lunedì 31 ottobre 2011

Origine della vita: tra concezioni opposte, una sola verità dialettica

Steven J. Dick in "Vita nel cosmo" (2008), all'inizio del sesto capitolo, cita quattro concezioni diverse sulla comparsa della vita. Vediamole:

l) "Abbiamo tutte le ragioni per ritenere che la comparsa della vita non sia un "fortunato incidente", ma un fenomeno del tutto normale, una componente intrinseca allo sviluppo evolutivo globale del nostro pianeta. La ricerca della vita fuori della Terra è quindi solo una parte di un problema più generale che la scienza si trova ad affrontare, l'origine della vita nell'Universo" (A.I. Oparin, 1975).

2) "Il rendersi conto appieno della quasi impossibilità della comparsa della vita ci riporta all'estrema improbabilità di quanto è avvenuto. E' per questo motivo che molti biologi ritengono che la comparsa del vivente sia stata un evento imprevedibile. La probabilità che questo evento quasi impossibile abbia avuto luogo più di una volta è incredibilmente bassa, anche se nell'Universo ci fossero milioni di pianeti" (Ernst Mayr, 1982).

venerdì 28 ottobre 2011

La società dello shopping: la figura sociale dello shopper

Uno degli equivoci della sociologia attuale è considerare una novità recente la società della "globalizzazione" e nel contempo mantenere la vetusta espressione di "società del consumismo". L'era del consumismo ha avuto inizio quando, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, una massa consistente di salariati ha cominciato ad acquistare utilitarie, frigoriferi, lavatrici, televisori per consumarli il più a lungo possibile.

E, sebbene oggi la situazione sia cambiata, come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, un sociologo tra i più ragguardevoli, Zigmunt Bauman, continua a sostenere che "La nostra è una società dei consumi"; che, nell'attuale stadio "tardomoderno" (Giddens), "secondo moderno" (Beck), "surmoderno" (Balandieu), la società ha bisogno "di impegnare i suoi membri al fine primario che essi svolgano il ruolo di consumatori. Ai propri membri la nostra società impone una norma: saper e voler consumare".

Abbiamo visto che questa "norma" era già diventata parola d'ordine del nascente marketing, negli anni '20, in America. In Europa divenne attuale soltanto dagli anni '60; quindi la cosiddetta globalizzazione sembra non aver cambiato nulla nella "società del consumismo". E invece, è lo stesso Bauman che, contraddicendo la sua precedente affermazione, scopre che il "consumo" non è propriamente ciò che questa società pretende. Infatti scrive: "Il fatto che consumare prenda del tempo è in realtà la rovina della società dei consumi (sic!), ed è una grossa preoccupazione per i distributori dei beni di consumo".

La contraddizione del relativismo etico: uno scambio delle parti

Nella contrapposizione tra il relativismo etico e l'assolutismo del dogma cattolico, può anche accadere uno scambio delle parti che vede il secondo relativizzare il giudizio morale e il primo assolutizzarlo. Ma, mentre la religione cattolica usa il relativismo per attenuare le proprie colpe, il relativismo etico utilizza l'assolutismo per aggravare le colpe altrui.

Su "La Repubblica" di venerdì 2 giugno 2006, Umberto Galimberti valuta un'apertura, di fatto, al relativismo dell'"ermeneutica", la recente posizione espressa da Benedetto XVI per attenuare le colpe della Chiesa denunciate dal suo predecessore, Giovanni Paolo II. "Dice il Papa: "Conviene guardarsi dalla pretesa di impalcarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissute in altri tempi, in altre circostanze. Occorre umiltà nel negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti pre-comprensioni di allora"."

La novità "relativistica" della posizione del Pontefice sta tutta in questo termine, "pre-comprensione", che appartiene al padre fondatore dell'ermeneutica, Hans Georg Gadamer ("Verità e metodo" 1960). Secondo Gadamer la "pre-comprensione" è quel pre-giudizio che condiziona ogni giudizio, perché dipende dai condizionamenti storico-culturali dell'epoca. Essendo condizionamenti inevitabili, così interpreta Galimberti, "ogni giudizio è inevitabilmente pre-giudicato, con la conseguenza che non si dà una verità assoluta, ma solo interpretazioni, all'interno delle quali è possibile aprire un onesto e sincero dialogo".

