mercoledì 12 dicembre 2012

Non andare ultra crepidam

Il computer, che ha permesso a tutti di twittare, di fare commenti, di aprire blog, di partecipare ai forum, ecc., ha anche permesso ai "ciabattini" (esperti nella propria professione) di parlare a vanvera in tutti i campi nei quali sono inesperti. Con questo, chi scrive non vuole affatto mettere bavagli o impedimenti di sorta, neppure in linea di principio. Tutti possono dire e fare ciò che vogliono. C'è però da chiarire almeno questo:

1) se ciò di cui si parla non ci è sufficientemente noto, per non aver avuto il tempo di studiarlo a fondo, allora le nostre parole, per quanto ci appaiano sensate, avranno scarso valore;  purtroppo, il ciabattino (bravo nel suo lavoro) spesso si dimentica di non andare oltre la scarpa;

martedì 11 dicembre 2012

A domanda risposta, per chiarirsi le idee

Come anticipato nell'ultimo post, per il futuro l'autore di questo blog dichiara la sua disponibilità a rispondere a eventuali quesiti riguardanti non solo la propria teoria espressa già in specifici post, ma anche i più diversi contributi teorici e scientifici di altri autori. Lo scopo è di continuare ad approfondire e imparare, magari avendo anche la fortuna d'incontrare intelligenze capaci di riflettere ai più diversi livelli. Un'unica condizione: assolutamente da evitare la ricerca di complicate originalità. Se il pensiero e la riflessione presuppongono studio e conoscenza, da ciò non consegue necessariamente la ricerca di oscure nebulosità. Insomma, che siano interventi per chiarirsi le idee.

venerdì 23 novembre 2012

3. Il moderno calcolatore al servizio della scienza, rispecchiando il dispendio naturale

(Continuazione) Con questo titolo, qui s'intende un'ipotesi già accennata in questo blog, e cioè che i grandi numeri, tipici dei processi naturali, possano essere rispecchiati dal collegamento di numerosi computer, ciò che già avviene nell'ambito di LHC e in altre situazioni tecnologiche. Come abbiamo più volte sostenuto in questo blog, i processi della natura si svolgono sulla base di un grande dispendio. Dai processi cosmici ai processi della vita è tutto un dispendio di grandi numeri. Perciò dice bene Capovani: "Una sfida per il futuro: trovare un efficiente sfruttamento di un gran numero (milioni) di calcolatori collegati in rete per reperire e strutturare grandissime quantità di dati".

Tutto ciò ha valore soprattutto là dove anche i più ostici deterministi devono ammettere il caso nella forma della complessità dei grandi numeri, come nell'esempio del metodo Monte Carlo. Scrive Capovani: "Gli algoritmi probabilistici, come il metodo Monte Carlo, furono introdotti con l'esplicito scopo di ridurre la complessità di determinate procedure algoritmiche o di aggirare delle vere impossibilità di risoluzione con metodi standard. Utilizzando algoritmi probabilistici è possibile trattare problemi difficili anche introducendo una incertezza, legata al valore assunto da opportune variabili casuali, sulla correttezza del risultato".

Naturalmente nessuno, eccetto l'autore di questo blog, ha la precisa consapevolezza della cieca necessità complessiva della natura, la quale ottiene risultati, da nessuno voluti, per mezzo di un grande dispendio. E' proprio con simili premesse che le macchine calcolatrici, inventate e prodotte dall'uomo, potrebbero essere fondamentali per affrontare sempre più e sempre meglio i dispendiosi processi naturali, regalandoci una conoscenza, altrimenti impossibile e senz'altro irrealizzabile con l'economico metodo deterministico.

giovedì 22 novembre 2012

2. Matematica, Scienza e Tecnologia

(Continuazione) Scrive Capovani: "Il rapporto tra matematica e natura, che è un rapporto armonioso tra astrazione e applicazione, è stato enormemente espanso con i calcolatori, favorendo la diffusione della matematica nei vari settori della scienza e della tecnologia. Anche la matematica più astratta, generata da motivazioni estetiche, ha profondi legami con il mondo reale". E per avvalorare questa convinzione cita Einstein e Galilei. Il primo che si domandò "... come va che la matematica, essendo fondamentalmente un prodotto del pensiero umano, indipendente dall'esperienza, spiega in modo così ammirevole le cose reali?" Il secondo che affermò "L'Universo... Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola..."

mercoledì 21 novembre 2012

1. Matematica, equivoci e incertezze

Per questa disanima ci serviremo di un breve saggio dal titolo "La matematica e il calcolatore" (2004) di Milvio Capovani. La validità di quest'opera deriva dalla considerazione della matematica non solo come astrazione pura, ma anche come strumento di calcolo. Tra questi due poli sono sempre esistite differenze, le quali rappresentano l'oggetto della nostra indagine.

Le motivazioni del sorgere della matematica sono indicate dall'autore nel suo incipit: "Fin dall'antichità l'uomo ha cercato di realizzare strumenti per agevolare i calcoli e per questo nel tempo ha, via via, ideato e realizzato strumenti di calcolo sempre più potenti e raffinati, fino alla creazione dei calcolatori dei giorni nostri".

La matematica, dunque, come calcolo, ossia misura, del mondo esterno. Certo, Capovani è interessato soprattutto a rifare la storia dei calcolatori, a cominciare da Blaise Pascal "che ha realizzato la prima calcolatrice meccanica capace di eseguire somme e sottrazioni" e da Gottfried Leibniz "che ha progettato una macchina in grado di eseguire somme, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni". Questa storia ci racconta, appunto, la matematica applicata alle macchine.

lunedì 19 novembre 2012

Il formalismo matematico applicato alla scienza e la conoscenza reale

Nel 1978 uscivano "I fondamenti della matematica dall'800 a oggi", composti da tre saggi scritti, in ordine, da Casari, Marchetti e Israel. Per i nostri scopi prenderemo in considerazione i primi due. Il primo tratta "Il problema dei fondamenti della matematica". Da questo saggio possiamo apprendere che anche in campo matematico si sono opposte le due linee pensiero riduzionistica e olistica. Cominciamo da quella riduzionistica.

Casari, indica tre tratti essenziali del riduzionismo: riguardo al primo, "questa riduzione fu sempre concepita in ogni sua fase, come un'analisi di ciò che era più complesso in termini di ciò che era più semplice, mediante l'uso di strumenti genericamente insiemistici e logici". Rispetto al secondo, "il lavoro riduttivo venne concepito in maniera determinata": ossia gli enti ottenuti per via di riduzione potevano anche subire una ulteriore analisi, ma erano qualcosa "di determinato in sé", perciò enti in qualche modo autonomi "sensatamente presupponibili". Infine: "Il terzo tratto importante è che, avendo l'esperienza insegnato a diffidare della intuizione, il rigore era d'obbligo e la necessità di definizioni esatte e dimostrazioni rigorose era fortemente sentita".

domenica 18 novembre 2012

La matematica appartiene alla scienza, e non viceversa, prof Elena Castellani

Nel recente numero di "Le Scienze", il contributo di Elena Castellani, nella sua rubrica, s'intitola "L'efficacia della matematica", sottotitolo: "Breve riflessione sul perché la matematica ci apre le porte del mondo fisico". Infine l'incipit recita: "Perché la matematica si applica con tanto successo allo studio dei fenomeni naturali?"

Se è indubitabile che la matematica appartiene alla scienza, essendo utile alla conoscenza come strumento di calcolo e di misura, sorgono molti dubbi sul fatto che essa possa essere, con i suoi modelli, un chiavistello che apra sempre le porte del mondo reale e non invece, come nelle fiabe, possa aprire soltanto mondi fantastici come ad esempio quello delle stringhe. Domandiamoci: che cosa prova che la matematica si applichi con tanto successo allo studio dei fenomeni naturali? Forse la pretesa scoperta del bosone di Higgs che ha confermato il modello standard? Ma se così fosse, avremmo nel contempo la prova che il matematico modello superstandard non "ci apre le porte del mondo fisico"!

