mercoledì 29 febbraio 2012

2) Storia della nascita della biologia molecolare

Il doma centrale, soluzione fittizia della complessità della vita

(Continuazione) L'impostazione deterministica meccanicistico-riduzionistica del gruppo del fago impose la soluzione che vede l'ordine complessivo risultare dall'ordine a livello dei singoli elementi. Del resto, come nota Olby, i biologi molecolari mostrarono diffidenza nei confronti del concetto di complementarità di Bohr. Questo concetto poteva favorire solo una concezione eclettica come quella della nucleoproteina, mentre i fisici passati alla biologia, i biochimici e i nascenti biologi molecolari cercavano deterministicamente qua la causa e là l'effetto: o era la proteina a dirigere tutta la faccenda o qualcos'altro.

I fagi dimostrarono che l'RNA era l'unico responsabile della infezione dei batteri, e, come scrisse Burnet alla moglie nel 1943, la scoperta che il DNA poteva trasferire l'informazione genetica da un pneumococco all'altro decretò la fine della batteriologia medica, e annunziò il nascere della biologia molecolare. Dello stesso avviso fu Bouvin, che nel 1947 prefigurò la nuova disciplina, la genetica molecolare, prevedendo azioni catalitiche che partono da centri direttivi primari (i geni costituiti da DNA) e, attraverso centri direttivi secondari (RNA, ecc.), e, attraverso centri direttivi terziari (gli enzimi), condizionano tutti i caratteri della cellula.

lunedì 27 febbraio 2012

1) Storia della nascita della biologia molecolare

Suo fondamento: il "dogma centrale" DNA-RNA-proteine

Lo scopo di questo paragrafo è ricostruire in breve sintesi la storia della nascita e dello sviluppo della biologia molecolare, per comprendere sia il successo della teoria del codice genetico sia la sua concretizzazione nella formula del dogma centrale fondato sul DNA. La comprensione di questi due risultati della biologia molecolare è di importanza fondamentale non solo per la biologia ma anche per la teoria della conoscenza, perché in essi troviamo una soluzione, ritenuta definitiva, del rapporto caso-necessità nella scienza della vita.

Questa soluzione però, come tentiamo di dimostrare, è la solita riproposizione del determinismo riduzionistico e meccanicistico, per il quale l'ordine complessivo deriva dall'ordine dei singoli elementi costituenti. Compito nostro sarà, ancora una volta: 1) criticare le contraddizioni di una scienza che persegue una conoscenza soltanto convenzionale e fittizia, 2) offrire una nuova impostazione per la ricerca di soluzioni reali.

La principale contraddizione che scopriamo nella storia della biologia molecolare è quella esistente tra la complessità dell'oggetto di indagine, la vita, e l'impostazione dogmatica che fin dall'inizio questa nuova scienza ha assunto. Cosa questa che è stata messa molto bene in rilievo da Robert Olby nella sua "Storia della doppia elica" (1974), che prendiamo come testo guida per la nostra sintesi.

venerdì 24 febbraio 2012

III] L'apparente dualismo onda-corpuscolo

La reale contraddizione dialettica

(Continuazione) I fisici degli anni '20 del Novecento non potevano neppure subodorare una verità tanto semplice: essi cercavano una verità molto più complicata, strana, eccentrica, si potrebbe dire, a immagine e somiglianza dei loro comportamenti fuori del comune. Del resto erano quelli tempi nei quali si avevano, quasi ancora, sotto gli occhi le immagini di una guerra e di una rivoluzione mondiali, nei quali il genio voleva la sua parte anche immeritata, e la natura doveva per così dire adeguarsi ai tempi, essere per lo meno straordinaria. Poiché, però, la natura ha tempi lunghi di evoluzione, per i quali l'esistenza umana è un momento assai breve, essa ha in uggia l'istante, che all'uomo appare come un tempo di straordinaria rilevanza. In parole povere, la natura è monotona, e non dà soddisfazione che ai complessi ciecamente necessari, lasciando i singoli oggetti e individui alle cure del caso.

