sabato 5 luglio 2014

I] Bellone. La proposta di compromesso di Osiander e la scienza moderna

Un omaggio critico a Enrico Bellone

In questo e nei due successivi post, prenderemo in considerazione alcuni importanti contenuti del libro di Enrico Bellone, "Caos e armonia" (2004), dove egli, in particolare, sottolineò che, nell'epoca attuale, milioni di studiosi operano nel campo della scienza e rappresentano quella "comunità scientifica" penalizzata da troppi vincoli che si pretendono porre alla scienza  stessa.

Così scrisse: "In quanto l'evoluzione della scienza fondamentale ha una spiccata caratteristica di non intenzionalità, l'idea stessa di porre vincoli preliminari sulla libertà della ricerca è una pia illusione, anche se appare a molti intellettuali saldamente ancorata alla distinzione tra cultura (la cui libertà d'espressione va comunque garantita) e tecnica (la cui libertà operativa dovrebbe essere invece regolata con prescrizioni etiche, politiche, religiose e giuridiche, ed eventualmente punite in caso di violazione)".

In senso sociale, il problema del controllo delle applicazioni della scienza è di difficile soluzione, ma non ha nulla a che vedere con le questioni, sollevate da Bellone, della libera conoscenza e dei vincoli che la storia ha posto alla scienza, a cominciare dai divieti teologici. E', comunque, dei suddetti vincoli che tratteremo in questo post.

Partiamo dalla "intenzione", o del fine a cui tende un'azione. Bellone attribuisce l'intenzionalità alla sfera della necessità e la non intenzionalità alla sfera del caso. Ma il fatto che spesso un ricercatore scopra casualmente qualcosa verso cui tende la sua attività sperimentale di ricerca scientifica, o qualcosa di inaspettato, di maggior o minor pregio, non ha nulla a che vedere con la non intenzionalità, ovvero con la mancanza di un fine. Qualunque cosa si scopra per caso è sempre qualcosa che appartiene di diritto allo scopo della scienza, anche se può essere diverso da quello previsto o predeterminato dal ricercatore stesso. La ricerca si rivolge ai fenomeni naturali, e sono questi i veri responsabili del caso relativo a singoli eventi.

Certamente la scoperta casuale ridimensiona certe forme di storiografia agiografica, ma sostenere la "non intenzionalità dei processi di scoperta" significherebbe squalificare lo scienziato e la scienza sperimentale. Bellone nega persino che la scienza all'epoca di Galileo fosse meccanicistica, in altre parole che la scienza del '600 ma anche del '700 concepisse la natura come un meccanismo composto di infiniti meccanismi (quando ancora oggi è così, tanto che qualcuno, ad esempio, equipara l'universo persino a un gigantesco computer).

Ma, che Galileo ce l'avesse con i "filosofi in libris", è un'altra faccenda: come si può capire dall'abbondante materiale che all'epoca era stato scritto sulla cosmologia, materiale tanto antiquato quanto poteva esserlo la "scienza" aristotelica e tolemaica; così come si può capire che egli disprezzasse la logica creata dalla scolastica e dalla teologia. Osiander e Bellarmino, in sostanza, intervennero su princìpi teorici dogmatici e indiscutibili, non su banalità!

Bellone, rifà un pò di storia ricordando che per il teologo Osiander (nell'avvertenza da lui scritta al "De Revolutionibus" di Copernico) "Non si poneva quindi l'inquietante problema filosofico se le ipotesi fossero "vere" o "verosimili". L'astronomo, sosteneva Osiander, inventa ipotesi, e tuttavia non le inventa "per convincere qualcuno della loro verità ma soltanto per fondare correttamente i calcoli". Tra diverse ipotesi, "si sceglierà di preferenza quella che sia più facile a comprendere". E la verosimiglianza? Spetta al filosofo, e non certo all'astronomo, la ricerca di quest'ultima: ma "nessuno dei due tuttavia comprenderà qualcosa di certo, se non gli sarà rivelato da Dio". A questo prezzo, comunque, la libertà d'indagine era posta al riparo", conclude Bellone quasi con rimpianto.

Rimpianto che costituisce la base della sua critica a Galileo -il quale pretendeva, invece, conoscere "la vera costituzione dell'Universo, poiché tal costituzione è, ed è in un modo solo, vera, reale e impossibile ad essere altrimenti". [Chi tra gli scienziati ufficiali ha mai osato, in seguito, sostenere questo, ad esempio nel Novecento? non certo Einstein] E' forse un caso che Bellone lamenti che in questo modo "cadeva la clausola di Osiander, e come le vicende giuridiche della sconfitta di Galilei avrebbero dimostrato, svaniva la libertà di ricerca"? Insomma, egli bacchetta tra le righe, ma spesso anche direttamente, Galileo per aver voluto troppo, per non essersi accontentato della libertà di ricerca di ipotesi "per fondare correttamente i calcoli", secondo il suggerimento di Osiander.

