Lo scopo di questi capitoli dedicati al Capitale di Marx non è certo quello di compiere un'analisi approfondita del testo, che rappresenta una miniera inesauribile di analisi economico politica, sociale e storica. Lo scopo è molto più circoscritto: si tratta di verificare l'applicazione della dialettica caso-necessità ad alcuni temi fondamentali trattati da Marx. Per la realizzazione di questo obiettivo occorre, però, pagare uno scotto a una oggettiva difficoltà: ogni passo del Capitale rappresenta soltanto un momento di una concatenazione di nessi quasi senza fine. Dovendo, comunque, fare delle citazioni, s'impone la necessità di sacrificare la parte più analitica per privilegiare i passi più sintetici, nei quali sono riassunti e sintetizzati i risultati più interessanti per il nostro scopo.
In questo e nei prossimi paragrafi tratteremo a fondo il saggio medio del profitto, soluzione statistica del saggio generale del profitto, elaborato da Marx nel terzo libro del Capitale, e riveduto e corretto da Engels. Per il nostro scopo dobbiamo necessariamente partire dal saggio del plusvalore e dal valore delle merci prodotte. Come abbiamo già osservato, e avremo ancora modo di osservare, Marx era solito iniziare la sua analisi secondo il metodo dominante nell'Ottocento, ossia in senso riduzionistico. Ad esempio, egli scrive: "Il valore di ogni merce M prodotta capitalisticamente si esprime con la formula M=c+v+pv [dove M indica il valore della merce, c il capitale costante, v il capitale variabile e pv il plusvalore]. Se da questo valore del prodotto si sottrae il plusvalore pv, rimane un puro equivalente ovvero un valore di merce sostitutiva del valore capitale c+v, speso negli elementi della produzione".
Se il punto di partenza è riduzionistico, il punto d'arrivo è, però, statistico: il valore di "una merce" è in realtà il valore della merce complessiva, di cui la singola merce, prodotta dal singolo capitalista, rappresenta soltanto un'aliquota.