mercoledì 30 agosto 2017

Le cellule e l'ambiente interno: un dispendioso processo

"Le Scienze"19 luglio 2017

"Come fanno le cellule a percepire il loro ambiente


Per differenziarsi e rispondere correttamente all'ambiente circostante, le cellule dei diversi tessuti e organi, pur essendo immerse nella rete di fibre della matrice extracellulare, devono potersi muovere almeno un po' e cambiare forma. La scoperta contribuirà a comprendere come fanno le cellule tumorali a colonizzare tessuti diversi da quelli in cui si sono sviluppate.

Per ottenere dall’ambiente circostante le informazioni necessarie a un corretto funzionamento, le cellule del corpo devono poter compiere piccoli movimenti e cambiare forma. A scoprirlo sono stati ricercatori del Lewis-Sigler Institute for Integrative Genomics a Princeton, dell’Università Ludwig-Maximilians a Monaco di Baviera e della Harvard University che firmano un articolo su “Nature Communications”.


Ma che cosa avrebbero scoperto di diverso, rispetto all'ipotesi dell'autore di questo blog, secondo la quale è l'ambiente a condizionare determinati tipi cellulari? Vediamo:

lunedì 28 agosto 2017

10) Il meccanicismo teleonomico della biologia molecolare nasconde la soluzione statistica dell'immunologia

E' sempre capitato a ogni nuova disciplina della scienza della natura che, invece, di arrivare a comprendere il movimento reale si ripetano da capo le solite baggianate. E' successo all'immunologia ed è accaduto alla biologia molecolare: si tratta sempre delle solite baggianate meccanicistiche riduzionistiche: se l'immmunologia, di primo acchitto, ignorò il caso e pretese riduzionisticamente che ogni antigene istruisse ogni cellula linfoide secondo il principio della specificità immunologica, la biologia molecolare non fu da meno stabilendo il principio della replicazione esatta del DNA, intesa come assoluta corrispondenza tra sequenze di DNA e geni codificanti. E neppure la scoperta delle sequenze "non codificanti" ha modificato il modo di concepire il processo DNA-RNA-proteine.

Ma, mentre i biologi molecolari hanno considerato strane e paradossali le deviazioni dai princìpi che essi avevano stabilito, gli immunologi hanno dovuto riconoscere un fenomeno inatteso: l'estrema variabilità sia delle cellule linfoidi che dei loro prodotti immunoglobulinici. Perciò, hanno dovuto ammettere che il fenomeno era comprensibile soltanto in termini statistici. Ma la constatazionr di un fatto non significa ancora giusta interpretazione: così, invece di attribuire la variabilità al cieco caso relativo ai miliardi di singoli elementi in gioco, la maggioranza degli immunologi si sono intestarditi a cercare meccanismi finalistici, pretendendo identificarli in ogni singolo momento del processo.

sabato 26 agosto 2017

9) La soluzione statistica e l'incomprensione del rapporto caso-necessità nella "nuova immunologia"

Nel 1986 usciva, per le Edizioni "Le Scienze", una pubblicazione dedicata al recente sviluppo dell'immunologia. Il curatore, Franco Celada, riassumendo nel primo scritto del testo* l'evoluzione della teoria immunologica, scriveva: "Con una procedura tipicamente darwiniana si ottiene pertanto un risultato che può apparire dettato da richieste teleologiche: un buon esempio di ciò che Monod nel suo Il Caso e la Necessità ha chiamato "teleonomia".

Affermazione questa che, ancora una volta, dimostra la capitolazione dell'ennesima branca della scienza della natura di fronte all'incompreso rapporto caso-necessità. Come abbiamo già mostrato, non solo Monod non ha contribuito a risolvere il suddetto rapporto, ma lo ha eluso introducendo un termine fuorviante tratto dall'informatica: la teleonomia. Poiché abbiamo già trattato a fondo questo aspetto, qui ci limiteremo a verificarne le conseguenze negative nel campo dell'immunologia.

