certo tempo di dire ogni male possibile della immaginazione e della memoria, è da un pezzo diventata un'abitudine in filosofia (...) di accumulare ogni cattiva diceria sul concetto, di rendere spregevole questo, che è il sommo fastigio del pensare, e di riguardare all'incontro come la più alta cima, tanto scientifica quanto morale, l'incomprensibile e il non comprendere". (Hegel, "Scienza della logica).

domenica 15 agosto 2010

Sulla possibilità della conoscenza della verità

Già Hegel, nei primi decenni dell'Ottocento indicava "la grande questione dei tempi moderni: se sia possibile la vera conoscenza, cioè la conoscenza della verità, che, se noi ci accorgiamo che non è possibile, dobbiamo abbandonare l'impresa". Così, se si pone "in questione la possibilità del conoscere vero in genere", diventa solo una "faccenda di possibilità e di arbitrio l'esercitare la conoscenza o ammetterla". Ma per Hegel "il concetto del conoscere ci si è mostrato come la conoscenza stessa, la certezza della ragione: la realtà  dell'intelligenza è, dunque, il conoscere stesso. Segue da ciò, che è una discordanza parlare dell'intelligenza e poi, insieme, della possibilità o arbitrio del conoscere".

sabato 31 luglio 2010

I limiti storici della conoscenza e il tappabuchi teologico

La conoscenza umana, fin dalle sue origini, è stata dipendente dalla teologia, perché l'essenza di ogni concezione teologica è la spiegazione ultima e definitiva di ciò che rimane incomprensibile e inconoscibile in ogni periodo storico. Perciò, quanto più la conoscenza è arretrata, tanto più dipende dalla teologia.

Paradossalmente, ogni generazione di studiosi e scienziati non ha mai accettato i propri limiti e quindi non ha mai affermato decisamente: allo stato attuale non siamo in grado di spiegare e comprendere questo o quel fenomeno o processo reale. Al contrario, la pretesa di spiegare comunque ciò che non si era ancora in grado di conoscere trovava nella concezione teologica del momento (essa stessa "filia temporis") tutte le risposte, tutte le verità dogmatiche, ovvero la "teoria ultima" garantita da un "deus ex machina", causa assoluta dell'ignoto.

venerdì 30 luglio 2010

L'irrisolta questione dell'induzione empirica

Per Nassim Nicholas Taleb ("Giocati dal Caso", 2001), la storia non sarebbe scienza perché costruisce teorie sulla base di eventi passati, ovvero di combinazioni di eventi che potrebbero essere stati generati dal caso, ma soprattutto "perché non c'è modo di verificarne le asserzioni in un esperimento controllato". Questa opinione, talvolta, viene avanzata dai divulgatori della scienza e anche teorizzata da studiosi che non si danno pace per il problema dell'induzione, non risolto né da Hume né da Kant. Non si rendono conto che l'induzione da sola non può verificare nulla, non solo nella storia, ma neppure in campo scientifico.

giovedì 29 luglio 2010

Selezione naturale: un'ambigua metafora meccanicistica

Abbiamo visto in più occasioni che, con "selezione naturale", Darwin ha inteso indicare i risultati della evoluzione della specie nel loro aspetto più benefico e progressivo; e solo con molto pudore egli ha segnalato gli aspetti negativi: il grande dispendio nella mortalità degli embrioni e nelle estinzioni, per additare solo i principali. Ora, anche se si vuole dar credito all'idea (erronea) che nella natura vivente esista qualcosa come un meccanismo che seleziona organi, individui, specie, ecc. più adatti e progressivi, occorre accettare la nuda e cruda realtà: la selezione è principalmente eliminazione dei "non adatti" e in una maniera così dispendiosa che solamente rari organi, individui, specie, ecc. sopravvivono protempore.

Se le cose stanno così, cerchiamo di approfondire la riflessione sul concetto di "selezione naturale", riflessione resa sempre più necessaria dalla circostanza che da tutte le parti, ormai, la si concepisce come un meccanismo, quasi a consacrare il suo lato positivo, creativo e benefico, minimizzando o dimenticando il dispendio relativo alla mortalità neonatale e alle estinzioni di specie, generi, ecc.

