domenica 31 ottobre 2010

Dalla casualità dei singoli alla necessità dei grandi numeri


Abbiamo visto che il principio darwiniano della lotta per l'esistenza impone alla selezione individuale una dire­zione benefica, mentre, in realtà, la selezione del singolo individuo è il risultato casuale delle infinite correlazioni tra organismi e ambiente, in tutte le direzioni. Perciò dire che gli individui sopravvissuti sono i più adattati o, viceversa, che gli individui più adattati all'ambiente, ecc. hanno maggiori probabilità di sopravvivenza, significa affermare qualcosa di arbitrario, perché qualsiasi organismo può trovare nei "rapporti infinitamente complessi" ovvero nel "groviglio" della natura, la propria fine accidentale o, al contrario, vantaggi di sopravvivenza persino insperati. Se, invece, da ciò ricaviamo che le specie che si conservano sono in media rappresentate da individui adattati, ciò ha valore solo per il complesso ed ha un valore solo descrittivo, non esplicativo.

Il determinismo ha sempre preteso determinare la necessità complessiva mediante la necessità dei singoli rapporti tra singoli oggetti, individui: così, se conside­riamo un singolo segmento del groviglio della natura, il determinista ci assicura di poter trovare concatenazioni di cause ed effetti. Per spiegarci con un esempio, citato da Darwin, leggiamo che cosa afferma Newman: "In prossimità dei villaggi e delle piccole città ho trovato nidi di bombi in maggior numero che altrove e attribuisco questo fatto al maggior numero di gatti che distruggono i topi". Darwin commenta: "Dunque è perfettamente credibile che la presenza di grandi gruppi di felini in un dato territorio possa condizionare, tramite l’intervento dei topi prima e delle api poi, la densità di taluni fiori del territorio" ("L'origine delle specie").

giovedì 28 ottobre 2010

Sulla "corrispondenza" fra teoria matematica e realtà fisica

Il grande incremento del numero di specialisti che si sparpagliano nei numerosi rami della fisica, da quella teorica a quella sperimen­tale, si accompagna a una vasta produzione di nuove ipotesi e nuovi modelli matematici. Il risultato complessivo è un corpo teorico scon­clusionato che ripropone la questione della "corrispondenza" fra teo­rie matematiche astratte e realtà fisica: questione stringente soprat­tutto in relazione ai costituenti ultimi della materia e al destino dell'universo, la cui risposta riguarda anche il ruolo della matema­tica pura in fisica.

Se si domandasse a un qualsiasi fisico che cosa rappresenta una teoria, risponderebbe certamente, in maniera generica, che una teoria è una rappresentazione matematica della realtà fisica. Ma se gli si chiedesse d'essere più preciso, allora sorgerebbero i distinguo, os­sia le diverse giustificazioni di teorie strane, paradossali e per­sino assurde.

Prendiamo ad esempio Heinz R. Pagels: in "Universo simmetrico" (1985), egli sostiene: "Questa è la grande efficacia della teoria in quanto rappresentazione della realtà: essa ordina le nostre esperienze in modi nuovi e rende intelligibile la complessità delle nostre perce­zioni". In questa definizione, l'ordine è prodotto dalle nostre teo­rie, non è intrinseco alla materia.

domenica 24 ottobre 2010

La lotta per l'esistenza

Una delle prime definizioni della selezione naturale, che troviamo ne "L'origine delle specie", è la seguente: "Grazie a questa lotta per la vita, qualsiasi variazione, anche se lieve, qualunque ne sia l'origine, purché risulti in qualsiasi grado utile a un individuo appartenente a qualsiasi specie, nei suoi rapporti infinitamente complessi con gli altri viventi e con il mondo esterno, contribuirà alla conservazione di quell'individuo e, in genere, sarà ereditata dai suoi discendenti. Quindi, anche i discendenti avranno migliori possibilità di sopravvivere, perché tra i molti individui di una data specie, che vengono periodi­camente generati, solo un piccolo numero riesce a sopravvi­vere. A questo principio, grazie al quale ogni piccola variazione, se utile, si conserva, ho dato il nome di selezione naturale, per farne rilevare il rapporto con le capacità selettive dell'uomo".

giovedì 21 ottobre 2010

L'ingiustificato primato della teoria matematica in fisica

I fisici teorici (matematici) pretendono trovare quelle che chiama­no leggi fondamentali alla distanza di Planck, per poter definire la teoria ultima, finale. Ma perché una teoria finale dovrebbe essere trovata nel 2010 invece che nel 2100 o nel 3000, ecc? E ancora, chi garantisce che questa minuscola distanza esista realmente? E anche esistesse, come arrivare a 10^-33 cm per un tempo di appena 10^-44 sec? Oggi la fisica sperimentale riesce a malapena a raggiungere la di­stanza di 10^-16 cm, corrispondenti alla energia di 10^3GeV. Insomma la minima distanza di Planck è sperimentalmente un nonsenso.

