sabato 31 luglio 2010

I limiti storici della conoscenza e il tappabuchi teologico

La conoscenza umana, fin dalle sue origini, è stata dipendente dalla teologia, perché l'essenza di ogni concezione teologica è la spiegazione ultima e definitiva di ciò che rimane incomprensibile e inconoscibile in ogni periodo storico. Perciò, quanto più la conoscenza è arretrata, tanto più dipende dalla teologia.

Paradossalmente, ogni generazione di studiosi e scienziati non ha mai accettato i propri limiti e quindi non ha mai affermato decisamente: allo stato attuale non siamo in grado di spiegare e comprendere questo o quel fenomeno o processo reale. Al contrario, la pretesa di spiegare comunque ciò che non si era ancora in grado di conoscere trovava nella concezione teologica del momento (essa stessa "filia temporis") tutte le risposte, tutte le verità dogmatiche, ovvero la "teoria ultima" garantita da un "deus ex machina", causa assoluta dell'ignoto.

La presunzione di ogni generazione in tal senso si è manifestata in ogni opera scritta giunta fino a noi. Anche limitandoci solo alla fisica del Novecento, non c'è testo che non affermi: siamo ormai a un passo dalla soluzione finale dei principali problemi della fisica. Epppure, per fare solo un esempio, nonostante le mirabilia della relatività generale, ancora oggi siamo molto lontani non solo dalla soluzione definitiva della cosmologia, ma persino da una concezione appena coerente e, soprattutto, realistica.

In ogni epoca soltanto quel poco che veniva risolto dalla conoscenza reale poteva essere sottratto alle cure teologiche, diventando proprietà della specie umana. Ma in ogni epoca rimaneva sempre troppo da conoscere, e, invece di rinviare le questioni irrisolte ai posteri, ci si comportava come se l'umanità fosse sul punto di estinguersi e quindi fosse urgente spiegare tutto: guai a lasciare un pò di lavoro ai posteri! Questo atteggiamento non faceva altro che assoggettare la conoscenza alla teologia. I limiti della conoscenza umana propri di ogni generazione venivano così illusoriamente superati dall'opera inesplicabile di qualche divinità: dai litigiosi dei dell'Olimpo all'onnipotente dio unico del cristianesimo, ecc.

In particolare ciò è avvenuto nella fisica contemporanea grazie alla santa alleanza tra matematica e teologia. Spesso evocando la divinità come garante, i principali matematici-fisici del Novecento hanno giustificato la corrispondenza dei propri modelli con la materia e con l'universo, fino al punto di sostituire i secondi con i primi, così da modificare materia e universo a ogni innovazione dei loro modelli. Ogni volta, studiosi e scienziati di una generazione, ignorando i limiti gnoseologici del proprio tempo, hanno preteso trovare soluzioni ultime e definitive sempre finendo tra le accoglienti braccia della teologia.

Alla fine che cosa può rimanere se non l'inevitabile fallimento (che l'LHC confermerà, a meno di assurdi escamotage)? Ma oltre al fallimento, o meglio alla sua base, c'è una profonda contraddizione nei confronti della quale tutti fanno orecchie da mercante, ignorandola: si tratta del contributo che ogni generazione dovrebbe dare alla evoluzione della conoscenza umana. Ma se ogni generazione si comporta come fosse l'ultima, ossia destinata a fornire la spiegazione ultima, dove va a finire questa evoluzione? Va a finire male, perché non viene neppure contemplata. E' ciò che possiamo osservare da tempo nelle scienze della natura e della società, ma in particolar modo nelle più importanti discipline della fisica: la fisica delle particelle e la fisica cosmologica, i cui cultori non vedono l'ora di porre la parola fine combinandole insieme in una pretesa Teoria del Tutto, tenuta insieme magari da qualche... Stringa!

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