martedì 3 giugno 2014

Conclusioni sull'individualismo egocentrico di Schrodinger

Schrodinger vorrebbe che la personalità dello scienziato contasse di più: "se la personalità ne è [dall'immagine del mondo] esclusa per convenzione, come potrebbe essa contenere l'idea più sublime che si presenta nello spirito umano?". Così, egli si preoccupa del fatto che l'immagine scientifica del mondo "è di un silenzio spettrale su tutti i problemi generali e particolari vicini al nostro cuore, che hanno veramente importanza per noi. Non ci può dire una parola sul rosso e l'azzurro, l'amaro e il dolce, il dolore e la gioia fisica; non sa nulla della bellezza e della bruttezza, del bene e del male, di Dio e dell'eternità".*

E' la solita storia: prima si fanno astrazioni e poi si pretende mangiare la frutta e non pere e mele. E se le pere e le mele non sono considerate oggetti del mondo reale indipendente dalla nostra coscienza, ma soltanto dei costrutti personali o comuni di sensazioni quali dolce e amaro, ecc., come stupirsi poi che si pretenda mangiare o assaporare la frutta in quanto tale e si rimanga delusi perché la scienza non ci dice nulla della frutta in quanto tale? E se le "mie sensazioni", in comune con le altrui sensazioni, mi fanno costruire l'immagine di Dio e del diavolo, perché la scienza non fornisce informazioni a tal proposito?

Queste contraddizioni, queste pretese dell'individualismo egocentrico, derivano dalle seguenti ubbìe: se, in teoria, lo studioso idealista o agnostico o semplicemente confuso nega l'esistenza materiale del mondo indipendente dalla coscienza e pretende di farlo passare come manifestazione dello spirito o delle sensazioni, di fatto, quando poi deve parlare di questo mondo, lo tratta proprio come un mondo reale e indipendente. Altrimenti che senso avrebbe sostenere una evoluzione della materia per milioni e miliardi  di anni in una concezione soggettivistica del mondo come "sensazione comune"? Così, dopo aver teorizzato un mondo farraginoso, costruito dalla mente dell'uomo, e perciò limitato, incapace di fornire risposte alle principali domande dell'uomo stesso, Schrodinger è costretto a trattare questo mondo come entità indipendente, composta di avvenimenti che si svolgono nei tempi molto lunghi dell'evoluzione. E l'uomo come vi compare? Come uno degli avvenimenti.

Così scrive: "Il mondo è vasto, grandioso e bello. La mia conoscenza scientifica sugli avvenimenti che vi si manifestano abbraccia centinaia di milioni di anni; e d'altra parte essa è contenuta nei miseri settanta od ottanta o novant'anni che mi sono concessi -un minuscolo istante nel tempo incommensurabile, anzi persino nel numero finito di milioni e miliardi di anni che ho imparato a misurare e valutare. Donde vengo e dove vado? Questo è il grande insondabile problema, lo stesso per ognuno di noi. La scienza non ha risposta. Eppure la scienza rappresenta il punto massimo che siamo riusciti a raggiungere nella ricerca d'una conoscenza sicura e incontrovertibile. D'altronde la nostra vita, come forma qualsiasi di creatura umana, dura tutt'al più da circa mezzo milione di anni. Da quanto sappiamo, possiamo prevedere, anche limitandoci a questo particolare globo terrestre, un avvenire di alcuni milioni di anni".

Ma se la durata della vita della specie umana può essere prevista [ottimisticamente] in "alcuni milioni di anni", e se la durata della vita di ogni singolo uomo conta poco meno di cento anni, perché lamentarsi del fatto che la scienza non abbia una risposta alla domanda: da dove vengo e dove vado? Già la distinzione tra singolo individuo e specie, in relazione alla durata della vita, è una chiarissima risposta. Il fatto è che l'individualismo egocentrico da quell'orecchio non ci vuole proprio sentire: pretende per sé qualcosa di più di una vita effimera!

Da Feuerbach abbiamo appreso i motivi per i quali la scienza non può avere come suo oggetto di studio la sorte del singolo individuo, in quanto soggetto al caso. Sempre da Feuerbach possiamo apprendere che è il narcisismo egocentrico a respingere l'oggettiva posizione casuale dell'individuo nel mondo. Schrodinger rappresenta un esempio, sebbene cotraddittorio e perciò più interessante, di questo assunto: la mia vita, dice, è solo un istante nel tempo incommensurabile. Se a questa brevità della vita aggiungiamo ciò che egli ha compreso statisticamente, e cioè l'irrilevanza della maggior parte delle azioni e dei risultati dell'individuo singolo, che si disperdono nella media collettiva, allora possiamo comprendere lo scoraggiamento: l'individuo egocentrico è un soggetto bisognoso di consolazione: qui, come aveva ben compreso Feuerbach, entra in scena la religione che lo consola lusingandolo: lassù qualcuno ti ama.**

A Schrodinger basterebbe che l'individuo contasse di più, che potesse essere il protagonista della evoluzione, ovvero, che potesse trasmettere alla sua progenie almeno i risultati delle proprie azioni attuate al fine di migliorare le proprie qualità fisiche e mentali; ma anche questa aspirazione è vanificata dal processo reale dell'evoluzione: le variazioni sono puramente casuali e la selezione è statistica, perciò l'individuo è un soggetto passivo.

Allora, tentato dal lamarkismo, in quanto più congeniale alle aspirazioni dell'individuo, scrive: "La teoria di Lamark attrae infinitamente di più della cupa passività apparentemente presentata dal darwinismo. Un essere intelligente che consideri sé stesso un anello della lunga catena della evoluzione può, in base alla teoria di Lamarck, confidare che le sue fatiche e i suoi sforzi per migliorare le proprie qualità fisiche e mentali non siano perduti in senso biologico, ma formino una parte esigua, però integrante, del progresso della specie verso una perfezione sempre più elevata. Sfortunatamente il lamarckismo è insostenibile".

Ma se Schrodinger avesse riflettuto un pò di più, e più realisticamente, sulla storia della specie umana, non avrebbe ritenuto una sfortuna la non trasmissione dei caratteri acquisiti nelle più diverse attività: guerre e stragi comprese!

[Paradossalmente la chiusa di questo post riporta alla mente dell'autore un suo paragrafo (sempre appartenente al volume primo di teoria della conoscenza) che può integrare le suddette conclusioni: si tratta di un'indagine sulla posizione kantiana in relazione al rapporto singolo-complesso (individuo-specie) nella storia. Sarà il prossimo post]


* Da "L'immagine del mondo": capitolo 11 "Il futuro dell'intelligenza umana" (1950)

** "Nelle "Lezioni sull'essenza della religione", Feuerbach scriveva a questo proposito: "Ma è una rappresentazione ben accetta all'amore di sé dell'uomo che la natura non operi con immutabile necessità, ma che al di sopra della necessità della natura vi sia un essere (...) che ama gli uomini".

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato  Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito

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