domenica 26 dicembre 2010

Indagine sulla dialettica hegeliana per la soluzione dei rapporti di caso-necessità, possibilità-realtà, causa-effetto (parte terza)

La critica hegeliana al "sapere immediato" di Jacobi

Sebbene la concezione di Jacobi, fra quelle fin qui esaminate, sia la più ingenua e superficiale, eppure, proprio per questo, permette di togliere loro la maschera: la concezione infantile qui gioca il ruolo del bambino nella favola del re nudo. Basti pensare che, se il criticismo kantiano, giungendo alla conclusione che il pensiero non può comprendere la verità oggettiva, si deve rifugiare nel dover essere, il sapere immediato di Jacobi, giungendo alla stessa conclusione, si rifugia nella fede, nelle credenze. "Nell'uso linguistico di questo modo di filosofare accade che la parola fede venga pronunziata anche in relazione alle cose ordinarie del presente sensibile. Noi crediamo, dice Jacobi, di avere un corpo; noi crediamo all'esistenza delle cose sensibili" (Hegel, "Enciclopedia").

Seguiamo l'indagine di Hegel: "Nella filosofia critica, il pensiero è concepito come soggettivo, e il suo ultimo e invincibile carattere è l'universalità astratta, l'identità formale; il pensiero vien in tal modo opposto alla verità, che è universalità in sé concreta". "Il punto di vista opposto è nel concepire il pensiero come attività solo del particolare e dichiararlo, per questa via, parimenti incapace di comprendere la verità".

Il "punto di vista opposto" di Jacobi porta il riduzionismo alle sue estreme conseguenze: infatti esso ammette, come oggetto della conoscenza, solo le singole cose, e soltanto le connessioni singole tra singole cose. "Spiegare e comprendere significa, secondo questo indirizzo, mostrare una cosa mediata da un'altra: ogni contenuto è perciò solo particolare, dipendente, finito; l'infinito, il vero, Dio, resta fuori dal meccanismo di questa connessione in cui il conoscere è rinserrato". "Questo punto di vista non si accontenta di aver mostrato che il sapere mediato, preso isolatamente, è insufficiente per la verità; ma la sua peculiarità consiste nell'affermazione che il sapere immediato, preso isolatamente, con l'esclusione della mediazione, abbia contenuto di verità". "Il sapere immediato dev'essere preso, dunque, come fatto".


Non potendo contare sulla verità (necessità) della mediazione (connessione tra le singole cose), conclusione che ha in comune con Hume e Kant, Jacobi conclude che solo il sapere immediato, preso isolatamente come fatto, ha valore di verità. Ma il dialettico Hegel gli contrappone la considerazione che i concetti di immediato e di mediato, presi isolatamente, si rovesciano l'uno nell'altro, perciò non esiste immediatezza senza mediazione, e viceversa. "Per questo rispetto è da ricordare un fatto che appartiene alle più comuni esperienze, che cioè verità, le quali si sa molto bene essere il risultato delle considerazioni più complicate e grandemente mediate, si presentano, a chi se n'è reso familiare, come immediate alla coscienza. Il matematico, come ognuno che sia esperto in una data scienza, ha immediatamente presenti soluzioni, alle quali è stato condotto da un'analisi molto complicata: ogni uomo colto ha immediatamente presenti nel suo sapere una quantità di criteri e di princìpi generali, che si sono formati solo con una replicata riflessione e con una lunga esperienza della vita. La facilità alla quale si giunge in un ramo qualsiasi del sapere, in una arte, in una capacità tecnica, consiste appunto nell'avere, quando si presenti il caso, immediatamente nella propria coscienza [...] quelle conoscenze e quei modi d'azione. -In tutti questi casi, l'immediatezza del sapere non solo non esclude la sua mediazione, ma l'una e l'altra sono così congiunte che il sapere immediato è perfino prodotto e risultato di quello mediato".

Abbiamo ripreso questo lungo brano di Hegel perché il suo contenuto, inteso in senso generale, può permettere di comprendere la posizione del singolo individuo dal punto di vista della dialettica caso-necessità. Se fosse vero, come pretende Jacobi, che l'unica forma di sapere è il sapere immediato, ciò significherebbe il più completo dominio del caso sull'individuo: ovvero che, "quando si presenti il caso", egli non potrebbe fare altro che rispondere a casaccio. Ora, se è vero che ogni singolo individuo è soggetto quotidianamente al caso, ciò va inteso nel senso che non esistono determinazioni necessarie per gli eventi quotidiani che lo riguardano personalmente; ma la mediazione, la ripetizione nello studio e nell'esperienza sociale, fà sì che la risposta del singolo agli eventi casuali della sua vita possa essere adeguata, ossia necessaria (adeguatezza che, come osserva Hegel, appare immediatezza). E ciò avviene, appunto, solo quando questi eventi casuali rientrano nella sua sfera familiare di studio e di esperienza.

