mercoledì 30 novembre 2011

II] Barabasi: teoria delle reti, una metafora informatica

(Continuazione)  Giunto a un pelo dall'agguantare il significato reale della eccezione statistica come conseguenza del dispendio naturale, Barabasi, non riuscendo a distaccarsi dal convenzionalismo che domina da troppo tempo le scienze della natura, concepisce i prodotti naturali come computer soggetti all'interconnettività delle reti. In realtà, è vero l'opposto: è l'ampiezza delle reti create nel software del computer che può essere paragonata al grande dispendio naturale. L'uomo ha creato qualcosa che imita soltanto la natura, e in una forma resa possibile da una "macchina", che perciò si comporta diversamente dai processi naturali.

Lo scambio delle parti fa sì che Barabasi, paradossalmente, colga il contrassegno dei processi naturali non nella natura ma nella tecnologia umana del computer: "Qual è l'origine di questa sorprendente robustezza tecnologica? Ciò che distingue le reti a invarianza di scala dalle altre reti è la presenza di hub, i rari nodi altamente connessi che le tengono insieme. I guasti, però, non discriminano fra hub e nodi più piccoli, colpendo tutti allo stesso modo. Se preleviamo alla cieca dieci palline da una borsa che ne contiene 10 rosse e 990 bianche, avremo novantanove possibilità su cento di trovarci in mano solo palline bianche. Quindi, se in una rete tutti i nodi hanno la stessa probabilità di essere colpiti, sarà più facile che vengano smantellati i più piccoli, essendo i più numerosi".

martedì 29 novembre 2011

Le smorfie di Merkozy e la mestizia di Monti nella crisi dell'euro

Difficile giustificare i sacrifici nascondendo per pudore la realtà

C'è un evidente pudore espresso nel nascondere la realtà quando si giustificano le difficoltà italiane ed europee come problemi solo o principalmente interni: un esempio per tutti, quello relativo alle motivazioni dei sacrifici da imporre ai cittadini europei, anche se in misura diversa a seconda della "regione" in cui hanno la ventura di risiedere, Italia o Grecia, Germania o Francia, ecc. Perché, invece, non si  dichiara apertamente la verità: che si tratta di sacrifici imposti dalla decadenza dell'Occidente a fronte dell'ascesa dell'Oriente?

Chi segue questo blog avrà forse avuto modo di leggere alcuni post, sotto l'etichetta "Storia e società della globalizzazione", che hanno cercato di spiegare come lo sviluppo asiatico, e cinese in particolare, abbia permesso l'acquisizione di grosse quote di shopping, sottratte agli Stati Uniti e agli Stati europei avanzati. In altre parole, l'Oriente vede crescere rapidamente la sua quota di shopper (il vecchio ceto medio), mentre l'Occidente lo vede decrescere.

lunedì 28 novembre 2011

I] Barabasi: teoria delle reti, una metafora informatica

A un passo dalla scoperta della legge del dispendio e della eccezione statistica, e smarrire la via (prima parte)

In agosto (2008) usciva, allegato a "Le Scienze", "La scienza delle reti" di Albert-Laszlo Barabasi. Il pregio di questo libro è costituito dal fatto che l'autore è arrivato molto vicino a comprendere sia le polarità caso-necessità e singolo-complesso sia la legge del dispendio e della eccezione statistica, ma ha smarrito la via ricadendo nel ricorrente errore epistemologico: assimilare la natura e i suoi prodotti all'ultimo ritrovato della tecnologia umana (oggi, il computer), subordinando la teoria della conoscenza all'ultima teoria sorta dalla tecnologia (oggi, la teoria delle reti).

