domenica 14 novembre 2010

Teoria delle stringhe: vittoria postuma di Bellarmino

Quando Lee Smolin ("L'universo senza stringhe" 2006) pone il seguen­te aut aut: "O la teoria delle stringhe è il culmine della rivoluzione scientifica iniziata da Einstein nel 1905, oppure non lo è", non sa che la prima alternativa è molto vicina alla verità (verità che ab­braccia un arco di tempo molto più grande). Egli, ovviamente, ritiene che l'avverarsi della seconda alternativa comporterebbe la non scien­tificità della teoria delle stringhe. Invece, essa non è scientifica proprio perché rappresenta il culmine di quella operazione convenzio­nalistica iniziata da Einstein nel 1905, sul solco tracciato nei secoli dal convenzionalismo bellarminiano. Altro che rivoluzione scien­tifica! Con Einstein si è imposto il definitivo convenzionalismo dei modelli matematici "strani", subito imitato da Heisenberg e Bohr in meccanica quantistica.

Allora, se la teoria delle stringhe "per oltre vent'anni ha cattu­rato l'attenzione di molti tra i più brillanti scienziati del mondo", significa soltanto che il convenzionalismo fittizio ha raggiunto il suo culmine; e la propensione degli stringhisti verso il misticismo teologico conferma che la reazione bellarminiana alla rivoluzione ga­lileiana si è infine saldata con il più irrealistico dei modelli mate­matici-fisici, quello delle stringhe. Insomma, la teoria delle strin­ghe è non solo il culmine della svolta attuata dalla relatività gene­rale e dalla meccanica quantistica, ma è la conclusione naturale della "ex suppositione" bellarminiana imposta quando la fisica cominciò a fare i suoi primi passi.

A questo punto Smolin si chiede: "Ma com'è possibile che, di fronte ai problemi che abbiamo discusso, così tante persone intelligenti con­tinuino a lavorare alla teoria delle stringhe?" Il richiamo all’intel­ligenza, qui, può essere controproducente: infatti, possono persone intelligenti, o che si ritengono tali, dichiarare apertamente di aver fal­lito, di aver fatto l'idiozia di sprecare tempo e finanziamenti dietro a delle chimere? E accettare, di conseguenza, la perdita di status socia­le, di stipendi e considerazione? No! Non potranno mai farlo sponta­neamente!

Del resto, una fisica, privata dalla teoria delle stringhe, che cosa potrebbe fare? Ripiegare su vecchie glorie? Smolin dà subito il catti­vo esempio, ripiegando nientemeno che sulla relatività ristretta, partecipando alla nuova teoria della "relatività doppiamente speciale" o DSR. Ma come possa essere gratificante un simile ripiego, ce lo con­ferma lui stesso: ""Relatività doppiamente speciale" è un nome stupido (sic!), però ha preso piede. L'idea è elegante e ormai è molto studia­ta e discussa. Non sappiamo se descriva la natura (!), ma ne sappiamo abbastanza per sapere che potrebbe farlo (!?)".

Qui casca veramente l'asino della fisica contemporanea: non si fa tempo a dichiarare la propria delusione per una teoria stravagante che subito se ne abbraccia un'altra ancora più assurda, e ogni volta ci si rassicura che ci sono speranze, che esistono possibilità che funzioni. Ma da dove deriva questo modello fallimentare di lavoro? Semplicemente dalla crescente pletora di addetti ai lavori teorici, costretti a muo­versi in tutte le direzioni, sperando ciascuno nel colpo di fortuna capitato ad Einstein, senza tener conto che il suo giochetto funzionò proprio perché, tra piccoli numeri, fu il solo a prendere in giro una ingenua comunità di fisici, lanciando però una moda che fu subito se­guita dalla scuola di Copenaghen.

Ma con i numeri troppo grandi degli ultimi decenni, il giochetto non può riuscire facilmente perché sono troppi i partecipanti ed è più facile che la maggioranza di essi disapprovi, piuttosto che si metta d'accordo per perseguire unita il medesimo imbroglio. E anche se gli stringhisti avessero raggiunto un accordo maggioritario, è anche vero che rimarrebbero ancora troppi fisici teorici a ostacolare un falso successo, per non parlare dei fisici sperimentali.

