giovedì 28 ottobre 2010

Sulla "corrispondenza" fra teoria matematica e realtà fisica

Il grande incremento del numero di specialisti che si sparpagliano nei numerosi rami della fisica, da quella teorica a quella sperimen­tale, si accompagna a una vasta produzione di nuove ipotesi e nuovi modelli matematici. Il risultato complessivo è un corpo teorico scon­clusionato che ripropone la questione della "corrispondenza" fra teo­rie matematiche astratte e realtà fisica: questione stringente soprat­tutto in relazione ai costituenti ultimi della materia e al destino dell'universo, la cui risposta riguarda anche il ruolo della matema­tica pura in fisica.

Se si domandasse a un qualsiasi fisico che cosa rappresenta una teoria, risponderebbe certamente, in maniera generica, che una teoria è una rappresentazione matematica della realtà fisica. Ma se gli si chiedesse d'essere più preciso, allora sorgerebbero i distinguo, os­sia le diverse giustificazioni di teorie strane, paradossali e per­sino assurde.

Prendiamo ad esempio Heinz R. Pagels: in "Universo simmetrico" (1985), egli sostiene: "Questa è la grande efficacia della teoria in quanto rappresentazione della realtà: essa ordina le nostre esperienze in modi nuovi e rende intelligibile la complessità delle nostre perce­zioni". In questa definizione, l'ordine è prodotto dalle nostre teo­rie, non è intrinseco alla materia.

Pagels giunge a questa definizione, prima sostenendo che le teo­rie "sono solo modi di descrivere la realtà naturale, e non la real­tà stessa"; poi affermando: "Siamo noi che inventiamo (!) le teorie, risolviamo le equazioni differenziali e andiamo a vedere se le nostre descrizioni corrispondono alla realtà: i pianeti non si pongono que­sti problemi (sic!)". Ma se siamo noi che inventiamo le teorie, la realtà passa in secondo piano; insomma, prima vengono le teorie, poi viene la realtà; e nessuno può garantire la corrispondenza delle pri­me alla seconda, anche perché ognuno ha il suo modo di concepire la "teoria". Ad esempio, Pagels concepisce la teoria semplicisticamente come una “mappa” della realtà, e grazie a questo superficialissimo vocabolo può affermare che la "mappa aristotelica" viene sostituita dalla "map­pa newtoniana" e questa, a sua volta, dalla "mappa einsteiniana". Ma chi garantisce che queste sostituzioni rappresentino la realtà? Chi garantisce che l'ultima sostituzione, l'ultima mappa-teoria, corrispon­da alla realtà? E quanto tempo dobbiamo aspettare per una ulteriore sostituzione?

Pagels assicura che "Man mano che gli scienziati accrescono la lo­ro conoscenza della realtà con l'osservazione e gli esperimenti, le loro mappe cambiano per includere le nuove scoperte". Questa potremmo anche fargliela passare, se non fosse in palese contraddizione con ciò che aveva stabilito nelle premesse, e cioè che noi inventiamo le teo­rie. Insomma, egli non dice che le teorie riflettono la realtà perché sono tratte da essa, ma dice che noi prima inventiamo una teoria e poi andiamo a vedere la sua corrispondenza con la realtà. Insomma, sareb­be come se noi, invece di osservare prima la caduta della mela e quin­di ci pensassimo due volte prima di saltare nel vuoto, prima concepis­simo una teoria della gravità e poi andassimo a verificarla saltando nel vuoto.

Se, dunque, il metodo dei fisici teorici è "prima teorizziamo e poi andiamo a vedere" coerentemente con il metodo della matematica pura, invece di vedere prima e teorizzare poi, perché stupirsi se qualcuno si  "getta nel vuoto", se qualcuno pretende teorizzare senza alcuna cautela? "Alcuni fisici -scrive Pagels- abbandonano ogni cautela, si spingono decisamente oltre cercando di afferrare la scintilla dalla quale si è generato il tutto. A questo fine ricorrono a quelle che chiamerò "audaci congetture", cioè a nuovi concetti che, pur non es­sendo in contrasto con nessun esperimento, non sono neppure suffra­gati da alcuna prova. Queste idee si riferiscono a spazi a cinque e più dimensioni, alle supersimmetrie e alle teorie della grande uni­ficazione (GUT)".