Paradossalmente, nella presentazione del libro di Barabasi su "Le Scienze" di luglio (2008), è stato sottolineato positivamente questo errore, giudicandolo un progresso teorico: "Che cosa hanno in comune l'opera di evangelizzazione di Paolo Tarso, l'oscuro attacco via e-mail di un pirata informatico, il dilagare di una epidemia virale, l'altalena dei mercati azionari, la repentina diffusione di un blackout lungo la rete elettrica, la rete terroristica di Al Qaeda? Se siete tentati di rispondere "niente", Link. La scienza delle reti -in edicola con il numero di agosto di "Le Scienze"- è il libro che fa per voi. Perché tutti i sistemi complessi che abbiamo appena elencati sono governati da leggi comuni (!) che derivano dalla teoria della reti".

giovedì 24 novembre 2011

III] Hume: la causalità per consuetudine e il rifiuto del caso

(Continua)   La posizione di Hume nei confronti del rapporto caso-necessità e della relazione di causa- effetto può essere riassunta nei seguenti termini: il singolo evento è indeterminabile, ossia non presenta alcuna relazione di necessità; ciò non implica, però, la nozione oggettiva di caso; ma quando si considera un insieme di eventi o la loro ripetizione, la consuetudine ci permette di stabilire la necessaria connessione di causa ed effetto. In questo modo, non si è reso conto che la determinazione necessaria viene fuori come statistica nei complessi di numerosi eventi, singolarmente casuali. Eppure era vicino alla soluzione: doveva soltanto accettare che l'impossibilità di determinare il singolo evento significa che esso è oggettivamente casuale.

C'è, a questo punto, un altro aspetto rilevante da considerare: il rapporto tra libertà e necessità. In questo rapporto si danno due termini in connessione. Hume comincia dal secondo, la necessità: "Si ammette universalmente che la materia, in tutte le sue operazioni, è mossa da una forza necessaria e che ogni effetto naturale è così precisamente determinato dall'energia della sua causa che nessun altro effetto, in quelle determinate circostanze, potrebbe derivarne".

mercoledì 23 novembre 2011

II] Hume: la causalità per consuetudine e il rifiuto del caso

(Continuazione) Nella sez V "La soluzione scettica", Hume coglie finalmente il nocciolo della questione: non si può dire "soltanto perché a un avvenimento, in un caso, ne precede un altro, che perciò uno è la causa e l'altro è l'effetto. La loro congiunzione può essere arbitraria e casuale". E allora come uscirne fuori? La soluzione di Hume sarebbe oggettivamente statistica se non fosse soggettivistica: infatti, dice: "noi traiamo da un centinaio di casi un'inferenza che non riusciamo a trarre da un solo caso". Ma, concludendo che "tutte le inferenze dell'esperienza, dunque, sono effetti di consuetudine non di ragionamento", egli sostituisce a un dato oggettivo statistico, un concetto soggettivo, psicologico: l'abitudine.

Insomma, il filosofo scozzese, illuminista scettico, dice giustamente che ciò che appare una relazione di causa ed effetto può essere una connessione puramente casuale. Ma se il "caso" si ripete "cento volte", allora si tratta di abitudine (e non di statistica!), grazie alla quale inferiamo la relazione di causa-effetto. Si può confrontare questa soluzione con le osservazioni critiche di Leibniz a riguardo delle "inferenze empiriche": Leibniz ricorda i cani addestrati, che si attendono qualcosa "per esperienza", ad esempio, di ricevere cibo; mentre nella realtà la previsione può essere affatto sbagliata. Quindi, osserva: "Ma poiché spesso accade che tali cose siano compiute solo accidentalmente, gli empirici spesso s'ingannano, proprio come le bestie, nel senso che ciò che si attendono non accade" (Lettera sulla necessità e sulla contingenza, 19 dicembre 1707).

I] Hume: la causalità per consuetudine e il rifiuto del caso

In questo paragrafo prendiamo in considerazione il pensiero di Hume (1711-1776) in relazione ai concetti di caso e necessità e di causa ed effetto, utilizzando le sue "Ricerche sull'intelletto". Nella sezione II, "L'origine delle idee", egli riconduce le idee alle impressioni, secondo il metodo della riduzione di Cartesio, ossia considerando le idee complesse riconducibili alle idee semplici, le quali, a loro volta, considera copie di precedenti sensazioni o sentimenti; però non esclude che esistano anche idee che non sono trasmesse dai sensi.

