mercoledì 15 settembre 2010

La scienza attuale, serva di due padroni contrapposti

L'uomo contemporaneo continua a non essere padrone di se stesso, perché resta debitore della propria esistenza materiale e spirituale verso due padroni: il capitale e la religione. Di conseguenza, anche quella che dovrebbe rappresentare la più alta espressione della coscienza umana, la scienza, rimane essa stessa debitrice della propria esistenza verso il capitale e la religione. In particolare, la comunità scientifica è sottomessa alla religione riguardo ai principi teorici fondamentali ed è sottomessa al capitale riguardo agli interessi pratici fondamentali, costretta nel primo caso ad autoimporsi limiti nelle elaborazioni teoriche e nel secondo ad autoimporsi determinati interessi nella ricerca sperimentale. Privata della guida teorica sottomessa alla religione e privata del genuino interesse alla reale conoscenza sacrificato al capitale, alla scienza contemporanea non rimane che rendere i suoi servizi pratici a quest'ultimo, guidata dal solo principio dell'interesse economico.

Teoria e pratica scientifica si ritrovano dunque scisse e indipendenti l'una dall'altra. Su questa base sorge una inevitabile contraddizione: guidata dal solo interesse dettato dal capitale, la massa di scienziati dilaga in tutte le direzioni, persino in quelle che sono soggette alla giurisdizione dei principi religiosi, come ad esempio la vita. Ma se la sperimentazione invade campi che sono intoccabili, ad esempio per la Chiesa cattolica, i teologi che cosa possono fare? A parte le proteste, possono forse rimettere in discussione il patto siglato da tempo fra la religione di Dio e la religione del Capitale, fra l'interesse dei princìpi religiosi e il princìpio dell'interesse economico?

Solo la comprensione di questa oggettiva contraddizione, intesa come ennesimo risultato non voluto, ci permette di capire ciò che sta avvenendo, ad esempio, in cosmologia e in biologia molecolare. Nel primo caso, nulla si frappone tra il padrone teologico e il buon servitore di Dio, il cosmologo, che "scopre" l'esistenza di universi nati dal nulla, e quindi congeniali alla "creazione divina". Nel secondo caso, invece, si frappone un altro padrone che da tempo investe nell'affare della biologia molecolare e che, in nome del profitto, non accetta alcun limite, neppure alla sperimentazione delle mostruosità.

Questo tipo di contraddizione ha un'origine che nessuno riesce a vedere: in apparenza il patto tra i due contraenti per dividersi la "torta" della "conoscenza umana" (a uno la teoria, all'altro la pratica) sembra una cosa semplice e persino di facile attuazione; ma, se indaghiamo la differenza essenziale tra i due soggetti contraenti, possiamo trovare l'origine di una contraddizione senza via d'uscita.

La religione deve difendere dogmi assoluti, tra i quali il fondamento primo: la creazione divina della materia, della vita e soprattutto dell'uomo fatto a immagine e somiglianza del divino creatore. Il capitale deve difendere un solo principio ma fondamentale, assoluto, in quanto vitale per la sua esistenza, il profitto. Il capitale non può perciò accettare limiti perché deve contrastare il suo vero limite: la caduta tendenziale del saggio generale del profitto. Il capitale è, quindi, indifferente alle teorie generali della scienza, pretende semplicemente che essa gli apra ogni nuova possibile sfera d'investimento. Per questo motivo, il capitale non è né unilaterale né dogmatico: per sua natura esso spinge verso un pluralismo illimitato.

Ora, se questa contrapposizione inevitabilmente crea una contraddizione insolubile, e perciò attriti non risolvibili, tra religione e capitale, ciò inevitabilmente contribuirà a comprimere, fino a stritolare, quel che rimane di una scienza convenzionale e praticona, serva di due padroni contrapposti.

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Tratto da "Caso e necessità - L'enigma svelato" - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito

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