venerdì 30 maggio 2014

L'eterno ritorno di Nietzsche: l'esaltazione dell'eterna esistenza individuale

L'egocentrismo smisurato di Nietzsche era talmente ostile al caso individuale da non lasciargli, nella sua concezione dell'eterno ritorno, neppure un pertugio. Ciò che rimane è la più assoluta necessità, e in una forma così estrema che nessuna religione è mai riuscita a concepire e nessuna scienza a pretendere.

"Qualunque stato questo mondo possa raggiungere, esso deve averlo già raggiunto, e non solo una volta, ma innumerevoli volte. Così pure il momento presente: esso è già esistito una e molte volte, e così ritornerà, e tutte le forze saranno esattamente ripartite come sono ora: e lo stesso si deve dire del momento che generò il momento presente e di quello che è figlio del momento presente. Uomo! l'intera tua vita si svolgerà sempre come una clessidra e scorrerà sempre di nuovo, -passerà un grande minuto di tempo e poi tutte le condizioni dalle quali tu sei divenuto ritorneranno insieme nella circolazione del mondo. E allora tu ritroverai ogni dolore e ogni gioia...", fino a che a tutti sorgerà "il formidabile pensiero, quello dell'eterno ritorno di tutte le cose: -ogni volta è quella per l'umanità l'ora del Mezzogiorno".

Se questa, in sintesi, è la teoria dell'"eterno ritorno", occorre domandarsi: chi è l'uomo a cui si rivolge l'autore? La specie umana nel suo complesso o i singoli uomini? La specie umana è per Nietzsche niente di più che un armento, e il fatto che "con la morale l'individuo viene indirizzato a essere funzione dell'armento", ossia elemento della sua conservazione, significa solo che l'individuo sociale non conta nulla, che "la sua moralità è l'istinto dell'armento".

Il vero protagonista nella visione di Nietzsche, il suo principale oggetto d'interesse, è il singolo uomo al quale egli vuole garantire, con l'"eterno ritorno", una eternità che rappresenta il più completo capovolgimento della sua reale, effimera esistenza. Egli arriva persino a criticare il socialismo perché "Il suo scopo è il benessere dell'individuo fugace". Troppo poco! "La mia teoria -egli scrive- dice: devi vivere in modo da poter desiderare di vivere di nuovo; questo è il compito, in ogni caso tu vivrai!"

Si potrebbe fare della facile ironia su questo "compito" che assegna a ogni individuo il dovere di vivere in modo da poter desiderare di vivere di nuovo, quando si è costretti dall'"eterno ritorno" a vivere sempre e di nuovo allo stesso modo. Non sarebbe meglio un'esistenza fugace piuttosto che essere in eterno incatenati a una così noiosa ripetizione, senza neppure poter sperare in un lungo riposo "prima della rinascita"? Individui "non illudetevi! -ammonisce Nietzsche- Fra l'ultimo istante della coscienza e il primo barlume della nuova vita non c'è un "tempo", -si passa con la rapidità di un lampo".

Se, però, vogliamo considerare questa concezione come una cosa seria, dobbiamo innanzi tutto osservare che, avendo per oggetto l'individuo singolo, di fatto Nietzsche concepisce l'"eterno ritorno" come una religione. Ma egli pone al primo posto se stesso, perciò la sua religione è un misticismo egocentrico che rifiuta la fugacità della propria esistenza individuale: lui non accetta di morire e con ciò di chiudere con ogni gioia, dolore, ecc. e neppure accetta di passare più di un minuto, prima di ritrovare ogni gioia, dolore, ecc, esattamente come erano già stati vissuti: nel medesimo ordine temporale e spaziale.

Non solo, quindi, Nietzsche pretende che la sua singola esistenza sia predeterminata a tal punto da poterla rivivere un'infinità di volte allo stesso modo, ma pretende che anche ogni altra esistenza di cose e d'individui si ripresenti un'infinità di volte allo stesso modo: nulla è lasciato al caso, al nuovo. Il risultato è "l'intero complesso di tutte le cose" che ritorna, e questo complesso è come una "collana", ossia un somma di singole cose, predeterminate alla vecchia maniera della necessità fatale. Così, partendo da sé stesso, che in un'ora di pazzia ha prodotto "il formidabile pensiero, quello dell'eterno ritorno di tutte le cose", Nietzsche immagina che, dopo di lui altri, prima molti e finalmente tutti, giungano all'ora fatale, "l'ora del mezzogiorno", ossia al "formidabile pensiero", ecc. Così edotta, l'umanità non sarà più un "armento", ma una "collana", ossia una somma di singoli individui consapevoli d'essere eterni!