Bellone si aggiusta le cose, come qui di seguito, quando afferma che la scienza del'700 e dell'800 avrebbe rigettato l'ideologia meccanicistica "con la crescita della consapevolezza della processualità intrinseca dei processi naturali". E giunge alla seguente tesi: "Non si vuole peraltro suggerire, nelle pagine che seguono, che la fisica o altre discipline scientifiche siano contrapposte alla filosofia. Si intende invece accettare, senza riserve, la tesi einsteiniana secondo cui, parafrasando Kant, la scienza senza filosofia è arida e la filosofia senza scienza è vuota. Rimettendo in auge l'espressione "filosofia naturale", non abbiamo allora difficoltà a sostenere che studiosi come Faraday, Maxwell, Riemann, Einstein, Poincaré, Heisenberg o Dirac sono da includere tra i maggiori filosofi dell'Ottocento e del Novecento".

E così, per oltre un anno, nella sua rubrica (su "Le Scienze") intitolata polemicamente "Il pensiero forte" contrapposta ai sostenitori del "pensiero debole", Bellone ha ricordato i suddetti scienziati della fisica. Ma la debolezza del suo pensiero si è rivelata quando ha osservato: "Questa immagine della fisica e della sua storia di rado indulge a rifiuti della modernità, spesso dipinge il sapere come perdita di senso dell'uomo contemporaneo e quasi sempre dichiara che è caduta una tesi centrale della rivoluzione seicentesca, e cioè la tesi per cui la scienza è conoscenza del mondo oggettivo".

Bellone non accetta quest'idea sostenendo che la storia deve far leva "non tanto sulle credenze degli scienziati, quanto su ciò che gli scienziati hanno fatto". Secondo lui, in sostanza, non dobbiamo credere a quegli scienziati che affermano una conoscenza convenzionale e fittizia, perchè bisogna ammettere "che la conoscenza, pur essendo condizionata da opinioni, ha a che fare con enti non linguistici come le galassie  o i virus, le molecole o i pianeti". Giusta osservazione questa! Ma poi, collegando la scienza attuale a quella passata non ha sottolineato che la prima ha fin troppo compreso l'essenza del processo a Galilei, ma solo per non ripetere i suoi stessi "errori".

Così, come fa Bellone, insistendo sulla "sconfitta culturale di Galilei, seguìta dalla condanna e dall'esilio in Arcetri". "E' giusto, nel ricordare questi eventi, sottolineare il fatto che la sconfitta subìta da Galilei non fu sufficiente a bloccare la crescita della conoscenza moderna e contemporanea, sia la circostanza per cui la tregedia galileiana ci ha lasciato una duplice eredità. Per un verso, infatti, sappiamo quali prezzi furono pagati nella prima metà del Seicento affinché la ricerca scientifica si rendesse autonoma da tutele filosofiche. Per l'altro verso, però, sappiamo anche che la tentazione della tutela è ancora viva. L'era galileiana, insomma, ci ha lasciato luci e ombre con cui stiamo ancora facendo i conti".

Il fatto è che la scienza non è riuscita a rendersi autonoma dalla tutela teologica che le ha imposto, invece, la separazione dalla filosofia, dalla logica, in una parola, dalla teoria della conoscenza. Questa separazione ha significato nei secoli successivi una scienza priva di pensiero. E ancora oggi la scienza che cosa può temere? Di perdere il contentino offerto da Osiander: vi lasciamo liberi di fare quello che volete purché non teorizziate la realtà del mondo? Bellone, diversamente da Galilei, sembra accettare quella proposta teorica, mentre ciò che non accetta è che ci siano filosofi, sociologi, giuristi e, infine, teologi che pongano limiti alle ricerche pratiche, in particolare nel settore più sensibile: quello della biologia.

Per concludere, Bellone scrive: "Se cedessimo alla tentazione di compilare quel catalogo [di tramontate ingenuità] cadremmo tuttavia nell'illusione secondo la quale la scienza del Seicento è solo quella che ritroviamo, in forme corrette e raffinate, nei manuali delle scuole d'oggi". Avrebbe dovuto anche sottolineare quanto di arbitrario e di ingenuo ci fosse nei primi passi della ancor giovane scienza, sorvegliata dalla materna teologia.

Ma che Cartesio e tutti gli altri scienziati del Seicento e anche quelli del Settecento fossero rimasti molto impressionati dall'abiura estorta a Galileo è fondamentale: lo scienziato, intimorito, ha dovuto nascondersi, appiattirsi, mascherare le proprie ricerche, e non certo soltanto quando esse andavano in direzioni erronee come nel caso dei misteri alchemici di Newton. Così ha dovuto accontentarsi di fingere cause fittizie, attribuibili sempre a qualcuno che, si dice, sta lassù, ma i cui poteri condizionanti stanno quaggiù. (Continua)


*Direttore storico di "Le Scienze" scomparso nel 2012

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