sabato 31 luglio 2010

I limiti storici della conoscenza e il tappabuchi teologico

La conoscenza umana, fin dalle sue origini, è stata dipendente dalla teologia, perché l'essenza di ogni concezione teologica è la spiegazione ultima e definitiva di ciò che rimane incomprensibile e inconoscibile in ogni periodo storico. Perciò, quanto più la conoscenza è arretrata, tanto più dipende dalla teologia.

Paradossalmente, ogni generazione di studiosi e scienziati non ha mai accettato i propri limiti e quindi non ha mai affermato decisamente: allo stato attuale non siamo in grado di spiegare e comprendere questo o quel fenomeno o processo reale. Al contrario, la pretesa di spiegare comunque ciò che non si era ancora in grado di conoscere trovava nella concezione teologica del momento (essa stessa "filia temporis") tutte le risposte, tutte le verità dogmatiche, ovvero la "teoria ultima" garantita da un "deus ex machina", causa assoluta dell'ignoto.

venerdì 30 luglio 2010

L'irrisolta questione dell'induzione empirica

Per Nassim Nicholas Taleb ("Giocati dal Caso", 2001), la storia non sarebbe scienza perché costruisce teorie sulla base di eventi passati, ovvero di combinazioni di eventi che potrebbero essere stati generati dal caso, ma soprattutto "perché non c'è modo di verificarne le asserzioni in un esperimento controllato". Questa opinione, talvolta, viene avanzata dai divulgatori della scienza e anche teorizzata da studiosi che non si danno pace per il problema dell'induzione, non risolto né da Hume né da Kant. Non si rendono conto che l'induzione da sola non può verificare nulla, non solo nella storia, ma neppure in campo scientifico.

giovedì 29 luglio 2010

Selezione naturale: un'ambigua metafora meccanicistica

Abbiamo visto in più occasioni che, con "selezione naturale", Darwin ha inteso indicare i risultati della evoluzione della specie nel loro aspetto più benefico e progressivo; e solo con molto pudore egli ha segnalato gli aspetti negativi: il grande dispendio nella mortalità degli embrioni e nelle estinzioni, per additare solo i principali. Ora, anche se si vuole dar credito all'idea (erronea) che nella natura vivente esista qualcosa come un meccanismo che seleziona organi, individui, specie, ecc. più adatti e progressivi, occorre accettare la nuda e cruda realtà: la selezione è principalmente eliminazione dei "non adatti" e in una maniera così dispendiosa che solamente rari organi, individui, specie, ecc. sopravvivono protempore.

Se le cose stanno così, cerchiamo di approfondire la riflessione sul concetto di "selezione naturale", riflessione resa sempre più necessaria dalla circostanza che da tutte le parti, ormai, la si concepisce come un meccanismo, quasi a consacrare il suo lato positivo, creativo e benefico, minimizzando o dimenticando il dispendio relativo alla mortalità neonatale e alle estinzioni di specie, generi, ecc.

La separazione delle "Leggi intelligenti" dal "Caso"! Uno dei tanti compromessi di Darwin

Ad un anno circa dalla pubblicazione del mio opuscolo, "Chi ha frainteso Darwin?", citiamo un paragrafo della seconda parte (Darwin e darwinisti: equivoci e spropositi), dove si mostra che anche l'autore de "L'origine delle specie" ebbe molto a soffrire per l'incompreso rapporto tra il caso e la necessità da parte del determinismo ottocentesco.

"Le riflessioni sulla teoria di Darwin della evoluzione per selezione naturale potrebbero non avere mai fine, perché, se pressoché infinite sono le inferenze empiriche, le interpretazioni oscillano inevitabilmente tra il caso e la necessità, senza soluzione. I numerosi compromessi che egli ha dovuto fare sia nei confronti del determinismo riduzionistico dell'Ottocento sia nei confronti del determinismo teologico, ereditato dal Settecento, dipendono dalla metafisica contrapposizione tra l'osservazione delle "variazioni casuali" e l'insolubile determinazione della necessità della evoluzione delle specie. Per ogni aspetto indagato, ogni volta si è presentata questa insolubile contrapposizione. Come vedremo, la storia del pensiero biologico aveva sistemato le cose in modo tale da rendere allora impossibile la soluzione".

martedì 27 luglio 2010

I processi della natura non sono giochi d'azzardo


I probabilisti che non hanno mai compreso la differenza qualitativa che distingue la probabilità dalla frequenza statistica, e quindi la polarità caso probabilistico - necessità statistica, credono che i processi della natura e i fenomeni naturali siano assimilabili ai giochi d'azzardo. Possiamo considerare i prodotti della natura allo stesso modo, ad esempio, del lancio di una moneta o di un dado?

lunedì 26 luglio 2010

A proposito del Progetto Genoma Umano

Chi conosce la reale storia del progetto Genoma Umano, che ha avuto una imprevista accelerazione e rapida conclusione, grazie alla "Celera Genomics" di Venter (società privata, in competizione con il progetto federale guidato prima da Watson e poi da Collins), sa che si è trattato più di una competizione affaristica che di un grandioso sforzo di conoscenza scientifica.

