giovedì 29 luglio 2010

Selezione naturale: un'ambigua metafora meccanicistica

Abbiamo visto in più occasioni che, con "selezione naturale", Darwin ha inteso indicare i risultati della evoluzione della specie nel loro aspetto più benefico e progressivo; e solo con molto pudore egli ha segnalato gli aspetti negativi: il grande dispendio nella mortalità degli embrioni e nelle estinzioni, per additare solo i principali. Ora, anche se si vuole dar credito all'idea (erronea) che nella natura vivente esista qualcosa come un meccanismo che seleziona organi, individui, specie, ecc. più adatti e progressivi, occorre accettare la nuda e cruda realtà: la selezione è principalmente eliminazione dei "non adatti" e in una maniera così dispendiosa che solamente rari organi, individui, specie, ecc. sopravvivono protempore.

Se le cose stanno così, cerchiamo di approfondire la riflessione sul concetto di "selezione naturale", riflessione resa sempre più necessaria dalla circostanza che da tutte le parti, ormai, la si concepisce come un meccanismo, quasi a consacrare il suo lato positivo, creativo e benefico, minimizzando o dimenticando il dispendio relativo alla mortalità neonatale e alle estinzioni di specie, generi, ecc.

Sappiamo che il problema fondamentale per Darwin fu il rapporto del caso con la necessità, rapporto che in un'epoca dominata dal determinismo riduzionistico, poteva procurare nella sua mente un "terribile pasticcio". Perché, se in senso deterministico si ritiene che tra il caso e la necessità c'è una incolmabile contrapposizione, per cui o è l'uno o è l'altra, è ovvio che la scoperta delle variazioni casuali doveva costituire un problema insolubile riguardo alla necessità dei risultati dell'evoluzione.

Darwin non ha mai risolto il "terribile pasticcio", neppure quando si decise di affidarsi a una locuzione apparentemente solida come la "selezione naturale". Con questa espressione egli coprì letteralmente l'irrisolto problema del caso (delle variazioni casuali). Inizialmente, intese usare un'espressione metaforica per indicare che è la natura, ovvero l'evoluzione naturale, a produrre tutte le varietà viventi, le nuove specie, ecc. Ma poi questa metafora si è vista attribuire il ruolo di deus ex machina, nella forma di un vero e proprio meccanismo, che seleziona nella direzione positiva, funzionale e benefica per il singolo organismo.

Ai teologi, però, alla lunga non è sfuggito l'escamotage di Darwin: attribuire a una metafora il ruolo una volta appartenente alla causa prima divina. Insomma, in un'epoca dominata dal determinismo, sia quello conservatore della teologia, sia quello progressista della scienza borghese, Darwin non poté evitare di attribuire alla "selezione naturale" la funzione di causa efficiente e persino finale. Ma non esiste nella realtà una cosa, chiamata selezione naturale, che sia un meccanismo o una causa fattuale che determini la direzione dell'evoluzione naturale. L'espressione indica, invece, un equivoco la cui ragione ultima si trova nel determinismo ottocentesco (che dominò anche Darwin), il quale non poteva concepire una necessità che non fosse determinata dalla connessione causale delle singole cose, essendo assolutamente incapace di porre in connessione il caso e la necessità.

Allora, se vogliamo mantenere l'espressione "selezione naturale", occorre considerarla un risultato. Ma di che cosa? Del fatto che variazioni casuali relative ai singoli organismi si rovesciano dialetticamente nella cieca necessità del complesso, della specie, ecc. come risultato statistico dei sopravvissuti a un grande dispendio: dispendio tanto più grande, quanto più si scende la scala dell'evoluzione (ad esempio i batteri), tanto più piccolo quanto più si sale questa scala (ad esempio l'uomo).

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