giovedì 22 dicembre 2011

III) Fox Keller: Il meccanicismo metaforico della genetica

(Continuazione) La storia ricostruita dalla Keller testimonia un complicato intreccio tra teoria dell'informazione, cibernetica, ecc. a tutti i livelli, militare, politico, sociale, biologico e fisico. "Molto hanno scritto gli storici della biologia moderna riguardo alla influenza della fisica e dei fisici sullo sviluppo della biologia molecolare e in particolare sui tentativi di controllare l'organismo a mo' di macchina (di meccanismo a orologio) tradizionali. Ma l'influenza è soltanto una parte della vicenda. Per capire i cambiamenti occorsi dalla seconda guerra mondiale in poi nella nostra comprensione di che cosa sia un organismo, dobbiamo disegnare una ragnatela di interazioni ben più complesse".

Si tratta, in primo luogo, di sottolineare l'influenza esercitata da un periodo storico che, in altro luogo, abbiamo definito così atroce (come è stata la Seconda guerra mondiale), da aver tolto a studiosi e scienziati dell'epoca il coraggio dell'intelligenza, e d'aver suggerito loro la comoda soluzione delle utili convenzioni. Si tratta allora di dipanare, nella "ragnatela di interazioni", ciò che è fondamentale per la teoria scientifica da ciò che è stato puramente contingente.

mercoledì 21 dicembre 2011

II) Fox Keller: "Il meccanicismo metaforico della genetica"

(Continuazione) Così genetica ed embriologia si riavvicinarono, però nel senso che la prima inglobò la seconda. "Ma i termini di questo riavvicinamento sono risultati ben diversi da quelli immaginati dalla prima generazione di genetisti e di biologi molecolari. La ricerca attuale -traendo vantaggio dai successi tecnici inauditi della biologia molecolare e anche dalle informazioni giunte dai sequenziamenti del Progetto Genoma Umano- invita (con sempre maggior insistenza) a cambiar idioma (!), e a riconoscere al citoplasma la stessa probabilità del genoma di venir raffigurato quale locus del controllo. Com'è potuto accadere?"

Insomma, com'è potuto accadere che il "successo" della biologia molecolare sia risultato inutile, e si sia dovuto abbandonare la cosiddetta "azione del gene", a favore della cosiddetta "attivazione dei geni", passando da una metafora a un'altra? In sostanza, chi stabilisce, chi controlla i processi di differenziazione cellulare? Nel 1984, Sidney Brenner ammise che all'inizio si diceva che le risposte alle domande sullo sviluppo sarebbero venute dalla conoscenza dei meccanismi molecolari del controllo genico; ma questi meccanismi "sembrano noiosamente semplici e non ci dicono quello che vogliamo sapere". "Dobbiamo cercare di scoprire dei principi di organizzazione... Non credo che questi princìpi risulteranno incorporati in un semplice meccanismo chimico, come nel caso del codice genetico".

lunedì 19 dicembre 2011

I) Fox Keller: il meccanicismo metaforico della genetica

La storica della scienza, Fox Keller, in "Vita, scienza e cyberscienza" (1995), compie una ricognizione sulla concettualizzazione della genetica del Novecento, dimostrando che si è trattato sempre e soltanto di metafore meccanicistiche. Come vedremo, si conferma la nostra tesi secondo la quale i biologi del secolo appena trascorso, privi di una teoria realistica, non sono riusciti a rendere ragione, spiegare, in definitiva, conoscere realmente i processi e i fenomeni della vita; e non hanno potuto fare altro che rifugiarsi nel vecchio convenzionalismo fìttizio.

