sabato 28 giugno 2014

3) Paolo Rossi. La cultura del pessimismo*

(Continuazione) Scrive Rossi: "L'idea di una crescita e di uno sviluppo del genere umano e la nozione dell'advancement of learning, si andranno articolando -nell'età dell'illuminismo- in una vera e propria teoria nella quale entreranno in gioco la nozione di perfettibilità dell'uomo e di una sua natura alterabile e modificabile; l'idea di una storia unitaria o "universale" del genere umano; i discorsi sul passaggio dalla "barbarie" alla "civiltà", soprattutto l'affermazione di costanti o di "leggi" operanti nel processo storico. Fra la metà del settecento e la metà dell'ottocento l'idea di progresso finirà per coincidere -al limite- con quella di un ordine provvidenziale immanente al divenire della storia".

Erano convinti dell'esistenza di quest'ordine, anche se in forma diversa, ad esempio, Comte e Spencer; e, in seguito, troviamo questa convinzione anche "negli esponenti del darwinismo sociale presso i quali il progresso si configura come una necessità naturale e la civiltà viene considerata come una parte della natura. L'evoluzionismo assume tonalità religiose; la teoria dell'evoluzione viene fatta coincidere con quella del progresso; le aspirazioni degli uomini si identificano con quelle della natura".

"A proposito del tardo illuminismo e del positivismo -sottolinea Rossi- si è parlato, non a caso di fede nel progresso e di una ricerca della legge del progresso: progresso verso la perfezione della specie umana, progresso identificato con lo sviluppo della scienza e della tecnica, principali fonti del progresso politico e morale del genere umano".

Nell'epoca che preparava la trasformazione del capitalismo in imperialismo -cosa che l'autore sembra non riconoscere o non accettare- il progresso umano venne inteso come processo necessario, ma Rossi aggiunge che questa idea appartiene al passato "è espressione di un mondo che non è più il nostro". E spiega la cosa nel modo seguente: "La crisi dell'idea di progresso, la identificazione di quell'idea con un mito ottocentesco nacquero in un clima di angoscia profonda, di ansia e di pessimismo sul destino dell'occidente".

"La guerra e la crisi hanno distrutto il mondo della sicurezza: la Scienza, il Progresso, l'Europa non appaiono più al centro della storia umana; la storia appare priva di tendenze, di prospettive, di direzioni; la realtà si configura come un'impari lotta fra l'individuo e le forze cieche e incontrollabili che operano nella storia; la società appare una macchina devastatrice della natura autentica dell'uomo".

Ma questa non è stata altro che la conseguenza dell'imperialismo senile che ha manifestato il suo imputridimento in ben due guerre mondiali e in una profonda crisi economica scoppiata tra le due guerre. Risultato: il tragico Novecento, che ha tolto non solo molte speranze sul progresso umano, ma anche il coraggio della intelligenza e con esso ha dato origine a una inesauribile e pusillanime tendenza all'opportunismo più sfrenato, alla conciliazione e al compromesso con qualsiasi forma di inganno, comprendendo in ciò, anche e soprattutto, la scienza e la conoscenza.

Rossi si fa interprete di questa cultura del pessimismo che ne è derivata: è la delusione riguardante l'ordine progressivo necessario che si è mostrato, invece -com'è nella realtà- un disordine ciecamente necessario e dispendioso nella storia umana. Delusione che ha provocato una caduta nel suo opposto: nella pessimistica visione del disordine, del caos, delle forze cieche e incontrollabili della natura e della storia. E i suoi riflessi sulla teoria della conoscenza si sono visti nel passaggio dal determinismo all'indeterminismo, dalla previdente necessità al cieco caso, dalla sicurezza della frequenza statistica all'incertezza della probabilità.

Ma, tornando alla condizione della scienza, Rossi ci ricorda che il mondo di Copernico e Newton non conosceva uno stato sociale come quello dello scienziato [infatti si dicevano tutti filosofi e si occupavano anche di teologia]. Insomma non esisteva ciò che solo da relativamente poco tempo chiamiamo "scienza moderna". Ma aggiunge che ancora oggi esiste il problema della continuità della scienza con il passato magico-ermetico. E la cosa avrebbe in sé scarso interesse, se non suggerisse un problema.