Anche Smolin prende in considerazione il fenomeno della pletora di fisici: "Si dice che oggi siano al lavoro più scienziati di quanti ve ne siano stati nell'intera storia della scienza. Nella fisica è senza altro vero;…", ma poi egli tende a vedere un'astratta questione so­ciologica che favorirebbe il comunitarismo. Secondo lui i grandi nume­ri tenderebbero a fare gruppo, a creare comunità all'interno della stessa comunità scientifica. Così, al momento, gli stringhisti, soprattutto negli USA, sembrano essersi imposti e il loro parere sembra aver acquistato un peso politico, rappresentando l'opinione della co­munità. "Più di un amico -scrive Smolin- mi ha avvisato, "La comunità ha deciso che la teoria delle stringhe è giusta e non ci puoi fare nulla. Non puoi combattere i fenomeni sociali"".

Ecco una frase che smaschera la fisica teorica attuale! Invece, Smo­lin conferma con ingenuo pudore: "La sociologia della scienza non è una forza misteriosa: indica l'influenza che scienziati affermati, con più anzianità, hanno sulle carriere di quelli più giovani. Noi scienziati proviamo disagio a parlarne, perché ci obbliga ad affrontare la possi­bilità che l'organizzazione della scienza non sia del tutto obiettiva e razionale".

Ora, il fatto che l'intera comunità scientifica, in ogni campo e non solo in fisica teorica, sia una organizzazione economica, sociale e persino ideologico-politica non dovrebbe affatto stupire, se consideria­mo il sistema economico, ideologico, politico e militare nel quale operano gli scienziati. In altra occasione abbiamo affermato che la scienza, fin dal tempo di Galileo, ha dovuto obbedire a due padroni: alla teologia in campo teorico e al capitale in campo pratico. E se alla pri­ma non piace che la scienza si occupi della reale conoscenza della natu­ra, al secondo non piace una scienza troppo fittizia che non sia più in grado di rispondere alle sue esigenze reali, la principale delle quali il profitto.

Finché si tratta di macchine prodotte dall'uomo, non c'è contraddi­zione e qui il progresso è grandioso, ma quando si tratta di progressi nella conoscenza della realtà naturale che comportino risultati pratici, le contraddizioni esistono, eccome! Perché il capitale può anche stan­carsi di investire in campi che non producono risultati reali, in campi che impegnano costosissimi investimenti per esperimenti fittizi, aggiu­stabili ad hoc. Di conseguenza può sorgere il problema di un drastico ridimensionamento di investimenti nella fisica, soprattutto in periodi di crisi economica come l'attuale.

E' quindi inevitabile che in simili circostanze gli scienziati abbia­no reazioni differenti: c'è chi fa quadrato per non perdere le posizioni appena guadagnate, come ad esempio gli stringhisti; c'è chi critica le po­sizioni dominanti mostrandone i limiti, come fa Smolin; c'è, infine, chi si mette le mani nei capelli, come fanno i fisici sperimentali di fronte a modelli teorici come le stringhe. Dal canto suo Smolin cerca di ridimensionare la comunità degli stringhisti sollevando il problema di "avere una teoria che spieghi perché è un male per la scienza quando una particolare comunità arriva a dominare un settore prima che la sua teoria abbia superato la fase usuale della dimostrazione (!)".

Sembra che l'autore non si renda conto del ginepraio in cui si è cacciato cercando la soluzione nel fondamento teorico. Se prendiamo alla lettera la sua richiesta, ci potremmo chiedere: ma quale teoria del Novecento ha mai superato un simile esame? Non certo la relativi­tà generale e neppure la meccanica quantistica, del resto tra loro inconciliabili, tanto che da tempo si recita la litania della loro impossibile unificazione! Ma questo è niente se consideriamo che Smolin, digiuno di teoria della conoscenza, alla ricerca di fonda­menti epistemologici per la teoria, non poteva evitare di finire tra le spire del "contrometodo" di Feyerabend, delle astruserie di Witt­genstein, del "falsificazionismo" di Popper, dei vuoti formalismi lo­gici di Carnap. E dopo un simile viaggio nell'ignoto, ecco il risibi­le risultato:

1) "La scienza e la democrazia, quindi, hanno in comune la tragica consapevolezza della nostra tendenza a ingannarci da soli, come pure l'ottimistica convinzione che come società possiamo mettere in atto correttivi che, nel corso del tempo, ci rendono collettivamente più saggi di ogni singolo individuo (sic!)". Peccato che oggi non c'è solo un individuo, ma un'intera collettività, quella degli stringhisti, che i correttivi li vuole imporre, non subire!