Dal punto di vista della conoscenza ne sappiamo meno di prima. Certo ora, non si sparano più cifre di 100.000 o 150.000 geni umani, ci si accontenta di 30.000, come già i De Robertis assicuravano negli anni '90; ma è lo stesso concetto di gene che non è ancora compreso. O meglio, si comincia timidamente a comprendere che forse il "gene" (appartenente al DNA) non conta molto, come già a suo tempo Crick aveva compreso del DNA, affibbiandogli l'appellativo di "bionda stupida" incapace di fare qualcosa di utile.

domenica 25 luglio 2010

Kuhn: paradigmi per risolvere rompicapi, il piccolo cabotaggio della scienza

Dobbiamo ad un sociologo della scienza, T.S. Kuhn, una nuova concezione della teoria scientifica che ha avuto molto credito negli ultimi decenni: si tratta della concezione dei "paradigmi", esposta in "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" nel 1962. L'autore fu costretto in seguito ad aggiungere un proscritto (1969) (per rispondere a critiche e a richieste di chiarimenti sul concetto di paradigma), nel quale fornì la seguente definizione: "Il termine di paradigma è utilizzato in due sensi": 1) "Da un lato, esso rappresenta l'intera costellazione di credenze, valori, tecniche, e così via, condivisi dai membri di una comunità". 2) "Dall'altro esso denota una sorta di elemento di quella costellazione, le concrete soluzioni-di-rompicapi che, usate come modelli o come esempi, possono sostituire regole esplicite come base per la soluzione dei rimanenti rompicapi della scienza normale".

Kuhn abbassa la teoria scientifica a livello di regole per risolvere "rompicapi", chiamate, in questo senso particolare, col nuovo termine di "paradigmi". Ma lo stesso nome serve a denotare qualcosa di più generico come "credenze, valori, tecniche". Per capire come egli sia giunto a questo risultato bisogna prendere in considerazione il suo punto di partenza, costituito da gruppi di scienziati specialisti, chiusi nel proprio particolare settore, che egli concepisce sociologicamente come comunità scientifiche legate a particolari paradigmi. In queste comunità, dice Kuhn, avviene una specie di selezione, fino al prevalere di una scuola: "Quest'ultima è generalmente esoterica e indirizzata alla soluzione di rompicapi, giacché l'attività di un gruppo può aver luogo soltanto quando i suoi membri assumono certi fondamenti del loro campo".

sabato 24 luglio 2010

Il sassolino levigato

Un pezzo di roccia si stacca da una montagna, frantumandosi in mille frammenti. Dopo milioni di anni, questi si trasformano in sassolini levigati nel letto di un fiume o in una spiaggia. Sono forse la stessa cosa dell'originario pezzo di roccia? Evidentemente no!

Anche una teoria scientifica è come un pezzo di roccia grezzo, informe e pieno di asperità, che si è formato attraverso un groviglio di ipotesi contrastanti. Ma, dopo secoli o anche solo decenni, le teorie scientifiche, depositate nei libri di divulgazione, nei manuali universitari e soprattutto in quelli liceali, hanno subìto una intensa limatura, apparendo sassolini levigati: così, scomparsi gli angoli acuti delle contraddizioni, queste teorie appaiono perfettamente ordinate, precise, pronte solo per essere consultate o memorizzate. Se poi sono errate, come criticarle in questa forma così levigata? Il "sassolino levigato" non fornisce più alcun elemento di riflessione e di critica.

giovedì 22 luglio 2010

Gould: un dettaglio non indifferente sul funerale di Marx

Nel suo libro testamentario, "I HAVE LANDED", S.J. Gould dichiara la sua passione verso i dettagli che si aggiunge,  a suo dire, contradditoriamente a un'altra sua passione: quella verso il caso. Forse egli non era del tutto consapevole del fatto che i "dettagli" appartengono alla sfera del "caso", ovvero sono imprevedibili e sorprendenti, spesso, come il caso stesso. L'amore dei dettagli, del resto, non favorisce la conoscenza, proprio perché, nei dettagli, incorriamo spesso e volentieri in errori. Per la conoscenza conta molto di più scoprire l'essenza fondamentale dei fatti, degli eventi naturali e storici.