Allora, chi cerca di giustificare la possibilità di una teoria finale deve necessariamente affidarsi alla matematica, proprio perché manca la verifica sperimentale. Ma ammettere il ripiego non farebbe onore all'elevato rango della matematica. Per questo motivo, Leonard Susskind (“Il paesaggio cosmico”, 2006) capovolge il discorso pretendendo che la verifica sperimentale non sia importante, tanto che, a suo dire, la fisica avrebbe potuto farne a meno anche in passato.

domenica 17 ottobre 2010

La selezione ad opera dell'uomo e la selezione naturale

  
Com'e noto, Darwin prende in considerazione la sele­zione delle razze, attuata dagli allevatori, per aver un criterio di comparazione con l'evoluzione delle specie in natura. Il confronto è possibile perché in entrambi i casi si tratta della stessa base materiale, costituita dalle variazioni casuali. Ma c'è una fondamentale diffe­renza tra la selezione ad opera dell'uomo, che è intenzio­nale, e la selezione naturale che è involontaria.

Il termine selezione implica la scelta di ciò che è migliore o preferibile. Perciò, riferito alla pratica dell'allevamento, il termine selezione è ineccepibile; mentre, riferito al processo naturale di origine ed evolu­zione delle specie, può avere soltanto un valore metaforico, come del resto lo stesso Darwin ha più volte sottolineato. Se, al contrario, si sostiene che in natura avviene una scelta di ciò che è migliore o preferibile, ciò significa mantenere l'equivoco del finalismo, attribuendo una inten­zione cosciente a dei processi che sono in realtà ciechi, inconsapevoli e da nessuno voluti.

giovedì 14 ottobre 2010

L'universo e la coscienza

Invece di affermare che la materia nella sua evoluzione ha prodot­to la vita cosciente nel nostro pianeta, Silvio Bergia ("Dal cosmo immutabile all'universo in evoluzione" 2005) afferma: "attraverso il pensiero è come se l'universo fosse arrivato ad acquistare coscien­za di sé". E, dopo aver dato questa interpretazione convenzionale del­la coscienza, egli pretende attribuirle la realtà di una assurda appa­renza: "Questo, a guardar bene, è un fatto ben strano (!). Che della materia "creata" in un evento iniziale, possa, in certe sue parti, co­minciare a riflettere su se stessa e su quanto la circonda, suona, più che bizzarro, assurdo".

Da quando Einstein ha indicato la via dell'utile convenzione per avere successo, i fisici non fanno altro che porre convenzioni al po­sto della realtà, e poi, pretendendo considerarle cose reali, non la smettono mai di stupirsi della loro assurdità: com'è strana questa na­tura! Ma se prendiamo un'altra strada, partendo dalla realtà nuda e cru­da, possiamo affermare che di fronte abbiamo una materia eterna e in­finita in uno spazio e in un tempo infiniti ed eterni, materia che si manifesta mediante universi finiti con un'evoluzione ciclica: perciò nulla si crea e nulla si distrugge.

lunedì 11 ottobre 2010

Beati monoculi (Gould) in terra caecorum (Dawkins)

Kim Sterelny in "La sopravvivenza del più adatto", 2004, sottotitolo "Dawkins contro Gould", tenta una impossibile conciliazione tra due concezioni inconciliabili. Il titolo già la dice lunga sul perdurante equivoco tautologico riduzionistico: nella realtà concreta non esiste una connessione necessaria tra la sopravvivenza del singolo organismo e il suo adattamento all'ambiente; finché esso sopravvive è ovviamente "adatto"; ma se per caso viene colpito da un fulmine, muore pur essendo adatto a vivere.
Insomma, in quanto singolo organismo, è soggetto alla sfera dell'imprevedibile casualità. 

Chi sono i personaggi che si contrapposero tenacemente? Il primo, Richard Dawkins, un etologo inglese, studioso dei costumi e del modo di vivere di piante e di animali; il secondo, Stephen J. Gould, un paleontologo americano di Harvard, studioso di fossili. Entrambi si sono contesi l'eredità di Darwin, il primo con la metafora del "gene egoista", il secondo con la teoria degli "equilibri punteggiati".

giovedì 7 ottobre 2010

Il caso Dawkins

L'opera di Dawkins si può riassumere in un "centone" di metafore esoteriche, accompagnate da prolisse, pedanti e minuziose descrizioni empiriche. L'uso ossessivo di metafore, a cominciare dai titoli delle sue opere, quali il "Gene egoista", il "Monte improbabile", ecc., e l'eccessiva minuziosità delle sue descrizioni non riescono a coprire l'assoluta mancanza di pensiero, l'assoluta incapacità di riflettere. Tanto che riesce persino imbarazzante criticare la sua "teoria" per la banalità dei suoi scarsissimi contenuti.

Prendiamo, ad esempio, il "Gene egoista". Già attribuire una qualità appartenente alla coscienza individuale a un'entità che nessun biologo è mai riuscito a definire univocamente è un non senso. Se ogni uomo è letteralmente un "io" cosciente, egoista, nessuna cosa o organismo può essere considerata un "io" e per giunta egoista. Può esserlo soltanto in senso figurato. Quindi un gene può essere definito egoista per convenzione, non in senso letterale, tanto meno in senso reale.
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