domenica 31 dicembre 2017

Scienziati senza cervello, autori di supercazzole

Mi è capitato di leggere un articolo su "Le Scienze.it" del 1 luglio 2017, per le cui conclusioni è irrilevante citare gli autori, ma solo perché molto più rilevante è sottolineare il fatto che nessuno abbia fatto obiezioni, eccetto il blog di un autodidatta.

Per la critica di quell'articolo è sufficiente, comunque, citare il titolo e l'incipit: "Contrordine: forse non c'è un limite alla longevità umana. La durata massima della vita umana non ha un limite invalicabile, ma potrebbe continuare ad aumentare. Lo sostiene una nuova ricerca, che ha rivisto i dati usati da uno studio precedente secondo il quale 115 anni sarebbero il massimo raggiungibile, e ne contesta le conclusioni."

giovedì 14 dicembre 2017

Una bizzarra conseguenza del rifiuto teologico del grande dispendio naturale

Il solito ignoto che non vuole comparire mi ha segnalato lo storico della scienza Stephen S. Mason per avere un mio parere. Posso esaudire il suo desiderio ripescando un mio paragrafo tratto da "La dialettica caso-necessità in teoria della conoscenza" 1° Volume (1993-2002).

"Può sembrare paradossale, ma  nel momento stesso in cui si affermò l'economica concezione meccanicistica cartesiana, e si cercarono vari princìpi economici del "minimo" per dimostrare la saggezza della provvidenza divina, s'impose anche la teoria della pluralità dei mondi, da quella più ristretta, che solo la luna fosse popolata, a quella più ampia, che l'universo fosse infinito e ogni stella rappresentasse il centro di un sistema planetario.

Insomma, per non dovere accettare il grande dispendio naturale, gl'ingegni del Seicento finirono con l'accettare la pluralità dei mondi: così pensavano Brahe, Keplero e Galileo; e Descartes pensava che esistessero nell'universo una pluralità di sistemi solari abitati, e il prete puritano John Wilkins si diede da fare per conciliare questa concezione cosmologica con la teologia.

lunedì 11 dicembre 2017

4) Riflessioni conclusive sul saggio medio del profitto

Nel secondo volume di "TEORIE SUL PLUSVALORE" Marx, affrontando la rendita fondiaria, ritorna sulla questione del saggio generale del profitto, per ribadire che è errato sostenere "che la concorrenza dei capitali determini un saggio generale del profitto livellando i prezzi della merci ai loro valori. Al contrario essa lo determina trasformando i valori delle merci in prezzi medi nei quali una parte del plusvalore di una merce è traferita ad un'altra ecc."

Comprendere questo traferimento del plusvalore non è semplice. Marx precisa: "Il Valore di una merce è = alla quantità di lavoro pagato + non pagato [plusvalore], in essa contenuto. Il prezzo medio di una merce è = alla quantità di lavoro (oggettivato o vivo) pagato in essa contenuto +una quota media di lavoro non pagato che  non dipende dal fatto che esso era contenuto o meno nella stessa merce in questa ampiezza o se ne era contenuto più o meno nel valore della merce".

In sostanza, non importa chi ha prodotto, e come, la sua quota di plusvalore, perché ciò che conta è l'intero serbatoio di plusvalore prodotto nella produzione totale capitalistica. Se confrontiamo la produzione delle merci a basso contenuto di capitale costante con la produzione delle merci a elevato contenuto di capitale costante  (come può essere oggi ad esempio il confronto tra la produzione di beni di consumo nei PVS e la produzione di alta tecnologia nei PSA), possiamo dire: nel primo caso viene prodotto molto plusvalore, nel secondo poco plusvalore (in relazione al capitale variabile ossia alla forza lavoro impiegata), quindi le merci avranno, rispettivamente, valore maggiore o minore.

sabato 9 dicembre 2017

3) L'incompresa necessità statistica del saggio medio del profitto

Lo scopo di questi capitoli dedicati al Capitale di Marx non è certo quello di compiere un'analisi approfondita del testo, che rappresenta una miniera inesauribile di analisi economico politica, sociale e storica. Lo scopo è molto più circoscritto: si tratta di verificare l'applicazione della dialettica caso-necessità ad alcuni temi fondamentali trattati da Marx. Per la realizzazione di questo obiettivo occorre, però, pagare uno scotto a una oggettiva difficoltà: ogni passo del Capitale rappresenta soltanto un momento di una concatenazione di nessi quasi senza fine. Dovendo, comunque, fare delle citazioni, s'impone la necessità di sacrificare la parte più analitica per privilegiare i passi più sintetici, nei quali sono riassunti e sintetizzati i risultati più interessanti per il nostro scopo.

