giovedì 29 novembre 2018

La materia oscura finalmente scoperta? Ma questa è la mia teoria!

Da  Repubblica .it  

"Con le onde gravitazionali potremmo aver scoperto anche la materia oscura

A proporlo è un team di fisici della Johns Hopkins University. Stando ai loro calcoli le onde gravitazionali osservate da Ligo sono infatti compatibili con la rilevazione di due buchi neri primordiali, corpi celesti che potrebbero fornire una risposta al mistero della materia oscura.

di Simone Valesini     28 Giugno 2016

lunedì 26 novembre 2018

La questione demografica nella fase senescente del capitalismo

Nel 2012 giunsi  a delineare i seguenti punti:

1) la specie umana è avviata a raggiungere i 10 miliardi di individui (a meno di qualche catastrofe demografica che renderebbe il discorso assai più penoso).

2) L'esistenza di così grandi numeri di esseri umani non può più essere lasciata al processo naturale del capitale, dominato dalla dialettica caso-necessità foriera di crisi economiche profonde, guerre e rivoluzioni sanguinose (appunto, il discorso penoso!).

3) Al tempo dell'indagine di Marx ed Engels, la specie umana non aveva ancora raggiunto il miliardo di anime e l'autore de Il Capitale si preoccupò, persino, di una regressione demografica prodotta dal degrado delle condizioni di vita del proletariato industriale.

venerdì 23 novembre 2018

Caso e necessità nel processo di scambio delle merci*

Sullo scambio delle merci, Marx osserva: "In un primo momento il loro rapporto quantitativo di scambio è completamente casuale. Sono scambiabili per l'atto di volontà dei loro possessori di alienarsene reciprocamente. Intanto, il bisogno di oggetti d'uso altrui si consolida a poco a poco. La continua ripetizione dello scambio fa di quest'ultimo un processo sociale regolare". "Da questo momento in poi si consolida, da una parte, la separazione fra l'utilità delle cose per il bisogno immediato e la loro utilità per lo scambio. D'altra parte il rapporto quantitativo diventa dipendente dalla produzione. L'abitudine le fissa come grandezze di valore".

Inizialmente: "L'articolo di scambio non riceve dunque ancora una forma di valore indipendente dal suo proprio valore d'uso o dal bisogno individuale di coloro che compiono lo scambio. La necessità di questa forma si sviluppa col crescere del numero e della varietà delle merci che entrano nel processo reale". La necessità deriva, quindi, dai grandi numeri: il crescere del numero e della varietà delle merci che entrano nel processo di scambio -crescita che dipende dai singoli scambi casuali- rovescia il caso singolo nella necessità complessiva di un processo sociale regolare.

Lo stesso discorso vale per la forma di denaro: "Da principio è casuale che essa (la forma generale dell'equivalente) aderisca a questo o a quel genere di merci. Ma, nell'insieme, due circostanze sono quelle decisive. La Forma di denaro aderisce o ai più importanti articoli di baratto dall'estero, che di fatto sono forme fenomeniche naturali e originarie del valore di scambio dei prodotti indigeni; oppure all'oggetto d'uso che costituisce l'elemento principale del possesso inalienabile indigeno, come p. es., il bestiame".

martedì 20 novembre 2018

Conclusioni definitive sul saggio medio del profitto

Abbiamo visto la principale contraddizione dello scambio capitalistico delle merci: le merci, in quanto prodotti del lavoro sociale medio, hanno un valore di scambio; ma, come prodotti di capitale sono scambiate ai prezzi di produzione, ossia secondo il saggio medio del profitto. Del resto, se le merci fossero scambiate semplicemente secondo il loro valore avremmo quest'altra contraddizione: chi produce una maggior  quantità di plusvalore dovrebbe pretendere una quota di profitto maggiore: fatto questo che beneficerebbe l'arretratezza capitalistica, beneficiando produzioni che utilizzano un capitale costante inferiore alla media. Per assurdo, l'industria più moderna quella delle mecchine utensili, che produce minime quantità di plusvalore, impiegando pochissima forza lavoro e molti robot, non potrebbe neppure esistere.

