martedì 26 settembre 2017

7] La complicazione di un'idea semplice in Fisica: la crescita dell'entropia

Nel breve saggio "Energia", scritto in collaborazione con I. Stengers, Prigogine sostiene che la perplessità che suscita il concetto termodinamico di "degradazione dell'energia" è spiegabile con "la natura complicata della termodinamica, prodotto di tradizioni intellettuali eterogenee". La nozione di irreversibilità, che è derivata da problemi di rendimento delle macchine, "ha prodotto da un lato la tranquilla efficacia del formalismo dell'equilibrio, e dall'altro una concezione  profondamente nuova dei processi naturali, che trova espressione radicale nell'idea della morte termica dell'universo". Ma, aggiunge Prigogine: "All'origine comune di questa doppia storia ci sono le macchine termiche e la scoperta che la conservazione dell'energia non basta a rendere conto del loro funzionamento".

Clausius concepì il primo principio della termodinamica, o principio della conservazione dell'energia, come compensazione ideale della conversione di calore in lavoro, in riferimento alle macchine termiche. Nella realtà, però, la compensazione non esiste. Clausius trovò allora una relazione tra la  quantità di calore e la temperatura, che chiamò entropia, ed enunciò come secondo principio della termodinamica.

A questo proposito, Prigogine scrive: "Le trasformazioni non ideali subìte da un motore, quelle in cui il calore fluisce verso la sorgente fredda in quantità maggiore di quella imposta dalla relazione di compensazione, appartengono alla classe generale dei "processi irreversibili" produttori di entropia, che conservano l'energia ma sfuggono al bilancio delle conversioni reversibili. L'energia "dissipata" irreversibilmente in calore non è più disponibile per altre conversioni e non può più, in particolare, fornire effetti meccanici utilizzabili".

sabato 23 settembre 2017

6] L'eterno movimento ciclico della materia infinita e la restituzione dell'energia dissipata

L'idea che la materia, nel suo ciclo attuale, partendo da uno stato originario di pura energia termica, si sia evoluta fino alla forma dell'organismo cosciente, è un'idea recente che fatica ad imporsi, ma l'idea che i cicli della materia si rinnovino in perpetuo con quella cieca necessità che ha per fondamento il caso e che, di coseguenza, la coscienza sarà sempre il prodotto più elevato ma di breve durata di ogni ciclo, è un'idea che non viene neppure presa in considerazione.

Poiché non possiamo concepire un'evoluzione che sia soltanto casuale, altrimenti sarebbe il caos eterno, o soltanto necessaria, altrimenti sarebbe predeterminata e affidata a un continuo atto di creazione sovrannaturale, sembra logico presupporre che caso e necessità siano tra loro in rapporto reciproco: non di caso assoluto o di necessità assoluta si può trattare, ma di caso e necessità relativi. Relativi a che cosa? All'unica certezza assoluta: il movimento della materia. Tutto è creato dal movimento della materia. Tutti i processi naturali dipendono dal movimento della materia in tutte le direzioni.

Poiché, inoltre, non possiamo concepire gli infiniti singoli movimenti in altro modo che come casuali, e del resto il caso da solo non può rendere ragione dell'evoluzione della materia, non rimane che concepire un caso originario che si rovesci dialetticamente in necessità, così da creare una polarità caso-necessità dalla quale dipenda l'evoluzione stessa.

martedì 19 settembre 2017

5] Il significato dei concetti di composto e di divisibilità della materia in fisica

Riguardo alla questione dei composti e della divisibilità della materia abbiamo già trattato nella sezione dedicata alla Teoria della conoscenza, raggiungendo il seguente risultato: i concetti di composto e di divisibilità della materia non hanno alcun significato in una concezione evolutiva. Abbiamo, inoltre, visto che nel cosmo esistono due situazioni qualitativamente diverse: gli aggregati di unità già divise (allehit), e i complessi indivisibili (totalitat): i primi che costituiscono, per così dire, la materia prima, o base casuale, per la formazione evolutiva e necessaria dei secondi. In questa parte dedicata alla fisica non ci resta che riprendere il discorso, per mostrare in concreto come sia sorto storicamente l'equivoco del composto e della divisibilità della materia, e perché, ormai, sia arrivato il tempo di deporre questi concetti tra i vecchi arnesi inservibili della storia della scienza.

