lunedì 7 luglio 2014

II] Bellone. Altro che caos e armonia: un paradosso del Seicento

Un omaggio critico a Enerico Bellone

(Continuazione) "E' infatti lecito -scrive Bellone- chiedersi per quali motivi esista, nei primi anni del Seicento, una disparità notevole tra le teorie e le misure relative all'astronomia e alla meccanica da un lato, e quelle relative ai fenomeni elettrici e magnetici dall'altro". Keplero ha teoremi e può confrontare i calcoli con le misure astronomiche di Tycho Brahe, ma riguardo alla teoria dell'attrazione tra il Sole e i pianeti non può superare l'analogia tra la virtù motrice del sistema planetario e le idee di Gilbert sul magnetismo. Galilei, "che lavora su un programma di matematizzazione della teoria del moto", ammira l'ingegnosità del De Magnete, ma ne critica l'assenza della matematica.

Riguardo all'astronomia, la questione principale era spiegare la gravitazione e non solo limitarsi a calcolarla. Cartesio, che cercava di spiegare l'intero Universo, non apprezzava il metodo di Galileo dello studio di problemi ben definiti. E, viceversa, Galilei non comprendeva le tecniche algebriche di Cartesio. Ma quest'ultimo fingeva ipotesi: voleva spiegare le cause e le riferiva alla causa prima, Dio. Anche Leibniz non apprezzava Cartesio per via del suo "metodo" che considerava inutile.

Ma Bellone cita Leibniz per cenni e solo tre volte, perché lo considera troppo complicato, preferendogli Newton al quale dedica un intero capitolo. Newton respinge la necessità di cercare le cause perché attribuisce la varietà delle cose create alle idee e alla volontà di un ente supremo. Insomma, altro che caos e armonia! Bellone neppure allude al caso. Preferisce parlare di cause. E Newton può servirlo a dovere. Infatti, sulla causa della gravità scrive ben quattro lettere a Bentley: "Voi parlate a volte della gravità come essenziale e inerente alla materia. Vi prego di non attribuirmi una simile nozione; infatti la causa della gravità è ciò che io non pretendo di conoscere" (2° lettera).

La paura espressa qui da Newton è una conseguenza della sorte toccata a Galileo. Così, nella 3° lettera, scrive: "E' inconcepibile che la materia bruta e inanimata possa, senza la mediazione di qualcosa di diverso che non sia materiale, operare e agire su altra materia senza contatto reciproco, come dovrebbe appunto accadere se la gravitazione in senso epicureo fosse essenziale  o inerente alla materia stessa. E questa è la ragione per cui desidero che non mi si attribuisca la gravità come innata".

E, dopo aver negato "che un uomo il quale abbia in materia filosofica una capacità di pensare in modo reale" possa credere alla gravità innata, conclude: "La gravità deve essere causata da un agente che agisce sempre secondo certe leggi; e ho lasciato alla considerazione dei miei lettori il problema se quell'agente è materiale o immateriale".

Qui è così chiara la paura di andare fuori tema, ossia contro le "verità" concesse dalla teologia, che il potere della religione cattolica e protestante appare l'unica spiegazione della arrendevolezza di cervelli come Cartesio, Newton, Leibniz, Kant ecc. Il fatto che poi, di nascosto, tipi come Newton si "dilettassero con la magia", significa poco: se l'alchimia attrasse Newton, non per questo egli tralasciò di apprezzare la chimica di Boyle.

Il punto principale riguarda, invece, la nascente matematizzazione della fisica. Laplace, valente matematico, sostenne la matematica perché per lui "tutte le idee complesse sono composte di idee semplici, combinate fra loro, secondo modi generali". Insomma, il riduzionismo di Cartesio e di Laplace va collegato alla matematizzazione.

Matematizzare significa semplificare, ridurre la complessità alla semplicità. Perciò, i fenomeni complessi e irriducibili non sono matematizzabili. La logica dialettica, ad esempio, non è matematizzabile. Ma la comprensione del mondo, la sua soluzione, non può essere una questione di matematica, bensì di logica dialettica. (Continua) 

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