Castellani cita il premio nobel Eugene Wigner e il suo contributo intitolato "L'irragionevole efficacia della matematica nelle scienze della natura", nella quale egli vedeva rappresentato "qualcosa che confina con il misterioso e per la quale non c'è una spiegazione razionale". Da cui ne deduceva che "non si può sapere se una teoria formulata nei termini di concetti matematici sia l'unica appropriata". Tutto ciò non sembra, però, favorire l'idea espressa dal titolo della breve riflessione di Castellani.

venerdì 16 novembre 2012

Ricerca teorico scientifica di un autodidatta

Ricerca ventennale di un autodidatta, negli anni 1993-2012. Questa ricerca è ormai giunta a scadenza. Alcuni dei suoi risultati sono comparsi in un libretto di 100 pagine di biologia, edito nel 2009, e in un blog aperto nell'estate del 2010, che ospita attualmente 282 post di teoria della conoscenza, fisica, biologia e storia, rappresentando 1/4 delle pagine in bella copia prodotte nel ventennio: pagine che ammontano complessivamente a circa 3000, divise in 10 volumi di diverse dimensioni.

Non c'è che dire, questa è una comunicazione affatto laconica, ma lo scopo è di mostrare, senza troppe lungaggini, che si può fare ricerca anche lontani dalle università e dalla comunità scientifica, con risultati non disprezzabili, soprattutto se, come in questa circostanza, si tratta di una nuova teoria della conoscenza che risolve la millenaria contrapposizione tra l'indeterminismo epicureo e il determinismo democriteo

giovedì 15 novembre 2012

IV Conclusioni sulla critica a Paola Dessì: il paradosso del determinismo statistico

(Continuazione) Passando al capitolo 6 "Complessità, cause, fini", primo paragrafo dal titolo significativo di "Causalità, probabilità e determinismo", potremo trovare i più recenti spropositi della teoria della conoscenza, dei quali la professoressa Dessì si fa garante. "Molti sono i filosofi, scrive l'autrice, che, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, hanno cercato di analizzare la causalità in termini probabilistici", in altre parole "Si può rendere conto di questo fatto in termini di rilevanza statistica positiva". Il seguente esempio, citato da Dessì, ci permette di comprendere questa paradossale combinazione di causalità e probabilità.

Si tratta della valutazione di validità della somministrazione dei farmaci, utilizzando l'esperimento del doppio cieco su due gruppi di malati e di medici. Se il risultato del farmaco testato è positivo si può parlare di causa della guarigione? Secondo la nuova forma di determinismo, sì. Anche se gli sperimentatori si accontentano di buone percentuali di guarigione. Si tratta, insomma, di statistiche con percentuali diverse che non danno la garanzia assoluta di quella causalità che tuttavia viene invocata.  Per Dessì si tratterebbe di causalità, anche se in una forma indebolita! Il lungo brano che segue illustra perfettamente questa nuova impostazione.

martedì 13 novembre 2012

III Paola Dessì: disfarsi della causalità?

(Continuazione) Con questo titolo, Dessì apre il terzo capitolo citando Bertrand Russell, che nel 1912 scrisse: "La legge di causalità, secondo me, come molto di ciò che viene apprezzato dai filosofi, è relitto di un'età tramontata e sopravvive, come la monarchia, soltanto perché si suppone erroneamente che non arrecchi alcun danno". Anche Mach, qualche anno prima, aveva considerato la causa come un concetto vecchio, superato. Ma Dessì giustamente ricorda che nel 1864 Claude Bernard aveva pensato di applicare il determinismo in medicina; e così fece du Boys-Reynoud.

Per entrambi "l'esigenza di rigore scientifico" "si concretizzava nell'assumere a modello per la fisiologia la causalità meccanica e il determinismo, anche se la fisica alla fine dell'Ottocento andava evolvendo verso esiti lontani dalla ricerca delle cause". Ma indagare in un solo paragrafo il passaggio "dalle causalità all'indeterminismo" non permette di sviluppare la questione del rapporto caso probabilistico - necessità statistica, che molti, nel periodo più favorevole all'indeterminismo probabilistico, confusero.

lunedì 12 novembre 2012

II Paola Dessì: conoscenza reale della natura, la statistica dei complessi annulla la causalità

(Continuazione) Nel secondo capitolo dal titolo "Le cause alla prova dell'esperienza", scrive Dessì che per Hobbes "l'uomo può ricostruire con certezza soltanto le cose che egli stesso produce come accade con la geometria e con l'etica e la politica"... "Conosciamo completamente ciò che siamo in grado di fare, di costruire, e questo vale, secondo Hobbes, per tutto ciò che è riconducibile all'azione dell'uomo, delle macchine e della politica. Conoscere qualcosa significa saperlo fare, conoscere la ragione che presiede alla sua costruzione. Nel caso della natura, prodotta da Dio e non dall'uomo, questi non può avere certezza e deve accontentarsi di ricostruire per via ipotetico-deduttiva il possibile processo che ha generato un particolare stato di cose".

Qui Dessì non coglie il punto fondamentale che rende onore al merito di Hobbes, e cioè l'aver riconosciuto la validità del principio di causalità per l'opera dell'uomo. Ma, dati i tempi, egli non poté liberarsi da una visione religiosa che concepiva la natura come opera di dio, quindi non potè concludere che il principio di causa-effetto apparteneva solo all'opera dell'uomo, dovendo accettare il principio della causa suprema, divina, della natura. E così, là dove il concetto di causa-effetto avrebbe potuto essere la semplice constatazione del determinismo specifico dell'opera umana, che è sempre stato alla base dello sviluppo tecnologico, sorsero questioni meschine, tautologiche, per giustificare la causalità divina.

venerdì 9 novembre 2012

I Paola Dessì: ma che cosa è la causalità?

Domandarsi "che cosa è la causalità", come fa Paola Dessì nel suo libro del 2008, "Alla ricerca delle cause", significa cominciare dalle origini, perché la questione della "causa" e dell'inevitabile "effetto" è stata posta almeno dal V secolo avanti Cristo (Leucippo). Dessì vi aggiunge il problema del libero arbitrio, ovvero dei "due termini coinvolti, cioè libertà e determinismo...". Poi, esprime la seguente tesi: che dalla concezione della causa di Aristotele alla concezione odierna sarebbe sopravvissuta soltanto la "causa efficiente".

Ma sul principio di causa ed effetto, ella ricorda che "continua ancora oggi ad aleggiare il fantasma di David Hume, il quale riteneva che la necessità del rapporto causa-effetto fosse il risultato di un nostro istinto naturale e non di ragionamento". In sostanza, Hume attribuì la causalità all'abitudine di trovare frequentemente un dato "effetto" da una data "causa" (soggettivismo).

Nonostante Hume avesse contribuito, nel Settecento, alla decadenza della causalità, dice Dessì (esagerando, perché il secolo successivo, l'Ottocento, è stato dominato dal determinismo fondato sul rapporto di causa ed effetto) che, dagli anni Sessanta del XX secolo, ci sarebbe stata una ripresa del concetto di causa, soprattutto in discipline pratiche come la medicina e il diritto. L'idea è interessante e da tenere presente per i motivi che vedremo  in seguito, nei prossimi post.

giovedì 8 novembre 2012

Condanna implacabile quanto l'ignoranza scientifica

La condanna di sei uomini di scienza in relazione alla difficile questione della previsione di singole scosse sismiche disastrose, previsione la cui possibilità è strettamente dipendente da un'altra difficile questione: quella della connessione deterministica di causa-effetto, è per l'autore di questo blog uno stimolo a riprendere in considerazione il concetto di causalità. Stimolo che trova soddisfazione proprio nello specifico ambito pratico della attività umana. Perchè una cosa è valutare la connesione causa-effetto nella natura incontaminata (dall'uomo) come può essere l'universo, altra cosa è valutarla nella natura terrestre dove l'uomo vive e muore grazie anche al suo intervento sulla natura stessa.