I geni della fisica del tempo trovarono, invece, straordinaria la discussione sulla posizione e la velocità della singola particella: per Heisenberg l'una e l'altra avrebbero avuto senso soltanto se fosse stato possibile, mediante determinati esperimenti, ottenerne le misure. Ma il fatto che non abbia senso parlare di posizione e velocità di una singola particella, perché sperimentalmente indeterminabili contemporaneamente, invece d'essere considerato in senso dialettico come prova della oggettiva casualità relativa ai singoli oggetti, fu considerato come conferma dell'idealismo berkeleyano: la materia esiste soltanto se qualcuno l'osserva!

mercoledì 22 febbraio 2012

II] L'apparente dualismo onda-corpuscolo

La reale contraddizione dialettica

(Continuazione) "Nel 1932 de Broglie dimostrò che se le radiazioni presentavano caratteristiche corpuscolari, le particelle materiali presentavano caratteristiche ondulatorie. Le onde "associate" alle particelle -come si cominciò a dire- dovevano avere una lunghezza d'onda inversamente proporzionale al prodotto della massa per la velocità, ossia della quantità di moto, delle particelle, e questa lunghezza d'onda, per elettroni di modesta velocità, doveva trovarsi nella regione dei raggi X, dove fu trovata sperimentalmente". De Broglie non fece altro che utilizzare la formula di Einstein e applicarla a un caso semplice, perché non fu bloccato dal pregiudizio che chiuse la mente a quest'ultimo; quanto a Planck, era troppo preoccupato di sbarazzarsi degli incomodi quanti, per aver tempo di sviluppare la sua stessa formula, E=hf, dalla quale erano uscite fuori facilmente le relazioni di Einstein e di de Broglie.

La conclusione teorica che ne trasse de Broglie fu che la materia (atomi, elettroni e ogni altro costituente elementare) si manifestava non soltanto nella forma di particelle, ma anche, contemporaneamente, come onde. Scrive Asimov ("Il libro della fisica" 1984): "Dunque, la relazione di Planck fra energia e frequenza, nonché quella di Einstein fra impulso e lunghezza d'onda valevano non soltanto per la luce, ma anche per gli elettroni. In seguito gli esperimenti furono ripetuti anche con altre particelle, atomi di idrogeno e atomi di elio, ed ogni volta si ritrovarono le frange rivelatrici". Si poté perciò concludere che "La materia era costituita contemporaneamente da corpuscoli e onde (sic!)".

lunedì 20 febbraio 2012

I] L'apparente dualismo onda-corpuscolo

La reale contraddizione dialettica

L'antagonismo tra la concezione corpuscolare e la concezione ondulatoria della materia, che ebbe inizio con Newton e Huygens, appartiene a quelle che Engels considerava "opposizioni diametrali, rappresentate come inconciliabili e insolubili". "Il riconoscimento che queste opposizioni e queste differenze in verità sono presenti in natura, ma con una validità solo relativa, e che invece quella rigidità e quella assoluta validità con cui sono presentate viene introdotta solo dalla nostra riflessione, questo riconoscimento costituisce il punto centrale della concezione dialettica della natura".

Engels stabilì questo punto fermo nella prefazione alla seconda edizione dell'"Antidhuring", nella quale riassunse la situazione della scienza teorica della natura. Sulla possibilità che, infine, gli scienziati avrebbero finito col comprendere il carattere dialettico dei fenomeni naturali, egli si mostrò ottimista: "Infatti, la rivoluzione che alla scienza teorica della natura è imposta dalla semplice necessità di ordinare le scoperte puramente empiriche, che si accumulano in gran massa, è di tal fatta da dover far comprendere sempre maggiormente, anche all'empirista più riluttante, il carattere dialettico dei fenomeni naturali".

La scienza del Novecento ha, invece, disatteso la previsione di Engels, nonostante l'enorme materiale empirico accumulato nell'ultimo secolo del secondo millennio che sembra dire: aprite gli occhi signori scienziati, le leggi della dialettica le avete ormai sotto il naso. Ma quale scienziato del Novecento ha mai osato affermare come Engels: "E finalmente per me non poteva trattarsi di costruire le leggi dialettiche introducendole nella natura, ma di rintracciarle in essa e di svilupparle da essa"?

giovedì 16 febbraio 2012

III] James Watson, la candida franchezza di un enfant terrible

(Continuazione) Se l'errore di Pauling poteva tranquillizzare sul momento Watson e Crick, a disturbare la serenità dei due "cacciatori di Nobel" fu il timore che, dopo un simile errore, l'illustre chimico si sarebbe gettato a corpo morto sulla struttura del DNA fino a quando non l'avesse risolta, perciò -dice Watson- sperammo che i chimici, suggestionati dal genio di Pauling, non andassero subito a verificare i particolari erronei del suo modello.

