sabato 28 giugno 2014

3) Paolo Rossi. La cultura del pessimismo*

(Continuazione) Scrive Rossi: "L'idea di una crescita e di uno sviluppo del genere umano e la nozione dell'advancement of learning, si andranno articolando -nell'età dell'illuminismo- in una vera e propria teoria nella quale entreranno in gioco la nozione di perfettibilità dell'uomo e di una sua natura alterabile e modificabile; l'idea di una storia unitaria o "universale" del genere umano; i discorsi sul passaggio dalla "barbarie" alla "civiltà", soprattutto l'affermazione di costanti o di "leggi" operanti nel processo storico. Fra la metà del settecento e la metà dell'ottocento l'idea di progresso finirà per coincidere -al limite- con quella di un ordine provvidenziale immanente al divenire della storia".

Erano convinti dell'esistenza di quest'ordine, anche se in forma diversa, ad esempio, Comte e Spencer; e, in seguito, troviamo questa convinzione anche "negli esponenti del darwinismo sociale presso i quali il progresso si configura come una necessità naturale e la civiltà viene considerata come una parte della natura. L'evoluzionismo assume tonalità religiose; la teoria dell'evoluzione viene fatta coincidere con quella del progresso; le aspirazioni degli uomini si identificano con quelle della natura".

2) Paolo Rossi. Magìa e scienza*

(Continuazione) Scrive Rossi: E' indubbiamente vero che magìa e scienza costituiscono entrambe due tecniche per controllare la natura, dominare il mondo esterno, ampliare i poteri dell'uomo. E' anche vero che entrambe si sono configurate, almeno in determinati periodi storici, come strumenti di riscatto e di salvezza e che la scienza si è talvolta caricata di tonalità e finalità religiose".

Ecco un modo molto generico di porre in connessione storica scienza, magìa e religione. Anche la contrapposizione tra strumento di "riscatto" e strumento di "dominio" della scienza, quasi fossero, rispettivamente, il suo lato buono e il suo lato cattivo, non chiarisce la questione rimanendo sul piano ideologico. Magìa e scienza più che due strumenti di generico riscatto o salvezza dell'uomo, sono due modi inconciliabili e opposti di affrontare la conoscenza e la manipolazione dei fenomeni naturali. Ma la magìa, ovvero tutte le credenze superstiziose e le pratiche magiche, si poteva e può ancora affermarsi, ma solo nel campo della non conoscenza: la cieca necessità non conosciuta non può essere trattata in altro modo, consapevole o meno, di quello magico.

1) Paolo Rossi. Il concetto di immagine della scienza*

Il termine "immagine" sta per rappresentazione o riproduzione di qualcosa. Allora, qui c'è la cosa, la scienza e poi c'è la sua rappresentazione, l'immagine. Da notare, però, che dalla stessa etimologia di origine incerta del termine "immagine" viene fuori anche il termine imago che è un modo di rappresentare con la mente qualcosa che è solo nel pensiero, quindi inventato con la fantasia, senza un fondamento oggettivo e ancor meno realistico.

E' dal Novecento che, complice Schrodinger, va di moda parlare dell'"immagine della scienza", e se Rossi parla di immagine al plurale è perché nella storia della scienza moderna, dal Seicento al Novecento, la sua immagine si è modificata molte volte adeguandosi alle nuove metodologie, alle nuove teorie, ecc. Risultato: sembra che nessuno abbia più l'ardire di considerare la scienza come conoscenza, e soprattutto come rappresentazione della realtà (ad esempio, della natura).

venerdì 27 giugno 2014

Spazi e tempi specifici della natura

In estrema sintesi

Spazio e tempo sono astrazioni, concetti che non hanno quel valore assoluto che gli attribuì Newton, ma neppure quel valore relativo che gli hanno attribuito prima Huygens e poi Einstein. L'assoluto dello spazio è la sua estensione infinita senza limiti osservabili. L'assoluto del tempo è l'eternità, un fluire senza fine.  E il relativo che cosa è ? E' la forma materiale.

Ma le forme materiali che noi osserviamo, universo, superammassi, ammassi, galassie, stelle, pianeti, terra ecc. (e il sorgere della vita, le forme viventi e la loro evoluzione fino all'uomo) sono complessi che possiedono rispettivi spazi e tempi specifici che sono reali. Perciò, il calcolo degli spazi-tempi dell'universo e delle sue forme materiali non può essere soltanto un calcolo matematico astratto, puramente formale o ideale.