Si può così comprendere l'oggettiva difficoltà della vita di ogni individuo, perché gli eventi casuali che lo riguardano non sono così cortesi da presentarsi come ospiti graditi, appartenenti alla cerchia degli intimi, ma irrompono come estranei in situazioni inconsuete e sconosciute. Del resto, la specializzazione, che domina tutti i campi dell'attività umana, indirizza tutte le capacità individuali in un'unica attività; quindi non è di nessuna utilità per eventi casuali in altri ambiti.

Tornando alla concezione di Jacobi, Hegel così critica il suo fondamento soggettivistico: "In primo luogo, non essendo posto come criterio della verità la natura del contenuto ma il fatto della coscienza, il fondamento di ciò che è dato come vero è il sapere soggettivo, e l'asserzione che io nella mia coscienza trovo un determinato contenuto. Ciò che io trovo nella mia coscienza è elevato quindi a cosa che si trova nella coscienza di tutti, ed è spacciato come la natura della coscienza stessa".

Abbiamo già incontrato questo errore nella concezione di Schrodinger: il ritenere cioè che la coscienza comune possa essere il risultato della somma delle singole coscienze che, ad esempio, consentono sulla esistenza del mondo, ecc. Hegel si mostra scettico nei confronti del consensus omnium come prova della universalità o della necessità, anche se "il trapasso dal notare che un contenuto si trova nella coscienza di tutti ad affermare che è posto nella natura stessa della coscienza e vi è come necessario, è facile". Egli si limita a constatare, di questo principio, la seguente contraddizione: che, se si ammette che l'universalità del fatto sia una prova soddisfacente, poi capita di abbandonare il consensus gentium "come prova della fede in Dio, a cagione della esperienza che vi sono individui e popoli presso i quali quella fede non si trova".

La conclusione di Hegel è che "da ciò che il sapere immediato deve essere il criterio di verità, segue, in secondo luogo, che ogni superstizione e culto d'idoli viene dichiarato verità, e che il più illegittimo e immorale contenuto del volere si trova giustificato". C'è nelle osservazioni conclusive di Hegel su Jacobi una riflessione che, intesa materialisticamente, può esserci di grande aiuto per comprendere la differenza dialettica tra il "singolo" e il "complesso": "Per quel che concerne la coscienza immediata dell'esistenza delle cose esterne, ciò non vuol dire altro se non che si ha coscienza sensibile. Ma l'aver noi siffatta coscienza, è l'infima delle conoscenze. Ciò che importa invece è conoscere che questo sapere immediato dell'essere delle cose esterne è illusione ed errore; che nel sensibile come tale non è verità alcuna; che l'essere di queste cose estrinseche è piuttosto alcunché di accidentale, di passeggero, un'apparenza; che esse sono essenzialmente cose le quali hanno un'esistenza separabile da loro concetto di essenza".

Questa "esistenza separabile" riguarda la condizione del singolo oggetto o individuo, mentre l'essenza riguarda la condizione del loro complesso di appartenenza. Hegel si spiega con un esempio: una cosa è un leone o un'aquila in gabbia, altra cosa è l'essenza del leone o dell'aquila. Allo stesso modo potremmo dire che l'addomesticamento di singole fiere nei circhi non muta il carattere necessario delle loro rispettive specie. Ogni cosa, ogni individuo, presi singolarmente, possono divenire per puro caso qualcosa di diverso da, e anche opposto a, l'essenza della loro specie di appartenenza. Quindi il sapere immediato, che si fonda sulla condizione del momento dei singoli oggetti, individui, non può arrivare alla necessità, ma rimane "un'asserzione capricciosa" e arbitraria perché prende in considerazione solo ciò che è per sua natura contingente e casuale: la singolarità!

Hegel liquida il pensiero immediato come un pensiero che si abbandona "allo sfrenato arbitrio delle immaginazioni e asserzioni, a una presunzione di moralità e a un orgoglio di sentimento, o a uno smodato opinare e raziocinare, il quale si dichiara nel modo più energico contro la filosofia e i filosofemi. Ma la filosofia non ammette il semplice asserire, né le immaginazioni, né le capricciose giravolte del raziocinio".

Infine, egli indica nello scetticismo un'arma contro le superstizioni e i presupposti capricciosi del metodo moderno, ma aggiunge che sarebbe superfluo, essendo sufficiente il pensiero dialettico. Però, in questa osservazione c'è del vero, nel senso che, se consideriamo i capricciosi eventi che possono capitare a ogni individuo della specie umana, lo scetticismo sui nessi singoli può almeno ostacolare la tendenza spontanea degli individui a cercare singoli nessi causali che sono inesistenti.

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Tratto da "Caso e necessità -L'enigma svelato -volume primo -Teoria della conoscenza" (1992-2002) inedito
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