Ciò che conta per Hume è distinguere le idee dalle impressioni così da eliminare ogni confusione; perciò, precisa: "Tutte le idee, specialmente quelle astratte, sono naturalmente deboli e oscure (...). Al contrario, tutte le impressioni, cioè tutte le sensazioni, sia esterne che interne, sono forti e vivide; i limiti fra di esse sono esattamente determinati, né è facile cadere in qualche errore ed equivoco nei loro riguardi".

martedì 22 novembre 2011

Studi e riflessioni di un autodidatta: un bilancio di questo blog

In questo blog si possono trovare diverse cose. La principale, quella per cui è stato creato, è far conoscere  una nuova teoria della conoscenza fondata sulla dialettica caso-necessità, con i suoi princìpi specifici e la sua continua evoluzione nello studio delle varie discipline scientifiche. A questo scopo sono stati postati paragrafi tratti da volumi scritti nel periodo 1993-2002, dove la nuova teoria è stata verificata e sviluppata in teoria della conoscenza, fisica e  biologia, o, più precisamente, in molti aspetti rilevanti di queste scienze. Lo stesso vale per la storia in generale, e per la storia della globalizzazione in particolare, come indagine dello specifico periodo storico del capitalismo, iniziato negli anni ottanta e ancora in atto: argomento quest'ultimo, studiato e sviluppato dall'autore a partire dal 2003 fino al 2008.

lunedì 21 novembre 2011

Le metafore nella scienza fisica: veli pietosi stesi sull'ignoranza umana

Nel libro di Silvio Bergia, "Dal cosmo immutabile all'universo in evoluzione" (1993), si può trovare una lista di metafore fondamentali della fisica, a cominciare dalla più antica: il meccanicismo, ossia "la tendenza a concepire il cosmo" "come una gigantesca macchina, che di volta in volta ripropone una delle macchine archetipe della fase particolare di sviluppo tecnico e produttivo".

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, in ogni epoca l'uomo ha concepito l'universo (e la natura) alla stregua di una macchina, ma ha potuto farlo solo assimilandolo a un qualche meccanismo da lui stesso, nel frattempo, prodotto. Cosi, se oggi è l'era del computer, meccanismo molto complesso e raffinato, nelle epoche passate, come vedremo, ci si dovette accontentare di molto meno. In questo modo, comunque, l'universo ha dovuto cambiare varie fogge durante il periodo millenario dello sviluppo della tecnologia umana. Ma queste diverse fogge non hanno mai potuto riflettere forme reali, essendo soltanto delle metafore stese, come veli pietosi, sull'ignoranza umana.

venerdì 18 novembre 2011

Lo scadimento degli intellettuali nella decadenza dell'Occidente democratico

L'intervista di Leopoldo Fabiani ("La Repubblica", 12 maggio 2006) a Umberto Eco e Giuliano Amato, in occasione della presentazione del libro di quest'ultimo, "Un altro mondo è possibile?", è un significativo esempio dello scadimento degli intellettuali nella decadenza dell'Occidente democratico.

Fabiani presenta così l'inconsistente contrapposizione tra questi due personaggi: "Il "pessimismo tettonico" di Umberto Eco che dice: "Terrorismo, degrado ambientale, corsa alle armi di distruzione di massa, globalizzazione. Sono fenomeni che non possiamo impedire. Sono come i terremoti e le valanghe, possiamo solo attrezzarci per il dopo". Dall'altra parte l'"ottimismo realista" di Giuliano Amato che sostiene invece: "Ognuno di noi può mobilitarsi e agire in molte forme, come opinione pubblica, nelle lobbies o nel volontariato per costringere a mettere al primo posto nell'agenda dei governanti i grandi problemi che abbiamo di fronte"."

mercoledì 16 novembre 2011

Il metodo di Cartesio, fondato su una semplice tautologia

Cartesio (1596-1650) è l'iniziatore del metodo riduzionistico (deterministico e meccanicistico) della scienza moderna: è perciò da lui che partiamo per scoprire le ragioni del successo che questo metodo ha riscosso per tanti secoli, e continua ancora a riscuotere, pur non contribuendo affatto alla conoscenza dei reali processi naturali.

