mercoledì 1 settembre 2010

Riflessione notevole sulla discrepanza storica tra scienza e teoria della conoscenza

Will Durant, in "Gli eroi del pensiero" (1926), ha osservato che "la filosofia greca spiccò un salto ad altezze mai più raggiunte, mentre la scienza greca fece un balzo indietro. Il pericolo di noi moderni è quello precisamente opposto: dati induttivi affluiscono da tutte le parti, come la lava del Vesuvio: noi soffochiamo sotto una congerie di fatti non coordinati: la nostra mente è sopraffatta dalla moltitudine delle scienze coltivate che si moltiplicano nel caos della specializzazione per mancanza di pensiero sintetico e di una filosofia unificatrice. Siamo tutti frammenti di quel che dovrebbe essere un uomo solo e completo".

Chi studia l'antico pensiero greco si rende conto della profondità del pensiero teorico, dei concetti, dei nessi: già vi troviamo la connessione deterministica e il suo contrario l'indeterminismo, la causalità e il caso, e persino l'intuizione dialettica caso-necessità se consideriamo anche un discepolo di Epicuro quale fu Lucrezio. Ma chi cerca lumi dalla scienza greca non trova null'altro che errori e ingenuità, a parte rare eccezioni.

Chi studia il pensiero attuale e le scienze più avanzate, invece, si rende conto che, nonostante un'elevata capacità tecnologico-sperimentale e un gran numero di esperimenti raffinati e complessi, la parte teorica che dovrebbe rendere ragione dei risultati empirici è praticamente inesistente, abbandonata com'è ai convenzionali modelli matematici o alle metafore meccanicistiche. Non esiste più una teoria della conoscenza che favorisca la riflessione; al suo posto troviamo modelli schematici da mandare a memoria: i cosiddetti paradigmi di Khun.
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