IV] Paolo Rossi. Nata dalla teologia, la scienza moderna non ha ancora risolto i suoi problemi*

(Continua) Nello scolio generale aggiunto alla seconda edizione dei suoi Principia, Newton si pone il problema della regolarità dei moti planetari. Paolo Rossi così riassume: "Quella regolarità, a suo avviso, non può dipendere da princìpi meccanici. L'essere del mondo non trova il suo fondamento in quei princìpi ed è necessario fare appello alle cause finali, al teleologismo. Da una cieca necessità metafisica non può nascere la varietà delle cose create. Il cieco fato non potrebbe mai far mutare tutti i pianeti nella stessa direzione in orbite concentriche".

Rossi così continua, citando Newton: "La uniformità del sistema planetario è il risultato di una scelta: "Questa elegantissima compagine del Sole, dei pianeti e delle comete non poté sorgere senza la presenza di un Essere onnipotente e intelligente". Colui che ha ordinato l'universo, ha collocato le stelle fisse a un'immensa distanza le une dalle altre "per timore che questi globi non cadessero l'uno sull'altro per forza di gravità"." Dio "regge le cose non come l'anima del mondo, ma come Signore dell'Universo"." 

III] Paolo Rossi. Le quattro regole di Newton che capovolgono la realtà della natura*

(Continua)

1) Prima regola: "Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni". "Questa regola -dice Rossi- afferma la semplicità della natura che "non sovrabbonda di cause superflue" e "non fa nulla invano"". E' l'applicazione del cosiddetto "rasoio di Occam": "entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem" (ovvero gli enti non vanno moltiplicati al di là del necessario, o anche, invano si fa con molte cose ciò che può essere fatto con poche).

2) Seconda regola: "Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno assegnate ad effetti naturali dello stesso genere". Newton "afferma -scrive Rossi- la uniformità della natura o la validità generale delle leggi naturali"... ad esempio le pietre cadono allo stesso modo in Europa e in America.

3) Terza regola: "Le qualità dei corpi non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile effettuare esperimenti devono essere ritenute qualità di tutti i corpi". Questa regola afferma "l'omogenità della natura, il suo carattere di entità invariabile, regolare, prevedibile".

4) Quarta regola: "Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate ad eccezioni". Questa regola afferma la necessità di un controllo della teoria "perchè l'argomento dell'induzione non sia eliminato mediante ipotesi". Le teorie scientifiche devono essere in accordo con gli esperimenti e devono essere considerate vere finché tale accordo sussista".

II] Paolo Rossi. Sul caso Galileo*

(Continuazione) Rossi ha compreso che la vera questione era per Galilei "la descrizione della realtà delle cose", distinguendo così tra ciò che appare e ciò che è reale, ossia tra ciò che è soggettivo e dipendente dalla percezione dei sensi e ciò che è reale nel mondo. La seconda questione teorica di Galilei era quella relativa al famoso passo riportato da tutti perché interpretato come supremazia della matematica. 

A questo riguardo, Rossi scrive: "I caratteri in cui è scritto il libro della natura sono diversi da quelli del nostro alfabeto, e non tutti sono in grado di leggere in quel libro. Su questo presupposto Galilei fonda la fermissima, ostinata convinzione di tutta la sua vita: la scienza non si limita a formulare ipotesi, a "salvare i fenomeni", ma è in grado di dire qualcosa di vero sulla costituzione delle parti dell'universo in rerum natura, di rappresentare la struttura fisica del mondo".

giovedì 26 giugno 2014

I] Paolo Rossi. Come nasce la scienza moderna*

Secondo Rossi** la scienza moderna nasce al di fuori delle università e in polemica con queste [quindi, non in una torre d'avorio come quella dell'attuale comunità scientifica]. La scienza moderna nasce con questo duplice carattere: 1) la filosofia meccanica, 2) la nuova immagine di Dio come ingegnere e orologiaio [che nuova non era nella sostanza ma solo nella forma. L'idea del Dio creatore, causa del mondo era già in Platone e in Aristotele. E, riguardo alla forma, ogni epoca ha attribuito a Dio il proprio livello tecnologico raggiunto, i propri meccanismi]

Rossi ricorda che alle origini della scienza moderna convivevano il nuovo (meccanicistico, sperimentale, ecc.) e il vecchio (ermetico, alchemico, ecc. Ad es. Newton che ha scritto manoscritti alchemici con più di un milione di parole, equivalenti a circa 3.500 pagine di libro). E sottolinea: "Gli scienziati del Seicento non sapevano e non potevano sapere ciò che ora sappiamo: che l'alchimia seicentesca "era l'ultimo fiore di una pianta morente e la matematica del Seicento era il primo fiore di una robusta pianta perenne" (Westfall, 1989)".