mercoledì 26 ottobre 2011

Lezione 7° Ekeland: un esempio stravagante di confusione anarchica

Il matematico Ivar Ekeland, nel suo stravagante libello dal titolo molto significativo: "A CASO - la sorte, la scienza e il mondo" (1992), che, a detta dello stesso autore, può essere letto a caso, senza alcuna preoccupazione per la successione dei capitoli, si diverte a giocare con il calcolo delle probabilità, con l'incertezza della scienza, con leggende medioevali e con altro ancora. La stravaganza, che qui fa il paio con la superficialità teorica, e che appare come puro svago per il lettore, in realtà serve all'autore soltanto per portare acqua al mulino della concezione anarchica della conoscenza, fondata sull'incertezza. Dal guazzabuglio confuso degli argomenti "trattati", emerge, infatti, una concezione della contingenza che val la pena di mostrare.

Secondo Ekeland: "L'edificio della scienza, e così la storia umana comprendono molto arbìtrio, cosicché ci si sorprende a sognare ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato. Noi siamo i superstiti di uno spietato processo di selezione che sceglie, nell'infinita varietà dei futuri possibili, quello che infine si realizzerà". E ancora: "Che cosa è questo mondo così contingente?" "Dinanzi all'assalto di questa contingenza multiforme, l'umanità si sforza di identificare i determinismi sottostanti, ossia di dare un senso al mondo. Come abbiamo visto, può trattarsi di concatenazioni necessarie come di regolarità statistiche: si tratta solo di svelarle".

lunedì 24 ottobre 2011

Energia repulsiva e massa attrattiva: i due opposti polari della materia in movimento

Ciò che i fisici teorici, con tutta la loro raffinatissima matematica pura, non hanno ancora compreso è che 1) l'esistenza della materia si manifesta unicamente come movimento, 2) il movimento è il fondamento della evoluzione della materia, 3) il movimento materiale evolutivo è garantito dalla polarità dialettica repulsione-attrazione, 4) la polarità repulsione-attrazione si manifesta nella forma di polarità energia - massa gravitazionale, 5) infine, il movimento repulsivo, dissipando energia, rovescia dialetticamente la repulsione in attrazione, l'energia in massa gravitazionale, e viceversa. Perciò la cosiddetta forza gravitazionale è semplicemente attrazione gravitazionale, conseguenza di una privazione, di una perdita: la dissipazione di energia repulsiva.

Che qualcosa di materialmente inesistente, come la "causa" della gravitazione, sia stata chiamata forza, e, anzi, che la forza sia stata moltiplicata in (fittizie) quattro forze fondamentali, è il lascito della fisica teorica del Novecento, che, metafisicamente, ha concepito la realtà materiale capovolta. Come conseguenza sorgono problemi insolubili: ad esempio, secondo Smolin ("L'universo senza stringhe", 2009), il problema della repulsione elettrica fra due protoni, che è molto più forte della loro attrazione gravitazionale di un fattore enorme, circa 10^38; oppure, quello della differenza cospicua delle masse delle particelle. "Per esempio l'elettrone ha un 1/1800 della massa del protone. E il bosone di Higgs, se esiste, ha una massa pari ad almeno 120 volte quella del protone".

venerdì 21 ottobre 2011

L'etica postmoderna e la malìa della postmodernità di Bauman

In "Una teoria sociologica della postmodernità" (1991), Bauman scrive: "La problematica etica specificamente postmoderna sorge principalmente da due caratteristiche fondamentali della condizione postmoderna: il pluralismo dell'autorità e la centralità della scelta nell'autocostituirsi degli agenti [i singoli individui che agiscono] postmoderni". "Il pluralismo dell'autorità, o piuttosto l'assenza di un'autorità con ambizioni globalizzanti, ha un duplice effetto. Innanzi tutto, esso esclude l'imposizione di norme costrittive alle quali ogni agenzia [il luogo dell'azione] debba obbedire".

Allora sorge "il problema delle regole". Ma, non si sa bene perché, le regole dovrebbero essere negoziate e il "negoziato di regole" dovrebbe assumere "un significato specificamente etico". Ancora, non si sa bene perché, il pluralismo delle autorità dovrebbe favorire "la riassunzione della responsabilità morale". L'unico perché addotto da Bauman è che gli scopi non possono essere dimostrati mediante il "monologo", ragion per cui dovrebbero essere soggetti a un "dialogo" e dovrebbero avere "un'autorità del tipo che appartiene unicamente ai valori etici".

giovedì 20 ottobre 2011

Per gli indignati una cattiva notizia e una peggiore

Da tempo è entrata, prepotentemente, in campo economico e politico, la questione etica, riproposta, sia nel versante religioso che in quello laico, proprio dai detrattori delle strutture economiche e sociali le quali si riflettono nelle sovrastrutture politiche, a tutti livelli, nazionali, regionali, globali. Lo abbiamo già considerato  nel dibattito attorno alle ragioni del Venerdì nero 2008.