La separazione delle "Leggi intelligenti" dal "Caso"! Uno dei tanti compromessi di Darwin

Ad un anno circa dalla pubblicazione del mio opuscolo, "Chi ha frainteso Darwin?", citiamo un paragrafo della seconda parte (Darwin e darwinisti: equivoci e spropositi), dove si mostra che anche l'autore de "L'origine delle specie" ebbe molto a soffrire per l'incompreso rapporto tra il caso e la necessità da parte del determinismo ottocentesco.

"Le riflessioni sulla teoria di Darwin della evoluzione per selezione naturale potrebbero non avere mai fine, perché, se pressoché infinite sono le inferenze empiriche, le interpretazioni oscillano inevitabilmente tra il caso e la necessità, senza soluzione. I numerosi compromessi che egli ha dovuto fare sia nei confronti del determinismo riduzionistico dell'Ottocento sia nei confronti del determinismo teologico, ereditato dal Settecento, dipendono dalla metafisica contrapposizione tra l'osservazione delle "variazioni casuali" e l'insolubile determinazione della necessità della evoluzione delle specie. Per ogni aspetto indagato, ogni volta si è presentata questa insolubile contrapposizione. Come vedremo, la storia del pensiero biologico aveva sistemato le cose in modo tale da rendere allora impossibile la soluzione".

martedì 27 luglio 2010

I processi della natura non sono giochi d'azzardo


I probabilisti che non hanno mai compreso la differenza qualitativa che distingue la probabilità dalla frequenza statistica, e quindi la polarità caso probabilistico - necessità statistica, credono che i processi della natura e i fenomeni naturali siano assimilabili ai giochi d'azzardo. Possiamo considerare i prodotti della natura allo stesso modo, ad esempio, del lancio di una moneta o di un dado?

lunedì 26 luglio 2010

A proposito del Progetto Genoma Umano

Chi conosce la reale storia del progetto Genoma Umano, che ha avuto una imprevista accelerazione e rapida conclusione, grazie alla "Celera Genomics" di Venter (società privata, in competizione con il progetto federale guidato prima da Watson e poi da Collins), sa che si è trattato più di una competizione affaristica che di un grandioso sforzo di conoscenza scientifica.

Dal punto di vista della conoscenza ne sappiamo meno di prima. Certo ora, non si sparano più cifre di 100.000 o 150.000 geni umani, ci si accontenta di 30.000, come già i De Robertis assicuravano negli anni '90; ma è lo stesso concetto di gene che non è ancora compreso. O meglio, si comincia timidamente a comprendere che forse il "gene" (appartenente al DNA) non conta molto, come già a suo tempo Crick aveva compreso del DNA, affibbiandogli l'appellativo di "bionda stupida" incapace di fare qualcosa di utile.

domenica 25 luglio 2010

Kuhn: paradigmi per risolvere rompicapi, il piccolo cabotaggio della scienza

Dobbiamo ad un sociologo della scienza, T.S. Kuhn, una nuova concezione della teoria scientifica che ha avuto molto credito negli ultimi decenni: si tratta della concezione dei "paradigmi", esposta in "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" nel 1962. L'autore fu costretto in seguito ad aggiungere un proscritto (1969) (per rispondere a critiche e a richieste di chiarimenti sul concetto di paradigma), nel quale fornì la seguente definizione: "Il termine di paradigma è utilizzato in due sensi": 1) "Da un lato, esso rappresenta l'intera costellazione di credenze, valori, tecniche, e così via, condivisi dai membri di una comunità". 2) "Dall'altro esso denota una sorta di elemento di quella costellazione, le concrete soluzioni-di-rompicapi che, usate come modelli o come esempi, possono sostituire regole esplicite come base per la soluzione dei rimanenti rompicapi della scienza normale".