Cominciamo da una domanda fondamentale alla quale la comunità scientifica non ha finora risposto: "Da tempo i genetisti credono (e negli ultimi anni la credenza si sta diffondendo sempre di più anche nell'opinione pubblica) che i geni siano gli agenti primi della vita: che siano le unità fondamentali dell'analisi biologica, e che il fine ultimo della scienza biologica sia di capire come essi agiscono". Da qui "il discorso sull'azione del gene" che sta alla base del varo del "Progetto Genoma Umano". "Ma che cosa significa attribuire (oppure negare) potere causale ai geni? Fino a che punto questo modo di dire riflette un insieme di "fatti di natura" e fino a che punto invece riflette i fatti di cultura di una particolare disciplina? Ed è soltanto un modo di dire? O non è anche un modo di pensare, di vedere e fare scienza?"

venerdì 16 dicembre 2011

2) Aspettando i risultati di LHC

II] I litigiosi congressi di Solvay (1913-1933) nella accomodante versione di Bohr

(Continuazione) 1913. 1° Conferenza sulla "struttura della materia". Scrive Bohr: "E' illuminante per la comprensione dell'atteggiamento generale dei fisici a quel tempo notare come non fosse ancora generalmente apprezzata l'importanza eccezionale che aveva per queste ricerche (sulla struttura della materia) la scoperta di Rutheford del nucleo atomico". Ma se trascuravano il nucleo atomico, i fisici accoglievano con soddisfazione la scoperta di Laue della diffrazione dei raggi X (Rontgen) nei cristalli.

Alcuni mesi prima della conferenza era stato pubblicato il lavoro di Bohr sul modello dell'atomo, che tentava di interpretare la scoperta di Rutheford, ma, sebbene l'autore non lo dica espressamente, esso fu in sostanza ignorato. A Thompson fu concesso di relazionare ampiamente sulla costituzione elettronica dell'atomo, mentre Rutheford, dice Bohr, accennò solamente alla sua scoperta, insistendo però "sull'abbondanza e accuratezza dei dati che stavano alla base del suo modello nucleare".

Illuminante per definire l'atteggiamento dei fisici non è soltanto lo scarso apprezzamento della scoperta del nucleo. A nostro avviso, questa conferenza si caratterizzò per il prevalere delle influenze positivistiche e idealistiche che la scoperta di Laue sembrava favorire, proprio perché eliminava "gli ultimi dubbi sulla necessità di attribuire proprietà ondulatorie" a radiazioni penetranti i cui aspetti corpuscolari "erano stati illustrati in modo sorprendente dalle fotografie in camera di Wilson".

giovedì 15 dicembre 2011

1) Aspettando i risultati di LHC

I] I litigiosi congressi di Solvay (1913-1933) nella accomodante versione di Bohr

In una raccolta di scritti, pubblicata in Italia nel 1961 con il superbo titolo "I quanti e la vita", Bohr rifà la storia dei Congressi e delle Conferenze di Solvay, smussando tutte le polemiche e i contrasti che li avevano accompagnati, e fornendo la soluzione di compromesso, da lui stesso escogitata, che fu accettata senza vera soddisfazione, appunto soltanto perché era un compromesso che non risolveva niente.

Prima di affrontare la storia scritta da uno dei protagonisti della crisi della fisica dei primi decenni del Novecento, vediamo di riassumere i termini di questa crisi. I Congressi iniziarono nel 1911, dopo la scoperta sperimentale dell'elettrone (Thompson) e del nucleo (Rutheford), dopo l'equazione di Planck e i saggi di Einstein sui quanti di luce e sull'equivalenza massa-energia.

Queste novità riproposero il vecchio dilemma tra la concezione corpuscolare e quella ondulatoria. Agli inizi del Novecento, la comunità dei fisici era divisa tra due concezioni sulla natura della materia: alla costituizione atomistica corpuscolare veniva contrapposta una concezione energetista-ondulatoria, nella quale la materia veniva fatta scomparire. Era questa la forma in cui nella scienza della fisica si riproponeva l'antica opposizione tra materialismo e idealismo.

mercoledì 14 dicembre 2011

La mistica particella di Dio, il bosone di Higgs, ha lasciato la sua impronta?