In effetti, si può pensare che ciò che appare come manifestazione di rifiuto della religione e della magìa da parte dei primi scienziati non debba essere interpretato come conseguenza del fatto che l'umanità, grazie alla nascente scienza, non vedesse l'ora di sbarazzarsi del peso della religione, ma piuttosto che debba essere interpretato come conseguenza del fatto che i primi scienziati moderni (dal Seicento in poi) si ribellassero al troppo stretto legame religioso. Ma è proprio la decisa ribellione di una parte di essi a dimostrare che la religione è stata madre della scienza. Solo che la figlia, per poter crescere in piena autonomia, si è poi ribellata da chi l'aveva generata.

Allora, solo quando il legame sarà completamente sciolto, non si avranno più proteste. E il legame si sta, in effetti, sciogliendo senza che le due parti in causa se ne stiano, però, rendendo conto, anzi mentre, persino, credono di andare d'accordo. Ma, se vanno apparentemente d'accordo è soltanto perché ciò che oggi chiamiamo scienza è, nella pratica, una tecnologia avanzatissima, mentre, nella teoria, rimane una quasi religione, una teologia. Infine, molto difficilmente, questa circostanza sarà finalmente smascherata, o perché la specie umana perderà la scienza teorica restando con la sola religione, o perché sceglierà la scienza, in opposizione alla pseudo scienza teorica, alla prescienza, e lasciando le religioni ai loro fedeli.

Ci avviamo alle conclusioni. Dopo aver citato Koyré, Kuhn Feyerabend, ecc. Rossi scriveva: "La caduta dell'immagine induttivista e baconiana della scienza è stata fatta coincidere con una totale messa in crisi della "razionalità della scienza". Dunque Kuhn, Feyrabend, ecc. sarebbero stati degli irrazionalisti! Ma quel che segue è ancora più istruttivo: "La constatazione  di una serie di problemi e di difficoltà si è trasformata nella dichiarazione di una serie di impossibilità: Poiché gli esperimenti non hanno la funzione decisiva che gli induttivisti avevano loro attribuito, allora nella scienza ci sono solo teorie; poiché nella scienza non si dà sviluppo lineare e continuo, allora non si dà altro che una serie di "scelte" fra teorie; Poiché ogni tentativo di ricostruzione razionale incontra elementi che sfiduciano tale ricostruzione o non appaiono ad essa interamente riducibili, allora si può fare ricorso soltanto alla psicologia individuale o a quella collettiva (sic!)".

Tutto questo, tradotto in termini di teoria della conoscenza, che cosa significa? Significa che, non avendo potuto il determinismo (di origine democritea) rendere conto dei risultati sperimentali, nella scienza si va imponendo un indeterminismo (di origine epicurea) che però non può risolvere niente. In definitiva: poiché la necessità è indeterminabile come rapporto di causa-effetto, allora rimane solo il caso, la probabilità, insomma quello che è stato chiamato pensiero debole.

Ma Rossi ci ricorda anche Lakatos per il quale "la verità è fondata sul potere" "o, si potrebbe aggiungere, sull'abile uso delle tecniche di persuasione". E così l'incontro con il "mondo magico ha avuto come conseguenza "l'assoluta equivalenza non solo di tutte le culture, ma di tutte le possibili visioni del mondo" e di conseguenza "si sono sostenute tesi primitivistiche e irrazionalistiche". E qui si allude alla "letteratura della contestazione" e all'esaltazione della magia! Insomma, sembra che la sinistra americana, anche avvalendosi di Kuhn, abbia affermato un relativismo culturale che ammetteva tutto, anche l'irrazionale e il magico, le culture arretrate, ecc.

E infine le conclusioni: "Il riconoscimento delle origini "torbide" della scienza moderna, la consapevolezza che la nascita della conoscenza scientifica non è così asettica, come ingenuamente credevano illuministi e positivisti, l'abbandono dell'immagine della scienza come progresso continuo, lineare e senza contrasti; tutto ciò non implica di necessità né la negazione del sapere scientifico, nè l'abdicazione di fronte al primitivismo e al magicismo". Sì, ma quale scienza dobbiamo o vogliamo salvare dal magicismo? La fisica quantistica o quel cosetto piccolo chiamato bosone? O lo spazio tempo immaginario? O lo spazio tempo a 10-11 dimensioni? Che facciamo: ci salviamo dal magicismo con elevate dosi di magia?

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*Paolo Rossi: "Immagini della scienza" (1977)

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