Kuhn abbassa la teoria scientifica a livello di regole per risolvere "rompicapi", chiamate, in questo senso particolare, col nuovo termine di "paradigmi". Ma lo stesso nome serve a denotare qualcosa di più generico come "credenze, valori, tecniche". Per capire come egli sia giunto a questo risultato bisogna prendere in considerazione il suo punto di partenza, costituito da gruppi di scienziati specialisti, chiusi nel proprio particolare settore, che egli concepisce sociologicamente come comunità scientifiche legate a particolari paradigmi. In queste comunità, dice Kuhn, avviene una specie di selezione, fino al prevalere di una scuola: "Quest'ultima è generalmente esoterica e indirizzata alla soluzione di rompicapi, giacché l'attività di un gruppo può aver luogo soltanto quando i suoi membri assumono certi fondamenti del loro campo".

sabato 24 luglio 2010

Il sassolino levigato

Un pezzo di roccia si stacca da una montagna, frantumandosi in mille frammenti. Dopo milioni di anni, questi si trasformano in sassolini levigati nel letto di un fiume o in una spiaggia. Sono forse la stessa cosa dell'originario pezzo di roccia? Evidentemente no!

Anche una teoria scientifica è come un pezzo di roccia grezzo, informe e pieno di asperità, che si è formato attraverso un groviglio di ipotesi contrastanti. Ma, dopo secoli o anche solo decenni, le teorie scientifiche, depositate nei libri di divulgazione, nei manuali universitari e soprattutto in quelli liceali, hanno subìto una intensa limatura, apparendo sassolini levigati: così, scomparsi gli angoli acuti delle contraddizioni, queste teorie appaiono perfettamente ordinate, precise, pronte solo per essere consultate o memorizzate. Se poi sono errate, come criticarle in questa forma così levigata? Il "sassolino levigato" non fornisce più alcun elemento di riflessione e di critica.

giovedì 22 luglio 2010

Gould: un dettaglio non indifferente sul funerale di Marx

Nel suo libro testamentario, "I HAVE LANDED", S.J. Gould dichiara la sua passione verso i dettagli che si aggiunge,  a suo dire, contradditoriamente a un'altra sua passione: quella verso il caso. Forse egli non era del tutto consapevole del fatto che i "dettagli" appartengono alla sfera del "caso", ovvero sono imprevedibili e sorprendenti, spesso, come il caso stesso. L'amore dei dettagli, del resto, non favorisce la conoscenza, proprio perché, nei dettagli, incorriamo spesso e volentieri in errori. Per la conoscenza conta molto di più scoprire l'essenza fondamentale dei fatti, degli eventi naturali e storici.

Si può anche aggiungere che i dettagli sono infiniti e per quanti se ne possano conoscere in una determinata disciplina, inevitabilmente molti rimangono ignoti a chi invade campi non di propria competenza. Un esempio in tal senso si trova proprio nel libro appena citato, e precisamente nel capitolo 5: "Il gentiluomo darwiniano al funerale di Marx", dove c'è un passo che contiene un dettaglio erroneo, ininfluente per la conoscenza storica complessiva, ma non certo indifferente per capire gli ultimi due anni della vita di Marx.

lunedì 19 luglio 2010

Concetti fondamentali di teoria della conoscenza III

Concetti della sfera della causalità

Riguardo ai concetti di causa ed effetto, possiamo tranquillamente affermare che, se tutti, a partire da Aristotele, hanno negato l'esistenza del caso come fondamento della necessità, tutti hanno dovuto sostituire il caso con qualcos'altro che, fin da principio, è stato il concetto di causa determinante un effetto. La causalità è stata perciò considerata la principale determinazione di tutte le cose. Ma se le cose apparissero immediatamente connesse in modo tale da poter dire: questa è la causa e questo è l'effetto, non sorgerebbero mai problemi e la scienza sarebbe la più semplice delle operazioni umane.