Per Rossi, le generalizzazioni precedenti la scienza moderna sarebbero legate "a una concezione antropomorfica del mondo, che assume le sensazioni e i comportamenti e le percezioni dell'uomo, nella loro immediatezza, come criteri della realtà". Dunque il soggettivismo è antropomorfico. Ma sarebbe ancora più esatto concepire l'antropomorfismo come quella tendenza ad attribuire alla natura ciò che è dell'uomo, e non solo le sensazioni ecc. umane, ma anche le stesse macchine, e persino il computer com'è avvenuto di recente. E il fatto che nel Seicento-Settecento convivessero, ingenuamente, magìa e scienza, ciò non toglie che ancora oggi esse convivano in modi più raffinati soprattutto in fisica (teoria delle stringhe, teoria M a 11 dimensioni, ecc.)

mercoledì 25 giugno 2014

"La scienza ha ancora bisogno di Dio?"

E' il titolo di un articolo di Roberto Paura

Sottotitolo: "Due grandi scienziati, l'italiano Edoardo Boncinelli e l'americano Lawrence Krauss, riaprono il dibattito sui rapporti tra scienza e fede: l'universo è nato dal nulla e si è evoluto per caso, come la specie umana". Ecco espresso, in breve sintesi, il contenuto essenziale dell'errore di Boncinelli e di  Krauss. Il caso sarebbe "padrone" dell'universo e della sua evoluzione fino alla vita e alla vita cosciente. Questo errore giustificherebbe la possibilità laplaciana di fare a meno dell'ipotesi-Dio.

E che cosa rimarrebbe nell'ipotesi del puro caso? Ossia quello che è stato giustificato come principio antropico: le cose stanno così perché esistiamo, la nostra esistenza ci appare una fortuna cosmica perchè è lo stesso della vincita di una lotteria? E ciò varrebbe sia riguardo all'evoluzione della materia non vivente sia riguardo all'evoluzione della vita e della vita cosciente. Ma qui sta l'errore fondamentale, che consiste nel confondere il puro e semplice caso singolare con la necessità della frequenza statistica.

La principale questione del realismo

La principale questione del realismo non è l'opposizione tra new realism e postmodernismo, e cioè se il mondo esterno sia reale e indipendente dalla mente umana o costruito da essa. Questa falsa opposizione deriva più o meno consapevolmente dalla circostanza che noi effettivamente costruiamo il nostro mondo economico, sociale e politico, ma soprattutto il nostro mondo tecnologico.

Insomma, l'uomo e la sua scienza hanno di fronte, fin dall'antichità, ma molto di più dall'epoca del capitalismo, una realtà direttamente da lui costruita. La prima conseguenza è stata la confusione derivata dalla determinazione di causa ed effetto perfettamente plausibile per l'opera dell'uomo, ma non per l'opera della natura.

La scienza in balia del caso e dell'imprevista necessità

Steven Levitt è il tipico rappresentante di una scienza in balia del caos. Nel titolo del suo libro troviamo un ossimoro "Il calcolo dell'incalcolabile". Ma il giovanotto ha scoperto, giustamente, che non si può fare affidamento sul rapporto di causa-effetto applicato ai singoli individui, eventi ecc. Perciò, ne ha conseguito correttamente che rilevante è il calcolo statistico sui complessi di individui ed eventi. Ma poi si è fermato qui, non sapendo che farsene, per i suoi scopi, della teoria. 

Così, un'impostazione che poteva essere giusta se fosse stata sviluppata e applicata alle grandi questioni complessive delle scienze è stata sprecata per seguire minuzie e per insegnare ai singoli d'essere meno ingenui e più scettici. Di conseguenza, nel suo libro, troviamo soltanto delle applicazioni statistiche di breve momento su pochi e irrilevanti esempi che, riguardando però la vita di tutti i giorni, si guadagnano il facile gradimento dei lettori. Ma c'è un'eccezione: un'osservazione molto interessante che mostra come spesso sia sufficiente un caso apparentemente banale per rovesciarsi in una rilevante conseguenza ciecamente necessaria. Si tratta del calo imprevisto della delinquenza giovanile in America che ha smentito la  previsione di una crescita inarrestabile con conseguenti "bagni di sangue".

Michael Hanlon: domande ancora senza risposta della scienza*

L'autore inizia chiedendosi perchè il tempo sia così misterioso: il tempo scorre? "E che cos'è 'la sostanza' che scorre?" Eppure la risposta dovrebbe essere ovvia: è la materia che evolve nel tempo. Del resto, sostenere che "il passato è morto" significa dimenticare che la morte è un concetto che entra in scena solo con la vita, mentre il concetto di passato vale per ogni processo, rappresentando quella fase in cui le forme materiali si sono prodotte. Il passato è l'opposto dialettico del futuro e il tramite tra i due è il presente. Qualsiasi cosa, fenomeno o processo, ha un passato dietro dei sé, un futuro davanti a sé e un presente che è un continuo passaggio del futuro nel passato.