Da tempo sostengo che i processi naturali sono soggetti alla dialettica naturale caso-necessità, ragion per cui la necessità naturale è cieca non essendo assoggettabile né a predeterminismi di origine divina né a determinismi di origine umana. Ma i sostenitori del determinismo hanno sempre avuto, per così dire, una carta a proprio vantaggio: il riferimento alla pratica umana, in relazione alla quale sono intenzionati a far valere le ragioni della causalità. E i campi che pretendono l'azione del rapporto diretto causa-effetto sono principalmente due: il diritto e la medicina, che hanno bisogno, per garantire il valore della propria funzione e attività, di argomenti più solidi delle probabilità.

mercoledì 7 novembre 2012

Riflessioni personali e questioni di metodo

I miei libri, i miei scritti sono le mie sintesi per la conoscenza: senza di esse gran parte del mio serbatoio di conoscenza andrebbe perso anche per me, perchè perderei la memoria delle riflessioni, dei ragionamenti, delle dimostrazioni svolte e delle soluzioni trovate. I miei scritti rappresentano la sintesi di vent'anni di lavoro su una nuova teoria della conoscenza, per comprendere la quale occorrono cervelli allenati da anni di studio e disposti a verificarla nell'ambito delle loro specifiche discipline. Personalmente ho cercato, dopo lunghi studi, di osservarla in ogni ramo scientifico a livello generale e su temi a me più noti. Gli specialisti dovrebbero verificarla non solo nei fondamentali delle loro discipline, ma anche sui problemi specifici, particolari e soprattutto più urgenti, da risolvere.

Occorre partire distingendo ciò che appartiene alla sfera del caso da ciò che appartiene alla sfera della necessità. Ad esempio, pioggia = necessità, ma che piova quando il grano deve maturare o deve essere raccolto, per quanto possa favorire o danneggiare gli interessi della produzione contadina, rientra nella sfera del caso. Occorre, però, considerare la seguente circostanza: il fatto che la necessità riguardi il complesso e che il caso riguardi i singoli elementi del complesso considerato non è spontaneamente accettato dal senso comune (soprattutto da quello matematico), e non viene facilmente accettato nemmeno dal pensiero filosofico e scientifico più profondo. Il motivo principale è psicologico: l'uomo, fin dai primordi, non ha accettato di essere individualmente soggetto al caso.

mercoledì 19 settembre 2012

Un blog sui generis

Chi entra in questo blog, magari cercando dell'altro, oppure immaginando di trovare argomenti più leggeri, può avere una sensazione di sgomento. Anche le persone di media cultura, magari specializzate in qualche ramo della conoscenza filosofica o scientifica, possono avere una sensazione del genere.

Il fatto è che questo non è un blog normale
: è la sola forma che uno studioso -dopo decenni di studi, dopo aver approfondito un tema fondamentale di teoria della conoscenza e dopo averlo verificato nei diversi rami della conoscenza, dalla fisica alla biologia e alla storia- poteva, dato il suo isolamento, utilizzare.

domenica 15 luglio 2012

"Studi e riflessioni di un autodidatta": una questione di metodo

Il sottotitolo "Studi e riflessioni di un autodidatta" riflette le seguenti motivazioni. Per elaborare una nuova teoria della conoscenza, valida per ogni ramo delle scienze, occorre conoscere le diverse discipline che appartengono al vasto campo delle teorie scientifiche e delle scienze fisiche e biologiche. Per questo tipo di conoscenza complessiva c'è soltanto il metodo dello studio personale di documenti scritti da altri autori. Perciò, l'autore di questo volume è realmente un autodidatta nel senso più comune del termine, essendosi istruito da solo con studi di lungo periodo e con riflessioni senza obblighi di sudditanza verso questa o quella "scuola", verso questa o quella "teoria di successo". Ma l'autore è autodidatta anche nel senso meno comune di "auto"-"didàsko" ("io insegno"), perché nella sua opera "insegna" ciò che ha appreso e ciò che ha scoperto con le sue riflessiomi.

domenica 13 maggio 2012

Chiusura del blog

L'apertura di questo blog è stato un tentativo di far conoscere buona parte dei risultati di uno studio di lunga durata sulla reale evoluzione della materia, dalla quale la specie umana è sorta come prodotto ultimo e più maturo. Chi avrà letto vari scritti di questo blog si sarà potuto fare un'idea del fatto che gli "studi e riflessioni di un autodidatta", per esporre una nuova teoria della conoscenza, hanno operato su due piani, o meglio, mediante la polarità positivo-negativo.

mercoledì 29 febbraio 2012

2) Storia della nascita della biologia molecolare

Il doma centrale, soluzione fittizia della complessità della vita

(Continuazione) L'impostazione deterministica meccanicistico-riduzionistica del gruppo del fago impose la soluzione che vede l'ordine complessivo risultare dall'ordine a livello dei singoli elementi. Del resto, come nota Olby, i biologi molecolari mostrarono diffidenza nei confronti del concetto di complementarità di Bohr. Questo concetto poteva favorire solo una concezione eclettica come quella della nucleoproteina, mentre i fisici passati alla biologia, i biochimici e i nascenti biologi molecolari cercavano deterministicamente qua la causa e là l'effetto: o era la proteina a dirigere tutta la faccenda o qualcos'altro.

I fagi dimostrarono che l'RNA era l'unico responsabile della infezione dei batteri, e, come scrisse Burnet alla moglie nel 1943, la scoperta che il DNA poteva trasferire l'informazione genetica da un pneumococco all'altro decretò la fine della batteriologia medica, e annunziò il nascere della biologia molecolare. Dello stesso avviso fu Bouvin, che nel 1947 prefigurò la nuova disciplina, la genetica molecolare, prevedendo azioni catalitiche che partono da centri direttivi primari (i geni costituiti da DNA) e, attraverso centri direttivi secondari (RNA, ecc.), e, attraverso centri direttivi terziari (gli enzimi), condizionano tutti i caratteri della cellula.

lunedì 27 febbraio 2012

1) Storia della nascita della biologia molecolare

Suo fondamento: il "dogma centrale" DNA-RNA-proteine

Lo scopo di questo paragrafo è ricostruire in breve sintesi la storia della nascita e dello sviluppo della biologia molecolare, per comprendere sia il successo della teoria del codice genetico sia la sua concretizzazione nella formula del dogma centrale fondato sul DNA. La comprensione di questi due risultati della biologia molecolare è di importanza fondamentale non solo per la biologia ma anche per la teoria della conoscenza, perché in essi troviamo una soluzione, ritenuta definitiva, del rapporto caso-necessità nella scienza della vita.

Questa soluzione però, come tentiamo di dimostrare, è la solita riproposizione del determinismo riduzionistico e meccanicistico, per il quale l'ordine complessivo deriva dall'ordine dei singoli elementi costituenti. Compito nostro sarà, ancora una volta: 1) criticare le contraddizioni di una scienza che persegue una conoscenza soltanto convenzionale e fittizia, 2) offrire una nuova impostazione per la ricerca di soluzioni reali.

La principale contraddizione che scopriamo nella storia della biologia molecolare è quella esistente tra la complessità dell'oggetto di indagine, la vita, e l'impostazione dogmatica che fin dall'inizio questa nuova scienza ha assunto. Cosa questa che è stata messa molto bene in rilievo da Robert Olby nella sua "Storia della doppia elica" (1974), che prendiamo come testo guida per la nostra sintesi.

venerdì 24 febbraio 2012

III] L'apparente dualismo onda-corpuscolo

La reale contraddizione dialettica

(Continuazione) I fisici degli anni '20 del Novecento non potevano neppure subodorare una verità tanto semplice: essi cercavano una verità molto più complicata, strana, eccentrica, si potrebbe dire, a immagine e somiglianza dei loro comportamenti fuori del comune. Del resto erano quelli tempi nei quali si avevano, quasi ancora, sotto gli occhi le immagini di una guerra e di una rivoluzione mondiali, nei quali il genio voleva la sua parte anche immeritata, e la natura doveva per così dire adeguarsi ai tempi, essere per lo meno straordinaria. Poiché, però, la natura ha tempi lunghi di evoluzione, per i quali l'esistenza umana è un momento assai breve, essa ha in uggia l'istante, che all'uomo appare come un tempo di straordinaria rilevanza. In parole povere, la natura è monotona, e non dà soddisfazione che ai complessi ciecamente necessari, lasciando i singoli oggetti e individui alle cure del caso.