2) "Ora che abbiamo inquadrato la scienza nel giusto contesto (?!), possiamo passare a domandarci perché funziona così bene (sic!)? Credo che la risposta sia semplice: la scienza ha avuto successo perché gli scienziati costituiscono una comunità che è definita e preservata dal­l'adesione a un'etica comune. A mio giudizio, è l'adesione a un'etica, non a un fatto o a una teoria particolare, che serve da correttivo fon­damentale nell'ambito della comunità scientifica".

Ma Smolin si illude veramente di poter impressionare la comunità degli stringhisti con questi ingenui richiami all'etica, quando l'uni­co valore riconosciuto nel campo scientifico, soprattutto nel secolo del mercato globale, è quello della libera concorrenza senza esclusio­ne di colpi? Quanto aveva ragione il dialettico Hegel a osservare che quando l'uomo si trova di fronte all'impossibilità si rivolge all'eti­ca! Ma nella scienza il richiamo all'etica fa una ben triste figura: significa essere incapaci di fare affidamento sulla conoscenza! Ma che scienza può mai essere quella che ha bisogno di un correttivo eti­co? Solo una scienza avvilita, bisognosa di soccorso, pronta a nuovi consigli teologici.

Quando Smolin definisce la scienza "una comunità etica e immagina­tiva" è come se dichiarasse implicitamente il fallimento non tanto di questa particolare comunità di fisici, ma della scienza in generale come capacità di conoscenza, accomunandola all'immaginazione artistica e all'etica dei filosofi e dei teologi.  Alla ricerca di fondamenti scientifici per contra­stare gli stringhisti, Smolin è finito nelle stesse braccia nelle quali sono finiti loro: quelle dell'irrazionalismo pluralistico.

E ci vuole proprio la conclusione di Smolin per dare una botta fi­nale alla fisica contemporanea: "La mia conclusione è che dobbiamo fare due cose: riconoscere e combattere i sintomi del pensiero di gruppo (!) e aprire le porte a una grande varietà di pensatori indipendenti, assi­curandoci di fare spazio a quei particolari soggetti che sono neces­sari per una rivoluzione". Questo è un inno al pluralismo più sfrenato, che d'altronde gli stringhisti non hanno mai impedito: basti pensare che esistono oggi ben 5 teorie delle stringhe!

Chi scrive pensa, invece, che occorra cercare la conoscenza reale, la cui varietà non dipende dalla coscienza umana, dalla sua inventiva e dalle sue libere creazioni mentali, ma dalla diversità dei fenomeni e dei processi naturali; che, di conseguenza, occorra essere tutti uniti alla ricerca delle verità uniche di un mondo multiforme, invece d'esse­re tutti divisi, unici, alla ricerca di infiniti paradigmi per ogni par­ticolare ininfluente; che occorra garantire la conoscenza reale dei complessi naturali, invece di cercare modelli matematici convenziona­li e fittizi; che occorra trovare la necessità e l'ordine dei comples­si, invece che prestabilire l'ordine e la necessità dei singoli costi­tuenti: in poche parole, che occorra sostituire il riduzionismo meta­fisico (deterministico e indeterministico) con la dialettica caso-ne­cessità.

Infine, non c'è nulla di male se ogni generazione non risolverà tut­ti i problemi della conoscenza umana, se ogni generazione farà solo alcuni passi avanti e in certi periodi storici anche molti passi indietro. Invece, tutto di male a pretendere, in un periodo di prevalente cecità teo­rica e di arretramento della reale conoscenza, di scoprire la teoria del tutto una volta per tutte.

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Scritto nel 2010

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