lunedì 19 luglio 2010

Concetti fondamentali di teoria della conoscenza III

Concetti della sfera della causalità

Riguardo ai concetti di causa ed effetto, possiamo tranquillamente affermare che, se tutti, a partire da Aristotele, hanno negato l'esistenza del caso come fondamento della necessità, tutti hanno dovuto sostituire il caso con qualcos'altro che, fin da principio, è stato il concetto di causa determinante un effetto. La causalità è stata perciò considerata la principale determinazione di tutte le cose. Ma se le cose apparissero immediatamente connesse in modo tale da poter dire: questa è la causa e questo è l'effetto, non sorgerebbero mai problemi e la scienza sarebbe la più semplice delle operazioni umane.

Il fatto è che ciò che appare è sempre un risultato, e se noi chiamiamo questo risultato effetto, intendiamo con ciò qualcosa che deve avere una causa. Però la causa che genera l'effetto non appare, appare solo l'effetto. In questo senso la causa nascosta è sempre stata concepita come la ragione dell'effetto, e la conoscenza si è sempre posta lo scopo di risalire dagli effetti alle cause. Questa concezione, che ha dominato dall'antichità fino all'epoca moderna, e precisamente fino al sec. XIX, ha trovato la sua prima espressione matura in Platone, che fu anche il primo ad attribuire la causa alla divinità, distinguendo le cause divine dalle concause, e in Democrito, che fu il primo a ritenere di doversi cercare la causa di ogni evento considerato come effetto.

La sintesi aristotelica ha elaborato ogni forma possibile di causalità, distinguendo quattro tipi principali di cause: la causa materiale, la causa formale, la causa efficiente e la causa finale; stabilendo inoltre tre principi: 1° la contemporaneità della causa attuale con l'effetto, 2° la gerarchia delle cause, per cui bisogna sempre cercare la causa più elevata, 3° l'omogeneità della causa con l'effetto. Aristotele ha connesso la causalità alla sostanza, nel senso della necessità: la sostanza rappresenta l'essenza necessaria delle cose, e la causalità rappresenta la necessità dell'essere sostanziale. A questa necessità sfugge soltanto ciò che è accidentale o casuale. Aristotele ha, quindi, respinto il caso come opposto diametrale della necessità causale.

Operando la rottura metafisica del nesso polare caso-necessità, sostituendo la causa al caso, Aristotele ha trasformato la necessità relativa dipendente dal caso in una necessità assoluta indipendente e sussistente in sé. Ogni risultato dei processi naturali è stato considerato come effetto di una causa necessaria, anche se non in prima istanza. La necessità così diviene assoluta perché essa è nell'effetto e nella causa. E ciò che non rientra nella necessaria connessione di causa ed effetto è soltanto qualcosa di superfluo: il caso diviene in questo modo un puro accidente di nessuna importanza.

La soluzione aristotelica è stata ripresa dal pensiero arabo e da quello europeo medioevale e moderno, che l'ha espressa nei seguenti termini: esiste un ordine necessario nel mondo, per il quale tutte le singole cose e i singoli eventi sono concatenati secondo una successione di cause e di effetti. Passiamo così al concetto di determinismo: il determinismo non è un'invenzione della scienza moderna; essa l'ha ereditato dalla teologia medioevale, la quale a sua volta l'aveva ereditato dalla teologia aristotelica, anche se a consacrare il metodo della scienza fondato sul principio di causalità, con la locuzione "principio del determinismo assoluto", fu Claude Bernarde nel 1865.

Mezzo secolo prima, Laplace, nella "Teoria analitica delle probabilità" (1812), aveva già stabilito il principio del determinismo assoluto, però solo in forma condizionale. Nessuno, ci sembra, ha notato che Laplace non ha fatto altro che riprendere l'esempio della "nave senza pilota" di Bayle, secondo l'interpretazione di Leibniz. Egli infatti scrive: "Noi dobbiamo considerare lo stato presente dell'universo come l'effetto del suo stato anteriore e la causa di quello che seguirà. Un'intelligenza che, per un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta da sottomettere questi dati al calcolo, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell' universo e quelli del più leggero degli atomi: niente sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi".

Laplace, partendo riduzionisticamente dalle singole cose, dalle singole forze, ecc. concepì una causalità così vasta che soltanto una mente suprema avrebbe potuto abbracciare. In questo modo non fece altro che riprendere il vecchio argomento del Seicento della divinità come unico essere capace di servirsi della causalità per creare il mondo e, com'è ovvio, per conoscerlo compiutamente.

Ora, se il principio di causalità costituisce soltanto una mirabilia divina, e per questo motivo è stato esaltato da teologi e filosofi d'ogni epoca, l'uomo, di fatto, ha ben poco a che vedere con questo principio, se non nella sfera dei suoi prodotti. E, infatti, Laplace, dopo aver fatto della causalità, fruibile solo da un' intelligenza suprema, il principio del determinismo assoluto, conclude che la modesta mente umana deve accontentarsi dell' incerto calcolo delle probabilità o “scienza del caso”.

E che cosa è questo, se non un benservito al determinismo nonostante l'omaggio formale, che di fatto è un omaggio alla mente suprema divina? Paradossalmente, Bernard ha ufficializzato il determinismo assoluto quando ormai stava per essere messo da parte, e ancor più paradossalmente la scienza dell'Ottocento si è ostinata a credere nel determinismo assoluto come suo fondamento quando tutte le sue principali scoperte lo screditavano. Del resto ci aveva già pensato Hume a ridimensionare il principio di causalità riducendolo a "effetto" dell'abitudine. E, a parte il tentativo puramente formale di Kant di salvare l'oggettività della causalità dal soggettivismo humiano, un altro colpo il determinismo lo riceverà da Hegel che, pur difendendo idealisticamente la causa finale, ridurrà la deterministica connessione di causa ed effetto a pura e semplice tautologia.

Infine, Comte banalizzerà la causalità concependola come "relazione invariabile di successione e somiglianza tra i fatti", utile soltanto per fare previsioni. E oggi il concetto positivistico di previsione è ridotto alla semplice "previsione del probabile", di laplaciana memoria, fatta passare però come l'ultima novità gnoseologica del nostro mirabile secolo: il Novecento.

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Tratto da "Caso e necessità - L'enigma svelato" - Volume primo Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito

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