Si può anche aggiungere che i dettagli sono infiniti e per quanti se ne possano conoscere in una determinata disciplina, inevitabilmente molti rimangono ignoti a chi invade campi non di propria competenza. Un esempio in tal senso si trova proprio nel libro appena citato, e precisamente nel capitolo 5: "Il gentiluomo darwiniano al funerale di Marx", dove c'è un passo che contiene un dettaglio erroneo, ininfluente per la conoscenza storica complessiva, ma non certo indifferente per capire gli ultimi due anni della vita di Marx.

lunedì 19 luglio 2010

Concetti fondamentali di teoria della conoscenza III

Concetti della sfera della causalità

Riguardo ai concetti di causa ed effetto, possiamo tranquillamente affermare che, se tutti, a partire da Aristotele, hanno negato l'esistenza del caso come fondamento della necessità, tutti hanno dovuto sostituire il caso con qualcos'altro che, fin da principio, è stato il concetto di causa determinante un effetto. La causalità è stata perciò considerata la principale determinazione di tutte le cose. Ma se le cose apparissero immediatamente connesse in modo tale da poter dire: questa è la causa e questo è l'effetto, non sorgerebbero mai problemi e la scienza sarebbe la più semplice delle operazioni umane.

Il fatto è che ciò che appare è sempre un risultato, e se noi chiamiamo questo risultato effetto, intendiamo con ciò qualcosa che deve avere una causa. Però la causa che genera l'effetto non appare, appare solo l'effetto. In questo senso la causa nascosta è sempre stata concepita come la ragione dell'effetto, e la conoscenza si è sempre posta lo scopo di risalire dagli effetti alle cause. Questa concezione, che ha dominato dall'antichità fino all'epoca moderna, e precisamente fino al sec. XIX, ha trovato la sua prima espressione matura in Platone, che fu anche il primo ad attribuire la causa alla divinità, distinguendo le cause divine dalle concause, e in Democrito, che fu il primo a ritenere di doversi cercare la causa di ogni evento considerato come effetto.

domenica 18 luglio 2010

Probabilità e statistica da Laplace ai teorici dell'Ottocento: Poisson e Cournot

Nell'introduzione a "L'ordine e il caso", l'autrice, Paola Dessì, scrive: "Lo studio della probabilità, proprio a causa dei molteplici significati che il termine assume, può offrire un punto di osservazione privilegiato per comprendere i non semplici rapporti tra scienza e filosofia nell'Ottocento. Come è noto, il concetto di probabilità gode sin dal suo nascere della caratteristica di essere estremamente ambiguo, capace di riferirsi ora all'aspetto soggettivo, ora all'aspetto oggettivo della conoscenza, definibile ora a priori, ora a posteriori, a seconda che lo si consideri una proprietà logica o la semplice espressione di una frequenza".

Sta di fatto "che il riconoscimento dell'impossibilità di raggiungere la certezza se non in ambiti molto ristretti, porterà Laplace a definire la certezza soltanto come limite della probabilità, capovolgendo di fatto la gerarchia usuale e riconoscendo alla probabilità un ruolo fondamentale. In precedenza, infatti, di conoscenza probabile si era parlato soltanto in relazione all'impossibilità di raggiungere una conoscenza certa".

sabato 17 luglio 2010

L’oggetto della provvidenza religiosa: l’individuo singolo

In  "L'essenza della religione", Feuerbach, prendendo in considerazione la concezione teleologica, sostiene che non si può attribuire alla natura il punto di vista umano, gli scopi e i criteri di giudizio umani, "anche se noi, per renderli comprensibili, definiamo e confrontiamo i suoi fenomeni con fenomeni umani analoghi e, in genere, applichiamo ad essi, espressioni e concetti umani, quali ordini, scopo, legge..." In questo passo Feuerbach solleva una rilevante questione gnoseologica che scaturisce dal fatto indubbio che l'uomo, nel tentativo di districare il groviglio dei processi naturali, cerca analogie con la propria attività.