Occorreva, però, stringere i tempi. Ora Watson aveva un buon pretesto per andare a trovare Maurice e Rosy con il preciso scopo di ottenere informazioni utili: mostrare loro l'errore di Pauling. Rosy, però, non si lasciò impressionare troppo, perché per lei "neppure la più lontana traccia di prova sperimentale consentiva a Linus o a chiunque altro di postulare una struttura elicoidale per il DNA. La maggior parte dei miei argomenti -scrive Watson- erano quindi superflui, perché si era convinta che Pauling aveva torto non appena io avevo menzionato l'elica".

mercoledì 15 febbraio 2012

II] James Watson, la candida franchezza di un enfant terrible

(Continuazione) In uno di questi ritagli di tempo, Crick si permise un altro errore: dopo una conferenza dell'astronomo Tommy Gold sul "perfetto principio cosmologico", ebbe un scambio di idee con il giovane chimico John Griffith: per analogia, pensò che potesse esistere anche il "perfetto principio biologico". Seguiamo il racconto di Watson: "sapendo che Griffith si interessava agli schemi teorici della duplicazione dei geni, [Crick] buttò là l'idea che il perfetto principio biologico fosse l'autoduplicazione del gene, ossia la capacità che ha un gene di replicarsi esattamente quando il numero di cromosomi raddoppia durante la divisione cellulare. Griffith tuttavia non era d'accordo; per alcuni mesi infatti aveva preferito la teoria secondo cui la duplicazione dei geni derivava dalla formazione alternata di superfici complementari. 

lunedì 13 febbraio 2012

I] James Watson, la candida franchezza di un enfant terrible*

Nella "Doppia elica" (1968), di James D. Watson, è stata la "candida franchezza di un enfant terrible" a presentare alcune delle personalità più eminenti del suo tempo, nel campo della biologia molecolare, come astuti ignoranti, ladri matricolati e utili idioti? Rispondere a questa domanda forse è irrilevante per la conoscenza scientifica; non lo è però per comprendere perché degli scienziati, impegnati in una ricerca di fondamentale importanza, siano divenuti oggetto e soggetto di sotterfugi, inganni, appropriazioni indebite di idee e di risultati. Il giudizio può apparire irrispettoso nei confronti della comunità scientifica, e in effetti lo è, ma il lettore avrà modo di verificare di persona sulla base del materiale che andiamo a presentare.

Scrive Watson: "Allora il DNA era ancora un mistero, in attesa che qualcuno strappasse il velo; e non si sapeva chi sarebbe stato il primo e se avrebbe meritato la vittoria, ammesso che la scoperta fosse davvero emozionante come ognuno credeva in cuor suo. Ma ora la gara era finita, ed io, uno dei vincitori, sapevo che la storia non era così semplice, e certo non come la raccontavano i giornali".

venerdì 10 febbraio 2012

Caso e necessità secondo un fondatore della fisica quantistica

In "Le rivelazioni della microfisica"* De Broglie parte dalla illusione deterministica che "induceva a supporre rapporti rigidi e precisi di successione inevitabile tra tutti i fenomeni naturali e aveva suggerito l'immagine di un determinismo universale", per dire che l'intervento "del quanto di azione non permette di ottenere un'immagine così netta e ben determinata dello svolgimento delle cose: esso implica una certa incostanza e imprecisione negli effetti osservabili che noi trasferiamo nelle indeterminazioni la cui entità è data dal valore numerico del quanto" .

E' la ben nota "perturbazione da parte dello sperimentatore, almeno in microfisica, su quanto viene osservato". De Broglie insiste molto su questa imprecisione, mentre soltanto di sfuggita dice che si tratta di fenomeni statistici "che risultano da un numero immenso di processi elementari".  L'imprecisione riguarda i "processi elementari", o meglio i singoli elementi dei processi della microfisica, dei quali, per la relazione di Heisemberg, è impossibile rilevare simultaneamente "un movimento ben definito e un posto ben determinato nello spazio e nel tempo". Relazione questa, che traduce in linguaggio matematico ciò che, nel concetto della teoria della conoscenza, si può esprimere come il caso intrinseco alle singole particelle di un complesso.

mercoledì 8 febbraio 2012

I fotoni: la forma più sottile della materia, secondo De Broglie

In "La luce e il mondo fisico",* Louis De Broglie sostiene: "In linea di massima, niente vieta che l'energia, conservandosi sempre costante, possa passare dalla forma materiale a quella luminosa, o inversamente. Noi sappiamo oggi che è proprio così: questo fatto elimina la barriera che sembrava separare la luce dalla materia, e alla enumerazione delle proprietà fondamentali che assicurano alla luce un posto privilegiato tra le entità fisiche, ci permette di aggiungere che la luce, insomma, è la forma più sottile della materia".

