Per questo e per il prossimo post conclusivo della serie dedicata al rapporto infinito-finito, utilizzeremo il libro di Jean-Pierre Luminet e Marc Lachièze-Rey, dal titolo "Finito o infinito? Limiti ed enigmi dell'universo" (2006). Semplificando molto, ci limiteremo a considerare, in particolare, il paradosso del "bordo" in relazione all'universo finito, i paradossi di Zenone riguardo alla negazione del movimento e altro ancora riguardo alla materia, per terminare con il concetto di infinito matematico.
L'antico pensiero greco ha concepito sia lo spazio infinito come contenitore (Leucippo e Democrito); sia l'universo finito (Parmenide e Platone), ma anche il suo opposto: la pluralità dei mondi (Erodoto). A sua volta, Aristotele ha criticato l'atomismo negando lo spazio, contrapponendogli il semplice "luogo" come limite che racchiude le cose. Infine, i sostenitori del mondo finito dovevano non solo assegnarli un "centro", ma ammettere anche una frontiera come limite insuperabile, cioè un "bordo" invalicabile che lo racchiudesse.
Il centro dell'universo finito non costituì un grosso problema perché, a parte Aristarco di Samo che lo collocò nel Sole, la maggior parte degli antichi greci lo collocò nella Terra. Costituiva, invece, un problema insolubile la collocazione del "bordo". Nacque un paradosso dal seguente argomento di Archita di Taranto, pitagorico: immaginando di stare nel "bordo", al di là si poteva allungare una mano. Ma, se si poteva farlo, allora al di là del "bordo" ci doveva essere o un corpo o uno spazio. Con questo argomento, si poteva concepire uno spazio illimitato, infinito.
Questo argomento ancora ingenuo, ma intelligente, metteva in luce una contraddizione dialettica: concepire il finito è impossibile senza rovesciamento nel suo opposto, l'infinito. Il paradosso è stato eliminato eliminando la necessità del "bordo", ottenuta, semplicemente, immaginando il mondo come una sfera illimitata ma senza confini. "Alla fine -scrivono gli autori- il paradosso del bordo può essere risolto! L'infinito (geometrico) va distinto dall'illimitato (cioè senza frontiere) ma finito, come la superficie di una sfera".
In perfetto stile metafisico, Luminet e Lachiez-Rey intitolano il paragrafo 1.15 con la seguente domanda: "Allora, finito o infinito?" E continuano: "La domanda si riferisce al modello del nostro Universo". Anche in questo caso sappiamo come è andata a finire: oggi prevale il modello dello spazio con "curvatura debolissima e in espansione perpetua e accelerata".
Ciò su cui non si riflette mai abbastanza è, però, che, se la materia è infinita ed eterna, in tal senso essa è indeterminata e noi non possiamo farci niente, ma se esistiamo come specie cosciente, è perché siamo il risultato dell'evoluzione della materia dallo stato primordiale informe allo stato successivo di forme materiali determinate, e queste soltanto sono e possono essere oggetto della nostra conoscenza. In sostanza, noi possiamo conoscere solo il finito connesso dialetticamente all'infinito. Ciò che, invece, non può esistere è un infinito dello spazio e della materia separati metafisicamente dalle forme finite. Per la conoscenza, fondamentale è riconoscere che la necessità finita delle forme materiali è debitrici nei confronti dell'infinita casualità dei suoi singoli costituenti elementari. Questa è la soluzione dialettica che connette la polarità infinito-finito con la polarità caso-necessità.
Rimane, comunque, un altro problema riguardo alla specifica questione dell'infinito della materia. Luminet e Lachièze-Rey citano Galileo per la sua famosa affermazione che sembra, in apparenza, assoggettare la materia fisica alla matematica: "Come diceva Galileo, la fisica è scritta in linguaggio matematico. Ne deriva che gli infiniti che sono introdotti in matematica devono intervenire pure in fisica". Insomma, se la fisica è scritta linguaggio matematico, dovrebbe valere anche il reciproco: la matematica dovrebbe essere, comunque, il linguaggio della fisica qualsiasi cosa potesse escogitare!
Il fatto che la fisica abbia bisogno della matematica per misurare e calcolare i parametri delle forme materiali è ovvio! Ma che, per conseguenza, qualsiasi "matematica", escogitata dall'uomo, debba prima o poi riflettersi nella realtà naturale, fisica, non è affatto ovvio, anzi è un errore di principio. E, del resto, anche i due autori, ad esempio, nonostante esaltino la matematica degli infiniti di Cantor, devono ammettere: "Ma questo tipo di ricerca è lontana dalla fisica e non sembra avere connessione alcuna col problema della materia".
Il problema della materia, in rapporto all'infinito è doppio: riguarda l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, il primo, in relazione all'estensione della materia nello spazio, pone la questione dell'esistenza di un solo universo infinito o di universi infiniti: questione questa che si può ben lasciare ai posteri. Il secondo, in relazione alla divisibilità della materia, pone le seguenti domande: "si può dividere infinitamente la materia? Essa è continua o 'discreta'? Si può suddividere senza limite un qualsiasi corpo materiale in frazioni sempre più piccole o giungeremo a entità indivisibili?"