I geni della fisica del tempo trovarono, invece, straordinaria la discussione sulla posizione e la velocità della singola particella: per Heisenberg l'una e l'altra avrebbero avuto senso soltanto se fosse stato possibile, mediante determinati esperimenti, ottenerne le misure. Ma il fatto che non abbia senso parlare di posizione e velocità di una singola particella, perché sperimentalmente indeterminabili contemporaneamente, invece d'essere considerato in senso dialettico come prova della oggettiva casualità relativa ai singoli oggetti, fu considerato come conferma dell'idealismo berkeleyano: la materia esiste soltanto se qualcuno l'osserva!

mercoledì 22 febbraio 2012

II] L'apparente dualismo onda-corpuscolo

La reale contraddizione dialettica

(Continuazione) "Nel 1932 de Broglie dimostrò che se le radiazioni presentavano caratteristiche corpuscolari, le particelle materiali presentavano caratteristiche ondulatorie. Le onde "associate" alle particelle -come si cominciò a dire- dovevano avere una lunghezza d'onda inversamente proporzionale al prodotto della massa per la velocità, ossia della quantità di moto, delle particelle, e questa lunghezza d'onda, per elettroni di modesta velocità, doveva trovarsi nella regione dei raggi X, dove fu trovata sperimentalmente". De Broglie non fece altro che utilizzare la formula di Einstein e applicarla a un caso semplice, perché non fu bloccato dal pregiudizio che chiuse la mente a quest'ultimo; quanto a Planck, era troppo preoccupato di sbarazzarsi degli incomodi quanti, per aver tempo di sviluppare la sua stessa formula, E=hf, dalla quale erano uscite fuori facilmente le relazioni di Einstein e di de Broglie.

La conclusione teorica che ne trasse de Broglie fu che la materia (atomi, elettroni e ogni altro costituente elementare) si manifestava non soltanto nella forma di particelle, ma anche, contemporaneamente, come onde. Scrive Asimov ("Il libro della fisica" 1984): "Dunque, la relazione di Planck fra energia e frequenza, nonché quella di Einstein fra impulso e lunghezza d'onda valevano non soltanto per la luce, ma anche per gli elettroni. In seguito gli esperimenti furono ripetuti anche con altre particelle, atomi di idrogeno e atomi di elio, ed ogni volta si ritrovarono le frange rivelatrici". Si poté perciò concludere che "La materia era costituita contemporaneamente da corpuscoli e onde (sic!)".

lunedì 20 febbraio 2012

I] L'apparente dualismo onda-corpuscolo

La reale contraddizione dialettica

L'antagonismo tra la concezione corpuscolare e la concezione ondulatoria della materia, che ebbe inizio con Newton e Huygens, appartiene a quelle che Engels considerava "opposizioni diametrali, rappresentate come inconciliabili e insolubili". "Il riconoscimento che queste opposizioni e queste differenze in verità sono presenti in natura, ma con una validità solo relativa, e che invece quella rigidità e quella assoluta validità con cui sono presentate viene introdotta solo dalla nostra riflessione, questo riconoscimento costituisce il punto centrale della concezione dialettica della natura".

Engels stabilì questo punto fermo nella prefazione alla seconda edizione dell'"Antidhuring", nella quale riassunse la situazione della scienza teorica della natura. Sulla possibilità che, infine, gli scienziati avrebbero finito col comprendere il carattere dialettico dei fenomeni naturali, egli si mostrò ottimista: "Infatti, la rivoluzione che alla scienza teorica della natura è imposta dalla semplice necessità di ordinare le scoperte puramente empiriche, che si accumulano in gran massa, è di tal fatta da dover far comprendere sempre maggiormente, anche all'empirista più riluttante, il carattere dialettico dei fenomeni naturali".

La scienza del Novecento ha, invece, disatteso la previsione di Engels, nonostante l'enorme materiale empirico accumulato nell'ultimo secolo del secondo millennio che sembra dire: aprite gli occhi signori scienziati, le leggi della dialettica le avete ormai sotto il naso. Ma quale scienziato del Novecento ha mai osato affermare come Engels: "E finalmente per me non poteva trattarsi di costruire le leggi dialettiche introducendole nella natura, ma di rintracciarle in essa e di svilupparle da essa"?

giovedì 16 febbraio 2012

III] James Watson, la candida franchezza di un enfant terrible

(Continuazione) Se l'errore di Pauling poteva tranquillizzare sul momento Watson e Crick, a disturbare la serenità dei due "cacciatori di Nobel" fu il timore che, dopo un simile errore, l'illustre chimico si sarebbe gettato a corpo morto sulla struttura del DNA fino a quando non l'avesse risolta, perciò -dice Watson- sperammo che i chimici, suggestionati dal genio di Pauling, non andassero subito a verificare i particolari erronei del suo modello.

Occorreva, però, stringere i tempi. Ora Watson aveva un buon pretesto per andare a trovare Maurice e Rosy con il preciso scopo di ottenere informazioni utili: mostrare loro l'errore di Pauling. Rosy, però, non si lasciò impressionare troppo, perché per lei "neppure la più lontana traccia di prova sperimentale consentiva a Linus o a chiunque altro di postulare una struttura elicoidale per il DNA. La maggior parte dei miei argomenti -scrive Watson- erano quindi superflui, perché si era convinta che Pauling aveva torto non appena io avevo menzionato l'elica".

mercoledì 15 febbraio 2012

II] James Watson, la candida franchezza di un enfant terrible

(Continuazione) In uno di questi ritagli di tempo, Crick si permise un altro errore: dopo una conferenza dell'astronomo Tommy Gold sul "perfetto principio cosmologico", ebbe un scambio di idee con il giovane chimico John Griffith: per analogia, pensò che potesse esistere anche il "perfetto principio biologico". Seguiamo il racconto di Watson: "sapendo che Griffith si interessava agli schemi teorici della duplicazione dei geni, [Crick] buttò là l'idea che il perfetto principio biologico fosse l'autoduplicazione del gene, ossia la capacità che ha un gene di replicarsi esattamente quando il numero di cromosomi raddoppia durante la divisione cellulare. Griffith tuttavia non era d'accordo; per alcuni mesi infatti aveva preferito la teoria secondo cui la duplicazione dei geni derivava dalla formazione alternata di superfici complementari. 

lunedì 13 febbraio 2012

I] James Watson, la candida franchezza di un enfant terrible*

Nella "Doppia elica" (1968), di James D. Watson, è stata la "candida franchezza di un enfant terrible" a presentare alcune delle personalità più eminenti del suo tempo, nel campo della biologia molecolare, come astuti ignoranti, ladri matricolati e utili idioti? Rispondere a questa domanda forse è irrilevante per la conoscenza scientifica; non lo è però per comprendere perché degli scienziati, impegnati in una ricerca di fondamentale importanza, siano divenuti oggetto e soggetto di sotterfugi, inganni, appropriazioni indebite di idee e di risultati. Il giudizio può apparire irrispettoso nei confronti della comunità scientifica, e in effetti lo è, ma il lettore avrà modo di verificare di persona sulla base del materiale che andiamo a presentare.