Tutte queste contraddizioni si risolvono soltanto se consideriamo la produzione di plusvalore nel suo complesso: da questo punto di vista il plusvalore, come ha spiegato Marx, è qualcosa che ha senso storico reale soltanto se considerato come l'enorme serbatoio dal quale l'intera classe capitalistica trae la sua ricchezza media nella forma del profitto medio. Dal punto di vista scientifico, come non ha alcuna rilevanza la singola merce prodotta dal singolo operaio, perché è solo l'operaio complessivo che produce il complesso delle merci (oggetto della scienza), così non ha alcuna rilevanza il plusvalore prodotto dal singolo operaio, perché è soltanto l'operaio complessivo che produce il plusvalore totale: energia vitale del capitalismo.

domenica 18 novembre 2018

Riflessioni sul saggio medio del profitto

Nel secondo volume delle "Teorie Sul Plusvalore" Marx, affrontando la rendita fondiaria, ritorna sulla questione del saggio generale del profitto per ribadire che è errato sostenere "che la concorrenza dei capitali determini un saggio medio del profitto livellando i prezzi delle merci ai loro valori. Al contrario essa lo determina trasformando i valori delle merci in prezzi medi nei quali una parte del plusvalore di una merce è trasferita ad un'altra ecc."

Comprendere questo trasferimento del plusvalore non è semplice. Marx precisa: "Il valore di una merce è = alla quantità di lavoro pagato + non pagato [plusvalore], in essa contenuto. Il Prezzo medio di una merce è = alla quantità di lavoro (oggettivato o vivo) pagato in essa contenuto + una quota media di lavoro non pagato che non dipende dal fatto che esso era contenuto o meno nella stessa merce in questa ampiezza o se ne era contenuto più o meno nel valore della merce".

In sostanza, non importa chi ha prodotto e come la sua quota di plusvalore, perché ciò che conta è l'intero serbatorio di plusvalore prodotto nella produzione complessiva capitalistica. Perciò, se confrontiamo la produzione delle merci a basso contenuto di capitale costante (come può essere oggi, ad esempio, il confronto tra la produzione di beni di consumo nei PVS e la produzione di alta tecnologia nei PSA), possiamo dire: nel primo caso è prodotto molto plusvalore, nel secondo poco plusvalore (in relazione al capitale variabile, ossia alla forza lavoro impiegata), quindi le merci avranno, rispettivamente valore maggiore o minore.

giovedì 15 novembre 2018

Caso e necessità nell'analisi della merce

In un'epoca dominata dal determinismo riduzionistico, quale fu il secolo XIX, non poté destare stupore e sconcerto il fatto che Marx non si fosse completamente affidato alla connessione deterministica di causa ed effetto. Chi era abituato alle analisi deterministiche-riduzionistiche della scienza dell'Ottocento non poté evitare il disagio prodotto dal nuovo metodo utilizzato da Marx, che forniva leggi di necessità soltanto nella forma di medie statistiche. Del resto, come abbiamo già osservato, neppure Marx fu completamente consapevole del fatto che il suo metodo di indagine si allontanava decisamente dal determinismo, complice la dialettica hegeliana opportunamente rovesciata in senso materialistico.

Quando Marx inizia la sua indagine affermando*: "La ricchezza delle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico si presenta come "un'immane raccolta di merci" e la merce singola si presenta nella sua forma elementare. Perciò la nostra indagine comincia con l'analisi della merce", non è chiaro che cosa intenda fare, se partire dalla singola merce in senso riduzionistico-deterministico, oppure nel senso hegeliano della merce intesa come genere universale: ciò che noi abbiamo chiamato complesso. Ma, nel momento in cui egli svolge la sua analisi, il suo metodo dialettico prende il sopravvento sul determinismo riduzionistico. E' ciò che appureremo seguendo la sua indagine sul valore della merce.

sabato 10 novembre 2018

L'illusoria soluzione costituzionalista

Nell'"Ideologia tedesca" Marx ha fatto un'affermazione molto netta: "Non c'è storia della politica, del diritto, della scienza ecc. dell'arte, della religione ecc.". Intendeva con ciò chiarire che tutte le attività umane non economiche, che appartengono alla sovrastruttura della società, non hanno una evoluzione indipendente, fondate su se stesse, ma la loro evoluzione dipende, è condizionata, dall'evoluzione dei processi economici. Ma ha anche osservato riguardo ai giuristi, politici, moralisti, religiosi: "ognuno ritiene che il suo mestiere sia quello vero. Sul nesso che unisce il loro mestiere alla realtà, tanto più necessariamente si fanno illusioni perché ciò è già condizionato dalla natura del mestiere stesso". "Il giudice, p.es. applica il codice, e quindi per lui la legislazione è il vero motore attivo". Ciò vale anche per i costituzionalisti e per la storia delle costituzioni, argomento di questo paragrafo.