Anche i paradossi di Zenone derivavano dall'assurda idea che si potesse suddividere all'infinito lo spazio e con esso la materia. Ma ciò non ha senso, e già da tempo la fisica ha abbandonato questa idea, esattamente da quando ha stabilito il limite di Planck per la massa più piccola e per lo spazio e il tempo più piccoli. Qui ci limitiamo a citare questo passo di Luminet e Lachièze-Rey: "Le questioni circa gli infinitamente grandi legati allo spazio e al tempo appartengono essenzialmente al dominio della relatività generale. Quelle circa gli infinitamente piccoli, che riguardano la materia, le radiazioni e le loro interazioni, rientrano nel dominio della fisica quantistica".*
E ancora: "Nella fisica di base si contrappongono due concezioni: da un lato il modello standard con le sue teorie quantistiche e le sue interazioni locali tra cui le particelle puntiformi; dall'altro la relatività generale, in cui la gravitazione è un risultato della deformazione dello spazio-tempo. Che fare? Considerare la relatività generale come il versante classico (sic!) di una teoria quantistica che dobbiamo ancora escogitare?"
La domanda allude indirettamente ai problemi derivati dall'illusione dei fisici di conciliare relatività generale e fisica quantistica in una teoria del Tutto o di sostituirle entrambe con la teoria delle stringhe o altro ancora. Però le due concezioni sono già venute ad un compromesso, incontrandosi sulla "singolarità" e sul "tempo zero" dei cosiddetti "buchi neri". Abbiamo già affrontato questi "oggetti" del cosmo, ma in queste pagine dedicate alla polarità infinito- finito, sono i benvenuti perché ci permettono un ulteriore chiarimento.
"Creature ibride, partorite dalla relatività e dalla meccanica quantistica, i buchi neri ci danno un assaggio di qualche problema esemplare concernente l'infinito" scrivono i due autori. Giusta osservazione, ma per risolvere la questione dei buchi neri, occorre tenere presente che, in quanto forme materiali prodotte dalla evoluzione della materia infinita e indeterminata, sono necessariamente oggetti finiti. Matematicamente è facile calcolare le condizioni di un corpo cosmico con campo gravitazionale così intenso da elevare la "velocità di fuga" a 300.000 km/s eguagliando la velocità della luce. Ma, se si tenta di darne una spiegazione fisica con il modello dei "buchi neri", saltano fuori assurdità come il punto di dimensioni infinitesima o come "l'infinita compressione di materia e curvatura spazio temporale". Insomma, nel "buco nero" coesisterebbero fisicamente l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande.
Che cosa è questa? L'ennesima stranezza teorica che nessuno può capire, fatta eccezione per un paio di geni? Oppure è uno sproposito? I matematici fisici non potranno mai giungere alla conclusione che la teoria dei "buchi neri" è uno sproposito, per la semplice ragione che lo statuto della matematica-fisica è fondato sul principio assoluto che tutto ciò che la matematica elabora come modello non può essere sbagliato e, prima o poi, troverà la sua conferma fisica. Il massimo che il pensiero matematico può arrivare a concedere è che una teoria possa essere "incompleta" o contenga difficoltà che, comunque, possono essere soltanto all'interno della logica matematica.
Ma, la principale contraddizione insolubile della teoria dei "buchi neri" è, per ammissione degli stessi matematici-fisici, che la relatività presuppone l'infinitesimo nella dimensione materiale, mentre la fisica quantistica teorizza dimensioni materiale, spaziali e temporali finite, sia pure molto piccole: parliamo della massa di Planck di 10^13 g, della lunghezza di Planck di 10^-33 cm e del tempo di Planck di 10^-43 s. In conclusione, l'infinito della materia nella fisica contemporanea contraddice ogni logica, persino quella matematica dominante. (Continuazione)
*E il paradosso è che non erano mai esistite teorie più diverse e incomunicabili tra loro di quelle sopracitate, così che il grande e il piccolo della materia avrebbe dovuto assoggettarsi alle stranezze teoriche di fisici come Einstein e Bohr: i quali, tra l'altro, litigarono sempre su chi avesse ragione!
Salve.Vorrei solo porle brevemente un paio di domande.
RispondiEliminaSe le polaritá sono caso- necessitá,possibilitá- realtá,potenziale-attuale,qualitá-quantitá,infinito-finito ecc.;perché la materia é REALMENTE infinita e non invece POSSIBILMENTE infinita?
Poi,dice:
"Il problema della materia, in rapporto all'infinito è doppio: riguarda l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, il primo, in relazione all'estensione della materia nello spazio, pone la questione dell'esistenza di un solo universo infinito o di universi infiniti: questione questa che si può ben lasciare ai posteri."
Ma l' universo ciclico non dovrebbe escludere di fatto l' ipotesi che sia infinito?E poi,infinito in che senso se l' infinito attuale non esiste?
Mi scusi il ritardo nella risposta. Ma su due piedi, non avendo tempo di rientrare nella materia, posso dirle che l'infinito è come il caso, indeterminabile; e il finito è come la necessità, determinabile, ma solo come dialettica infinito-finito, al pari della dialettica caso-necessità... la saluto cordialmente.
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