domenica 17 ottobre 2010

La selezione ad opera dell'uomo e la selezione naturale

  
Com'e noto, Darwin prende in considerazione la sele­zione delle razze, attuata dagli allevatori, per aver un criterio di comparazione con l'evoluzione delle specie in natura. Il confronto è possibile perché in entrambi i casi si tratta della stessa base materiale, costituita dalle variazioni casuali. Ma c'è una fondamentale diffe­renza tra la selezione ad opera dell'uomo, che è intenzio­nale, e la selezione naturale che è involontaria.

Il termine selezione implica la scelta di ciò che è migliore o preferibile. Perciò, riferito alla pratica dell'allevamento, il termine selezione è ineccepibile; mentre, riferito al processo naturale di origine ed evolu­zione delle specie, può avere soltanto un valore metaforico, come del resto lo stesso Darwin ha più volte sottolineato. Se, al contrario, si sostiene che in natura avviene una scelta di ciò che è migliore o preferibile, ciò significa mantenere l'equivoco del finalismo, attribuendo una inten­zione cosciente a dei processi che sono in realtà ciechi, inconsapevoli e da nessuno voluti.

Il concetto di selezione naturale è, del resto, una conseguenza approssimativa e non del tutto determinata della più profonda e fondamentale idea dell'evoluzione: idea suggerita da varie osservazioni naturalistiche, ma anche dall'osservazione della variazione delle razze. E' il confronto con la selezione operata dall'uomo che permette a Darwin di mostrare un esempio noto di variazione: se le razze variano, si può ben immaginare che anche le specie in natura possano variare in maniera analoga. E l'analogia è possibile perché, se l'uomo è in grado di selezionare le razze, ciò è dovuto soltanto al fatto che è la natura a fornirgli una serie di variazioni.

Non a caso Darwin inizia "L'origine delle specie" con il capitolo "La variazione allo stato domestico", dove scrive: "Il bandolo della matassa sta nella capacità del­l'uomo di ottenere una selezione cumulativa. La natura fornisce una serie di variazioni e l'uomo le fa convergere in direzioni a lui convenienti. In questo senso si può dire che si fa da solo le razze utili".

L'uomo sceglie, dunque, intenzionalmente la direzione da lui voluta, tra le numerose variazioni in tutte le dire­zioni. Perciò "un'elevata tendenza alla variabilità è favo­revole in quanto offre abbondanti materiali sui quali applica­re la selezione. Comunque, anche le semplici differenze individuali bastano in larga misura, se trattate con estrema oculatezza, ad accumulare una grande quantità di modifica­zioni in qualsiasi direzione voluta dall'uomo. Ma le varia­zioni chiaramente utili o piacevoli per l'uomo compaiono solo occasionalmente. Perciò la possibilità che compaiano è tanto più grande quanto più alto è il numero di individui che vengono allevati".

Darwin, senza avvedersene, introduce qui il fondamentale concetto di frequenza statistica: se le variazioni avvengono casualmente in tutte le direzioni, e perciò solo per caso e raramente può capitare una variazione nella direzione voluta dall'uomo, allora un gran numero di animali permette di cogliere questa variazione utile: essa si presenta dunque all'allevatore con bassa frequenza statistica, come eccezione. Vedremo in seguito l'importanza della statistica in rapporto alla reale selezione delle specie in natura.

Nel capitolo: "La variazione in natura", Darwin prende in considerazione le differenze individuali "che compaiono di frequente nei figli di una stessa coppia di genitori, o che possiamo ritenere che siano comparse in questo modo, dato che si osservano frequentemente negli individui della stessa specie che vivono in una stessa zona limitata". E sostiene: "Queste differenze individuali sono importan­tissime per noi, in quanto forniscono materiali che possono essere accumulati dalla selezione naturale nello stesso modo in cui l'uomo può accumulare, secondo una direzione qualsiasi, le differenze individuali che compaiono nelle sue produzioni domestiche".

Se questa analogia favorisce la comprensione dell'idea dell'evoluzione, fondata sulla variazione delle specie, la sua esagerazione impedisce la comprensione della differenza essenziale tra la selezione domestica e la selezione naturale. Nella selezione domestica l'uomo accumula le differenze individuali nelle direzioni da lui volute, unilaterali; in natura, invece, se non vogliamo introdurre un principio finalistico, dobbiamo necessariamente pensare che non esistono direzioni privilegiate: perciò in tutte le direzioni si accumulano le differenze individuali, come ci conferma anche questa intuizione di Darwin: "Sono portato a sospettare che le variazioni osservabili in questi generi polimorfi riguardano elementi strutturali che non recano né vantaggi né danni alla specie e che, di conseguenza, non sono stati utilizzati e stabilizzati dalla selezione naturale".

Allora, se ammettiamo che le variazioni possono essere sia "vantaggiose" che "svantaggiose" e persino "neutrali", vale a dire casuali in tutte le direzioni, la questione è la seguente: mentre nell'allevamento vengono selezionate variazioni vantaggiose per l'uomo, senza alcuna considerazione per il vantaggio degli animali, in natura chi seleziona e a vantaggio di chi? Darwin sostiene che la natura seleziona a vantaggio dei singoli organismi viventi, e che l'artefice della selezione è la "lotta per l'esistenza". Cercheremo di dimostrare che questa soluzione rappresenta un altro degli errori metafisici del riduzionismo deterministico della scienza moderna, che, a partire da Cartesio, per finire con Watson e Crick, ha creduto di poter determinare, mediante la connessione di causa-effetto, i singoli oggetti, individui, eventi, considerandoli per lo più come singole parti di mecca­nismi, o singoli meccanismi di meccanismi composti.

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Tratto da "Caso e necessità -  l'enigma svelato - Volume terzo  Biologia." (1993-2002) Inedito

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