Se noi consideriamo l'epoca in cui il pensiero scientifico ha concepito la divisibilità della materia e il concetto di composto, il Seicento, possiamo affermare che si trattò di un'epoca dominata dai meccanismi della fisica e dai composti della chimica. Storicamente i primi passi nello studio della materia furono compiuti dai chimici: Boyle introdusse nel 1661 il concetto di "elemento" per sostanze che non potevano essere ulteriormente decomposte. Per i chimici suddividere la materia significava decomporla fino all'elemento chimicamente indivisibile. La materia si presentava, quindi, ai loro occhi, nella forma di composto. La sintesi e l'analisi chimica non potevano procedere oltre la separazione degli atomi e il loro riunirsi in composti molecolari.

domenica 17 settembre 2017

Non chiedetemi come e perché

Non chiedetemi come, ma quest'anno, dopo aver ricevuto più commenti del solito, li ho ignorati per distrazione. Li ho scoperti solo in questi giorni e ho cercato di riparare, ma nella fretta sono incorso in altre distrazioni. 

Comunque, per il futuro, su questo blog usciranno, soprattutto, post tratti da paragrafi di libri (mai pubblicati) che ho scritto a macchina dal 1993 al 2008. Sull'epoca più recente, invece, ho già scritto (e postato) quanto basta per le mie possibilità.

venerdì 15 settembre 2017

4] La soluzione della contraddizione onda-particella

In questo paragrafo approfondiremo l'apparente dualismo onda-particella, per dimostrare che esso riflette una reale contraddizione dialettica, in quanto tale risolvibile. Nel prossimo paragrafo prenderemo in considerazione l'esperimento delle due fenditure come conferma della soluzione del concetto polare onda-particella. A questo scopo utilizzeremo due testi, il primo di Pietro Cardirola "Dalla microfisica alla macrofisica", edito nel 1974; il secondo, molto più recente, di Giancarlo Ghirardi, "Un'occhiata alle carte di Dio", edito nel 1997. Il libro di Cardirola ci servirà per la parte teorica riguardante la soluzione dell'apparente dualismo onda-particella e, nel prossimo paragrafo insieme con il libro di Ghirardi, per l'interpretazione dell'"esperimento delle due fenditure".

Detto per inciso, i dibattiti teorico scientifici erano, negli anni '60-'70, assai più profondi di quelli attuali. I motivi sono vari e non è questa la sede per trattarli. Certamente, l'affossamento del "materialismo dialettico", che ha accompagnato la caduta del preteso "comunismo sovietico", ha tolto dal dibattito qualsiasi residuo di aspirazione dialettica lasciando libero campo al pensiero metafisico. In un libro come quello di Cardirola del 1976, possiamo ancora trovare argomenti dialettici che oggi sono completamente abbandonati all'oblio: come vedremo, si tratta di una dialettica non conseguente, che scivola anche nel suo contrario, ma che permette spunti di riflessione molto più interessanti di quelli che si possono trarre dalle pubblicazioni attuali come quella di Ghirardi.

lunedì 11 settembre 2017

3] La "Dialettica senza dogma" di Havemann

Una concessione all'indeterminismo probabilistico della fisica quantistica

Uno dei pochi studiosi che hanno collegato i concetti di possibilità e realtà al rapporto caso-necessità è stato Havemann, chimico dissidente dell'Est, che ha tentato un'operazione ideologica nei confronti dei fisici quantistici Bohr ed Heisenberg. Il suo tentativo di conciliare determinismo e indeterminismo è sfociato nella fittizia conciliazione del "materialismo dialettico" con il "probabilismo". Interessante è vedere con quali argomenti.

Nella Settima lezione dal titolo "Casualità e necessità", pubblicata in "Dialettica senza dogma" (1965), Havemann parte dalla considerazione che nessun scienziato "negherà il determinismo nel senso che nel mondo dei fenomeni esistono e agiscono leggi, e che noi conosciamo e dimostriamo queste leggi mediante le osservazioni e gli esperimenti scientifici", per dire che "in questo senso gli scienziati sono sempre rimasti deterministi". Ma si chiede: "come si concilia con questo determinismo il concetto di "indeterminismo" che è comparso nella meccanica quantistica?"

Havemann delimita la questione dell'opposizione tra determinismo e indeterminismo riconducendola alla problematica sollevata dal principio di indeterminazione di Heisenberg e dal tentativo di conciliazione di Bohr mediante il concetto di complementarità. Come vedremo, lo studioso dissidente dell'Est accetterà la soluzione conciliatoria di Bohr identificandola con una pretesa "dialettica senza dogma", come il titolo del suo libro .

venerdì 8 settembre 2017

2] Tornando al sofferto determinismo della fisica del Novecento

"La teoria e l'esperienza -scrive Planck- ci costringono dunque a distinguere fondamentalmente, in fisica, fra necessità e probabilità, ed a chiedersi, in presenza di ogni fenomeno che ci parrà regolato da leggi determinate, se si tratti di leggi dinamiche o statistiche". Come si vede, con questa distinzione, si pretende che la natura obbedisca alle esigenze dello scienziato determinista, il quale le impone, arbitrariamente, di obbedire alle proprie dicotomie metafisiche. Ma la confusione, ormai, si tocca con mano: Planck insiste a tenere separati i fenomeni reversibili da quelli irreversibili, nonostante sappia molto bene che soltanto i fenomeni irreversibili sono reali; continua a confondere tra loro la probabilità con la statistica e insiste a parlare di leggi statistiche quando non ha fatto altro che togliere ogni certezza a queste leggi, considerandole leggi di probabilità.