Ma Hanlon prende in considerazione solo la sensazione soggettiva del tempo: un'ora con una bella ragazza sembra un minuto e un minuto su una stufa rovente sembra un'ora. Questa, secondo lui, sarebbe la relatività einsteniana, ossia qualcosa di puramente soggettivo riguardo alla percezione del tempo, e aggiunge ancora che per Einstein la distinzione tra passato, presente e futuro era un'illusione; da ciò ricavando la possibilità dell'idea del tempo come unico blocco: "un panorama temporale einsteniano o platonico in cui il passato, il presente e il futuro sono tutti altrettanto reali, è popolare tra i fisici poiché mette da parte l'apparente soggettività del passaggio del tempo".

martedì 24 giugno 2014

L'impossibile successo di un blog scientifico

Tratto da uno articolo comparso su "Scienzainrete" il 21 giugno, 2014, che l'ha ripreso da "Scienza § società" -Open Scienza Open Data-. Autore Emiliano Bruner. Titolo "La neurogenesi di Gaia: scienza e informazione digitale". Molto interessante di questo scritto è, in particolare, la questione del rapporto tra conoscenza e informazione nell'era di Internet.

L'autore entra direttamente nel merito quando scrive: "A livello generale e trasversale, uno dei problemi principali è che si sta confondendo "informazione" e "conoscenza". Internet ci offre soprattutto informazione che richiede un processo lento di filtro, integrazione e strutturazione per poter diventare "conoscenza". Il processo di download di informazione è rapido, quasi istantaneo. Il processo di trasformazione in conoscenza è invece lento e richiede uno sforzo e una dedicazione molto più complessa. E' inevitabile che, se si scarica informazione e si pensa di aver scaricato conoscenza (e questo succede soprattutto nelle generazioni più giovani), i rischi e i problemi possono essere davvero seri generando menti con relazioni cognitiva troppo lineari e una capacità di gestione in continua diminuzione e impoverimento".

lunedì 16 giugno 2014

7) L'infinito della logica matematica e il paradosso della riflessività. Conclusioni

(Continuazione) I filosofi e i matematici del passato, fino all'Ottocento, hanno respinto il concetto di infinito attuale a causa del paradosso della riflessività che compare nella corrispondenza di serie tra loro subordinate come, ad esempio, l'insieme dei numeri interi e l'insieme dei numeri pari o dispari: è il paradosso delle "parti grandi quanto il tutto". Se Gauss dovette ribadire il rifiuto dell'infinito come un tutto completo fu perché Bernardo Bolzano, nella prima metà dell'Ottocento, pretese affermare l'esistenza di questo infinito utilizzando un escamotage tipico dei matematici puri.

A questo proposito, Luminet e Lachièze-Rey scrivono: "Bolzano segna una tappa matematica decisiva là dove difende con convinzione l'idea di un infinito attuale, e non solo potenziale. Il suo statuto ontologico dovrebbe essere esattamente lo stesso che spetta agli altri numeri (finiti), e la matematica dovrebbe essere in grado di manipolarlo nello stesso modo in cui manipola qualsiasi altro oggetto". Per Bolzano è possibile il concetto di un insieme infinito di oggetti "che può essere pensato tutto insieme". L'escamotage  da lui utilizzato consistette nell'eliminare il paradosso della riflessività con un paradossale rovesciamento: trasformare il paradosso stesso nel fondamento teorico del concetto di infinito attuale: la riflessività divenne così il contrassegno dell'infinito inteso come un tutto completo. Insomma, l'argomento usato da oltre due millenni per respingere l'infinito attuale divenne la proprietà fondamentale che lo definiva.

domenica 15 giugno 2014

6) L'infinito dello spazio, del tempo e della materia

Per questo e per il prossimo post conclusivo della serie dedicata al rapporto infinito-finito, utilizzeremo il libro di Jean-Pierre Luminet e Marc Lachièze-Rey, dal titolo "Finito o infinito? Limiti ed enigmi dell'universo" (2006). Semplificando molto, ci limiteremo a considerare, in particolare, il paradosso del "bordo" in relazione all'universo finito, i paradossi di Zenone  riguardo alla negazione del movimento e altro ancora riguardo alla materia, per terminare con il concetto di infinito matematico. 

L'antico pensiero greco ha concepito sia lo spazio infinito come contenitore (Leucippo e Democrito); sia l'universo finito (Parmenide e Platone), ma anche il suo opposto: la pluralità dei mondi (Erodoto). A sua volta, Aristotele ha criticato l'atomismo negando lo spazio, contrapponendogli il semplice "luogo" come limite che racchiude le cose. Infine, i sostenitori del mondo finito dovevano non solo assegnarli un "centro", ma ammettere anche una frontiera come limite insuperabile, cioè un "bordo" invalicabile che lo racchiudesse.

sabato 14 giugno 2014

5) Engels sulla polarità infinito-finito

Engels affronta il rapporto infinito-finito osservando " 'Noi possiamo conoscere solo il finito ecc. [affermazione di Nageli]'. Questo è del tutto giusto, nel senso limitato che soltanto oggetti finiti cadono nel dominio della nostra conoscenza. Ma la proposizione ha la necessità anche del completamento: Noi possiamo in definitiva conoscere solo l'infinito." Ma a quale infinito fa riferimento? "Di fatto ogni conoscere effettivo, esauriente consiste soltanto in ciò: che noi con il pensiero eleviamo il singolo dalla singolarità alla particolarità e da quest'ultima alla generalità, che noi ritroviamo e stabiliamo l'infinito nel finito, l'eterno nel caduco. La forma della generalità è però forma chiusa in sé, con ciò infinita; essa è la sintesi di molti finiti nell'infinito".