Scrive Watson: "Allora il DNA era ancora un mistero, in attesa che qualcuno strappasse il velo; e non si sapeva chi sarebbe stato il primo e se avrebbe meritato la vittoria, ammesso che la scoperta fosse davvero emozionante come ognuno credeva in cuor suo. Ma ora la gara era finita, ed io, uno dei vincitori, sapevo che la storia non era così semplice, e certo non come la raccontavano i giornali".

venerdì 10 febbraio 2012

Caso e necessità secondo un fondatore della fisica quantistica

In "Le rivelazioni della microfisica"* De Broglie parte dalla illusione deterministica che "induceva a supporre rapporti rigidi e precisi di successione inevitabile tra tutti i fenomeni naturali e aveva suggerito l'immagine di un determinismo universale", per dire che l'intervento "del quanto di azione non permette di ottenere un'immagine così netta e ben determinata dello svolgimento delle cose: esso implica una certa incostanza e imprecisione negli effetti osservabili che noi trasferiamo nelle indeterminazioni la cui entità è data dal valore numerico del quanto" .

E' la ben nota "perturbazione da parte dello sperimentatore, almeno in microfisica, su quanto viene osservato". De Broglie insiste molto su questa imprecisione, mentre soltanto di sfuggita dice che si tratta di fenomeni statistici "che risultano da un numero immenso di processi elementari".  L'imprecisione riguarda i "processi elementari", o meglio i singoli elementi dei processi della microfisica, dei quali, per la relazione di Heisemberg, è impossibile rilevare simultaneamente "un movimento ben definito e un posto ben determinato nello spazio e nel tempo". Relazione questa, che traduce in linguaggio matematico ciò che, nel concetto della teoria della conoscenza, si può esprimere come il caso intrinseco alle singole particelle di un complesso.

mercoledì 8 febbraio 2012

I fotoni: la forma più sottile della materia, secondo De Broglie

In "La luce e il mondo fisico",* Louis De Broglie sostiene: "In linea di massima, niente vieta che l'energia, conservandosi sempre costante, possa passare dalla forma materiale a quella luminosa, o inversamente. Noi sappiamo oggi che è proprio così: questo fatto elimina la barriera che sembrava separare la luce dalla materia, e alla enumerazione delle proprietà fondamentali che assicurano alla luce un posto privilegiato tra le entità fisiche, ci permette di aggiungere che la luce, insomma, è la forma più sottile della materia".

Occorre essere grati a De Broglie per essere sbottato sostenendo che, insomma, la luce è materiale, ed è precisamente la forma più sottile della materia. Così chiaramente nessuno aveva mai osato esprimersi. Ma la prova di tale assunto è sotto gli occhi di tutti i fisici, e bisogna essere ciechi per non vederla. De Broglie la indica nell'annichilimento di elettrone e positrone, che produce l'emissione di due fotoni: "per cui l'energia di due elettroni si ritrova integralmente sotto forma di energia radiante. Nel caso di questo fenomeno l'energia cambia forma: da materia diviene luce".

lunedì 6 febbraio 2012

Schrodinger e la soluzione statistica del rapporto caso-necessità in fisica

Il fisico, che più di ogni altro si è avvicinato alla soluzione statistica del rapporto caso-necessità, è Erwin Schrodinger. Basta esaminare un suo breve scritto del 1922, "Che cosa è una legge naturale"*, per convincersi che egli fu a un passo dalla soluzione statistica, passo che non riuscì a compiere solo per mancanza di dialettica.

In quello scritto, l'autore inizia chiarendo il principio deterministico della scienza fisica. Gli eventi che accadono nell'ambiente fisico, egli dice, si mostrano all'esperienza non come successioni casuali, bensì con una notevole regolarità. Da ciò è sorta l'idea della connessione generale e necessaria dei fenomeni fisici, valida anche per quei fenomeni dei quali non si siano ancora scoperte le cause determinanti. "In altre parole si ammette che ogni fenomeno naturale sia quantitativamente e assolutamente determinato almeno dall'insieme delle circostanze o dalle condizioni fisiche iniziali". E questo postulato, egli dice, si chiama "principio di causalità".

Questo principio, che ha dominato le scienze in generale, e la fisica in particolare, viene demolito da Schrodinger nel seguente modo: "Negli ultimi decenni la ricerca fisica ha dimostrato inequivocabilmente che per lo meno la schiacciante maggioranza dei fenomeni, il cui svolgimento regolare e invariabile ha indotto a stabilire il postulato della causalità generale, ha per radice comune della stretta regolarità osservata il caso". Ma come si perviene dal caso alla regolarità, alla necessità?

venerdì 3 febbraio 2012

Hegel, l'interna contraddizione di tutte le cose

Secondo Hegel ("Logica"), il pensiero metafisico ha sempre respinto la contraddizione, come qualcosa che "non si può né rappresentare né pensare", ritenendola, "sia nella realtà, sia nella riflessione pensante, come un'accidentalità, quasi un'anomalia e un transitorio parossismo morboso". All'opposto egli sostiene che "Tutte le cose sono in se stesse contradditorie". Non solo, ma che "bisognerebbe prendere la contraddizione come la più profonda e la più essenziale (delle determinazioni). Poiché di fronte ad essa l'identità non è che la determinazione del semplice immediato, del morto essere; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto e un'attività, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione"

Guidati da questa idea della contraddizione intrinseca alle cose, i maestri della dialettica materialistica, Marx ed Engels, hanno analizzato la società, la storia umana, e anche la natura, come evoluzione di processi in se stessi contraddittori. Quindi hanno cercato e anche trovato determinate contraddizioni, specifiche di quei processi, giustificandole concettualmente come contraddizioni dialettiche. Ma che cosa è una contraddizione dialettica?

mercoledì 1 febbraio 2012

Il reale contrassegno della scienza moderna partorita dalla teologia

Se, a questo punto, facciamo un bilancio dei risultati fin qui raggiunti, possiamo rilevare l'esistenza di una profonda contraddizione nel pensiero scientifico moderno. Abbiamo visto che il vero oggetto della scienza è il complesso necessario, mentre il singolo individuo, sottoposto al dominio del caso, è divenuto oggetto della religione che lo ha concepito teologicamente come qualcosa di predeterminato, ossia necessario.

Ora, il pensiero riduzionistico (Cartesio, Leibniz, ecc.), riducendo il complesso al semplice (ossia riducendo ciò che considerava indeterminabile, il complesso, a ciò che considerava determinabile, il singolo oggetto o individuo) non ha fatto che ricalcare le orme della teologia: il riduzionismo, in questo senso, non rappresenta nient'altro che il metodo della scienza moderna che riduce il suo oggetto all'oggetto della teologia.

Questo paradosso si spiega soltanto mediante una contraddizione oggettiva così profonda che mai finora era emersa. Un fondamento del pensiero dialettico materialista è l'idea che l'uomo, il prodotto più elevato della natura, ne rappresenta la coscienza stessa, ovvero che l'uomo è in grado di riflettere i processi naturali. Ma la natura, ovvero l'insieme di tutti i processi complessivi della materia in movimento, può essere riflessa solo da una coscienza collettiva, la quale può essere espressa solo da una scienza capace di rendere ragione delle necessità naturali che si manifestano non nelle singole cose, nei singoli eventi, bensì nei complessi evolutivi.

lunedì 30 gennaio 2012

II] La provvidenza divina di Vico come rifiuto della necessità fatale e del caso

(Continua) Per arrivare a comprendere che la certezza geometrica vale solo in sé stessa e non per l'applicazione della geometria alla fisica, ci voleva un pensatore libero da pregiudizi e flessibile. Lo possiamo constatare con alcuni esempi. Così nel campo della morale e della vita civile, Vico indica la prudenza, ma solo perché "i fatti umani sono dominati dall'occasione e dalla scelta, che sono incertissime". E ancora: "dato, dunque, che le azioni della vita pratica sono valutate in conformità ai momenti e alle contingenze delle cose, cioè alle cosiddette circostanze, di cui molte sono estranee e inutili, alcune spesso non conseguenti e talvolta anche avverse, al proprio fine, i fatti umani non possono misurarsi con il criterio di questa rettilinea e rigida regola mentale". Occorre, perciò, secondo Vico, flessibilità.