Nel lontano 1964, il matematico fisico Peter Higgs, evidentemente nelle grazie del Signore, creava una matematica apposita che contemplava una specie di comunione di campo e particelle chiamate bosoni, tra cui il bosone responsabile della formazione delle masse.

Nell'ultimo post chi scrive ha avuto torto a predire che i due articoli storici di Maiani e Greco, usciti su "Scienza in rete", stavano a significare che avremmo dovuto aspettare ancora parecchio per la conferma del "bosone di Higgs". Infatti, all'improvviso, un modesto risultato, tutto da valutare non solo dai teorici matematici ma anche dai fisici empirici, viene strombazzato dai quotidiani come fosse: "se non ora, quando?"

martedì 13 dicembre 2011

Il futuro della conoscenza: una possibilità in attesa di essere realizzata, se mai lo sarà

L'autore di questo blog può intervenire in diversi campi della conoscenza umana perché, dal 1993, ha prodotto una serie di volumi, dai quali ogni volta pesca paragrafi che non invecchiano mai, quali ad esempio quelli relativi alla storia della teoria della conoscenza, per fare un solo esempio. Si potrebbe dire che il  passato della conoscenza è una necessità comunque garantita, sia nei suoi errori che nelle sue verità.

Ma, per poter eseguire nuovi approfondimenti suggeriti da nuove letture e nuovi studi, e tradurli in sintesi degne di essere pubblicate o postate, i diversi campi della conoscenza, nel presente, si fanno concorrenza nella testa dell'autore, perché tutti ugualmente attraenti ma non tutti fronteggiabili in contemporanea. E' così che da tempo due ponderosi trattati di biologia molecolare e cellulare, per ora soltanto compulsati, aspettano pazientemente d'essere ripresi in considerazione: sono in lista di attesa, dopo essere stati messi da parte assieme a un centinaio di pagine manoscritte estratte. Si potrebbe dire che il futuro della conoscenza è solo una possibilità che attende di essere realizzata, se mai lo sarà.

lunedì 12 dicembre 2011

Heinz Pagels: la metafora del campo in fisica

Il riduzionismo indeterministico applicato alle particelle e ai campi quantistici

Secondo Heinz Pagels ("Universo simmetrico", 1988) le particelle fondamentali della fisica non sarebbero fatte di "materia" nel senso comune del termine, ma di entità stabilite dal "mondo stravagante della realtà quantistica". E ancora: "Il primo modo in cui i fisici concepiscono queste particelle si riferisce alle proprietà intrinseche (quali massa, spin, carica elettrica e così via) che sono alla base della loro classificazione. Il secondo modo si fonda sulle interazioni tra particelle diverse. Una volta che un fisico conosce le proprietà intrinseche e tutte le interazioni di una particella quantistica, conosce tutto ciò che di essa si può conoscere".

Si tratta della pretesa conoscenza riduzionistica che predetermina persino ciò che si può conoscere. Ma che cosa si può conoscere? Chi lo stabilisce? Le particelle, come forme materiali, non contano nulla; ciò che conta è la nozione di simmetria, che è una nozione tipicamente matematica, geometrica, che vale per tutto ciò che vogliamo, che non distingue tra un cerchio e una particella, tra una sfera e un cristallo di ghiaccio. I matematici fisici adorano i concetti che valgono indistintamente per tutto (e quindi per niente in modo specifico). Credono in questo modo di fare una scienza superiore, mentre si elevano nel cielo terso delle astrazioni pure. Simmetria, supersimmetria, rottura della simmetria: sembra di tornare all'esoterismo.

Seth Lloyd: l'universo a immagine e somiglianza del computer

Se la materia, secondo Zeilinger, è informazione, perché l'universo non potrebbe essere un computer? Seth Lloyd lo ipotizza chiaramente fin dal titolo del suo libro "IL PROGRAMMA DELL'UNIVERSO. Il cosmo come uno sconfinato computer"(2006). Ecco un chiaro esempio di realtà convenzionale, fittizia e metafisica, che traduce l'idea dell'identità realtà-informazione. Non sapendo come concepire realmente l'universo, lo si considera "come se" fosse uno sconfinato computer, così da utilizzare in cosmologia la nuova "scienza delle reti". Questo è il modo di procedere della scienza contemporanea: inventare nuovi paradigmi tratti dalle ultime novità della tecnologia umana.