Così Engels aveva osservato, ad esempio, che la connessione di causa ed effetto non viene suggerita all'uomo dalla natura, ma dalla sua stessa pratica. E Darwin utilizzò l'analogia tra la selezione naturale e la selezione operata dagli allevatori. Una cosa è, però, cercare analogie, altra cosa antropomorfizzare la natura, attribuendole "scopi e criteri di giudizio umani". In questo secondo caso, non si tiene presente che tra il modo di operare dell'uomo e il modo di operare della natura esiste una profonda differenza.

venerdì 16 luglio 2010

"Gravità addio"

Secondo lo stringhista Erik Verlinde, scrive Rampini*, "la forza di gravità è un'illusione, una beffa cosmica, o un "difetto collaterale" di qualcos'altro che avviene a un livello molto più profondo". Questo passo di poche righe contiene troppe cose che la fisica con le sue molteplici teorie non ha mai risolto: innanzi tutto è un'illusione la gravità o ritenerla una forza, un campo, un effetto o una causa?

A quest'ultimo proposito, si può citare il Dialogo di Galileo. A Simplicio che afferma con sicurezza: "La causa di quest'effetto è notissima a tutti, e ciascheduno sa che è la gravità", Salviati ribatte: "Voi errate, signor Simplicio: voi dovevate dire che ciaschedun sa ch'ella si chiama gravità. Ma io non vi domando del nome, ma della cosa: della quale essenza voi non sapete punto più di quello che voi sappiate dell'essenza del movente le stelle in giro".

lunedì 12 luglio 2010

L'oggetto della conoscenza scientifica: l'individuo complessivo

Le principali questioni teoriche delle scienze della natura richiamano alla mente analoghi problemi di altri campi della conoscenza. La principale domanda, la cui errata risposta sta alla base di ogni difficile e irrisolta questione di ogni ramo della scienza, riguarda la definizione dell'oggetto fondamentale della conoscenza. E' noto che, riguardo all'economia politica, Marx bollò come robinsonate i tentativi di indagare i processi economici partendo dal singolo individuo. Ciò perché, se i singoli individui sociali sono il punto di partenza (casuale) del movimento reale economico-politico, il risultato necessario, analizzabile scientificamente, è rappresentato dalle classi sociali, ossia da determinati complessi di individui sociali. Perciò, per Marx, l'oggetto fondamentale dell'economia politica è la classe sociale, ossia l'individuo complessivo.

Ciò vale in generale per l'analisi della società umana, ma vale anche per qualsiasi indagine particolare, come ad esempio il lavoro manifatturiero. Così, non è il singolo operaio che produce la merce, ma è il complesso degli operai manifatturieri che Marx chiama l' "operaio complessivo". Oggetto d'indagine è dunque l'operaio complessivo non il singolo operaio.

domenica 11 luglio 2010

La dialettica caso-necessità partendo da Engels

Nel paragrafo dedicato alla "Casualità e necessità", (Note e frammenti sulla "Dialettica della natura"), Engels prende le mosse dall'opposizione metafisica tra casualità e necessità: "Che cosa può essere in contraddizione più acuta di queste due determinazioni del pensiero? Com’è possibile che l'una e l'altra si identifichino, che il casuale sia necessario e il necessario a sua volta casuale? Il senso comune, e con esso la grande maggioranza degli scienziati, tratta necessità e casualità come due determinazioni che si escludono l'un l'altra, una volta per tutte. Una cosa, un rapporto, un processo, o è casuale o è necessario, ma non l'una e l'altra cosa insieme". Il pensiero metafisico, stabilita questa scissione, dichiara che unicamente il necessario ha interesse scientifico, mentre il casuale è indifferente alla scienza. "Cioè: tutto ciò che si può ricondurre a leggi generali, passa per necessario, e ciò che non si può, per casuale".

A questa impostazione si oppone il determinismo che opera a sua volta una scissione tra caso e necessità, ma soltanto allo scopo di eliminare il caso e stabilire che tutto è necessario. "Secondo tale concezione- scrive Engels- nella natura impera solo la necessità diretta. Il fatto che questo baccello di piselli contiene cinque piselli e non quattro o sei, che la coda di questo cane è lunga o corta, (...), che una pulce la notte passata mi ha punto alle quattro della mattina e non alle tre o alla cinque, (...): tutti questi sono fatti che si sono prodotti per una concatenazione irrevocabile di cause ed effetti, per una incrollabile necessità: tale, precisamente, da comportare che già la sfera gassosa, dalla quale è sorto il sistema solare, fosse disposta in modo che questi avvenimenti dovessero accadere così e non altrimenti".

sabato 10 luglio 2010

LHC: guasto tecnico o fallimento teorico?


