C'è una parte della "Critica della ragion pratica" che Kant dedica al contrasto tra la propria concezione e quella di Hume in relazione al principio di causalità. Seguendo questa critica avremo modo di comprendere le ragioni del fallimento di entrambe le concezioni. Il pensiero di Hume, come abbiamo già considerato, è fondato sulla connessione di causa ed effetto, giustificata solo dall'abitudine. Per Hume non c'era altro da dire sulla inferenza induttiva in particolare, e sulla possibilità della conoscenza umana in generale: di più la conoscenza umana non poteva pretendere, perché la connessione empirica non permette la determinazione della necessità assoluta e, d'altra parte, non esiste alcuna conoscenza a priori. Se l'apriori non esiste, l'aposteriori garantisce soltanto una necessità soggettiva fondata sull'abitudine. E questo scetticismo rappresenta il risultato più ragionevole a cui possa pervenire il determinismo riduzionistico che ha come oggetto di studio la singola cosa.
Kant non ci sta, perché pretende l'esistenza di una conoscenza a priori (sebbene nell'ambito della causalità a posteriori*). In questo modo, però, non supera Hume, perché sostituisce lo scetticismo giustificabile di Hume con una soluzione convenzionale e fittizia. Ma vediamo il nocciolo del contrasto. Kant critica Hume per aver considerato il concetto di causa falso e ingannevole "e, per parlarne nei termini più miti", "un'illusione scusabile, in quanto l'abitudine (una necessità soggettiva) di percepire spesso certe cose, o le loro determinazioni, l'una accanto o dopo l'altra, come associate nella loro esistenza, è presa senza avvedersene per una necessità oggettiva di porre una tale connessione negli oggetti stessi; e così il concetto della causa è usurpato e non è acquistato in modo giusto,...".