Celada, dopo aver invocato la teleonomia, sottolinea i grandi numeri degli elementi cellulari e molecolari che partecipano ai processi immunitari. Ai dati che abbiamo già considerato, egli aggiunge, mettendolo in risalto, il ritmo del ricambio cellulare: 10 alla 7 nuove cellule al minuto, che testimonia un gigantesco dispendio. Questo dato può essere espresso anche nel modo seguente: in poco più di un mese il ricambio equivale ai mille miliardi di cellule linfoidi presenti in media nell'organismo umano.

giovedì 24 agosto 2017

8) Il principale contrassegno del processo immunitario: l'involuzione delle cellule linfoidi

Dall'articolo di Milstein*, pubblicato su "Science" del 1985, si possono trovare sufficienti elementi per una interpretazione realistica della formazione dei linfociti B, che rappresentano le cellule anticorpali del sistema immunitario. I biologi hanno potuto fornire agli immunologi le basi per venire a capo del processo immunitario, quando hanno scoperto la struttura del genoma delle cellule linfoidi grazie al metodo del DNA ricombinante. Ma, nel cercare di venirne a capo, gli immunologi non sono stati capaci di comprenderlo teoricamente, perché fuorviati dalla "nuova immunologia" fondata sul concetto fittizio di riconoscimento-informazione.

Occorre, perciò, reinterpretare in termini dialettici le conclusioni della "nuova immunologia", ponendo il caso dove per gli immunologi c'è un meccanismo, un'informazione, ecc. Si tratta, inoltre, di mostrare il paradosso apparente per cui il sistema immunitario, che può essere considerato un prodotto maturo dell'evoluzione, e perciò un progresso evolutivo, dipende da trasformazioni di cellule staminali in cellule linfoidi che rappresentano una decisa involuzione, un vero e proprio ritorno ai primordi; ma sono proprio i caratteri arcaici di queste cellule che permettono il processo immunitario  negli organismi pluricellulari evoluti. Come abbiamo già dimostrato nella precedente sezione, l'evoluzione del "tutto" è prodotta dall'involuzione delle sue "parti".

martedì 22 agosto 2017

7) Pioggia di meccanismi sull'immunologia

Nel breve saggio di Edelman, "Il problema del riconoscimento molecolare mediante un sistema selettivo", pubblicato nel 1974, viene ripercorsa la storia del pensiero immunologico dal punto di vista meccanicistico. Mentre, come abbiamo visto, il termine di "meccanismo" si insinuò all'inizio timidamente fra i termini classici di "processo", "fenomeno", "sistema", a cominciare dagli anni settanta i meccanismi precipitarono a pioggia sulla Immunologia. Basta sfogliare il ponderoso volume "Microbiologia" (autori: Davis, Dulbecco, Eisen e Ginsburg), per rendersi conto del fenomeno: in ogni pagina, almeno, una mezza dozzina di meccanismi.

Secondo Edelman: "Nell'ultimo decennio, l'immunologia è stata profondamente modificata da due trasformazioni fondamentali: la teoria della selezione clonale e l'analisi chimica della struttura degli anticorpi. In conseguenza di queste trasformazioni, è diventato chiaro che il problema centrale dell'immunologia è quello di comprendere, da un punto di vista quantitativo, il meccanismo del riconoscimento selettivo molecolare".

Se proprio vogliamo precisare, il processo della selezione clonale è stato trasformato in meccanismo e questo, a sua volta, è stato definito meccanismo del riconoscimento selettivo. Essendo, però, il processo immunitario qualcosa di molto complicato che coinvolge grandi numeri di cellule e molecole, il meccanismo si è sbriciolato in un numero interminabile di minuti meccanismi, dove non si vede la fine. Ma ciò che complica la faccenda del riconoscimento è il fatto che un numero enorme di strutture chimiche dovrebbero essere riconosciute in maniera specifica da un numero altrettanto enorme di anticorpi casualmente differenti tra loro.

domenica 20 agosto 2017

6) Un tentativo non riuscito della nuova immunologia

Di fronte all'immenso groviglio dei fenomeni immunitari, inestricabili per il meccanicismo riduzionistico della "nuova immunologia", Jerne* propose, in analogia col sistema nervoso, di considerare il sistema immunitario come rete di interazioni multicellulari, formulando però uno schema eccessivamente macchinoso che non prenderemo in considerazione, limitandoci a considerare alcune sue idee rilevanti. Questa proposta fu presentata in uno scritto pubblicato nel 1974 con il titolo "Verso una teoria del sistema immunitario come rete di interazioni".

Secondo Jerne, gli anni Settanta erano ancora caratterizzati dalla teoria selettiva cellulare, anche se prevedeva che, nel periodo 1970-1990, le teorie immunologiche sarebbero state di tipo multicellulare: i tentativi di affrontare le interazioni fra i linfociti B e T rappresentavano, infatti, la fase iniziale del nuovo corso dell'Immunologia. "Anche se la ricerca continuerà a occuparsi di meccanismi di funzionamento ai livelli subcellulare e intercellulare, penso -scriveva Jerne- che una crescente attenzione sarà rivolta all'analisi strutturale dell'intero sistema immunitario".