Il "guasto" del supercollisore del CERN, l'LHC, sembra aver suscitato riflessioni teoriche sulla conoscenza scientifica, con l'apertura, dal novembre 2008, di una nuova rubrica su "Le Scienze", intitolata "Scienza e filosofia". A Enrico Bellone, che lasciava la carica di direttore per raggiunti limiti d'età, abbandonando anche la sua rubrica, "Il pensiero forte", subentravano due giovani professori di filosofia della scienza, Elena Castellani e Telmo Pievani, i quali, nella nuova rubrica, hanno cominciato alternandosi e proponendo, rispettivamente, tematiche relative alla fisica e tematiche relative alla biologia.

Ora, che ci sia un nesso tra l'interruzione dell'esperimento al CERN e la novità dell'interesse della rivista "Le Scienze" su questioni di teoria della conoscenza, lo conferma anche il titolo del primo contributo alla nuova rubrica, firmato da Elena Castellani: "LHC e lo scopo della scienza", ma soprattutto il seguente passo: "Quello che succede al CERN tocca aspetti cruciali dell'impresa scientifica, che ne riguarda lo status, il metodo e lo scopo. Sono in gioco questioni di fondo che coinvolgono non solo la natura della scienza come forma di conoscenza che si vuole il più possibile "razionale", "oggettiva" e "fondata", ma anche il suo stesso fine".

venerdì 9 luglio 2010

Il fallimento del riduzionismo in fisica e il mistero risolto della gravitazione

Il riduzionismo mostra il suo fallimento proprio nella "più fondamentale" delle scienze naturali, la Fisica. Ciò che sorprende è che nessun fisico, finora, se ne sia accorto. Il riduzionismo cartesiano, ovvero il passaggio dal complesso al semplice, si è manifestato in fisica nella ricerca del costituente ultimo della materia, mediante il passaggio al sempre più piccolo. Ma, se consideriamo i risultati di questa pratica, scopriamo che non si può scendere nel sempre più piccolo per la semplice ragione che c'è un momento in cui questa "discesa" appare rovesciarsi decisamente nel suo opposto: la risalita nel sempre più grande. E' un vero e proprio rovesciamento dialettico, realmente sotto gli occhi di tutti, ma nessuno riesce a vederlo per una forma di cecità che Marx chiamò “Judicial blindness”.

Finché si rimane nell'ambito molecolare si può anche pensare che il grande, il corpo, sia composto di parti più piccole, le molecole. Però, poi, scoprendo che le molecole sono a loro volta composte di parti ancora più piccole, gli atomi, cominciò a evidenziarsi un fatto sottovalutato (perché ritenuto una semplice questione quantitativa): la somma delle masse degli atomi di una molecola è più grande della massa della molecola stessa; in altre parole, la formazione di una molecola richiede una perdita (sia pure modesta) di energia (o massa) dei suoi atomi: è il cosiddetto "difetto di massa".

giovedì 8 luglio 2010

L'incompresa necessità dialettica nella concezione di Jacques Monod

Nel suo libro, "Il Caso e la necessità", pubblicato nel 1970, il premio Nobel per la medicina, J. Monod, dopo aver osservato che i cristalli e gli organismi viventi si distinguono da ogni altro oggetto a causa della riproduzione invariante della propria struttura, e aver precisato che "le strutture cristalline rappresentano una quantità di informazione inferiore di parecchi ordini di grandezza rispetto a quella che si trasmette di generazione in generazione negli esseri viventi, anche nei più semplici", conclude: "questo criterio puramente quantitativo -è bene sottolinearlo- consente di distinguere gli esseri viventi da tutti gli altri oggetti, compresi i cristalli".

Occorre invece sottolineare, come aveva osservato Engels, che "questo punto di vista matematico unilaterale", trascurando le differenze qualitative, favorisce la concezione meccanicistica per la quale "la quantità si converte in qualità". Una semplice quantità non permette, però, di distinguere diverse qualità, perché soltanto "una variazione quantitativa modifica la qualità". ("Dialettica della natura") Ma, immaginare di poter distinguere la qualità inerente la vita dalla qualità inerente oggetti inanimati come i cristalli, mediante la pura quantità di informazioni, non è soltanto un errore del "punto di vista matematico unilaterale", è anche un errore specifico della nuova concezione della biologia molecolare, che prende il nome di teoria del codice genetico, la quale si fonda su concetti e idee tratte dalla cibernetica e dall'informatica.

Questa nuova concezione, nella versione divulgata da autori come Monod, Mayr, ecc., si fonda soprattutto sul concetto di teleonomia. In questo capitolo ci proponiamo di dimostrare che la concezione teleonomica rappresenta una soluzione convenzionale e fittizia dell'irrisolto problema del rapporto caso-necessità. Per questo scopo, il saggio di Monod rappresenta il nostro punto di partenza.
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