venerdì 24 giugno 2011

Complessità, caos e proprietà emergenti III

Se questa è scienza ...

Nella sua rubrica "scienza e filosofia", ("Le Scienze", settembre 2010), la professoressa Elena Castellani affronta il tema della "Emergenza e realtà", iniziando con la recentissima versione riduzionistica, il cui motto sembra essere: "Emergo, dunque non sono". Per illustrare questa bizzarra conclusione, l'autrice cita due esempi: 1) quello di Erik Verlinde, il quale, partendo dal presupposto che la gravità sia una proprietà emergente, ne deduce che la gravità non esiste, che sia solo un'illusione; 2) quello dell'approccio alla gravità quantistica, che, considerando il tempo una proprietà emergente, ne dichiara l'inesistenza. Di questo passo, si fa presto a concludere che "tutto ciò che ci circonda nella vita quotidiana non esisterebbe", perché esisterebbe in realtà "solo ciò che è davvero fondamentale, il livello delle cose che non sono emergenti".

La scuola, per così dire, classica dell'emergenza era arrivata alla conclusione opposta, antiriduzionistica, secondo la quale esiste realmente soltanto ciò che emerge con qualità proprie, indipendenti dai propri cosiddetti costituenti "fondamentali". Con l'esempio dell'acqua gli emergentisti antiriduzionisti avevano stabilito che la sua essenza, l'acquosità, è qualcosa che sorge come "proprietà emergente" che nulla ha a che fare con le molecole infiammabili che la costituiscono. Castellani, invece, riproponendo l'esempio dell'acqua, mantiene l'equivoco riduzionistico: "L'acqua è liquida a un certo livello di descrizione, ma non lo è più a un livello più fine (!) di descrizione, in cui si considerino le molecole. In altre parole, la proprietà di essere un liquido è emergente rispetto al livello molecolare di descrizione".

mercoledì 22 giugno 2011

Complessità, caos e proprietà emergenti II

 L'equivoco delle "proprietà emergenti"

"Ma è giunto il momento
-scrive Greco nel suo Dizionario asimmetrico- di definire in modo più rigoroso cosa intendiamo per proprietà emergenti. Il biologo Herbert Simon sostiene che sono emergenti quelle caratteristiche dei sistemi nel loro insieme che "non possono (nemmeno in teoria) essere dedotte dalla più completa conoscenza delle componenti, prese separatamente o in altre condizioni parziali"." Insomma, sono "emergenti" quelle proprietà di un processo o di un fenomeno complesso che, per via riduzionistica, non può essere conosciuto. Questa idea avrebbe potuto costituire il fondamento epistemologico delle scienze della natura, se avesse stabilito come norma che i processi e i fenomeni naturali sono realmente delle totalità complessive, le cui proprietà non sono determinate dai loro costituenti. In questo modo, il riduzionismo avrebbe avuto il suo definitivo benservito dalle scienze naturali.

Invece, ciò che appartiene in generale all'intera natura è stato concepito come caso a parte riguardante strane proprietà mai viste prima, chiamate "proprietà emergenti". In questo modo l'"emergenza" è divenuta un'etichetta da affibbiare a ciò che non si può indagare riduzionisticamente, e del quale non si ha alcuna illusione di poterlo fare, neppure in "linea di principio". Così, soltanto saltuariamente e senza alcun tentativo di generalizzazione, si ammette l'esistenza di ciò che chi scrive ha definito come "serie di contenitori, a loro volta contenuti". Ad esempio, scrive Greco: "Le proprietà emergenti possono, naturalmente, essere parte di sistemi di livello più elevato e influire sulle proprietà delle componenti a livelli inferiori".

lunedì 20 giugno 2011

Complessità, caos e proprietà emergenti I

Il caso: l'enigma irrisolto della scienza

Il "Dizionario asimmetrico" (2004)  di Pietro Greco, grazie ad alcuni argomenti tratti dalle voci "caos" e "caso", ci fornisce l'occasione di riprendere l'enigma millenario, irrisolto, del caso e di esporne di nuovo la soluzione, dopo aver mostrato che ancora oggi la teoria della conoscenza ufficiale non è in grado di sapere se il caso esiste realmente o se è solo una fantasma della mente umana. Cominciamo dalla prima voce, il "caos", che, pur opponendosi al determinismo classico fondato sulla connessione diretta di causa ed effetto, è stato ambiguamente concepito come "caos deterministico", sostanzialmente un ossimoro. Scrive Greco: "Il caos, anzi il caos deterministico, è la scienza che studia i grandi effetti provocati da piccole cause".  "Nei sistemi dinamici [...] l'errore associato alla misura delle condizioni iniziali subisce una rapida amplificazione. E' questo che ne rende imprevedibile l'evoluzione".