Il fatto è che ciò che appare è sempre un risultato, e se noi chiamiamo questo risultato effetto, intendiamo con ciò qualcosa che deve avere una causa. Però la causa che genera l'effetto non appare, appare solo l'effetto. In questo senso la causa nascosta è sempre stata concepita come la ragione dell'effetto, e la conoscenza si è sempre posta lo scopo di risalire dagli effetti alle cause. Questa concezione, che ha dominato dall'antichità fino all'epoca moderna, e precisamente fino al sec. XIX, ha trovato la sua prima espressione matura in Platone, che fu anche il primo ad attribuire la causa alla divinità, distinguendo le cause divine dalle concause, e in Democrito, che fu il primo a ritenere di doversi cercare la causa di ogni evento considerato come effetto.

domenica 18 luglio 2010

Probabilità e statistica da Laplace ai teorici dell'Ottocento: Poisson e Cournot

Nell'introduzione a "L'ordine e il caso", l'autrice, Paola Dessì, scrive: "Lo studio della probabilità, proprio a causa dei molteplici significati che il termine assume, può offrire un punto di osservazione privilegiato per comprendere i non semplici rapporti tra scienza e filosofia nell'Ottocento. Come è noto, il concetto di probabilità gode sin dal suo nascere della caratteristica di essere estremamente ambiguo, capace di riferirsi ora all'aspetto soggettivo, ora all'aspetto oggettivo della conoscenza, definibile ora a priori, ora a posteriori, a seconda che lo si consideri una proprietà logica o la semplice espressione di una frequenza".

Sta di fatto "che il riconoscimento dell'impossibilità di raggiungere la certezza se non in ambiti molto ristretti, porterà Laplace a definire la certezza soltanto come limite della probabilità, capovolgendo di fatto la gerarchia usuale e riconoscendo alla probabilità un ruolo fondamentale. In precedenza, infatti, di conoscenza probabile si era parlato soltanto in relazione all'impossibilità di raggiungere una conoscenza certa".

sabato 17 luglio 2010

L’oggetto della provvidenza religiosa: l’individuo singolo

In  "L'essenza della religione", Feuerbach, prendendo in considerazione la concezione teleologica, sostiene che non si può attribuire alla natura il punto di vista umano, gli scopi e i criteri di giudizio umani, "anche se noi, per renderli comprensibili, definiamo e confrontiamo i suoi fenomeni con fenomeni umani analoghi e, in genere, applichiamo ad essi, espressioni e concetti umani, quali ordini, scopo, legge..." In questo passo Feuerbach solleva una rilevante questione gnoseologica che scaturisce dal fatto indubbio che l'uomo, nel tentativo di districare il groviglio dei processi naturali, cerca analogie con la propria attività.

Così Engels aveva osservato, ad esempio, che la connessione di causa ed effetto non viene suggerita all'uomo dalla natura, ma dalla sua stessa pratica. E Darwin utilizzò l'analogia tra la selezione naturale e la selezione operata dagli allevatori. Una cosa è, però, cercare analogie, altra cosa antropomorfizzare la natura, attribuendole "scopi e criteri di giudizio umani". In questo secondo caso, non si tiene presente che tra il modo di operare dell'uomo e il modo di operare della natura esiste una profonda differenza.

venerdì 16 luglio 2010

"Gravità addio"

Secondo lo stringhista Erik Verlinde, scrive Rampini*, "la forza di gravità è un'illusione, una beffa cosmica, o un "difetto collaterale" di qualcos'altro che avviene a un livello molto più profondo". Questo passo di poche righe contiene troppe cose che la fisica con le sue molteplici teorie non ha mai risolto: innanzi tutto è un'illusione la gravità o ritenerla una forza, un campo, un effetto o una causa?

A quest'ultimo proposito, si può citare il Dialogo di Galileo. A Simplicio che afferma con sicurezza: "La causa di quest'effetto è notissima a tutti, e ciascheduno sa che è la gravità", Salviati ribatte: "Voi errate, signor Simplicio: voi dovevate dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravità. Ma io non vi domando del nome, ma della cosa: della quale essenza voi non sapete punto più di quello che voi sappiate dell'essenza del movente le stelle in giro".

lunedì 12 luglio 2010

L'oggetto della conoscenza scientifica: l'individuo complessivo

Le principali questioni teoriche delle scienze della natura richiamano alla mente analoghi problemi di altri campi della conoscenza. La principale domanda, la cui errata risposta sta alla base di ogni difficile e irrisolta questione di ogni ramo della scienza, riguarda la definizione dell'oggetto fondamentale della conoscenza. E' noto che, riguardo all'economia politica, Marx bollò come robinsonate i tentativi di indagare i processi economici partendo dal singolo individuo. Ciò perché, se i singoli individui sociali sono il punto di partenza (casuale) del movimento reale economico-politico, il risultato necessario, analizzabile scientificamente, è rappresentato dalle classi sociali, ossia da determinati complessi di individui sociali. Perciò, per Marx, l'oggetto fondamentale dell'economia politica è la classe sociale, ossia l'individuo complessivo.