Ormai, all'iniziale distinzione tra il concetto di caso e il concetto di necessità, Planck ha sostituito la distinzione tra probabilità e necessità. Il risultato teorico è il seguente: alla statistica intesa in senso probabilistico è associato il caso, ossia l'incertezza, mentre alle leggi dinamiche continua ad essere associata la necessità, ossia la certezza. Di conseguenza, le leggi statistiche appaiono leggi di casualità, e queste leggi riguarderebbero, però, l'assoluta maggioranza dei fenomeni fisici reali, quelli irreversibili. C'è da stupirsi che i teorici dell'indeterminismo ne abbiano approfittato affermando l'esistenza di sole leggi probabilistiche? Esclamando sconsolato: "perciò il concetto di necessità assoluta verrebbe eliminato dalla fisica", Planck non si era reso conto che tutta la sua elaborazione portava a quella conclusione.

martedì 5 settembre 2017

1] Fisica quantistica. Il rovesciamento del determinismo nell'indeterminismo

Per comprendere come il determinismo si sia rovesciato nel suo opposto, nell'indeterminismo, o, più esattamente, come esso abbia prodotto il suo opposto creando un'antinomia, entro la quale avrebbe oscillato la teoria fisica del '900, prendiamo in considerazione la concezione teorica di uno dei maggiori rappresentanti della fisica quantistica, il suo involontario fondatore: Max Planck.

La concezione di Planck fu inequivocabilmente deterministica, ossia fondata sulla assoluta necessità, garantita dalla connessione di causa ed effetto; ma questo determinismo metafisico dovette fare presto i conti con un'altra concezione altrettanto assoluta e metafisica, fondata sul caso, che scaturì dalle contraddizioni in cui si era avviluppato il determinismo stesso. Dall'inevitabile confronto tra le due concezioni non uscì fuori la reale soluzione del rapporto caso-necessità, ma una soluzione intermedia nell'illusione di fornire ai fisici la possibilità di scegliere, col buon senso, il giusto mezzo, senza però poter evitare che alcuni oscillassero verso il polo della necessità e altri verso quello del caso.

In "Leggi dinamiche e leggi statistiche"** Planck cerca di chiarire quelli che, a suo avviso, sono i metodi con i quali si possono ottenere leggi scientifiche. Punto obbligato della sua riflessione  è la considerazione del rapporto caso-necessità: "Sarebbe un errore -scrive- il credere che nel campo delle scienze della natura le leggi abbiano ovunque un rigore assoluto ed il succedersi dei fenomeni sia sempre necessario e non ammetta eccezioni, che al contrario nel campo dello spirito non si possa seguire un rapporto causale senza imbattersi di tratto in tratto nell'arbitrio o nel caso".

venerdì 1 settembre 2017

Il dispendioso processo di differenziazione cellulare dipende dall'ambiente interno e non da meccanismi programmati*

Ciò che i biologi cellulari conoscono o credono di conoscere delle cellule staminali è il risultato di esperimenti "in vitro" dei quali non esiste alcuna garanzia di conferma "in vivo", ossia all'interno dei tessuti, degli organi e dei sistemi fisiologici dell'organismo animale e umano. Se "in vitro" si riesce in certi casi a far proliferare staminali, quando si tratta di farle differenziare in forme cellulari volute ci si trova di fronte a difficoltà insormontabili. L'illusione di poter ottenere la differenziazione cellulare programmata, voluta, "una volta dato il giusto segnale biochimico" (Milano e Palmerini**) è del resto continuamente smentita dalla pratica sperimentale.

Insomma, fare affidamento sulle solite metafore dell'informazione, dal punto di vista sperimentale, non fornisce alcun risultato pratico. Occorre quindi confidare su qualcosa di più semplice e concreto. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, si può solo ipotizzare che il processo di differenziazione cellulare inizi da cellule staminali tra loro indistinguibili, le quali cominciano a "distinguersi" soltanto quando l'ambiente interno si modifica, dividendosi in endoderma, ectoderma e mesoderma.

Insomma, l'embrione subisce una scissione che ricrea tre distinte colonie di cellule staminali identiche (che in seguito, a loro volta, si scinderanno in altre colonie). L'ontogenesi ancora una volta ricapitola la filogenesi: ossia quell'evoluzione che, a partire dagli organismi unicellulari, diede luogo, prima a semplici colonie di unicellulari, poi a organismi "pluricoloniali" (che poco correttamente continuiamo a chiamare "pluricellulari").
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