Ad un certo punto, in due sole paginette, egli si scusa di non aver trattato della teologia cristiana, senza per altro neppure accennare alla divina provvidenza. Ciò conferma che egli riesce ancora a pensare liberamente perché dimentica la teologia, e può quindi ritenere la vita quotidiana di ciascun individuo dominata da circostanze contingenti, da nessuno volute, perciò casuali sia riguardo alle occasioni sia a riguardo delle scelte, incertissime. Da dove deriva, allora, la necessità?

Distinguendo la necessità della scienza da quella della prudenza civile, Vico scrive: "Quanto alla scienza essa differisce dalla prudenza civile in questo: eccellono nella scienza quelli che ricercano una causa sola da cui poter ricavare molteplici fenomeni della natura, mentre nella civile prudenza prevalgono quelli che cercano quante più cause di un sol fatto per congetturare quale sia la vera. Ciò perché alle più alte verità mira la scienza, alle più piccole la saggezza, onde si distinguono i tipi dello stolto, dell'astuto analfabeta, del dotto maldestro e dell'uomo savio".

venerdì 27 gennaio 2012

I] La provvidenza divina di Vico come rifiuto della necessità fatale e del caso

Appena ricevuta la cattedra di retorica nel 1698, Giambattista Vico (1668-1744) scrive un saggio dal titolo "De nostri temporis studiorem rationem", con l'intento di creare una nuova epistemologia in netta polemica col moderno pensiero scientifico cartesiano. Se prendiamo in considerazione questo scritto di Vico, prima della sua opera maggiore: "La scienza nuova" (1730), è perché vi troviamo alcune motivazioni che spiegano la sua soluzione fondata sulla divina provvidenza, nonostante in un primo momento egli si sia limitato a negare sia la necessità fatale che il caso, senza per altro dar troppo peso alla provvidenza.

Nel sostenere l'importanza del senso comume per l'educazione dei giovani, Vico scrive: "Il senso comune si genera dal verosimile come la scienza si genera dal vero e l'errore dal falso. E in effetti il verosimile è come intermedio tra il vero e il falso, giacché, essendo per lo più vero, assai di rado è falso". E ricorda che "Platone inclinava per il verosimile". Egli dice anche che "il fine di tutti gli studi che oggi si osserva, si celebra, si onora da parte di tutti" è "la verità"; ma poi ritiene che "tutto ciò che l'uomo può conoscere, come anche l'uomo stesso, è finito e imperfetto".

mercoledì 25 gennaio 2012

IV] Le ingegnose riflessioni di Leibniz sulla opposizione tra contingenza e necessità

(Continuazione) In uno degli ultimi suoi scritti, il filosofo di Lipsia riassume la sua concezione in maniera molto sintetica: "La sostanza è un essere capace d'azione. Essa è semplice o composta. Sostanza semplice è quella che non ha parti. Sostanza composta è l'unione delle sostanze semplici o monadi. Monas è un termine greco, che significa unità, o ciò che è uno. I composti o corpi sono molteplicità, le sostanze semplici, le vite, le anime, gli spiriti sono unità. Ed è necessario che vi siano sostanze semplici ovunque, perché senza di esse non vi sarebbero quelle composte; perciò tutta la natura è piena di vita".

Come si vede, Leibniz ha rifiutato gli atomi materiali, non potendo evitare, però, per coerenza col metodo riduzionistico della scienza (ereditato dalla teologia), gli atomi spirituali: le monadi. E il lungo discorso su Leibniz potrebbe chiudersi qui, se non avessimo ancora da prendere in considerazione un esempio citato da Bayle, che ci permetterà di concludere sul tema fondamentale del rapporto caso-necessità.

lunedì 23 gennaio 2012

III] Le ingegnose riflessioni di Leibniz sulla opposizione tra contingenza e necessità

(Continuazione) Le obiezioni contenute nella risposta di Arnauld presentano un notevole interesse, sia in se stesse, sia per lo stimolo sul pensiero di Leibniz. Arnauld scrive: "Sarete dunque costretto a dire che tutto il resto della natura non è se non "qualcosa d'immaginario e di solo apparente": e a maggior ragione dovrete dire lo stesso di tutte le opere dell'uomo", in quanto appunto opere collettive. Riguardo agli animali, Arnauld sottolinea giustamente le grandi estinzioni, compresa quella del diluvio universale. E che ne fu delle loro anime? Riguardo agli aggregati, egli distingue i semplici "aggregati per accidente", come un mucchio di pietre, da una casa o un orologio. Così, dice, un pezzo d'oro, una stella e un pianeta possono essere considerati come accidentali, ma gli animali sono del secondo tipo: perché, infatti, "un cavallo o una pianta d'arance non potranno essere considerati ciascuno come un'opera completa e compiuta, al pari di una chiesa o di un orologio?"

Se consideriamo la dialettica naturale caso-necessità, distinguendola dal binomio umano scopo-necessità, le difficoltà rilevate da Arnauld possono essere così risolte: l'orologio è un prodotto voluto per un determinato scopo, ottenuto mediante una determinata serie di operazioni umane necessarie, predeterminate; lo stesso vale per la casa, mentre animali e piante sono il risultato non voluto dei processi naturali che rovesciano la casualità in necessità soltanto come prodotto raro di un grande dispendio (estinzioni); infine, il mucchio di sassi è anch'esso un risultato non voluto, puramente casuale: si tratta di una casualità comune, irrilevante, se non per il fatto che dimostra il dispendio stesso, essendo il risultato di erosioni, rotture e spostamenti dovuti ad agenti naturali, per questi sassi, puramente casuali (come puramente casuale è che certi mucchi di sassi finiscano nei selciati per essere calpestati, mentre altri finiscano negli altari per essere adorati). Ma un pianeta e una stella non possono essere considerati come puri accidenti, essi sono un risultato della dialettica naturale caso-necessità, al pari degli animali e delle piante: rappresentano, infatti, la necessità complessiva come rovesciamento della casualità relativa ai singoli elementi.

venerdì 20 gennaio 2012

II] Le ingegnose riflessioni di Leibniz sulla opposizione tra contingenza e necessità

(Continuazione) Si potrebbe dire di Leibniz che la sua mente teologica respinge le ingegnose idee della sua mente scientifica: così egli non può accettare teologicamente l'idea di abbandonare l'individuo al caso, perciò immagina come soluzione che Dio abbia la visione completa della nozione individuale di Alessandro, fino al punto di conoscere a priori se egli è morto di morte naturale o per avvelenamento, cosa che noi possiamo stabilire solo a posteriori.

In questo modo, Leibniz giunge a concepire una "connessione di tutte le cose" così assoluta da poter dire "che in ogni tempo si trovano nell'anima di Alessandro i resti di tutto ciò che gli è accaduto, e perfino le tracce di tutto ciò che avviene nell'Universo; sebbene Dio solo sia in grado di riconoscerle tutte". Il reale caso, relativo alle singole cose e ai singoli individui, diventa per Leibniz la fittizia necessità della connessione assoluta di tutte le cose e di tutti gli individui, di cui solo Dio è garante e perfetto conoscitore. Ma ogni falsa soluzione comporta il solito prezzo da pagare: il sorgere, da un'altra parte, di una contraddizione insolubile.