Se Zeilinger ha detto: realtà e informazione sono la stessa cosa, Lloyd dice: "In principio era il bit". "Le cose nascono da pezzi di informazione, cioè dai bit". Murray Gell Mann ha obiettato all'autore che non tutti i bit sono uguali: "Ci sono bit preziosi e altri no". E alla domanda di uno studente: "c'è un modo preciso, matematico, di quantificare l'importanza dell'informazione contenuta in un bit?", l'autore non risponde, sprofondando nel più banale e semplicistico riduzionismo estremo.

venerdì 9 dicembre 2011

III] Kant: la cosa in sé inconoscibile e il caso inesistente

Eliminato il caso, rimangono solo le vuote tautologie e il noumeno

(Continua) 1) "Se il concetto ha una semplice connessione intellettuale con le condizioni formali dell'esperienza, il suo oggetto si dice possibile". Quindi, il concetto di possibile riguarda soltanto la possibilità delle condizioni formali dell'esperienza, permessa dai concetti a priori; è dunque possibile tutto ciò che non contraddice i concetti a priori. La possibilità kantiana non ha nulla a che vedere con l'oggettiva possibilità, che realmente si presenta come multiforme possibilità.

2) Se il concetto "è collegato alla percezione (sensazione come materia sensibile) ed è da questa determinata mediante l'intelletto, l'oggetto è reale". Quindi è reale soltanto ciò che è percepito come materia sensibile (esperienza, fenomeno) ed è determinato, ossia concepito, dall'intelletto. La realtà kantiana è dunque soggettiva, e nulla ha a che vedere con la oggettiva realtà di fatto, indipendente dalla coscienza.

3) Infine, se il concetto "è determinato dal collegamento delle percezioni in base ai concetti, l'oggetto si dice necessario". Quindi, se i concetti collegano le percezioni, la realtà di cui sopra è necessaria.

mercoledì 7 dicembre 2011

II] Kant: la cosa in sé inconoscibile e il caso inesistente

Lo schema trascendentale e la possibilità formale

(Continuazione) Scrive Kant: "Ma ogni nostra intuizione è sensibile e la conoscenza, essendo il suo oggetto dato, è empirica. La conoscenza empirica è però esperienza. Ne segue, dunque, che per noi non è possibile alcuna conoscenza a priori che non sia conoscenza di oggetti d'esperienza possibile". Il soggettivista trascendentale ha scoperto questa formuletta che ripeterà in tutte le salse, e che sembra collegare la conoscenza a priori con la conoscenza di oggetti d'esperienza, attraverso soltanto l'aggettivo possibile. Messa in positivo, la proposizione precedente suona così: per noi è possibile ogni conoscenza a priori che sia conoscenza di oggetti d'esperienza possibile. E' possibile ciò che è possibile. Bella tautologia per qualcosa d'impossibile!

Perché la questione è questa: com'è possibile accordare la sfera dell'a posteriori con la sfera dell'a priori, ossia l'esperienza con  i concetti a priori degli oggetti dell'esperienza stessa? Kant pone questa questione come aut, aut: "o è l'esperienza a rendere possibile questi concetti, o sono i concetti a rendere possibile l'esperienza". Poiché l'esperienza (come abbiamo già visto in Hume) non rende possibile generalizzare concetti di necessità, e di causa ed effetto, e Kant è dello stesso avviso (per cui rifiuta che i concetti derivino dall'esperienza), allora che cosa può restare se non la seconda alternativa? E infatti, così conclude: "le categorie contengono, dal lato dell'intelletto, i fondamenti della possibilità di ogni esperienza in generale" .