Non dobbiamo stupirci di questo, perché è la matematizzazione del­la fisica a permettere qualsiasi "audace congettura". Se a una geome­tria curvilinea, concepita come finzione matematica, senza alcuna corrispondenza con la realtà, è stato permesso di stabilire l'universo quadrimensionale immaginario della relatività generale (ossia pri­ma si è inventata la teoria e poi è stata trovata la "corrispondenza"), in questo modo, inconsapevolmente, la fisica ha introdotto un nuovo metodo (soggettivo); ed è questo metodo che ha aperto la strada a qualsiasi invenzione teorica, anche la più assurda, come quella che fantastica sulle molte dimensioni spaziali.

Se noi torniamo spesso sulla relatività generale, è perché tutto nasce da lì. Continuando a leggere Pagels possiamo averne un'ulte­riore conferma. Egli ricorda che in passato si riteneva che "le leggi della natura fossero ricavate dagli esperimenti e dalle osservazioni" [metodo induttivo empirico]. "Le leggi fondamentali erano strettamen­te collegate all'esperienza. Oggi questa concezione è stata abbando­nata, e i fisici, anziché desumere le leggi basilari direttamente dall'esperienza si sforzano di intuirle a partire dal ragionamento matematico" [metodo deduttivo logico matematico]. "Nessuno ha messo a fuoco questo allontanamento da un rigido empirismo più di Einstein nella Herbert Spencer Lecture, tenuta a Oxford nel 1933. In quella occasione egli affermò: "Sono convinto che per mezzo di co­struzioni puramente matematiche è possibile scoprire concetti che ci danno la chiave per comprendere i fenomeni naturali e i princìpi che li legano tra loro… Io sono portato a credere nella capacità, in un certo senso, del pensiero a dominare (sic!) la realtà, proprio come pensavano gli antichi (Da "Il metodo della fisica teorica ..." )".

Insomma, si ritorna al misticismo matematico dei pitagorici. Ma Einstein ha fatto di triste necessità virtù. Il suo misticismo mate­matico ha un'origine molto meno nobile: è solo dopo aver trovato un mo­dello matematico che risolse ad hoc le sue sofferte difficoltà teo­riche, permettendogli di cavarsela con una irreale teoria relativisti­ca, che egli è diventato il più strenuo sostenitore del suo "salvagen­te": la matematica pura, astratta. Così in Einstein il nuovo metodo matematico ha trovato il suo principale mallevadore, anche perché egli fu, per consenso generale, acclamato genio e portato in trionfo.

Einstein era così sicuro di sé, in quella occasione, da porsi la seguente domanda retorica: "Stabilito che il fondamento della fisica teorica non è deducibile dall'esperienza, ma è viceversa creato libe­ramente dall'intelletto, suscita la speranza di trovare la strada giu­sta?" A questa domanda si doveva rispondere: assolutamente no! Infatti, le libere creazioni dell'intelletto matematico hanno prodotto una fan­tamatematica, una fantascienza fisica. E presto questa fisica "fanta­stica" pagherà lo scotto per l'errore commesso nel Novecento subordi­nandosi al primato della matematica pura.

Che la lingua batta dove il dente duole, lo conferma questo passo di Pagels: "E’ difficile dire se stiamo bluffando o se abbiamo real­mente tutte le carte necessarie". "Potrebbe occorrere una profonda revisione della nostra concezione della realtà della materia, prima che divenga possibile una spiegazione dell'origine dell'universo". Ma non c'è nulla di più facile che affermare: state bluffando! State prendendo una strada talmente assurda da far rimpiangere la relativi­tà generale, perché almeno di quest'ultima non era impossibile com­prendere l'errore di fondo. Invece, con le GUT, con le stringhe non si può fare altro che allargare le braccia "rassegnati".

C'è da pensare inoltre che la Teoria del Tutto, se mai salterà fuori, sarà qualcosa di matematicamente autosufficiente come la cro­modinamica quantistica, ossia sarà una convenzione pura e semplice, dove nessun pensiero potrà avere più accesso, dove nulla si potrà più di­re, se non che si tratta di una teoria che non riflette la realtà, che non produce nessuna reale conoscenza.

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Scritto nel 2009

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