La questione etica pone al suo centro l'individuo, attribuendogli responsabilità che non sono sue: ad esempio lo squallore morale dello shopper nella società occidentale dell'opulenza (in declino) è solo un derivato della sua pratica sociale, lo shopping, imposto con tecniche di marketing molto studiate (anche con il contributo della psicologia sociale, della sociologia, ecc, campi nei quali l'individuo è sì protagonista, ma solo in quanto malleabile e persuadibile). Lo si vede anche dalla frequenza e dall'urgenza degli spot televisivi che interrompono chiunque e su qualsiasi argomento di dibattito.

mercoledì 19 ottobre 2011

Lezione 6° Il pensiero debole di Morin. La filosofia dell'incertezza

Uno dei sociologi contemporanei, che ha notevolmente contribuito all'attuale stato confusionale della teoria della conoscenza, è Edgar Morin, teorico dell'incertezza del pensiero complesso. Vale la pena di prendere in considerazione le sue principali tesi perché ci permettono di mostrare a quali conseguenze nefaste possa giungere un pensiero che rifiuta la soluzione statistica del rapporto caso-necessità.

Morin ("Introduzione al pensiero complesso", 1993) parte dalla denuncia della cecità dell'incontrollato progresso della conoscenza che egli attribuisce al principio di disgiunzione, reo di aver separato tra loro i principali rami della scienza: la fisica, la biologia e la scienza dell'uomo. Il suo "pensiero complesso" ha quindi il compito di ricongiungere le scienze che il "pensiero semplice" ha separato. Ma, dopo essersi privato della semplicità, il pensiero di Morin entra subito in difficoltà, proprio in riferimento al rapporto caso-necessità.

lunedì 17 ottobre 2011

Megaverso o multiverso di Susskind: soluzione statistica solo sfiorata

Susskind ("Il paesaggio  cosmico", 2009) osserva: "Normalmente nessuno applicherebbe le leggi della statistica a un singolo lancio di moneta o di dado. L'interpretazione a molti mondi fa proprio questo, tratta gli eventi singoli in modo che, applicato al lancio della moneta suonerebbe un pò ridicolo. L'idea che ogni qual volta si lanci una moneta il mondo si divida in due copie parallele, il mondo-testa e il mondo-croce, non sembra un'idea molto utile".

In "Teoria della conoscenza" avevamo mostrato che la verifica della probabilità è un'assurdità, perché il singolo lancio di una moneta non può verificare p = 1/2, puo solo verificare che per caso avremo o testa o croce (per convenzione matematica, 1 per la faccia che esce e O per quella che non esce). Immaginare che una moneta si possa dividere in due copie parallele è qualcosa che poteva spuntare solo dalla mente dei fisici quantistici. Ma dicevamo anche che, su un gran numero di lanci, si può verificare la frequenza f = 1/2, e questa è l'inferenza statistica necessaria, la soluzione reale.

venerdì 14 ottobre 2011

L'individuo, protagonista morale della postmodernità secondo Bauman

Per il sociologo piccolo borghese, anche nel periodo della indefinibile "postmodernità", l'individuo rimane protagonista morale, sebbene con un'accentuazione della responsabilità personale, a causa della mancanza di un codice morale collettivo. Così Bauman può affermare: "L'autorità di chiese, partiti politici, istituzioni accademiche ecc. sono chiaramente in declino. La responsabilità sottratta agli individui sta tornando: tu e io siamo lasciati pressoché soli con le nostre decisioni. Non abbiamo un codice morale che sia assoluto e universale in tutta la sua visibilità. Ci troviamo nuovamente di fronte a problemi morali come se la modernità non sia un fatto accaduto: siamo spinti indietro sulla responsabilità individuale".*

Come abbiamo osservato in altro luogo, la responsabilità morale non è mai stata sottratta agli individui, tutt'altro: ciò che è avvenuto, grazie al determinismo riduzionistico, è che caratteri e qualità inerenti i complessi sono stati attribuiti agli individui, e viceversa. Il moralismo impotente ha sempre compiuto l'errore di attribuire ai singoli individui qualità del loro complesso (classe, ceto, ecc.) di appartenenza, considerandole alla stregua di responsabilità personali, e, viceversa, di attribuire una qualità specifica del singolo individuo, il capriccioso caso, alla collettività.