In questo e nei prossimi paragrafi tratteremo a fondo il saggio medio del profitto, soluzione statistica del saggio generale del profitto, elaborato da Marx nel terzo libro del Capitale, e riveduto e corretto da Engels. Per il nostro scopo dobbiamo necessariamente partire dal saggio del plusvalore e dal valore delle merci prodotte. Come abbiamo già osservato, e avremo ancora modo di osservare, Marx era solito iniziare la sua analisi secondo il metodo dominante nell'Ottocento, ossia in senso riduzionistico. Ad esempio, egli scrive: "Il valore di ogni merce M prodotta capitalisticamente si esprime con la formula M=c+v+pv [dove M indica il valore della merce, c il capitale costante, v il capitale variabile e pv il plusvalore]. Se da questo valore del prodotto si sottrae il plusvalore pv, rimane un puro equivalente ovvero un valore di merce sostitutiva del valore capitale c+v, speso negli elementi della produzione".

Se il punto di partenza è riduzionistico, il punto d'arrivo è, però, statistico: il valore di "una merce" è in realtà il valore della merce complessiva, di cui la singola merce, prodotta dal singolo capitalista, rappresenta soltanto un'aliquota.

mercoledì 6 dicembre 2017

2) Il caso e la necessità nel processo di scambio delle merci

Sullo scambio delle merci, Marx osserva: "In un primo momento il loro rapporto quantitativo di scambio è completamente casuale. Sono scambiabili per l'atto di volontà dei loro possessori di alienarsele reciprocamente. Intanto, il bisogno di oggetti d'uso altrui si consolida a poco a poco. La continua ripetizione dello scambio fa di quest'ultimo un processo sociale regolare". "Da questo momento in poi si consolida, da una parte, la separazione fra l'utilità delle cose per il bisogno immediato e la loro utilità per lo scambio. D'altra parte il rapporto quantitativo diventa dipendente dalla produzione. L'abitudine le fissa come grandezze di valore".

Inizialmente "L'articolo di scambio non riceve dunque ancora una forma di valore indipendente dal suo proprio valore d'uso o dal bisogno individuale di coloro che compiono lo scambio. La necessità di questa forma si sviluppa col crescere del numero e della varietà delle merci che entrano nel processo reale". La necessità deriva quindi dai grandi numeri: il crescere del numero e della varietà delle merci che entrano nel processo di scambio, crescita che dipende dai singoli scambi casuali, rovescia il caso singolo nella necessità complessiva di un processo sociale regolare.

sabato 2 dicembre 2017

1) Il carattere feticcio della merce e il suo arcano

Dice Marx che la merce sembra, a prima vista una cosa ovvia e persino triviale, ma dalla "sua analisi risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezze metafisiche e di capricci teologici". Quindi, si chiede: "Di dove sorge dunque il carattere enigmatico del prodotto di lavoro appena assume la forma di merce?" E risponde: "Evidentemente, proprio da tale forma". Per gli scopi della nostra indagine è fondamentale tornare alla distinzione che Marx opera tra i "lavori privati" e il "lavoro sociale complessivo", Egli dice che: "Gli oggetti d'uso diventano merci, in genere, soltanto perché sono prodotti di lavori privati, eseguiti indipendentemente l'uno dall'altro. Il complesso di tali lavori privati costituisce il lavoro sociale complessivo".

E' solo se si concepisce questa distinzione qualitativa che si può comprendere la differenza che passa tra la necessità e il caso, ossia tra ciò che può essere definito nella legge scientifica e ciò che non può esserlo. I singoli lavori privati appartengono alla sfera del caso, mentre il complesso di tali lavori, ossia il lavoro sociale complessivo, appartiene alla sfera della necessità. I lavori privati -scrive Marx- producono oggetti utili, valori d'uso e "solo all'interno dello scambio reciproco i prodotti del lavoro ricevono un'oggettività di valore socialmente uguale, separata dalla loro oggettività d'uso materialmente differente. Questa scissione del lavoro in cose utili e cose di valore si effettua praticamente soltanto appena lo scambio ha acquistato estensione ed importanza sufficienti affinché cose utili vengano prodotte per lo scambio, vale a dire affinché nella stessa produzione venga tenuto conto del carattere di valore delle cose".

E così le merci seguono, per così dire, la sorte loro derivata dalla differente considerazione del lavoro che le ha prodotte; quindi, anche le merci vanno considerate dal duplice punto di vista delle singole cose utili (prodotte dai lavori privatti) e del complesso delle cose di valore (prodotte dal lavoro sociale complessivo): le prime, tra loro materialmente differenti, le seconde, tra loro socialmente uguali. Possiamo, perciò, considerare le cose utili come appartenenti alla sfera del caso e le cose di valore come appartenenti alla sfera della necessità.
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