Gli storici costituzionalisti, i teorici del diritto, ecc. si illudono che il loro mestiere "sia quello vero", perciò ritengono che le costituzioni siano fondate su se stesse, indipendenti dai rapporti economici e dai rapporti politici conseguenti: per loro, è come se gli uomini maturassero il bisogno di creare e di modificare le costituzioni; insomma, come se esistesse un bisogno fondamentale, un'esigenza indipendente di costituzionalismo da sodddisfare.

E' ciò che si ricava dalla lettura di un saggio di Maurizio Fioravanti, "Costituzione" (1999). L'autore, per esempio, immagina, per il periodo dell'assolutismo, uno scontro autosussistente, indipendente e incondizionato, tra assolutismo politico e costituzione mista di origine feudale. Quindi rilevante diventa la trattazione formale e convenzionale del contrasto tra le due diverse forme costituzionali, non già il nesso tra assolutismo e formazione economico sociale che stava evolvendo. Ma la via da seguire è un'altra, anche se uno storico delle costituzioni, come Fiorvanti non vuole prenderla in considerazione: è la dipendenza delle forme politiche e giuriche dall'economia ciò che conta.

venerdì 9 novembre 2018

Introduzione alla Parte Terza della "Dialettica caso-necessità nella storia" (2003-2005)

Lo scopo principale della Terza e ultima parte di questo volume di storia è verificare la dialettica caso-necessità su alcuni dei principali temi trattati da Marx nel Capitale: dal valore di scambio delle merci alla  concorrenza, al saggio medio del profitto e alle classi sociali.

Il principio fondamentale sul quale si basa la concezione scientifica di Marx consiste in ciò, che la specie umana si distingue dalle altre specie viventi principalmente perché produce consapevolmente i propri mezzi di sussistenza. La conseguenza di questo principio è che il prodotto del lavoro umano consiste sin dall'inizio in oggetti d'uso che possono essere tra loro scambiati. E lo scambio trasforma i prodotti del lavoro in merci. La produzione e la circolazione delle merci diventa, quindi, il punto di partenza dell'analisi del Capitale nella produzione semplice delle merci.

Nella prefazione al terzo libro del Capitale, Engels afferma che Marx parte dalla produzione semplice delle merci come premessa storica  del capitale per giungere da questa base al capitale stesso. Il valore delle merci nello scambio, anche a prima vista, appare come qualcosa di casuale, e ciò perché nella produzione semplice delle merci nulla avviene secondo un piano prestabilito, e tutto si svolge spontaneamente senza alcuna consapevolezza da parte dei singoli produttori. Per questo motivo Marx può considerare la produzione e la circolazione semplice delle merci alla stregua di un processo naturale.

giovedì 8 novembre 2018

Osservazioni su "Il cervello anarchico" di Enzo Soresi

Nella Presentazione di Umbero Galimberti si può leggere: "Lo studio delle relazioni mente-corpo alla luce della scienza definita psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI) e l'uso dei nuovi farmaci intelligenti, che mimano le comunicazioni esistenti nel nostro organismo quali le interleuchine, gli interferoni, gli anticorpi momoclonali e altro, mi hanno permesso di interpretare meglio una serie di casi clinici singolari affrontati nella mia professione."