Per Bauman, la responsabilità morale significa che l'individuo, privato del potere del "grande codice", deve negoziare i suoi rapporti con il "partner sessuale", il coniuge, ecc.; e, in generale, nella postmodernità "non ci sono norme rigide per separare il modo corretto da quello errato di procedere, la cultura giusta da quella erronea, ecc." Non si passa più "dall'errore alla verità, ma da un'interpretazione ad un'altra, e proprio questo è ciò che preoccupa, proprio questo è il motivo della obiezione a questo moderno scetticismo". Insomma, non si è mai sicuri della scelta giusta: "tutto ciò che possiamo fare è riflettere su varie possibilità".

mercoledì 12 ottobre 2011

Lezione 5° Il pluralismo anarchico, allegro e spensierato, di Feyerabend

Tra le numerose varietà di pluralismo democratico, va annoverato il pluralismo anarchico di Feyerabend, che rappresenta la protesta libertaria contro l'autoritaria logica formale. Feyerabend si dichiara "Contro il metodo"* e, sebbene abbia in mente soprattutto il neopositivismo e il neoempirismo logico, di fatto egli è contro ogni metodo scientifico, e dimostra questa sua opposizione anche con un'esposizione volutamente disordinata e caotica. Così le affermazioni e le citazioni si susseguono senza alcun ordine, se non quello dettato dalla volontà di apparire a tutti i costi anarchico, come se potesse esistere una forma anarchica di esposizione.

Nella prefazione al suo libro, Feyerabend scrive: "Il presente saggio è scritto nella convinzione che l'anarchia, benché forse non costituisca la filosofia politica più attraente, sia però un'ottima base su cui fondare la epistemologia e la filosofia della scienza. Non è difficile scoprirne il perché". Egli è convinto che si possa fondare una teoria della conoscenza sull'anarchia, ma poi mette le mani avanti: "Non dobbiamo temere che la minore preoccupazione per la legge e l'ordine, implicita nell'adozione dell'anarchia, possa portare al caos". Qui, però, non è in discussione un sentimento come il timore, qui si tratta di stabilire come possa l'anarchia fondare una epistemologia.

lunedì 10 ottobre 2011

Stranezze della matematica-fisica giustificate da analogie con il senso comune

La fisica quantistica e la fisica relativistica, pur nella loro sostanziale differenza, hanno in comune un segno distintivo che il Nipote di Rameau di Diderot avrebbe chiamato "idiotismo di mestiere": e cioè l'oggetto delle loro indagini deve essere perlomeno strano e bizzarro, se non straordinario. Di conseguenza, il modello matematico, con il quale assicurano di fornire l'unica descrizione e spiegazione possibili, deve essere insolito e incredibile. Ma, nonostante ciò, esse si appellano costantemente al senso comune per giustificare e rendere comprensibile il loro modello. Per questa ragione, fanno un uso continuo e ostinato del metodo dell'analogia. E, se riescono a trovare una analogia tra il loro modello e il modo di pensare comune, credono in tal modo di averlo reso plausibile.

Soprattutto Einstein ha utilizzato il metodo induttivo come punto di partenza di ogni sua elaborazione e il metodo dell'analogia con il senso comune come spiegazione dei suoi modelli matematici. Egli non ha mai preso in considerazione i risultati della filosofia del passato (Leibniz, Spinoza, Hume, Kant, Hegel), per la quale il senso comune fondato sulla induzione è sempre stato considerato soggetto all'apparenza fallace.

venerdì 7 ottobre 2011

Il vero problema strategico per la perpetuazione dell'egemonia USA: lo sviluppo della Cina

Tratto da"Scritti sulla globalizzazione" (2005-2007)

Nell'editoriale di Limes (4.2005, "Cindia La sfida del secolo"), si può leggere: "Dopo quattro anni di una "guerra al terrorismo" di dubbia efficacia, gli strateghi di Washington tornano a concentrarsi sulla partita del secolo. Inforcando gli occhiali del determinismo geopolitico, i think tank paragovernativi vedono nella Cina di oggi -e a maggior ragione nel fantasma di Cindia, o peggio, nel "triangolo strategico" Pechino-Delhi-Mosca evocato dai Russi- l'Unione sovietica di ieri. Come nella guerra fredda si trattava di tagliare le unghie all'orso sovietico, così per i prossimi decenni l'imperativo è stroncare le velleità di Pechino".

