In questo paragrafo mostreremo l'altra faccia del determinismo assoluto della scienza moderna fondato sulla causalità divina: quella non riduzionistica e anticartesiana, che troviamo espressa nella concezione di Baruch Spinoza (1632-1677). Si tratta di un determinismo concernente non già le singole cose, ma i complessi. Mentre, come vedremo, Leibniz attribuì la necessità alle singole cose e considerò i complessi come aggregati casuali e contingenti, Spinoza attribuì la necessità ai complessi e concepì per le singole cose infiniti nessi causali indeterminabili.
Se Spinoza non fosse stato dominato dalle esigenze teologiche, ovvero dalla obbligatoria subordinazione al dogma della causalità divina*, obbligazione alla quale tutti gli studiosi dell'epoca erano doverosamente vincolati, avrebbe potuto considerare gli infiniti nessi tra le singole cose come espressione dell'oggettiva casualità, e, in questo modo, avrebbe potuto stabilire l'oggettivo rapporto tra la singolarità casuale e la complessità necessaria. Invece, egli non poté risolversi a fare altro che attribuire gli infiniti nessi singoli a Dio: con ciò dimostrando che la causalità divina ha continuato a prendere il posto della casualità naturale, posto che l'antico pensiero greco, per primo, aveva negato al caso.
Per il nostro scopo, prendiamo in considerazione l'opera principale di Spinoza, l'"Etica", pubblicata nel 1660, ventitre anni dopo il "Discorso sul metodo" di Cartesio e ventotto anni dopo i "Dialoghi sopra i due massimi sistemi" di Galileo. Nella prima parte, "De Deo", con la proposizione VI, egli attribuisce a Dio quegli infiniti attributi che spettano di fatto alla materia: "Intendo -egli scrive- per Dio un essere assolutamente infinito, cioè, una sostanza costituita da un'infinità di attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna ed infinita". Nella proposizione VIII stabilisce che "Ogni sostanza è necessariamente infinita". Quindi, nella proposizione XIV afferma: "0ltre a Dio non si può dare né si può concepire alcuna sostanza." Infine, nella proposizione XV, conclude: "Tutto ciò che è, è in Dio, e senza Dio nessuna cosa può essere né essere concepita". Insomma, in senso teologico, Spinoza pone Dio in luogo della materia.