In conclusione, tutta la concezione della "Gaia Scienza", nonostante la stravaganza, è dominata da un assoluto determinismo riduzionistico. Anzi la stravaganza conferma che qui siamo di fronte a una assolutizzazione estrema, nel suo folle misticismo, del riduzionismo di origine teologica. Eppure, a nostro avviso, il suo autore aveva intuìto la legge della eccezione statistica, però ne ha rifiutato il fondamento: la legge del dispendio che sacrifica le singole cose e i singoli individui a un'esistenza effimera, contingente e casuale; sono soltanto i complessi a rappresentare la necessità duratura ma mai eterna, perché di eterno c'è solo la materia con i suoi cicli universali. Ma se noi sostituiamo alla collana delle singole esistenze umane separate, il complesso della materia in movimento, sottoposto alla dialettica evolutiva caso-necessità, il reale eterno ritorno altro non è che l'eterno pulsare della materia.

Ma nella mistica filosofia di Nietzsche l'"eterno ritorno" è un'altra cosa: rappresenta, come la "volontà di potenza" e il "superuomo", un unico nesso: il primato del singolo individuo, il quale non vuole proprio intendere d'essere una creatura casuale ed effimera. Contrariamente a Tolstoj che annulla la propria individualità immolandola alla società, Nietzsche la esalta nella volontà di potenza che attribuisce al superuomo.

Ora, una concezione che non tragga i suoi princìpi dal movimento reale complessivo, finirà col trarli principalmente dalla propria esistenza individuale. Così, invece di trovare la necessità, troverà la molteplicità delle circostanze casuali. Ma la casualità relativa alla vita personale è qualcosa che la persona tende a respingere, e la prima reazione è il rifiuto del contrassegno casuale delle proprie circostanze. Si vorrebbe che fossero determinate da qualcosa di prevedibile e controllabile. Ma ogni individuo, che parte sempre da se stesso e dalle proprie circostanze, non può prevedere in anticipo dove queste lo condurranno, anche perché non può sapere da dove, necessariamente per lui, possano scaturire. E volere non è di per sé potere, ossia poter ottenere il risultato voluto.

Del resto una concezione che nasca solo a partire da se stessi, non nasce come semplice atto di volontà cosciente, ma per lo più sorge inconsapevolmente e, in genere, porta con sè il proprio marchio di fabbrica: ossia, la compensazione delle proprie debolezze o, al contrario, l'esaltazione delle proprie energie, e ancora i propri motivi, le proprie aspirazioni, ecc. Così, in Nietzsche, la malattia nervosa, i feroci mal di testa, ecc. che rappresentarono il lato puramente casuale della sua esistenza, e la base sulla quale egli doveva necessariamente e dolorosamente esercitare la propria forza di volontà, rappresentano il principale fondamento della sua idea di "volontà di potenza" e di "superuomo".

Ma se la volontà può poco sull'andamento di una malattia o di un dolore fisico, così può poco sulla sua temporanea guarigione, che appare perciò un momento di grazia. E poiché quanto più forte è stato il dolore, tanto più grande sarà il benessere derivato dalla sua scomparsa, ciò può ben spiegare ogni forma di esaltazione. Si potrebbe anche dire che occorre esser stati per certi periodi ebbri di felicità per poter desiderare l'"eterno ritorno" della propria esistenza.

Se, nel momento più acuto del dolore, occorre una forte volontà per resistere, tanto da desiderare d'essere un superuomo, nel momento della più intensa gioia si può anche desiderare d'essere eterni. Nietzsche ha vissuto una condizione altalenante di sentimenti estremi di gioia e di dolore, condizione che spiega le oscillazioni della sua vita spirituale e della sua produzione letteraria e filosofica. Se nei momenti di intenso dolore si può fantasticare una morte eroica wagneriana, nei momenti di intensa gioia si può fantasticare un "eterno ritorno". Parafrasando Feuerbach, potremmo dire: gli uomini, come, singoli, non vogliono intenderla di morire, e si ostinano a pensare di poter prolungare la propria esistenza all'infinito.*

E ci sono due modi di pensare l'eternità della vita: uno religioso positivo, che si accontenta di una vita eterna nell'oltre tomba; l'altro umano negativo, che rifiuta la morte a tal punto da preferirle una nuova vita anche in condizioni peggiori: "Io vorrei meglio essere il servo di un villano sulla terra anziché sovrano in questo regno di morte"*, si lamenta Achille con Ulisse che visita da vivo il regno delle ombre. Nietzsche pretende, invece, molto di più: pretende un'eternità del cosmo costituita dal ripetersi sempre uguale della propria singola esistenza. Come fantasia poteva essere comprensibile, ma come concezione cosmologica poteva essere soltanto una pazzia.

* Da L. Feuerbach: "La morte e l'immortalità".

--------

Tratto da "Il caso e la necessità  l'enigma svelato - Volume primo Teoria della conoscenza (1993-2002) Inedito

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...