L'imprevedibilità, occorre sottolinearlo, è sinonimo di caso: si tratta di un contrassegno della sfera della casualità. Ma la cosiddetta amplificazione delle condizioni iniziali è un'altra questione, sorta dalle simulazioni al computer. Come scrive Greco: "Si dice che esso, il caos, sia apparso per la prima volta sulla scena a Boston presso il Massachussetts Institute of Tecnology, nell'inverno del 1961, nel computer di un meteorologo: Edward Lorenz". Il quale si rese conto che "Basta modificare leggermente le condizioni iniziali del sistema, perché la sua evoluzione diverga". E quali conseguenze avrebbero l'amplificazione e la divergenza? Enormi, secondo la ben nota metafora del battito di ali di una farfalla in Amazzonia, capace di far scatenare un temporale a Dallas.

venerdì 17 giugno 2011

La critica di Hegel al rapporto tautologico di causa-effetto favorisce la soluzione del rapporto dialettico di "caso-necessità" (da "Scienza della logica", 1816)

Il passaggio, attuato da Hegel, dal rapporto di caso-necessità al rapporto di causa-effetto è mediato dal concetto di sostanza; ma è un passaggio, per così dire, sofferto: in questa parte della "Logica", egli diventa, infatti, oltremodo oscuro, e non è un caso, dato che si tratta di sacrificare arbitrariamente il caso per fare posto alla causa. E se sembra compiere questo "sacrificio" come qualsiasi altro filosofo prima di lui, come vedremo, la sua intelligenza non lesina critiche al concetto di causa (senza però toccare l'essenza della contraddizione del rapporto di causa-effetto; e ciò soltanto perché deve preparare la via per arrivare alla causa finale, e da questa all'idea assoluta). Il paradosso è però che, ancora una volta, proprio un momento prima di compiere il "sacrificio" con ragionamenti oscuri che dovrebbero dare la parvenza di una connessione logica, Hegel arrivi a risultati reali, fondamentali per la teoria della conoscenza.

 I) Il primo è che la necessità sostanziale si manifesta nella dialettica distruzione-costruzione, cosa questa che oggi può, anzi deve, essere verificata nelle scienze fisiche e biologiche. "La sostanza -egli scrive- si manifesta per mezzo della realtà col suo contenuto, nella quale essa traduce il possibile, come potenza creatrice; per mezzo della possibilità, invece, in cui si riconduce il reale, si manifesta come potenza distruttiva. Ma l'una e l'altra sono cose identiche; il creare è distruttivo; la distruzione è creativa, perocché il negativo e il positivo, la possibilità e la realtà sono assolutamente uniti nella necessità sostanziale".

mercoledì 15 giugno 2011

La relazione di causalità secondo Hegel (da "Enciclopedia", 1817)

Dopo aver trattato ampiamente il caso e la necessità, la possibilità e la realtà, e aver fatto derivare la sostanza dal caso, Hegel pone la sostanza come causa. "La causa, come cosa originaria, ha carattere d'indipendenza assoluta e di sussistenza, che si mantiene di fronte all'effetto; ma, nella necessità, la cui identità è costituita da quella originarietà stessa, è soltanto passata nell'effetto. Non c'è nell'effetto alcun contenuto, -in quanto si può ancora parlare di un determinato contenuto,- che non sia nella causa". "La causa è perciò  in sé e per sé causa sui".

Se Hegel aveva la possibilità di comprendere la necessità in relazione al caso, avendo posto la sostanza come causa ha compiuto un capovolgimento: la sostanza è già di per sé un "effetto", perché è il risultato di un processo la cui base è il caso relativo ai singoli elementi; ma se l'effetto, la sostanza, è concepito come causa, allora è l'effetto ad essere "causa sui"; quindi non c'è nella causa altro che non sia già nell'effetto. Affermare che "la pioggia, causa, e l'umidità, effetto, sono l'una e medesima acqua esistente", e che rispetto alla forma "nell'effetto (l'umidità) è sparita la causa (pioggia);" e che con ciò "sparisce insieme la determinazione di effetto, che non è niente senza la causa", e perciò "resta soltanto l'indifferente umidità", significa affermare che il rapporto causa-effetto è una tautologia.*

lunedì 13 giugno 2011

La "scienza divina e veneranda" di Aristotele

Fin dalle sue origini, la conoscenza umana si è trovata impelagata in una difficile contraddizione: quella tra la dipendenza reale da poteri superiori e l'aspirazione alla indipendenza. Per Aristotele ("Metafisica", libro I) la filosofia è una scienza disinteressata il cui solo scopo è "fuggire l'ignoranza". Una simile scienza, che esiste di per sé, è la sola libera e indipendente; ma la condizione dell'uomo non è libera, perciò come può permettersi una scienza libera e indipendente?