A mio avviso, egli era consapevole del fatto che l'analisi riduzionistica dei più minuti meccanismi era meno valida dell'analisi dell'intero sistema immunitario; ma la sua soluzione, fondata sulla "rete di interazioni", non ruppe affatto con il riduzionismo, anzi lo rafforzò nel senso della ricerca minuta delle singole interazioni. La situazione era complicata anche dalle contraddizioni createsi dalla compresenza di due diverse teorie immunologiche antitetiche: quella "selettiva" e quella "istruttiva". Come conciliare la programmazione "istruttiva" delle cellule con le loro mutazioni "selettive"?

venerdì 18 agosto 2017

5) Dal fittizio riconoscimento immunologico alla pretesa selezione del programma

Nello scritto "Linfociti T e B e le risposte immunitarie", uscito nei 1973, Raff* affermò: "Il dogma centrale dell'immunologia è la teoria della selezione clonale, la quale sostiene che, in qualche fase dell'ontogenesi e indipendentemente dall'antigene, singoli linfociti (o cloni di linfociti) diventano programmati per rispondere a uno o a un numero relativamente piccolo di antigeni. Essi manifestano questo programma mediante l'espressione, sulla loro superficie, di recettori per l'antigene. Così, quando un antigene penetra nell'organismo seleziona quei linfociti che hanno già i recettori per l'antigene sulla loro superficie. L'interazione dell'antigene con il suo recettore provoca l'attivazione delle cellule specifiche per quell'antigene".

Qui è chiara l'influenza dell'Informatica: la complessa e dispendiosa realtà biologica viene ridotta convenzionalmente all'attività di un programma. Se Darwin aveva paragonato la selezione naturale alla selezione operata dagli allevatori, qui la selezione clonale dei linfociti viene paragonata all'informazione programmata, tipica dei calcolatori. Ma l'informazione dei processi naturali immunologici, concepita come raffinata evoluzione della teoria della conoscenza, rappresenta, invece, un ritorno indietro: una involuzione meccanicistica.

mercoledì 16 agosto 2017

4) La convenzionale teoria immunologica della selezione dell'informazione

Si può senz'altro sostenere che negli anni '60 la teoria immunologica, sulla base del concetto cibernetico di informazione, ha reinterpretato la selezione darwiniana nei termini di selezione dell'informazione immunologica. Per comprendere questa soluzione teorica convenzionale, prenderemo in esame lo scritto di Burnet*, "Il riconoscimento immunologico del sé", pubblicato nel 1960.

"Nel mio discorso -scrive l'autore- affronterò sostanzialmente un solo problema. Come fa l'organismo di un vertebrato a distinguere -in senso immunologico- ciò che gli è proprio (self), da ciò che gli è estraneo (non-self) e come si sviluppa questa capacità". E' questo un problema fittizio che poteva sorgere, soltanto, nella mente di chi non era in grado di comprendere che ogni organismo è inconsapevole dei miliardi di eventi che avvengono in se stesso e che perciò sfuggono completamente al suo controllo.

Burnet si chiede: "Come può un animale immunizzato riconoscere la differenza tra un materiale iniettato, come l'insulina o l'albumina serica proveniente da un'altra specie, e la propria corrispondente sostanza?" E risponde: "Chiaramente si tratta di un problema d'informazione". Pare ovvio che se, per convenzione, si concepisce un problema di riconoscimento, esso sarà per forza un problema d'informazione, perché i due concetti si sostengono a vicenda.

domenica 13 agosto 2017

3) L'involuzione della teoria immunologica

Nel 1959 usciva uno scritto di Lederberger* che rappresenta il passaggio dal momento più alto della teoria immunologica (ancora sospesa tra la nuova concezione della selezione naturale e la vecchia concezione istruttivista) alla sua involuzione. Esaminando questo scritto avremo modo di comprendere il successivo sviluppo meccanicistico-convenzionale dell'immunologia, che, per uno strano scherzo del destino, subirà la stessa sorte dell'oggetto che studiava: quella che sembrava essere una evoluzione era, invece, il chiaro segno di un processo involutivo. E' ciò che ci proponiamo di dimostrare analizzando il carattere involutivo della cellule immunitarie e l'involuzione della teoria immunologica.