E' questo ancora il determinismo riduzionistico che crede di poter trovare leggi a partire dalla singolarità per arrivare alla generalità attraverso la particolarità. E' dunque ragionando ancora da determinista riduzionista che Engels può concludere: "Ogni vera conoscenza naturale è conoscenza dell'eterno, dell'infinito, e perciò, nella sua essensa, assoluta". Occorre, invece, rovesciare i suddetti assunti riduzionistici: la generalità della legge naturale è sintesi dell'infinito nel finito, nella forma del rovesciamento degli infiniti casi singolari nelle necessità finite dei loro complessi o forme materiali. La conoscenza reale è conoscenza di complessi finiti, in cui si rovesciano gli infiniti singoli, casuali, elementi costituenti.

venerdì 13 giugno 2014

4) Engels e la nuova idea di necessità fondata sul caso

Nella Dialettica della natura (edizione 1971 degli Editori Riuniti) troviamo, nel pensiero di Engels, un interno dissidio, un contrasto tra la vecchia idea di necessità, fondata sulla connessione di causa-effetto, e la nuova idea di necessità fondata sul caso. Questo contrasto si manifesta dopo la stesura dell'AntiDhuring (1876-1878). Prima del 1876, Engels è fortemente influenzato dal determinismo riduzionistico, come dimostra uno dei paragrafi scritti nel 1874 (vedere pag 239-241 nell'edizione sopracitata), che difende il principio di causa con i seguenti argomenti: "La prima cosa che ci colpisce, considerando la materia in movimento, è la connessione dei movimenti singoli dei singoli corpi, il loro essere condizionati l'uno dall'altro".

Poiché, inoltre, noi siamo in grado di riprodurre le condizioni dei movimenti naturali e possiamo anche produrre movimenti che in natura non si presentano, Engels deriva la seguente conseguenza: "Da ciò, dall'attività dell'uomo, trae il suo fondamento l'idea di causalità, l'idea che il movimento è la causa di un altro". Però, poi, respinge l'idea che "il regolare succedersi di certi fenomeni naturali", pur suggerendo l'idea di causalità, possa anche dimostrarla. Perciò Hume ha ragione a negare il "post hoc" come fondamento del "propter hoc".

giovedì 12 giugno 2014

3) Hegel sulla polarità infinito-finito

Nella "Enciclopedia", Hegel concepisce l'essere determinato, risultato del divenire, sintesi di "essere" e "nulla" e, in quanto tale, finito; ma, a sua volta, l'essere determinato è mutevole, è qualcosa che diventa altro: "L'alcunché diventa un altro; ma l'altro è anche un alcunché; dunque diventa parimenti un altro: e così all'infinito". Questo progresso all'infinito è per Hegel la "cattiva infinità": "Questa infinità è l'infinità falsa e negativa, giacché essa non è se non la negazione del finito, il quale però nasce di nuovo, e per conseguenza non è ancora superato: -vale a dire, questa infinità rappresenta solo il dover essere del superamento del finito. Il progresso all'infinito si arresta alla dichiarazione della contraddizione, contenuta nel finito, che questo, cioè, è tanto l'alcunché quanto l'altro; è il perpetuo cangiamento di queste determinazioni, che s'ingenerano l'un l'altra".

Se riusciamo a superare la difficoltà di questo linguaggio hegeliano e della sua traduzione negli anni '50 del Novecento, dalla quale abbiamo attinto, possiamo procedere. Innanzi tutto, Hegel critica l'applicazione della cattiva infinità alla concezione riduzionistica della divisibilità della materia: "Il progresso all'infinito, che concerne la divisibilità della materia" si serve del seguente procedimento: "Una cosa una volta è presa come un tutto, poi si passa alla determinazione delle parti; questa determinazione viene quindi dimenticata, e ciò che era parte viene considerata un tutto; poi si ha di nuovo la determinazioni delle parti, ecc. all'infinito".

mercoledì 11 giugno 2014

2) La polarità dialettica infinito-finito. Premesse

Esiste una reale contraddizione nella teoria della conoscenza: la contraddizione tra ciò che la mente umana può arrivare a concepire in astratto e ciò che, nella pratica, l'uomo, con i suoi strumenti, può arrivare a determinare e a misurare. Questa contraddizione si riflette anche e soprattutto nel rapporto tra i concetti di infinito e finito. Per gli antichi greci, che arrivarono a misurare migliaia di stadi, grandezze superiori erano praticamente infinite. Esiste perciò un infinito relativo che semplicemente travalica le grandezze misurabili in una data epoca storica.