Nel saggio scritto nel 1628, "Regole per la guida dell'intelligenza", egli stabilisce alcune regole e distinzioni concettuali che definiscono sia il suo metodo che il suo obiettivo. Con la prima distinzione tra intuizione e deduzione, egli considera due modi di pensare, diversi nella forma ma eguali nel loro contenuto certo: l) l'intuizione, che non è "l'incostante attestazione dei sensi o l'ingannevole giudizio dell'immaginazione malamente combinatrice", "ma un concetto privo di dubbio", immediatamente evidente; 2) la deduzione, ossia "tutto ciò che viene concluso necessariamente da certe altre cose conosciute con certezza".

Se la certezza è l'obiettivo che egli crede di raggiungere con l'intuizione evidente e la deduzione necessaria, con la quinta regola stabilisce il nuovo metodo della riduzione dal complesso al semplice: "Tutto il metodo consiste nell'ordine e nella disposizione di quelle cose a cui deve essere rivolta la forma della mente, affinché si scopra qualche verità. E tale metodo osserveremo con esattezza, se ridurremo gradatamente le proposizione involute ed oscure ad altre più semplici, e poi dall'intuito di tutte le più semplici tenteremo di salire per i medesimi gradi alla conoscenza di tutte le altre".

martedì 15 novembre 2011

Mario Monti, il futuro dell'Italia e della UE

Il primo giorno del suo mandato esplorativo, Monti ha dovuto fare i conti con le pretestuosità della politica parlamentare italiana che caratterizza i partiti come serbatoi di interessi vitali. Dunque, ha dovuto sorbirsi le rispettive reticenze, dettate da interessi di partito, da interessi elettorali.

E' come se il cervello della politica italiana fosse dominato da schizofrenia. Una parte vede il pericolo del default: la rovina dell'Italia che non distinguerebbe tra destra, sinistra e corredo di partitini amici o avversari. L'altra parte vede solo le elezioni, arrivare alle quali in vantaggio è un imperativo assoluto: così il Pdl le pensa tutte pur di recuperare il "default" del suo presidente, il Pd le pensa tutte pur di non perdere l'immaginario vantaggio della resa di un presidente del consiglio, privato della carica e di ogni prestigio; la lega torna semplicemente all'opposizione per riacquistare le simpatie dei suoi, perdute come partito di governo; e tutti gli altri partitini si aggirano nei rami del parlamento con il bilancino in mano per misurare piccoli spostamenti dei pesi elettorali.

domenica 13 novembre 2011

4) Globalizzazione e crisi

Conclusioni sull'era della turbolenza

(Continuazione) Le motivazione che spinsero il presidente della Fed ad alzare i tassi, a suo dire, sono varie e non manca neppure quella dell'"atterraggio morbido". Ma, ancora una volta, l'inatteso risultato non voluto confermò l'anarchia del capitalismo e l'imprevedibilità delle politiche monetarie: ad essere penalizzati furono i titoli NASDAQ che, da marzo a dicembre, persero il 50% del loro valore. La rivoluzione informatica tradiva così le aspettative americane di un vantaggio tecnologico fondamentale per la perpetuazione dell'egemonia USA.