Scriveva Lederberger: "Un anticorpo è una globulina che compare nel siero di un organismo animale in seguito all'introduzione di una sostanza, l'antigene. Ciascuna delle numerose globuline reagisce spontaneamente con un particolare antigene. Lo scopo di questo lavoro è la formulazione di un meccanismo plausibile per spiegare il ruolo dell'antigene nell'induzione della sintesi di grandi quantità di una globulina specifica a esso complementare. Un elemento importante di ogni teoria della formazione degli anticorpi è l'interpretazione che essa fornisce del riconoscimento del sè, ovvero dei modi in cui l'organismo distingue i propri costituenti dalle sostanze estranee, le quali sono stimoli efficaci della risposta immunitaria".

Come si vede, se la formazione delle globuline è ritenuta ancora casuale e apparentemente non costituisce un problema, sorge, invece, il problema dell'induzione da parte dell'antigene alla sintesi di molti anticorpi specifici, che l'autore si propone di risolvere formulando un meccanismo plausibile fondato su un nuovo concetto di tipo istruttivo: il cosiddetto riconoscimento del sé. Il meccanismo plausibile altro non è, però, che una soluzione convenzionale, così come sono convenzionali tutti i termini che abbiamo posto  in grassetto.

venerdì 11 agosto 2017

2) Prime teorie sulla formazione degli anticorpi

Ancor prima della scoperta delle cellule linfocitarie, gli immunologi poterono fondare le proprie teorie soltanto sull'osservazione della reazione anticorpale. Inizialmente, s'imposero le teorie dello stampo antigenico, dette anche teorie informative o istruttive, che furono successivamente soppiantate dalle teorie selezioniste o selettive. Partendo dall'osservazione della specificità stereochimica, le prime teorie giunsero fino a supporre una perfetta specificità anticorpo-antigene, che venne visualizzata con l'immagine della chiave e della serratura.

Il principale esponente di questa concezione, Linus Pauling, era un estimatore della teoria dei quanti che introdusse nella biochimica. La sua visione riduzionistica e meccanicistica derivava proprio della fisica, come conferma il seguente brano tratto da un suo scritto del 1948*: "Vi sono ormai prove abbastanza convincenti che la specificità del potere di combinazione degli anticorpi può essere spiegata in termini di forze a breve raggio d'azione di natura sconosciuta, derivando, la specificità stessa, dalla complementarità di struttura della regione di combinazione dell'anticorpo e della superficie dell'antigene omologo. Non è impossibile che si possa spiegare in maniera simile la specificità biologica in generale, come conseguenza delle ordinarie forze specifiche, forze a breve raggio, che operano fra tutte le molecole".

Sebbene, all'inizio del saggio, Pauling scrivesse: "Progressi rilevanti sono stati effettuati recentemente nell'affrontare il problema che riguarda la natura delle forze biologiche specifiche e anche la questione, strettamente connessa, del meccanismo di produzione delle molecole biologiche complesse dotate di proprietà specifiche", il termine "meccanismo" non aveva ancora soppiantato nella sua prosa il termine "processo", come si può osservare nella seguente esposizione della teoria dello stampo: "Questa teoria della struttura del processo di formazione degli anticorpi si basa su due concetti fondamentali: a) che le forze di legame fra un anticorpo e il suo antigene omologo sono le normali forze a breve raggio d'azione, le quali, come sappiamo, intervengono tra le molecole più semplici; b) che la grande specificità è conseguenza di una precisa "complementarità, nella configurazione, che si estende sopra una superficie notevole della molecola di antigene e sulla corrispondente zona di combinazione della molecola di anticorpo".

giovedì 10 agosto 2017

1) Immunologia: vecchie intuizioni e idee da riconsiderare*

Lo scopo della nostra indagine è quello di ripercorrere la nascita e lo sviluppo delle principali teorie immunologiche, inizialmente fondate su intuizioni e idee spesso soltanto contingenti, ma talvolta profonde, sebbene viziate dall'abituale mancanza di dialettica. A un iniziale periodo caratterizzato da uno sviluppo teorico di elevato livello, fondato su limitate osservazioni sperimentali, fece seguito una fase, che dura ancora oggi, di piatto meccanicismo, con la formulazione di una terminologia puramente convenzionale, incapace di riflettere una realtà che l'abbondante messe di osservazioni sperimentali mostra sempre più aggrovigliata e complessa.