Ma il pensiero astratto può andare oltre: già quando si potevano misurare soltanto migliaia di stadi, i filosofi concepirono un infinito, per così dire, assoluto, indipendente dalla capacità umana di misurare grandezze finite, per quanto grandi. E' da qui che dobbiamo partire per comprendere i concetti  di infinito e di finito. Ora, se l'infinito "relativo" è un finito che non siamo ancora in grado di misurare perché smisurato, l'infinito "assoluto" è qualcosa di non misurabile perché sconfinato, illimitato. In sostanza questo infinito non è determinabile come un finito. Il problema allora è di stabilire il contrassegno di questo infinito e il suo rapporto con il finito. 

martedì 10 giugno 2014

1) La soluzione dialettica del rapporto infinito-finito. Introduzione

Con una serie di post affronteremo una questione molto complessa che, finora, nel pensiero filosofico scientifico, non ha trovato una soluzione soddisfacente né, tanto meno, risolutiva: si tratta del concetto di infinito, il quale non ha senso se non in rapporto al concetto di finito. Come punto di partenza, occorre distinguere la polarità infinito-finito della materia dalla polarità infinito-finito della conoscenza: la prima riguarda la realtà materiale, la seconda riguarda la conoscenza reale. La realtà materiale va per la sua strada, indifferente e indipendente dalla coscienza dell'uomo, ma la conoscenza reale può e deve riflettere il reale percorso dell'evoluzione della materia.

Reali sono le forme materiali finite, e reale è l'infinita materia nello spazio e nel tempo infiniti. Questi sono anche gli unici assoluti. In che senso assoluti? nel senso che la materia è indeterminata e infinita così come lo sono lo spazio e il tempo della sua esistenza. Questa materia, però, si determina in un eterno processo evolutivo di forme materiali transitorie. Perciò si può affermare: se la materia è eterna e infinita, le sue forme (le forme materiali) sono effimere e finite.

giovedì 5 giugno 2014

Le principali combinazioni fra i termini causa-effetto, caso-necessità, singolo-complesso nel pensiero moderno

La principale tesi di questo blog sostiene che solo la concezione dialettica, che parte dal caso inerente i singoli elementi di un complesso e mostra il rovesciamento nell'opposto, nella necessità inerente il complesso stesso, è in grado di riflettere la reale evoluzione della materia. Ogni altro modo di concepire la connessione tra i termini singolo, complesso, caso, necessità rappresenta un errore. Vedremo subito che finora, nella storia del pensiero moderno, nessuna combinazione tra di essi è stata tralasciata, eccetto quella corretta.

1) La prima combinazione, la più remota, è quella che, sbarazzatasi del caso, concepisce soltanto la necessità. Già affermatasi nell'antichità, nella forma del determinismo assoluto, si fonda sulla connessione di causa ed effetto. Nella sua forma riduzionistica, essa parte dalla necessità dei singoli elementi e si illude di poter determinare come conseguenza la necessità dei complessi, concepiti come composti o meccanismi. Questa forma deterministica riduzionistica, nella sua veste moderna, risale a Cartesio.

La soluzione del rapporto caso (singolo) - necessità (complesso) intuìta da Marx

Nel terzo libro del Capitale, spiegando il motivo per il quale la domanda e l'offerta non permettono di determinare le leggi della produzione capitalistica, Marx giunge alla definizione di necessità come media statistica complessiva di numerosi eventi che, presi di per sé, variano a caso e solo per caso si equilibrano.

Arriva a questa conclusione partendo dalla seguente osservazione: "Le vere leggi intrinseche della produzione capitalistica non possono essere spiegate in base all'azione reciproca della domanda e dell'offerta (...), perché queste leggi si manifestano nella loro forma pura solo quando domanda e offerta cessano di agire, ossia si equilibrano. In realtà, domanda e offerta non si equilibrano mai, o, se si equilibrano, questo avviene solamente per caso, cosicché il fenomeno non ha alcun valore scientifico e deve essere considerato come  inesistente".