"Abbiamo detto -egli scrive- che la nozione di sostanza individuale racchiude, una volta per tutte, tutto ciò che le potrà accadere". La conseguenza di questa asserzione è che la necessità fatale appare eliminare la libertà contingente: "Sembra, con ciò, che la differenza tra verità contingenti e necessarie sia distrutta, che la libertà umana non abbia più alcuna latitudine, che una fatalità debba regnare su tutte le nostre azioni, così come sul resto degli avvenimenti del mondo".

mercoledì 18 gennaio 2012

I] Le ingegnose riflessioni di Leibniz sulla opposizione tra contingenza e necessità

Tra i filosofi e gli scienziati dell'epoca moderna, Gottfried Leibniz (1646-1716) è l'unico che abbia dedicato una costante e profonda attenzione al difficile rapporto caso-necessità, sebbene nella forma della opposizione tra contingenza e necessità. Nelle "verità prime" del 1686, sia pur riferendo a Dio la verità delle cose, Leibniz compie una fondamentale riflessione: dopo aver distinto la verità in "verità affermativa, universale o singolare, necessaria o contingente", osserva: "qui si nasconde il segreto mirabile della natura della contingenza, ovvero la differenza essenziale tra verità necessarie e verità contingenti, e la difficoltà della necessità fatale delle cose, anche libere, ne viene eliminata"

Come vedremo, se per il pensiero teologico la difficoltà della necessità fatale non può essere eliminata, per il pensiero scientifico è proprio vero che il segreto da svelare è la differenza tra universale e singolare, che è anche la differenza tra necessario e contingente (o casuale); e ciò perché dire universale significa dire necessario, e dire singolare significa dire casuale.

Leibniz non poteva, però, giungere a queste conclusioni, perché, per poter affermare la casualità intrinseca al singolo, bisogna sbarazzarsi della teologia, la quale non ammette che il singolo individuo sia abbandonato al caso. Non potendo sbarazzarsi della teologia per princìpio, e avendo una mente scientifica per formazione, Leibniz, nel tentativo impossibile di conciliare il pensiero scientifico col pensiero teologico, sarà costretto a veri e propri tours de force intellettuali che gli permetteranno di oltrepassare, con le sue ingegnose intuizioni, i limiti della propria epoca.

martedì 17 gennaio 2012

Il naufragio al Giglio e il cigno nero di Taleb

Il vero dramma all'isola del Giglio non è il naufragio di una enorme nave con il suo carico di morti e di drammi personali. Il vero dramma è che sia potuto accadere per l'inettitudine di un solo uomo. Anche ammettendo, essendo ormai appurato, che il capitano della nave si sia comportato come un ragazzino in vena di bravate, resta il fatto drammatico che una simile bravata sia potuta accadere.

In molti settori dell'attività umana esistono possibilità remote di eventi catastrofici simili a eventi catastrofici naturali, con i quali, anzi, interagiscono. Uno dei più recenti è stato provocato da una catastrofe naturale (terremoto con tsunami in Giappone) che ha coinvolto delle centrali nucleari. Che cosa accomuna questi eventi? La rarità, che li identifica con i cigni neri di Taleb. Un cigno nero si caratterizza, infatti,  per essere un evento imprevedibile e molto raro.

lunedì 16 gennaio 2012

II] L'energia, la forza e... il bosone di Higgs

2. La repulsione (energia) primigenia genera il suo opposto polare: l'attrazione (massa)

(Continuazione) Alla base della possibilità che il bosone di Higgs ha di generare le masse, viene posto il concetto di campo, inteso in termini quantistici come manifestazione dello scambio di una particella mediatrice. Così, il campo elettromagnetico è quel campo nel quale il fotone rappresenta la particella mediatrice. La particella in questione, come già sappiamo, media anche la forza o interazione elettromagnetica.

Per pura analogia, e soltanto per coerenza con questo modello teorico, si attribuisce anche al campo gravitazionale una particella mediatrice: il gravitone. E così di seguito: i tre bosoni vettoriali W-, W+, Zo mediano la forza debole, e ben otto gluoni quella forte. E poi occorre considerare i rispettivi campi (uno per particella!). E così siamo arrivati al bosone di Higgs che media un'interazione nel campo di Higgs. Nulla di più convenzionale o fittizio poteva concepire la fisica delle particelle!

sabato 14 gennaio 2012

III] Il determinismo assoluto non riduzionistico di Spinoza

(Continuazione) Nella seconda parte dell'Etica: "De Mente", che prendiamo in considerazione in questo paragrafo, concentreremo la nostra attenzione soprattutto sulle idee di Spinoza a riguardo delle cose singolari e delle cose complessive, in connessione alla necessità, alla causalità e al caso. Cominciamo con la definizione VII: "Per cose singolari intendo le cose che sono finite ed hanno un'esistenza determinata. Che se più individui concorrono in una medesima azione in modo che tutti siano insieme causa di un medesimo effetto, io li considero tutti, per questo rispetto, come una sola cosa singolare". Quindi Spinoza considera cosa singolare, o singola cosa anche un complesso di più cose singole, che, in quanto tale, determina un certo effetto.

Poiché nel 1° assioma egli dice che "l'essenza dell'uomo non implica l'esistenza necessaria, cioè, secondo l'ordine della natura, può accadere tanto che questo o quell'uomo esista, quanto che non esista", ne possiamo dedurre che per lui, relativamente al singolo individuo, non esista alcuna necessità: la determinazione necessaria non riguarda i singoli individui. Non è quindi un caso che Spinoza sia anticartesiano non essendo un determinista riduzionista.

Se Cartesio si preoccupava di ridurre il complesso al semplice, considerando la complessità come qualcosa di confuso e incomprensibile, Spinoza al contrario concepisce la natura come vari ordini di complessità. Infatti scrive: "Quando più corpi di medesima o diversa grandezza sono premuti dagli altri in modo che aderiscano gli uni agli altri, in modo che, se si muovono col medesimo grado o con diversi gradi di velocità, si comunichino reciprocamente i loro movimenti secondo un certo rapporto, noi diremo allora che questi corpi sono uniti tra di loro e che tutti compongono insieme un solo corpo, ossia un Individuo, che si distingue da altri per quella unione di corpi".

venerdì 13 gennaio 2012

II] Il determinismo assoluto non riduzionistico di Spinoza

(Continuazione) Nella critica al finalismo divino, come proiezione del finalismo umano, Spinoza fornisce anche la giusta spiegazione del sorgere delle divinità nella mente dell'uomo. Secondo lui, poiché gli uomini agiscono sempre in vista di un fine, cioè in vista dell'utile a cui aspirano, poiché inoltre trovano i mezzi per il raggiungimento dei loro fini in sé e fuori di sé, e poiché sanno di averli trovati ma non prodotti, essi immaginano che esista qualcuno che abbia curato le cose al fine dell'utile dell'uomo. Da qui l'idea degli dei che dirigono "tutte le cose per l'uso degli uomini allo scopo di legarli a sé e da essere tenuti da essi in sommo onore"; e da ciò molteplici modi d'intendere questo rapporto tra gli dei e gli uomini, come tentativi di ricerca del modo migliore di farsi amare dalla divinità, così da ottenerne più profitto, in modo tale da soddisfare la "propria cieca cupidigia", la "propria insaziabile avidità".

Spinoza rincara la dose della sua sferzante critica: "Ma mentre così cercavano di mostrare che la natura non fa nulla invano (cioè nulla che non sia per l'uso degli uomini), essi non hanno mostrato altro, mi sembra, se non che la natura e gli Dei sono colpiti dal medesimo delirio degli uomini". E, quando essi, tra tante cose utili della natura, ne hanno trovate di nocive, come tempeste, terremoti, malattie, hanno giustificato la cosa come ira degli dei per le offese degli uomini, come peccati da espiare. E ciò avveniva, aggiunge Spinoza, nonostante "l'esperienza protestasse quotidianamente ad alta voce e mostrasse con innumerevoli esempi che i casi utili e i nocivi capitano egualmente senza distinzione ai pii e agli empi".

mercoledì 11 gennaio 2012

I] Il determinismo assoluto non riduzionistico di Spinoza

In questo paragrafo mostreremo l'altra faccia del determinismo assoluto della scienza moderna fondato sulla causalità divina: quella non riduzionistica e anticartesiana, che troviamo espressa nella concezione di Baruch Spinoza (1632-1677). Si tratta di un determinismo concernente non già le singole cose, ma i complessi. Mentre, come vedremo, Leibniz attribuì la necessità alle singole cose e considerò i complessi come aggregati casuali e contingenti, Spinoza attribuì la necessità ai complessi e concepì per le singole cose infiniti nessi causali indeterminabili.