Soresi ha scoperto che ogni malato è un caso a parte, per cui parla di casi clinici singolari. Da ciò nasce l'idea del cervello anarchico in seguito alla circostanza che ogni individuo, nella malattia, ha un comportamento e anche sintomi che lo distinguono da ogni altro. Insomma, ogni paziente anche della medesima malattia è un "caso a parte" (parole mie). Si tratta per Soresi di una serie di casi clinici singolari affrontati nella sua professione.

lunedì 5 novembre 2018

Commemorazione personale del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale

Sarei restio a parlarne, ma gli aspetti personali che mi spingono a farlo sono almeno due. Uno è famigliare: il fratello maggiore di mia madre si chiamava Ettore Viola che quella guerra ha combattuto guidato dalla fortuna e dall'eroismo. Come Ardito si è meritato l'unica medaglia d'oro concessa alla fanteria italiana. Inoltre, compare, come personaggio, nel romanzo autobiografico di Emingwey sulla Grande Guerra, durante la quale  passò il suo tempo tra scontri, assalti di trincee alla baionetta, ricoveri ospedalieri per le ferite ricevute. Infine, non si fece mancare neppure l'influenza spagnola, dalla quale guarì dopo una ubriacatura di champagne, portato al suo capezzale da amici commilitoni.

Ma se ne parlo è anche per un altro motivo meno eroico, però senz'altro più congeniale ai miei studi: la prima guerra mondiale mi fornì, infatti, un esempio statistico molto concreto per "visualizzare", nel lontano 1985, la mia intuizione sulla dialettica caso-necessità.

Di mio zio potrei raccontare molti aneddoti. Mi limiterò al seguente che mi riguarda da vicino. Quando la mia bella e giovane moglie partorì il nostro primogenito a Roma, mia madre prese il treno da Massa Carrara e andò a trovarla in clinica accompagnata dall'eroico fratello maggiore, ormai settantenne. Stuzzicato sul mio conto, riguardo al tempo perduto nei miei studi personali, rispose: "di Piero puoi dire quello che vuoi, ma lui un figlio è stato capace di farlo".

Insomma, con tutte le donne che l'eroico zio ha avuto nella sua lunga carriera di eroe di guerra e di seduttore, nessuna gli ha dato un figlio, neppure, in seguito, la moglie. Non sapeva che si trattava di una conseguenza dell'influenza spagnola: dalla quale era uscito salvandosi la vita, ma incapace di generarla.

Brevemente concluderò sottolineando che la prima guerra mondiale mi ha ricordato il complimento ricevuto dall'eroico zio (di complimenti da parte dei miei parenti ne ho ricevuti molto pochi, sempre per quella mia mania di studiare, invece di fare affari), ma soprattutto mi ha ricordato il colpo di genio personale che mi portò a concludere nel lontano 1985: riguardo ai singoli, è il caso che predomina, ma, riguardo ai complessi, è la cieca necessità che s'impone. Se il caso ha permesso la sopravvivenza del singolo, eroico capitano degli arditi, è la cieca necessità che si è impadronita di decine di milioni di morti prodotti da mitragliatrici, cannoni, aeroplani, carri armati, gas, bombe a mano, baionette e persino da ... un'influenza.

domenica 4 novembre 2018

Il liberalismo antidemocratico di Constant

Per approfondire i princìpi del liberalismo classico, prendiamo in considerazione i "Princìpi di Politica" di B. Constant, il quale respinge l'idea di Hobbes, Machiavelli, ecc. che il potere sia fondato soltanto sulla forza, distinguendo la forza, come potere illegittimo, dalla volontà generale, come potere legittimo. Quindi partendo dal princìpio costituzionale moderno afferma: "La nostra attuale Costituzione riconosce formalmente il principio della sovranità popolare, cioè la supremazia della volontà generale su ogni volontà particolare. Questo principio, di fatto, non può essere contestato".

Ma può essere criticato oppure aggiustato. Può essere criticato osservando che esso rappresenta una restrizione rispetto al principio universale dell'interesse del genere umano, ammesso persino da Kant; ma può anche essere aggiustato, ossia ridotto  da una ulteriore restrizione, come fa lo stesso Constant quando, partendo dall'affermazione che "La legge deve essere espressione della volontà di tutti o della volontà di alcuni", stabilisce che "Se si suppone che il potere del piccolo numero è sanzionato dal consenso di tutti, questo potere diviene allora la volontà generale".

Il principio della "sovranità popolare", ossia della "volontà generale", rappresenta ora la necessità collettiva non più come volontà generale della specie umana, ma come volontà particolare di un popolo appartenente a una nazione fra tante; e, a sua volta, questa volontà generale di un singolo popolo può essere ridotta alla "volontà particolare" di un piccolo numero di individui, sanzionata "dal consenso di tutti".
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