Questa soluzione puramente formale, che non rappresenta altro più di un espediente, non può bastare. Occorre, per così dire, una soluzione concreta, applicabile. Kant crede di trovarla nello schema trascendentale (Libro II Analitica dei princìpi): "Ora è chiaro che ci deve essere un qualcosa di intermedio, che risulti omogeneo da un lato con la categoria e dall'altro col fenomeno, affinché si renda possibile l'applicazione della prima al secondo. Questa rappresentazione intermedia deve essere pura (senza elementi empirici) e, tuttavia, per un verso intellettuale e per l'altro sensibile: essa è lo schema trascendentale".

lunedì 5 dicembre 2011

I] Kant: la cosa in sé inconoscibile e il caso inesistente

L'incolmabile separazione tra la sfera dell'intelletto puro e la sfera della esperienza sensibile

Nella prefazione alla seconda edizione della "Critica della ragion pura", Kant espone il suo programma per una teoria della conoscenza soggettivistica: "Finora si è creduto che ogni nostra conoscenza debba regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi, condotti a partire da questo presupposto, di stabilire, tramite concetti, qualcosa a priori intorno agli oggetti, onde allargare in tal modo la nostra conoscenza, sono andati a vuoto. E' venuto il momento di tentare una buona volta, anche nel campo della metafisica, il cammino inverso, muovendo dall'ipotesi che siano gli oggetti a doversi regolare sulla nostra conoscenza; ciò si accorda meglio con l'auspicata possibilità di una conoscenza a priori degli oggetti, che affermi qualcosa nei loro riguardi prima che ci siano dati".

Vedremo in seguito che se kant può "immaginare benissimo" la possibilità della conoscenza a priori è solo perché distingue tra l'oggetto in se stesso, che chiama cosa in sé e considera inconoscibile, e l'oggetto sensibile, che chiama fenomeno e considera il reale oggetto dell'esperienza; ed è quest'ultimo che si può e si deve regolare sulla nostra conoscenza, in quanto dipendente dal soggetto stesso del quale esso costituisce l'esperienza.

Ma l'idea fondamentale kantiana della inconoscibilità della cosa in sé può essere considerata anche da un punto di vista nuovo. Per il pensiero dialettico, la vera inconoscibilità riguarda, secondo la tesi principale del presente studio, la singola cosa di un complesso. Il riduzionismo deterministico, invece, ha sempre posto come vero oggetto della conoscenza la singola cosa, considerandola il semplice a cui deve essere ridotto il complesso.

venerdì 2 dicembre 2011

Zeilinger: la metafora del mondo come informazione al posto della realtà scientifica

Anton Zeilinger, autore di "Il velo di Einstein" (2003), nell'ultimo capitolo dal titolo molto significativo "Il mondo come informazione", sostiene che "la scelta dello strumento da usare in un esperimento determina quale grandezza fisica si può osservare; il che non presuppone necessariamente che questa grandezza fisica esista prima della osservazione". Quindi cita Bohr, che affermò: "E' sbagliato pensare che sia compito della fisica scoprire come è fatta la natura. La fisica tratta di ciò che si può dire della natura". Formula questa che favorì il soggettivismo idealistico. E l'aggiunta, in perfetto stile popperiano, dell'autore conferma l'assunto: "Nel caso della fisica quantistica abbiamo già visto che con i nostri strumenti, in fondo, poniamo domande alla natura, che in un modo o nell'altro risponde, se siamo fortunati".

In altro luogo abbiamo criticato questa impostazione, tipica del modo di operare dei servizi segreti nel periodo della guerra fredda. Ma Zeilinger ha in mente qualcosa di più raffinato e in sintonia con il nostro tempo, dominato da Internet e dalle informazioni computerizzate. Così, prima scopre come "principio fondamentale" l'informazione, intesa come risultato della osservazione, poi si domanda: "Ciò forse significa che tutto è solo informazione? Addirittura che forse la realtà non esiste?" E risponde: "Non possiamo semplificare la cosa fino a questo punto".
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