Ciò vale in generale per l'analisi della società umana, ma vale anche per qualsiasi indagine particolare, come ad esempio il lavoro manifatturiero. Così, non è il singolo operaio che produce la merce, ma è il complesso degli operai manifatturieri che Marx chiama l' "operaio complessivo". Oggetto d'indagine è dunque l'operaio complessivo non il singolo operaio.

domenica 11 luglio 2010

La dialettica caso-necessità partendo da Engels

Nel paragrafo dedicato alla "Casualità e necessità", (Note e frammenti sulla "Dialettica della natura"), Engels prende le mosse dall'opposizione metafisica tra casualità e necessità: "Che cosa può essere in contraddizione più acuta di queste due determinazioni del pensiero? Com’è possibile che l'una e l'altra si identifichino, che il casuale sia necessario e il necessario a sua volta casuale? Il senso comune, e con esso la grande maggioranza degli scienziati, tratta necessità e casualità come due determinazioni che si escludono l'un l'altra, una volta per tutte. Una cosa, un rapporto, un processo, o è casuale o è necessario, ma non l'una e l'altra cosa insieme". Il pensiero metafisico, stabilita questa scissione, dichiara che unicamente il necessario ha interesse scientifico, mentre il casuale è indifferente alla scienza. "Cioè: tutto ciò che si può ricondurre a leggi generali, passa per necessario, e ciò che non si può, per casuale".

A questa impostazione si oppone il determinismo che opera a sua volta una scissione tra caso e necessità, ma soltanto allo scopo di eliminare il caso e stabilire che tutto è necessario. "Secondo tale concezione- scrive Engels- nella natura impera solo la necessità diretta. Il fatto che questo baccello di piselli contiene cinque piselli e non quattro o sei, che la coda di questo cane è lunga o corta, (...), che una pulce la notte passata mi ha punto alle quattro della mattina e non alle tre o alla cinque, (...): tutti questi sono fatti che si sono prodotti per una concatenazione irrevocabile di cause ed effetti, per una incrollabile necessità: tale, precisamente, da comportare che già la sfera gassosa, dalla quale è sorto il sistema solare, fosse disposta in modo che questi avvenimenti dovessero accadere così e non altrimenti".

sabato 10 luglio 2010

LHC: guasto tecnico o fallimento teorico?


Il "guasto" del supercollisore del CERN, l'LHC, sembra aver suscitato riflessioni teoriche sulla conoscenza scientifica, con l'apertura, dal novembre 2008, di una nuova rubrica su "Le Scienze", intitolata "Scienza e filosofia". A Enrico Bellone, che lasciava la carica di direttore per raggiunti limiti d'età, abbandonando anche la sua rubrica, "Il pensiero forte", subentravano due giovani professori di filosofia della scienza, Elena Castellani e Telmo Pievani, i quali, nella nuova rubrica, hanno cominciato alternandosi e proponendo, rispettivamente, tematiche relative alla fisica e tematiche relative alla biologia.

Ora, che ci sia un nesso tra l'interruzione dell'esperimento al CERN e la novità dell'interesse della rivista "Le Scienze" su questioni di teoria della conoscenza, lo conferma anche il titolo del primo contributo alla nuova rubrica, firmato da Elena Castellani: "LHC e lo scopo della scienza", ma soprattutto il seguente passo: "Quello che succede al CERN tocca aspetti cruciali dell'impresa scientifica, che ne riguarda lo status, il metodo e lo scopo. Sono in gioco questioni di fondo che coinvolgono non solo la natura della scienza come forma di conoscenza che si vuole il più possibile "razionale", "oggettiva" e "fondata", ma anche il suo stesso fine".
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