La sua risposta non risolve la contraddizione. Egli dice: "perciò giustamente si può ritenere che il possesso di essa è cosa sovrumana, giacché per molti aspetti la natura dell'uomo è schiava, epperò, secondo Simonide, soltanto un dio può avere tale privilegio, mentre l'uomo è in grado di ricevere soltanto quella scienza che gli è adeguata". Pur non essendo del tutto d'accordo con Simonide, però deve ammettere che la scienza libera è "la più divina e veneranda", e per due aspetti: "infatti una scienza è divina perché dio la possiede al massimo grado, sia perché essa stessa si occupa di cose divine. Ma essa sola possiede entrambe queste prerogative, giacché da una parte tutti credono che dio è una delle cause ed è un principio, dall'altra dio solamente, o almeno in sommo grado, può possedere una siffata scienza".

sabato 11 giugno 2011

IV) La litigiosa alternativa staminali embrionali - staminali adulte

A fondamento dell'alternativa tra staminali embrionali e staminali adulte c'è solo la difficoltà a far moltiplicare le seconde in provetta. Come abbiamo visto, le staminali adulte sono state definite "somatiche" e "tessuto specifiche", perché appartengono alla linea del soma e sono collocate nei diversi tessuti dell'organismo, mentre le staminali dello stadio embrionale dell'organismo sono ancora aspecifiche e potenzialmente possono dar luogo a un numero quasi illimitato di cellule differenziate di tutti i tipi. Perciò sono considerate da molti "le candidate ideali per lo sviluppo di terapie che rigenerino i tessuti" (Vescovi "La cura che viene da dentro", 2005, già citato). Il fatto è che, fino ad oggi, "esistono cure salvavita che utilizzano staminali somatiche (adulte), ma nessuna con staminali embrionali".

Secondo l'autore, sono le tre cellule embrionali staminali, che si formano nel nodo embrionale, ad essere le uniche totipotenti, potendo generare tutte le cellule dell'organismo. Esperimenti avrebbero dimostrato che queste tre cellule hanno un potenziale sbalorditivo. "E a doppio taglio: vantaggioso quando si desidera produrre cellule da utilizzare come pezzi di ricambio per il trapianto; pericoloso quando queste cellule si ritrovano in un tessuto adulto prima che la loro pulsione a moltiplicarsi sia stata disattivata (sic!)". "Il risultato del trapianto diretto di quelle cellule in tessuti adulti, prima che il potenziale moltiplicativo sia stato inattivato, è la formazione di gravi tumori maligni: i teratocarcinomi".

mercoledì 8 giugno 2011

III) Cellule staminali: l'ennesima millanteria

L'enorme interesse sulle staminali suscitato dalle speranze nella pratica clinica delle patologie degenerative

Uno degli aspetti più negativi che contrassegnano l'attuale società dello shopping è il prevalere delle apparenze sulla realtà e, di conseguenza, il prevalere delle promesse sul loro effettivo adempimento. Così, se l'esultanza (mediatica) accompagna sempre gli annunci, l'avverbio "purtroppo" accompagna sempre il rendiconto dei risultati. E' ciò che si può riscontrare nella ricerca sulle staminali. "Non passa settimana senza che venga riportato l'unnuncio di una nuova scoperta" (Milano e Palmerini, 2005, già citate), ma le possibilità di utilizzo nella pratica clinica,"purtroppo" richiederanno tempi lunghi senza alcuna garanzia del risultato ottimale voluto.

Riassumiamo molto sinteticamente la situazione attuale delle ricerche sperimentali sulle staminali: 1) se l'obiettivo di "rimuoverle dal loro habitat naturale, che sia l'embrione o il tessuto adulto", comincia ad essere solo parzialmente raggiunto, 2) e se l'obiettivo di "farle riprodurre in provetta" non è sempre facile (come vedremo), 3) quando si tratta "di indirizzarle a diventare il tipo di cellule desiderato", nascono difficoltà insormontabili, 4) e, quando si tratta di raggiungere la meta della pratica clinica: "trapiantarle nel tessuto o nell'organo da riparare o rigenerare", si raccolgono soltanto cocenti delusioni.

lunedì 6 giugno 2011

II) Cellule staminali: dipendenza dall'ambiente interno

Il dispendioso processo di differenziazione cellulare dipende dall'ambiente interno e non da meccanismi programmati

Ciò che i biologi cellulari conoscono o credono di conoscere delle cellule staminali è il risultato di esperimenti "in vitro" dei quali non esiste alcuna garanzia di conferma "in vivo", ossia all'interno dei tessuti, degli organi e dei sistemi fisiologici dell'organismo animale e umano. Se "in vitro" si riesce in certi casi a far proliferare staminali, quando si tratta di farle differenziare in forme cellulari volute ci si trova di fronte a difficoltà insormontabili. L'illusione di poter ottenere la differenziazione cellulare programmata, voluta, "una volta dato il giusto segnale biochimico" (Milano e Palmerini, già citate) è del resto continuamente smentita dalla pratica sperimentale.