Per Marx le "leggi pure" rappresentano la necessità depurata dalla casualità. Perciò, per la conoscenza delle leggi scientifiche, ciò che è casuale deve essere considerato come inesistente in quanto indeterminabile. In altre parole, la conoscenza scientifica deve astrarre dal caso. Ma che cosa avviene nel rapporto tra domanda e offerta? Che solo quando si equilibrano si può astrarre dal caso, ma in realtà esse si equilibrano soltanto per caso. Questo è un circolo vizioso. Dunque, non c'è alcuna possibilità di determinazione scientifica.

mercoledì 4 giugno 2014

Hegel: l'evoluzione della materia

la materia infinita e i cicli finiti delle forme materiali

Concludiamo questa prima parte del volume, dedicata alla dialettica caso-necessità nella teoria della conoscenza, con alcune riflessioni sull'evoluzione della materia che produce le più diverse forme fisiche e biologiche, oggetto di studio delle scienze della natura. Può sembrare paradossale ma è un fatto degno di considerazione che l'elaborazione filosofica dell'idealismo hegeliano inizi con il divenire, concetto fondamentale per la comprensione della reale evoluzione della materia nel cosmo.

Hegel risolve il problema del cominciamento della propria filosofia idealistica partendo dal puro essere (tesi), continuando con la sua negazione (antitesi) e quindi mostrando l'unità dialettica dell'essere e del nulla nel divenire (sintesi). Il risultato stabile del divenire è l'essere determinato che rappresenta l'unilaterale, il finito del divenire stesso; perciò l'antitesi sembra sparita; e invece nell'essere determinato essa si ripresenta, perché l'essere determinato è un qualcosa con determinate qualità che il divenire trasforma in un altro essere determinato con qualità modificate, ecc.

L'essere determinato, che sorge dal divenire, è una sintesi di essere e nulla, che concretamente si manifesta come qualcosa che è altrimenti dall'essere e il nulla, e che il divenire trasforma in altro. "L'alcunché -scrive Hegel- diventa un altro; ma l'altro è anche un alcunché; dunque diventa parimenti un altro; e così all'infinito". Nella filosofia idealistica hegeliana il divenire trasforma ogni essere determinato in un altro essere determinato con una progressione all'infinito.

Kant sul rapporto singolo-complesso (individuo-specie) nella storia

Abbiamo già visto che Kant, nella "Critica della ragion pura", non tenendo in alcun conto il caso, ha preteso stabilire una causa oggettiva sulla base del suo soggettivismo trascendentale. Ma, nella "Critica della ragion pratica" e soprattutto nei suoi "Scritti di filosofia e di storia", nonostante non giunga mai ad accettare il caso, non respinge però argomenti che, come abbiamo già tentato di dimostrare, sono connessi al rapporto caso-necessità: si tratta in particolare dell'attribuzione dell'ordine e della necessità al complesso (la specie) e del disordine e del caso al singolo (l'individuo).

In uno scritto del 1784, intitolato "Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico", Kant scrive: "La storia che si propone di narrare queste manifestazioni, per quanto profondamente occulte possano essere le cause, fa tuttavia sperare di essere in grado di scoprire nel gioco della libertà umana, considerato in grandi proporzioni, un ordine per cui ciò che nei singoli individui si rivela confuso e irregolare, nella totalità della specie possa riconoscersi come sviluppo continuato e costante, anche se lento, delle sue tendenze originarie".

martedì 3 giugno 2014

Conclusioni sull'individualismo egocentrico di Schrodinger

Schrodinger vorrebbe che la personalità dello scienziato contasse di più: "se la personalità ne è [dall'immagine del mondo] esclusa per convenzione, come potrebbe essa contenere l'idea più sublime che si presenta nello spirito umano?". Così, egli si preoccupa del fatto che l'immagine scientifica del mondo "è di un silenzio spettrale su tutti i problemi generali e particolari vicini al nostro cuore, che hanno veramente importanza per noi. Non ci può dire una parola sul rosso e l'azzurro, l'amaro e il dolce, il dolore e la gioia fisica; non sa nulla della bellezza e della bruttezza, del bene e del male, di Dio e dell'eternità".*

E' la solita storia: prima si fanno astrazioni e poi si pretende mangiare la frutta e non pere e mele. E se le pere e le mele non sono considerate oggetti del mondo reale indipendente dalla nostra coscienza, ma soltanto dei costrutti personali o comuni di sensazioni quali dolce e amaro, ecc., come stupirsi poi che si pretenda mangiare o assaporare la frutta in quanto tale e si rimanga delusi perché la scienza non ci dice nulla della frutta in quanto tale? E se le "mie sensazioni", in comune con le altrui sensazioni, mi fanno costruire l'immagine di Dio e del diavolo, perché la scienza non fornisce informazioni a tal proposito?

lunedì 2 giugno 2014

L'individualismo egocentrico ostile alla polarità caso-necessità (Schrodinger 3)