Ma per comprendere le successive mosse di Washington, dopo la crisi del 2000, che prevalsero sull'interventismo monetario della Fed assoggettandolo all'interventismo petrolifero e militare, occorre considerare un altro aspetto: la previsione della scomparsa del debito pubblico e dell'accumulo di troppi anni di elevato surplus di bilancio. Questa eventualità disorientò i membri del FOMC perché, scrive Greenspan, "La nostra principale leva di politica monetaria era la compravendita di buoni del Tesoro, le cambiali dello zio Sem. Se il debito fosse diminuito, i titoli sarebbero scarseggiati, per cui avremmo dovuto cercare nuovi strumenti per agire. Per quasi un anno, i più esperti economisti e operatori della Fed avevano cercato di individuare quali altri titoli avremmo potuto comprare e vendere".

sabato 12 novembre 2011

3) Globalizzazione e crisi

L'imprevisto boom delle dot-com

(Continuazione) Riassumiamo la ricostruzione dello studio di Grenspan sul "cambiamento tecnologico epocale", come ebbe a definirlo. Dopo aver esaminato i cicli economici a partire dalla fine degli anni '40, egli si rese conto che non c'era mai stato nulla del genere: il rapido boom della tecnologia informatica stava provocando una rapida obsolescenza tecnologica, senza risparmiare colossi come AT&T, IBM. ecc., e, come conseguenza, un rinnovamento continuo delle aziende della Silicon Valley. Molti furono i fallimenti. "Bill Gates, presidente della Microsoft, distribuì un bollettino ai suoi dipendenti intitolato "Tsunami Internet", paragonando Internet all'avvento del personal computer".

Fu questo nuovo fenomeno tecnologico a diffondere la teoria della "distruzione creativa" di Schumpeter, che divenne lo slogan delle dot-com. Il confronto tra Google e General Motors è significativo: la G.M. annunciò nel 2005 di dover licenziare 30.000 dipendenti e nel contempo trasferì miliardi di dollari verso fondi per finanziare pensioni e assicurazioni dei suoi dipendenti. Questi fondi, a loro volta, investirono il capitale nei titoli più promettenti, tra cui Google, che nel frattempo stava crescendo rapidamente.

venerdì 11 novembre 2011

Nel gioco triangolare delle superpotenze continentali Mario Monti al governo dell'italia, per l'adeguamento alla nuova tendenza secolare

Quando la Ue era ancora in fieri e il marco era la moneta forte dell'Europa (stante una Germania dell'Ovest in via di unificazione, con l'acquisizione di nuova forza lavoro e nuovo mercato dalla Germania dell'Est), la Mitteleuropa faceva da potente calamita che esercitava una attrazione tale da disgregare e avvicinare a sé regioni limitrofe, appartenenti ad altri Stati: tra queste, non solo le regioni appartenenti all'Unione Sovietica, ma anche regioni come la Padania di Bossi, il quale non a caso ha rappresentato politicamente questa tendenza del Nord Italia. Era, per così dire, una tendenza decentratrice, in controtendenza rispetto alla tendenza progettata da tempo verso una Europa unita.

Non c'è quindi da stupirsi se la Lega oggi perda colpi. Non è solo una questione di politica interna che mostra un brutto momento per la coalizione berlusconiana. E' qualcosa che sovrasta i nostri confini e persino quelli della UE a 25, qualcosa per spiegare la quale l'autore di questo blog deve prima fare un passo indietro nel tempo, tornando all'epoca delle tendenze centrifughe, all'epoca della strategia USA per l'Europa, dopo il crollo dell'URSS: quella denominata "alla carte", che mostrava sufficienza verso la UE in formazione sostenendo alleanze, a seconda della propria convenienza del momento, con i neonati paesi dell'Est e con altri paesi europei.

2) Globalizzazione e crisi

Crisi del 1987 e crollo dell'URSS

(Continuazione) Ora, non solo la Fed intervenne aumentando il costo del denaro, ma di fronte allo sbandamento della borsa dovette intervenire per convincere le banche a non cessare di operare prestiti, promettendo il proprio sostegno, con la seguente dichiarazione di Greenspan: "La Federal Reserve, conformemente alle sue responsabilità di Banca centrale della nazione, afferma oggi di essere pronta a servire da fonte di liquidità per sostenere il sistema economico finanziario".