Occorre essere grati a De Broglie per essere sbottato sostenendo che, insomma, la luce è materiale, ed è precisamente la forma più sottile della materia. Così chiaramente nessuno aveva mai osato esprimersi. Ma la prova di tale assunto è sotto gli occhi di tutti i fisici, e bisogna essere ciechi per non vederla. De Broglie la indica nell'annichilimento di elettrone e positrone, che produce l'emissione di due fotoni: "per cui l'energia di due elettroni si ritrova integralmente sotto forma di energia radiante. Nel caso di questo fenomeno l'energia cambia forma: da materia diviene luce".

lunedì 6 febbraio 2012

Schrodinger e la soluzione statistica del rapporto caso-necessità in fisica

Il fisico, che più di ogni altro si è avvicinato alla soluzione statistica del rapporto caso-necessità, è Erwin Schrodinger. Basta esaminare un suo breve scritto del 1922, "Che cosa è una legge naturale"*, per convincersi che egli fu a un passo dalla soluzione statistica, passo che non riuscì a compiere solo per mancanza di dialettica.

In quello scritto, l'autore inizia chiarendo il principio deterministico della scienza fisica. Gli eventi che accadono nell'ambiente fisico, egli dice, si mostrano all'esperienza non come successioni casuali, bensì con una notevole regolarità. Da ciò è sorta l'idea della connessione generale e necessaria dei fenomeni fisici, valida anche per quei fenomeni dei quali non si siano ancora scoperte le cause determinanti. "In altre parole si ammette che ogni fenomeno naturale sia quantitativamente e assolutamente determinato almeno dall'insieme delle circostanze o dalle condizioni fisiche iniziali". E questo postulato, egli dice, si chiama "principio di causalità".

Questo principio, che ha dominato le scienze in generale, e la fisica in particolare, viene demolito da Schrodinger nel seguente modo: "Negli ultimi decenni la ricerca fisica ha dimostrato inequivocabilmente che per lo meno la schiacciante maggioranza dei fenomeni, il cui svolgimento regolare e invariabile ha indotto a stabilire il postulato della causalità generale, ha per radice comune della stretta regolarità osservata il caso". Ma come si perviene dal caso alla regolarità, alla necessità?

venerdì 3 febbraio 2012

Hegel, l'interna contraddizione di tutte le cose

Secondo Hegel ("Logica"), il pensiero metafisico ha sempre respinto la contraddizione, come qualcosa che "non si può né rappresentare né pensare", ritenendola, "sia nella realtà, sia nella riflessione pensante, come un'accidentalità, quasi un'anomalia e un transitorio parossismo morboso". All'opposto egli sostiene che "Tutte le cose sono in se stesse contradditorie". Non solo, ma che "bisognerebbe prendere la contraddizione come la più profonda e la più essenziale (delle determinazioni). Poiché di fronte ad essa l'identità non è che la determinazione del semplice immediato, del morto essere; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un'attività, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione"

Guidati da questa idea della contraddizione intrinseca alle cose, i maestri della dialettica materialistica, Marx ed Engels, hanno analizzato la società, la storia umana, e anche la natura, come evoluzione di processi in se stessi contraddittori. Quindi hanno cercato e anche trovato determinate contraddizioni, specifiche di quei processi, giustificandole concettualmente come contraddizioni dialettiche. Ma che cosa è una contraddizione dialettica?

mercoledì 1 febbraio 2012

Il reale contrassegno della scienza moderna partorita dalla teologia

Se, a questo punto, facciamo un bilancio dei risultati fin qui raggiunti, possiamo rilevare l'esistenza di una profonda contraddizione nel pensiero scientifico moderno. Abbiamo visto che il vero oggetto della scienza è il complesso necessario, mentre il singolo individuo, sottoposto al dominio del caso, è divenuto oggetto della religione che lo ha concepito teologicamente come qualcosa di predeterminato, ossia necessario.

Ora, il pensiero riduzionistico (Cartesio, Leibniz, ecc.), riducendo il complesso al semplice (ossia riducendo ciò che considerava indeterminabile, il complesso, a ciò che considerava determinabile, il singolo oggetto o individuo) non ha fatto che ricalcare le orme della teologia: il riduzionismo, in questo senso, non rappresenta nient'altro che il metodo della scienza moderna che riduce il suo oggetto all'oggetto della teologia.

Questo paradosso si spiega soltanto mediante una contraddizione oggettiva così profonda che mai finora era emersa. Un fondamento del pensiero dialettico materialista è l'idea che l'uomo, il prodotto più elevato della natura, ne rappresenta la coscienza stessa, ovvero che l'uomo è in grado di riflettere i processi naturali. Ma la natura, ovvero l'insieme di tutti i processi complessivi della materia in movimento, può essere riflessa solo da una coscienza collettiva, la quale può essere espressa solo da una scienza capace di rendere ragione delle necessità naturali che si manifestano non nelle singole cose, nei singoli eventi, bensì nei complessi evolutivi.
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