Nonostante Nietzsche rappresenti un caso estremo della filosofia tedesca della seconda metà dell'Ottocento, caso unico nel suo genere -e, in quanto tale, poco rilevante per la reale teoria della conoscenza-, eppure, paradossalmente, egli ha intuìto la legge del dispendio, ed è soprattutto per questo motivo che lo prendiamo in considerazione.
Per un filosofo "nato e cresciuto in un'atmosfera di rigida pietà, nella casa del padre, pastore evangelico"*, con una propensione verso il mito del superuomo, -compensazione psicologica di una personale debolezza dovuta a una eccessiva sensibilità fisica e nervosa- l'intuizione del carattere effimero della maggior parte delle cose, per cui l'ordine dell'universo, come quello della vita, è soltanto l'eccezione di un grande dispendio, non poteva che produrre sconvolgimento.
Per capire il personaggio può bastare questa lettera scritta a un amico nel 1881: "Ah, amico, talvolta mi passa per la testa il presentimento di vivere una vita estremamente pericolosa, perché io sono uno di quegli uomini che possono scoppiare! Le intensità del mio sentimento mi fanno rabbrividire e ridere -già un paio di volte io non potei lasciare la camera per il ridicolo motivo che i mei occhi erano infiammati- perché? Perché ciascuna volta io avevo nelle mie passeggiate il giorno prima pianto troppo, non già lacrime sentimentali, ma lacrime di gioia, io cantavo e dicevo cose assurde, pieno di nuovo sguardo che io possiedo a preferenza di tutti gli uomini..."
Commentando questa lettera, citata nella introduzione alla "Gaia scienza", la sorella Elisabeth ha scritto: "Ora, qual era il pensiero la cui presenza e le cui conseguenze lo scuotevano così profondamente? Era il pensiero dell'eterno ritorno; tutto torna di nuovo, eternamente gira la ruota dell'Essere: Questa vita è la nostra vita eterna". Come vedremo, l'"eterno ritorno" rappresenta il capovolgimento mistico di una scoperta che avrebbe potuto divenire un principio di teoria della conoscenza. Ma chi si ponesse a leggere la "Gaia scienza" pensando di trovarvi riflessioni scientifiche, rimarrebbe assai deluso. I passi che si riferiscono alla scienza e alla filosofia della scienza sono una rarità in un mare di aforismi.
Ad esempio, il seguente: "L'ordine astrale in cui noi viviamo è un'eccezione; quest'ordine e la relativa durata che è determinata da esso ha reso possibile l'eccezione delle eccezioni: la formazione dell'organico". C'è in questa affermazione l'intuizione della legge del dispendio e della eccezione statistica. Ma questa perla viente subito sciupata da un errore epistemologico: "Il carattere complessivo dell'universo è invece in tutta l'eternità il caos, non nel senso della mancanza di necessità, ma in quello della mancanza di ordine, di connessione, di forma, di bellezza, di saggezza, e di tutte le possibili cose estetiche umane".
Insomma, il caos dell'universo non sarebbe privo di necessità, ma mancherebbe di quell'ordine che Nietzsche attribuisce solo all'uomo. Così scrive: "Giudicando con la nostra ragione, i colpi sfortunati sono la regola, le eccezioni non sono lo scopo misterioso, e tutto lo strumento musicale ripete eternamente la sua aria che non può mai essere chiamata melodia -e finalmente la stessa parola "colpo sfortunato" è già un'umanizzazione che racchiude in sé un biasimo". La conclusione è che dobbiamo guardarci dall'attribuire al "tutto" ciò che è dell'uomo. "Il tutto non mira affatto ad imitare l'uomo!" "Guardiamoci dal dire che ci sono leggi della natura". Il fatto che il "tutto", ovvero la natura, non imiti l'uomo, comporterebbe l'assenza delle leggi naturali, così che la necessità naturale sarebbe priva di ordine. In questo modo, però, egli non fa che riflettere la delusione per il fallimento del determinismo umano che ha sempre imposto alla natura l'ordine della connessione causale.
Nietzsche ha ragione quando dice che i "colpi sfortunati" sono la regola, mentre le eccezioni non sono lo scopo misterioso. Ma, occorre precisare: l'umanizzazione del "colpo sfortunato" riflette metaforicamente, sebbene in forma di biasimo, ciò che in natura è contingente, effimero e dispendioso. Continua ad aver ragione quando attribuisce al "tutto" qualità diverse da quelle umane; ma poi ha torto a negare le leggi della natura solo perché l'uomo tende ad attribuire alla natura leggi ricavate dai suoi rapporti, quali sono appunto le leggi deterministiche.