Il suo intervento si concretizzò in acquisto di titoli di Stato sul libero mercato, che ebbe l'effetto di mettere in circolazione miliardi di dollari provocando il calo dei tassi d'interesse. Con finta ingenuità, il liberista Greenspan scrive: "Prima del crollo avevamo operato una stretta sui tassi d'interesse, ma in questo momento li allentammo per tenere l'economia in movimento". Insomma, se l'economia si muove troppo in fretta viene frenata dalla Fed con un rialzo dei tassi d'interesse, e se ciò la rallenta troppo, viene tenuta in movimento con un ribasso.

giovedì 10 novembre 2011

1) Globalizzazione e crisi

Il liberismo interventista di Greenspan

E' soltanto un apparente paradosso che un liberista possa presiedere una istituzione necessariamente interventista come la Federal Reserve Bord (Fed)? Come vedremo, nella globalizzazione, tanto il liberismo riguarda il mercato dei capitali, delle merci e soprattutto della forza lavoro, quanto l'interventismo riguarda la politica monetaria, petrolifera e militare. Entrambi possono convivere in simbiosi nella globalizzazione, fase economica resa possibile dallo sviluppo accelerato dell'Asia in generale e della Cina in particolare.

Il liberista Alan Greenspan ha presieduto la Fed dal 1987 al 2006, un ventennio nel quale si è affermata la globalizzazione del mercato mondiale, alla quale egli ha dedicato le sue memorie in "L'era della turbolenza", 2006. L'apparente paradosso lo riguarda personalmente, essendo un seguace del liberismo di Friedman (e di Adam Smith), costretto, come presidente della Fed, a intervenire continuamente sui tassi d'interesse, per "proteggere" il ciclo economico dalle crisi secondo i dettami di Keynes.

martedì 8 novembre 2011

Lezione 9° L'impossibile "scienza del caso" di Didier Dacunha-Castelle

L'inconsapevolezza delle polarità dialettiche caso-necessità, singolo-complesso, probabilità-statistica ha prodotto, a partire dalla seconda metà del Novecento, una congérie senza fine di falsi nessi tra termini e locuzioni della teoria della probabilità, della teoria dell'informazione e delle più recenti teorie del caos e della complessità. Evidentemente non bastava la confusione sul ruolo che il caso riveste nell'ambito della natura e della società umana, non bastava la confusione che la teoria della probabilità si porta dietro fin dalle sue origini tra il termine di probabilità e il termine di frequenza: occorreva mischiare tra loro "probabilità", "frequenza", "informazione", "entropia", "caos", "complessità", ecc. per rendere ancor più confuso il rapporto caso-necessità, così da creare l'impossibile scienza del caso.

Per farci un'idea di quanto farraginoso sia il fondamento teorico di questa pretesa scienza, è sufficiente rivolgerci a "La scienza del caso" (1996) di Didier Dacunha-Castelle (D.D.-C.). L'autore parte dal concetto di probabilità: "Che cosa rende tanto interessante il ragionamento probabilistico? A partire da che cosa si può fare il calcolo "sul" caso? Il XIX secolo è stato segnato dalla questione del "perché statistico". Perché il numero di suicidi e di crimini in ogni regione del mondo resta più o meno costante di anno in anno? Rispondere a questa domanda richiede un attento esame della legge dei grandi numeri, delle regolarità che si esprimono all'interno di popolazioni numerose. Vi sono eccezioni a tale comportamento regolare che costituiscono avvenimenti rari e importanti. La nozione di rarità è difficile, anche nelle scienze matematiche. Se non si può universalmente definire ciò che è raro, si può chiarire la dialettica tempo-rarità. Chiarire cioè quanto tempo bisogna attendere perché si verifichi ciò che è raro e se il sopraggiungere di un avvenimento raro segue sempre strade privilegiate".

domenica 6 novembre 2011

L'evoluzione dispendiosa della vita

L'incomprensione di Gould e le due leggi di Engels

Uno dei motivi conduttori del pensiero teorico della biologia contemporanea è il ritenere l'evoluzione della vita una questione di efficienza e di economia. Di conseguenza, l'evoluzione dovrebbe dare come risultato il massimo del prodotto vitale. Per questo modo di pensare, un'evoluzione dispendiosa è un controsenso. Perciò la natura appare molto stravagante quando ci mostra distruzioni, estinzioni e mostruosità.