La statistica come metodo d'indagine che rinuncia al singolo particolare

(Continuazione) Alla fine del capitolo che stiamo considerando Schrodinger definisce la statistica come metodo d'indagine che "consiste in una saggia rinuncia alla conoscenza del particolare", e respinge l'idea che limitare la fisica alle teorie statistiche "provenga da una specie di "rassegnazione"." Quindi, vede l'analogia della statistica economica e sociologica con la statistica della fisica. Ma, sottolineando che non si può "sapere nulla della sorte di una singola molecola e tanto meno influire sul suo andamento", non conclude che la stessa cosa vale anche, ad esempio, per il singolo scienziato. Abbiamo già considerato il motivo psicologico che impedì a Schrodinger di essere del tutto conseguente con le sue osservazioni e riflessioni. Qui ci limiteremo a segnalare i momenti di maggiore vicinanza alla soluzione, contrapponendoli a quelli nei quali si ritrae e diventa reticente.

Innanzi tutto, egli accomuna Boltzmann e Darwin scorgendo "un profondo carattere comune alle loro tendenze e al loro pensiero. Di che cosa si tratta? Altrove ho accennato alla legge statistica dei grandi numeri, che dovrebbe costituire questo carattere comune, che rappresenta la spina dorsale, il nerbo delle due teorie".* In questa affermazione Schrodinger va oltre le convinzioni di Darwin, ma proprio in questa forzatura dimostra il suo acume teorico, vedendo la soluzione statistica nell'idea darwiniana di variazione casuale non diretta verso uno scopo. Finalmente il biologo può sostenere di aver "incontrato nel suo ramo leggi del tutto esatte; tuttavia esse sono naturalmente, com'egli dice quasi scusandosi, "solo" leggi statistiche, che si verificano tanto più esattamente quanto più numerose sono le collettività che si prendono in esame".

L'individualismo egocentrico ostile alla polarità caso-necessità (Schrodinger 2)

II] La contraddittoria conoscenza del "mondo reale"

(Continuazione) La principale e più contrastata questione della teoria della conoscenza, che ha ossessionato le menti di intere generazioni di studiosi e scienziati, è stata e continua ad essere la definizione del mondo dei fenomeni da studiare. Per più di due millenni si sono fronteggiate due concezioni opposte e antagoniste, il materialismo e l'idealismo: il primo che fa derivare le idee dalla materia; il secondo che fa derivare la "materia", o meglio la "realtà", dalle idee.

Sebbene l'idealismo abbia sempre negato l'esistenza di un mondo materiale esterno alla coscienza e indipendente da essa, neppure l'dealismo estremo di Berkeley giunse fino al punto di negare la realtà del mondo, oggetto della scienza. Ma affermare la realtà di un mondo che non ha esistenza indipendente è soltanto un sofisma: l'astuzia idealistica ha contribuito a confondere la questione, perché sul concetto di realtà si può dire, ed infatti è stato detto, di tutto.

Così, la questione della definizione del mondo dei fenomeni naturali si è ridotta alla questione equivoca dell'interpretazione del termine "reale". E, mentre i materialisti ribadirono la realtà del mondo materiale indipendente dalla coscienza, gli idealisti, in buona compagnia degli agnostici, sostituirono con sottili sofismi la materia con le sensazioni, considerate o come pura manifestazione dello spirito (idealisti) o come manifestazione dell'essere umano sensibile (agnostici).

domenica 1 giugno 2014

L'individualismo egocentrico ostile alla polarità caso-necessità (Schrodinger 1)

I] Un motivo psicologico plurimillenario alla base del ritardo nella comprensione e nella accettazione della dialettica caso-necessità

Affronteremo in un apposito volume dedicato alla società e alla storia umana i motivi che per millenni hanno ostacolato la coscienza umana nella comprensione della reale dialettica caso-necessità. Qui ci limiteremo a considerare il motivo psicologico in se stesso, sebbene esso rappresenti, nella coscienza individuale, un riflesso di motivi fondamentali riconducibili ai rapporti economici, sociali e politici. Si tratta del rifiuto che l'individuo, e a maggior ragione l'individuo che si occupa di filosofia e scienza, ha sempre opposto al ruolo che il caso gli impone: quello di rappresentare una comparsa casuale della "commedia umana" che vede come protagonisti necessari i complessi di individui: le classi, i popoli, la specie umana.

La conseguenza, nei millenni, è stata che studiosi e ideologi hanno sempre cercato la necessità dell'operare umano principalmente a livello individuale; ma, così facendo, si sono preclusi la via per comprendere l'oggettiva posizione dell'individualità nel rapporto caso-necessità, e non solo nelle società che nei millenni andavano creando, ma soprattutto nel campo della faticosa conoscenza del mondo naturale e sociale, in particolare a partire dall'antica Grecia per continuare con la nascita della scienza moderna. Il risultato è stato il predominio del modo di pensare riduzionistico, che può essere definito il tentativo, fallito, di determinare il singolo come principale oggetto d'indagine scientifica.
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