Se Spinoza non fosse stato dominato dalle esigenze teologiche, ovvero dalla obbligatoria subordinazione al dogma della causalità divina*, obbligazione alla quale tutti gli studiosi dell'epoca erano doverosamente vincolati, avrebbe potuto considerare gli infiniti nessi tra le singole cose come espressione dell'oggettiva casualità, e, in questo modo, avrebbe potuto stabilire l'oggettivo rapporto tra la singolarità casuale e la complessità necessaria. Invece, egli non poté risolversi a fare altro che attribuire gli infiniti nessi singoli a Dio: con ciò dimostrando che la causalità divina ha continuato a prendere il posto della casualità naturale,  posto che l'antico pensiero greco, per primo, aveva negato al caso.

Per il nostro scopo, prendiamo in considerazione l'opera principale di Spinoza, l'"Etica", pubblicata nel 1660, ventitre anni dopo il "Discorso sul metodo" di Cartesio e ventotto anni dopo i "Dialoghi sopra i due massimi sistemi" di Galileo. Nella prima parte, "De Deo", con la proposizione VI, egli attribuisce a Dio quegli infiniti attributi che spettano di fatto alla materia: "Intendo -egli scrive- per Dio un essere assolutamente infinito, cioè, una sostanza costituita da un'infinità di attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna ed infinita". Nella proposizione VIII stabilisce che "Ogni sostanza è necessariamente infinita". Quindi, nella proposizione XIV afferma: "0ltre a Dio non si può dare né si può concepire alcuna sostanza." Infine, nella proposizione XV, conclude: "Tutto ciò che è, è in Dio, e senza Dio nessuna cosa può essere né essere concepita". Insomma, in senso teologico, Spinoza pone Dio in luogo della materia.

lunedì 9 gennaio 2012

I] L'energia, la forza e ... il bosone di Higgs

1. La repulsione (energia) primigenia genera il suo opposto polare: l'attrazione (massa)*

Abbiamo visto che la teoria quantistica concepisce la "forza" senza alcuna considerazione del rapporto che essa ha con l'energia. Anzi, per evitare ogni problema di rapporto energia-forza, i fisici teorici sostengono che più che una forza si tratta di "interazione". Ma poi, per specificare questa generica interazione, essi la fanno "mediare" da una cosa: ovvero dalla particella portatrice della forza stessa. Un vero e proprio marchingegno!

Però, osservando il comportamento delle quattro forze fondamentali, la teoria quantistica non ha potuto fare a meno di osservare che raggio d'azione e intensità variano l'una dall'altra. Il raggio d'azione della forza elettromagnetica e della forza gravitazionale è talmente grande che la teoria standard si è risolta a definirlo infinito; inoltre entrambe le forze diminuiscono con l'aumentare della distanza. La forza forte e la forza debole hanno, invece, un raggio d'azione infinitesimo; ma tra queste due forze c'è una rilevante differenza: la forza debole ha un raggio minore di quella forte, e quest'ultima diminuisce con la diminuzione della distanza, mentre aumenta con l'aumento della distanza.

Così stanno le cose per la teoria standard, che, come vedremo in seguito, non ha saputo spiegare queste differenze, accontentandosi di soluzioni fittizie, purché "valide" matematicamente, anche se fisicamente "strane". Da ciò quello che è ormai diventato un vanto e un segno distintivo della fisica quantistica: il comportamento strano delle (sue) particelle.

venerdì 6 gennaio 2012

La concezione di Locke della opinione fondata sulla probabilità

Con John Locke (1632-1704) si tocca con mano la proverbiale incapacità teorica degli anglosassoni, ovvero la superba superficialità metafisica del pensiero comune applicato alla teoria della conoscenza. Come aveva osservato Engels, Locke prende i concetti come fossero qualcosa di dato una volta per tutte, fisso e immutabile, senza alcuna connessione tra loro. Per dare un'idea della povertà di questo modo di pensare, basterà considerare come Locke concepisce la formazione dei termini generali nel linguaggio.

"Sembra -egli dice- "che il significato delle parole debba essere singolare e individuale, perché tutte le cose esistenti sono particolari; nondimeno si vede tutto il contrario in tutti gl'idiomi del mondo, di modo che la maggior parte delle parole sono generali. Questo però non è nato dal caso, ma dalla ragione e dalla necessità". E qual'è la principale ragione da lui addotta? L'impossibilità "che ciascuna cosa avesse il suo nome particolare"! E "come si formano le idee generali e i nomi generali?"

Locke anticipa il metodo del buon Piaget, prendendo un fanciullo e indagando il suo modo di ragionare: allora, il fanciullo, prima, compie osservazioni particolari (es. padre e madre), poi osserva che altri rassomigliano a suo padre e a sua madre e quindi si forma un'idea generale che chiama uomo. Allo stesso modo sorgono idee generali come animale, corpo, sostanza! Più facile di così!

mercoledì 4 gennaio 2012

Il meccanicismo deterministico assoluto di Hobbes

Contemporaneo di Cartesio, ma anche di Cromwell, l'empirista Thomas Hobbes (1588-1679) non fa che riflettere, nella sua concezione meccanicistica, 1) da un lato la vecchia impostazione aristotelica, anche se rovesciata, 2) dall'altro la sovrastruttura sociale e politica della sua epoca.

1) Riguardo al primo punto, mentre Aristotele assimilò la natura ai meccanismi prodotti dall'uomo, Hobbes ritiene che l'uomo imiti il meccanicismo della natura. In sostanza, egli attribuisce all'uomo la peculiarità di imitare il modo di operare della natura, che a sua volta è stato, fin da Aristotele, concepito a imitazione del modo di operare dell'uomo. Il brano che segue, tratto dalla sua opera fondamentale, il Leviatano, è di una chiarezza estrema:

"La natura, l'arte con cui Dio ha fatto il mondo e lo governa, è imitata dall'arte dell'uomo, come in molte altre cose, anche in questo: che si può fare un animale artificiale. Se infatti la vita non è altro che un moto delle membra, il cui inizio è in qualche parte principale interna, perché non potremmo dire che tutti gli automata (macchine che si muovono da sé per mezzo di molle e di ruote, come un orologio) hanno vita artificiale?" E così anche il corpo umano è considerato come un orologio, composto di parti, con il cuore simile a una molla, i nervi simili alle corde, le articolazioni simili alle ruote, ecc. E lo Stato, il grande leviatano, che cosa è se non un uomo artificiale di gigantesche dimensioni?

lunedì 2 gennaio 2012

La "massa di Planck" e il "bosone di Higgs"

La dialettica repulsione-attrazione della materia

E' un gioco di parole fin troppo facile dire che dalla fisica quantistica ce ne possiamo attendere di tutti i colori, anche se dubitiamo che oltre la teoria superstandard e oltre i supercolori questa via possa essere ancora percorribile, nonostante ci si trovi ancora molto lontani dalla "massa di Planck", il limite estremo in cui i fisici quantistici credono di trovare l'unificazione delle forze. Quindi, non si capisce proprio dove andranno a sbattere la testa.

In questo capitolo ci proponiamo di dimostrare che, per la strada battuta dai fisici quantistici, è impossibile comprendere il movimento reale della materia alle alte energie, perché essi trascurano la principale polarità dialettica della materia: quella di repulsione-attrazione. In secondo luogo cercheremo di chiarire che, se non si distinguono tra loro qualitativamente i concetti di energia e di massa, la fisica teorica entra in contraddizione con le sue stesse affermazioni, e finisce nel vicolo cieco dell'unificazione delle forze. Cominceremo perciò dalle contraddizioni relative alle asserzioni attorno alla "massa di Planck" e al "bosone di Higgs".
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