Dopo aver negato le leggi di necessità, egli si contraddice di nuovo quando scrive: "Non ci sono soltanto necessità... Se voi sapete che non ci sono scopi, sapete anche che non c'è il caso: perché solo accanto a un mondo avente scopi la parola "caso" ha un senso". Ma che cosa è questa necessità senza leggi? Da dove deriva? Che cosa è la necessità senza scopo, se non una necessità naturale inconsapevole e cieca? Allora è proprio questa cieca necessità che può avere per fondamento il cieco caso. In un mondo senza scopi, il caso è l'unico modo di condurre alla necessità. Invece, in un mondo con scopi, come può essere quello costruito dall'uomo, ad esempio, la tecnologia, il caso è ciò che, per lo più, fa fallire il raggiungimento degli scopi voluti, impedendo la connessione di causa ed effetto.
Allora, se è proprio il caso esistente in natura che fa fallire gli scopi umani e che impone la cieca necessità non voluta, Nietzsche crede, invece, che il caso sia un concetto (sic!) umano concepito come elemento di disturbo, ma inesistente in un universo privo di scopi. L'equivoco può essere facilmente eliminato affermando che il caso oggettivo, indipendente dalla coscienza umana, appare all'uomo fortuna o sfortuna: da qui l'umanizzazione dell'espressione "colpi sfortunati". Ma quelli che appaiono "colpi sfortunati" altro non rappresentano che manifestazioni del dispendio naturale, come ad esempio il caso della vita che si riproduce in modo molto parsimonioso rispetto alla prodigalità della morte.
Dice bene Nietzsche, quando scrive: "Guardiamoci dal dire che la morte è l'opposto della vita. Il vivente è soltanto una specie del morto, una specie rara". E' vero, la vita è una rarità rispetto alla morte: basti considerare che la vita è solo il presente mentre la morte abbraccia tutto il passato: per ogni generazione che vive, numerose sono quelle ormai scomparse. Ma è quando afferma: "Non ci sono sostanze eternamente durevoli: la materia è un errore come il Dio degli Eleati", che egli non tiene conto della realtà naturale per la quale a morire sono le forme materiali, non la materia che è eterna.
Dice bene Nietzsche, quando scrive: "Guardiamoci dal dire che la morte è l'opposto della vita. Il vivente è soltanto una specie del morto, una specie rara". E' vero, la vita è una rarità rispetto alla morte: basti considerare che la vita è solo il presente mentre la morte abbraccia tutto il passato: per ogni generazione che vive, numerose sono quelle ormai scomparse. Ma è quando afferma: "Non ci sono sostanze eternamente durevoli: la materia è un errore come il Dio degli Eleati", che egli non tiene conto della realtà naturale per la quale a morire sono le forme materiali, non la materia che è eterna.
Nel brano numero 112, dedicato ai rapporti di causa ed effetto, egli scrive giustamente: "nessuno ha "spiegato l'urto". E ancora: "Causa ed effetto: verosimilmente non c'è mai un simile dualismo, -in realtà sta davanti a noi un continuum, di cui noi isoliamo un paio di frammenti". Ma poi la sua penna si blocca: così, mentre è molto prodiga di aforismi e illazioni su questioni di poco conto, diventa assai avara di riflessioni sui concetti fondamentali. Ad esempio, per leggere qualcosa di interessante sul caso, dobbiamo accontentarci di un brevissimo aforisma, il N° 258: "I negatori del caso. Nessun vincitore crede al caso".
L'osservazione, ironica, è, comunque, interessante perché ci permette di comprendere la posizione di Nietzsche sull'argomento. Perché mai nessun vincitore crede al caso? L'unica spiegazione è che non voglia farsi togliere il merito dell'impresa: non voglia accettare, cioè, che sia messa in dubbio la sua meritevole azione diretta allo scopo, considerata l'unica vera causa del risultato. Questo determinismo applicato alle azioni individuali è la specifica illusione di ogni individuo. Allora, poiché Nietzsche si sente predestinato a condizionare, con la sua concezione, i millenni futuri, egli sicuramente si ritiene un vincitore, così come vincitore è il suo "superuomo". Stando così le cose, non può fare a meno di rifiutare il caso: rifiuto che lo accomuna a tutti i suoi predecessori dai quali crede di distinguersi.
*Introduzione di A. Ciampoli a "Massime e pensieri" di F. Nietzsche (1928).
---------
Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato Volume primo Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito
Nessun commento:
Posta un commento