Può sembrare paradossale, ma ogni argomento è buono per rifiutare il carattere dispendioso della evoluzione. Potremmo anche dire che ogni scuola, e persino ogni autore, si distingue per l'argomento prescelto. La conseguenza è che, nei vari rami della biologia contemporanea, c'è molta confusione sull'oggetto stesso della evoluzione.

venerdì 4 novembre 2011

Serendipity, ovvero l'illusione di interrogare il caso

La pagina culturale del Corriere della sera del 7 novembre 2002 riportava un ampio brano tratto da "Viaggi e avventure della Serendipity" di Robert K. Merton ed Elinor G. Barber, accompagnato da un commento di Alessandro Cavalli sull'idea base del sociologo Merton. Secondo Cavalli "Il 'caso' gioca un ruolo fondamentale, non solo nella scienza, ma in genere nelle vicende umane. La serendipity è appunto la scoperta inattesa, casuale, il dato anomalo dissonante, che mette in crisi quella che Kuhn avrebbe chiamato la scienza normale e che costringe al ripensamento e alla revisione di ciò che era dato per acquisito". Come vedremo, l'idea fondamentale di Merton non va oltre il riconoscimento del ruolo del caso e delle "conseguenze inattese", senza riuscire a trovare una soluzione che non sia il ritorno indietro all'etica e alla responsabilità individuale.

Il brano inizia così: "I problemi morali e intellettuali suscitati dalle felici scoperte accidentali sono simili e per certi aspetti importanti collegati alla spiegazione e giustificazione della buona e cattiva sorte in generale, in quanto tali felici scoperte accidentali sollevano il problema delle speranze e dei meriti legittimi". Come si vede, Merton non concepisce la serendipity come una questione di teoria della conoscenza, ma come una questione etica, relativa ai singoli individui, che egli affronta in maniera manichea: "E' destino dell'uomo riconoscere il bene e il male quando si presentano nel suo cammino, ed è suo destino, quale creatura in grado di valutare, cercare di stabilire la misura della sua responsabilità verso l'uno e l'altro".

mercoledì 2 novembre 2011

Lezione 8° Marquard: un'apologia scettica del caso

Lo scettico Odo Marquard, in "Apologia del caso" (1991), scrive: "Uno dei peggiori nemici della libertà e della dignità dell'uomo sembra essere il caso. Ciò malgrado, vorrei quasi interporre una buona parola in favore del caso, in favore dell'accidentale. Parlerò forse, allora, contro la libertà e la dignità dell'uomo? Nient'affatto. Voglio solo dire che sarebbe segno di una mancanza di libertà se l'uomo, indegnamente, vivesse al di sopra dei propri mezzi: al di sopra della sua condizione di finitudine. L'uomo, lo voglia o no, dovrà riconoscere l'accidentale facendone l'apologia. Ecco la mia tesi".

L'apologia dell'accidentale e il "riconoscimento" del ruolo fondamentale del caso appartengono a un lontano passato, appartengono alla teoria di Epicuro, come abbiamo già visto. Marquard non fa che riproporre una concezione epicurea, perciò la sua tesi può essere considerata anarchica. Eppure, diversamente da Epicuro che considerava il caso come propizio per la libertà, Marquard parte dalla considerazione opposta del caso come uno dei peggiori nemici della libertà; ma poi capovolge la realtà perché, come vedremo, non è in grado di interpretarla come dialettica di caso e necessità.

Riguardo al rapporto caso-necessità, Marquard cerca lumi presso Aristotele, il quale "riconobbe l'accidentale come ciò che non è né impossibile, né necessario e dunque come ciò che potrebbe anche non essere o essere altrimenti. Questo accidentale-contingente- si costituì in problema sotto almeno tre aspetti: a) in quanto contrario del necessario, ovvero b) in quanto fondamento del necessario, ovvero c) in altri modi ancora".
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