Se i primi teorici dell'immunologia cercavano faticosamente di spiegare l'oggetto della loro indagine, prima ancora d'essere in grado di descriverlo, i teorici più recenti, che hanno fin troppo materiale da descrivere, lo riducono a meccanismo credendo, in questo modo, di spiegarlo. Il loro limite consiste proprio in ciò, che pretendono ridurre una realtà aggrovigliata e complessa, come il sistema immunitario, a un insieme di meccanismi giustapposti, dimenticando, in questa operazione, vecchie intuizioni  e idee che andrebbero, invece, riconsiderate.

lunedì 7 agosto 2017

Il fenomeno chimico chiamato catalisi

Mentre l'"affinità chimica" e il "legame" sono termini sorti come idee generiche, imprecisate, per rendere ragione  delle combinazioni molecolari della chimica, la "catalisi" riguarda un fenomeno specifico: l'accelerazione di certe reazioni chimiche. Nel primo caso la difficoltà consiste nel fatto che il nome indica qualcosa di convenzionale per spiegare fenomeni reali, nel secondo la difficoltà non è nel nome, ma nel fenomeno stesso.

"Come rilevò Ostwald nel 1909, "prima della creazione della teoria della velocità di reazione non era possibile ricavare conclusioni utili sulla catalisi, dato che questa consiste nel cambiamento della velocità delle reazioni chimiche a seguito della presenza di sostanze che non figurano nei prodotti finali delle reazioni stesse"."* Si trattava, quindi, di rendere conto della peculiarità delle reazioni catalitiche: in parole povere, come avviene questo mutamento di velocità per la presenza di sostanze, dette catalitiche?

Per lo studio della catalisi, occorse l'introduzione in chimica del concetto di tempo che permise il nascere della cinetica chimica. Berzelius interpretò per primo il fenomeno catalitico  come manifestazione delle reazioni elettrochimiche della materia: egli "chiamò forza catalitica "la causa dell'azione chimica e richiamò l'attenzione sulle "migliaia di reazioni catalitiche che si svolgono negli organismi"."

sabato 5 agosto 2017

I concetti convenzionali di legame e di affinità chimica

Il termine di legame è il più usato in ogni campo della conoscenza umana, dalla fisica alla chimica, alla biologia molecolare, fino alla sociologia e alla storia economica, politica e militare. Il senso comune ha sempre concepito il legame in se stesso come qualcosa che tiene unito ciò che senza di esso sarebbe separato. Così, ogni complesso, a partire dall'atomo alla molecola, ecc. è concepito come un composto le cui parti componenti sono tenute insieme da un legame. In fisica questo legame ha sempre preso il nome di forza. Per il senso comune la forza lega ciò che altrimenti sarebbe libero e separato.

Abbiamo già criticato l'uso di questo significato di legame in fisica osservando che, convenzionalmente, si chiama legame, nel senso comune del termine, ciò che tiene unito, ad esempio, un atomo, mentre non si osserva nulla che "leghi", bensì, semplicemente,  una certa quantità di energia mancante: il difetto di massa. Poiché è questa mancanza di energia che "lega", il "legame" sembra essere nient'altro che una privazione.

mercoledì 2 agosto 2017

La biochimica al servizio della biologia molecolare

La biologia molecolare, seppure fondata sulla discutibile teoria del codice genetico, non avrebbe potuto fare un solo passo avanti se non avesse avuto al proprio servizio la biochimica. E' quest'ultima che ha fornito strumenti d'indagine, sperimentazioni e risultati alla biologia molecolare, indagando in vario modo le macromolecole della vita: principalmente proteine (enzimi), acidi nucleici e i loro costituenti, rispettivamente: aminoacidi e nucleotidi.

Paradossalmente, la biochimica ha rovesciato la metodologia della chimica, perché, se quest'ultima, nelle sue sperimentazioni, ha dovuto fornire energia, riscaldando, la prima ha dovuto togliere energia, raffreddando, per poter indagare le macromolecole nella forma di cristalli. "Le operazioni tipiche della chimica consistono nel mescolare e nel riscaldare, quelle della biochimica consistono nel raffreddare e purificare".*

Strano paradosso questo, che si è potuta affrontare la difficile questione dei processi molecolari della vita solo nella forma più lontana dalla vita stessa: la forma cristallina. Ora, quando si riduce una macromolecola allo stato di cristallo, non solo non si ha più a che fare con la stessa molecola allo stato vivente, ma la si isola come un fotogramma istantaneo di una lunga e complessa sequenza: è l'istante bloccato di un movimento caotico, è l'ordine apparente estorto al disordine reale. Come abbiamo visto con la scoperta della doppia elica del DNA, raccontata da uno dei suoi autori, Watson, l'ordine cristallino era proprio ciò che ci voleva per la questione del DNA nei termini del determinismo riduzionistico.
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