Insomma, fare affidamento sulle solite metafore dell'informazione, dal punto di vista sperimentale, non fornisce alcun risultato concreto. Occorre quindi confidare su qualcosa di più semplice e concreto. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, si può solo ipotizzare che il processo di differenziazione cellulare inizi da cellule staminali tra loro indistinguibili, le quali cominciano a "distinguersi" soltanto quando l'ambiente interno si modifica, dividendosi in endoderma, ectoderma e mesoderma.

sabato 4 giugno 2011

I) Cellule staminali: il mito di Prometeo

Il mito di Prometeo può essere ricordato per via del suo fegato, divorato ogni giorno da un rapace e continuamente rigenerato, in eterno (Gianna Milano e Chiara Palmerini, "La rivoluzione delle cellule staminali", 2005). Ma il mito non rende conto di una rilevante contraddizione: la moltiplicazione continua e indefinita delle cellule staminali che si rovescia nella proliferazione inarrestabile di cellule tumoralì, che non è infinita perché si conclude con la morte dell'intero organismo. Questo contrassegno, la continua proliferazione cellulare, appartiene sia alle cellule staminali che a quelle tumorali. Ne consegue come ipotesi (solo da breve tempo presa in parziale considerazione) che a trasformarsi in cellule tumorali siano proprio le staminali.

Questa contraddizione rappresenta, inoltre, il principale ostacolo, tutt'oggi insormontabile, all'utilizzo delle cellule staminali nella pratica medica per rigenerare tessuti soggetti a processi degenerativi. Ma questa contraddizione oggettiva e imprescindibile dev'essere collegata ad un'altra contraddizione fondamentale e più generale della vita, che la biologia non è riuscita finora a riconoscere, perché dominata da una concezione basata su precisi ed economici meccanismi, guidati da "informazioni" e "regolazioni": si tratta del rapporto caso-necessità che produce dispendio ed eccezioni statistiche. I processi biologici sono dispendiosi, e la pratica umana è spesso impotente di fronte a questo dispendio.

La pratica umana, in particolare, si scontra con due oggettivi ostacoli, quando tenta di risolvere una malattia degenerativa tessutale di un organismo pluricellulare (sia un topo o un uomo), introducendo cellule sane in un tessuto o in un organismo malati: 1) o queste cellule non riescono a stare al passo con l'ambiente, restando vittime di processi dispendiosi, per i quali servono numeri più grandi di cellule, 2) o esse stesse superano il passo delle altre cellule presenti nell'ambiente, dando luogo a una proliferazione eccessiva di tipo neoplastico.

mercoledì 1 giugno 2011

4° L'essenza del processo di differenziazione cellulare: l'involuzione della cellula eucariotica

Conclusioni: due esempi di dispendiosa involuzione cellulare e soluzione statistica

Uno dei sistemi fisiologici che più facilmente confermano la tesi del processo involutivo del differenziamento cellulare è senz'altro il sistema immunitario. Come vedremo, l'immunologia ha a che fare con una straordinaria variabilità cellulare, assicurata da cellule differenziate, di piccole dimensioni, che sono assimilabili alle cellule procariotiche per la replicazione del genoma e per la rapida moltiplicazione clonale. Come dimostreremo, è proprio grazie a queste caratteristiche primitive che queste cellule possono assicurare, nel loro complesso, la risposta immunitaria.

Solo di recente, e con molta riluttanza, i biologi hanno cominciato a rendersi conto che nel campo della immunologia il concetto di meccanismo è diventato una camicia troppo stretta, perché ogni preteso meccanismo si frammenta in un numero impressionante di minuti "meccanismi" intrecciati fra loro. Cercheremo di dimostrare che la complessità del processo immunologico può essere affrontata soltanto se si concepisce la risposta immunitaria come rovesciamento dialettico del caso in necessità, e quindi se si trova il modo di tradurre il rapporto caso-necessità nei termini del rapporto probabilità-frequenza statistica.
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