Il paragone tra l'Unione sovietica di ieri e la Cina di oggi non ha alcun senso, perché significherebbe attribuire a Pechino il ruolo assunto da Mosca nella guerra fredda, che fu quello di indebolire, con la sua arretratezza, il principale mercato di ieri: il mercato europeo; ma nella attuale globalizzazione Pechino, con il suo sviluppo, rafforza il principale mercato di oggi, quello asiatico. Inoltre non c'è paragone tra la passata arretratezza sovietica e l'attuale sviluppo cinese.

mercoledì 5 ottobre 2011

Lezione 4°. La concezione anarchica (pessimistica) di teoria della conoscenza di Popper

Per comprendere questa versione anarchica (pessimistica) di teoria della conoscenza è sufficiente leggere le ultime quattro pagine del libro che stiamo considerando, "Logica della scoperta scientifica", 1934. "La scienza -scrive Popper- non è un sistema di asserzioni certe, o stabilite una volta per tutte, e non è neppure un sistema che avanzi costantemente verso uno stato definitivo. La nostra scienza non è conoscenza (episteme): non può mai pretendere di aver raggiunto la verità, e neppure un sostituto della verità, come la probabilità". Insomma, la scienza non è conoscenza: questa è la sua pessimistica conclusione!

Allora che cosa è la scienza? "E tuttavia la scienza ha qualcosa di più di un semplice valore di sopravvivenza biologica. Non è solo uno strumento utile. Sebbene non possa mai raggiungere né la verità né la probabilità, lo sforzo per ottenere la conoscenza e la ricerca della verità sono ancora i motivi più forti della scoperta scientifica". Ma se la conoscenza non può essere scienza, che cosa sarà mai la "scoperta scientifica"?

lunedì 3 ottobre 2011

Il big bang e l'universo ciclico

La dispendiosa evoluzione della materia

Partendo da punti di vista spesso diametralmente opposti, la maggior parte dei fisici che si occupano del big bang riescono a rifletterlo soltanto come singolarità, o punto infinitamente piccolo di densità infinita: ciò che, dal punto di vista fisico, non ha alcun senso. Che l'universo rappresenti, invece, energia-materia, o materia in movimento nel vuoto cosmo, è un'idea che viene completamente snobbata. Eppure, per poter pensare fisicamente l'espansione dell'energia-materia prodotta dal big bang, occorre necessariamente presupporre: 1) uno spazio cosmico vuoto e freddo, che permetta il movimento repulsivo della "palla di fuoco" nella direzione dal caldo al freddo, 2) un luogo nel quale tutta la materia dell'universo  partecipi al "grande scoppio".

Escludendo che il big bang sia un evento di creazione della materia e dello spazio dal nulla, possiamo solo pensare che sia un evento immanente al movimento reale della materia, perciò dobbiamo concepirlo considerando le reali condizioni fisiche della sua realizzazione. Se il big bang è l'inizio dell'attuale universo, bisogna prendere in considerazione il fatto che esso abbia un'esistenza limitata, e perciò una fine. Poiché tutto ciò che nasce è degno di perire, la logica vuole che un universo sorto dal big bang, prima o poi, termini il suo ciclo. La ciclicità dell'universo può rendere ragione dell'automovimento della materia come dialettica di repulsione-attrazione. La materia primordiale riceve una spinta repulsiva dal big bang e a questa si oppone l'attrazione gravitazionale. La gravitazione assume, quindi, un ruolo fondamentale nel determinare la fine di un ciclo universale.

sabato 1 ottobre 2011

Quasi d'accordo con Boncinelli

Nell'ultimo numero di "Le Scienze", ottobre 2011, uscito in questi giorni, Boncinelli dichiara, come sottotitolo del suo articolo, "le reti artificiali sono più facili da controllare rispetto alle reti naturali". Potremmo essere completamente d'accordo se egli aggiungesse: i prodotti artificiali sono più controllabili perché sono meccanismi creati da noi (secondo il rapporto di causa ed effetto), mentre i prodotti naturali non sono controllabili perché sono fenomeni e processi soggetti alla dialettica di caso e necessità. Ma sarebbe pretendere troppo. Per ora accontentiamoci dell'ammissione del sottotitolo, conseguenza logica di un'altra affermazione che presto vedremo.
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