giovedì 16 settembre 2010

Tra il "procurato allarme" e il "mancato allarme" la reale imprevedibilità del singolo evento-terremoto

Comunque gli esperti e le autorità si comportino e decidano, ad ogni terremoto è sempre la solita storia: o si rientra nella categoria del "procurato allarme" o si rientra in quella del "mancato allarme", e ciò accade proprio perché non esiste teoria scientifica in grado di prevedere il singolo evento-terremoto, e quindi di decidere correttamente se è meglio comunicare in anticipo l'evento catastrofico, ricadendo nella prima categoria, oppure se è meglio intervenire dopo, ricadendo nella seconda.  

Prendiamo spunto per queste riflessioni dal post uscito su "Scienza e rete", "Il terremoto e la comunicazione", di Luca Carra che appartiene alla prima categoria in polemica con un autorevole rappresentante della seconda categoria, Enzo Boschi (direttore dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia). Carra esordisce così: "Un pensatore non accademico, Peter Sandman, ha escogitato una formula che spiega bene i danni della cattiva comunicazione del rischio: R = H + O, dove R è il rischio percepito, H il rischio misurato (hazard) e O l'outrage, cioè il senso di offesa, oltraggio, ingiustizia patita che il pubblico prova ogni qualvolta non viene informato adeguatamente di un rischio".

Vediamo di valutare il fondamento di questa formula. Cominciamo da R = rischio percepito. Nel caso del terremoto, esso dipende dal modo di manifestarsi delle singole scosse, dalla loro intensità e frequenza che influenzano la reazione istintiva, spontanea di paura della popolazione interessata. Per quanto riguarda il rischio misurato, H, possiamo solo dire che gli esperti possono solo calcolare probabilità imprevedibili, ma la popolazione si fida poco delle loro valutazioni e molto di più delle proprie percezioni. Infine, riguardo a O = oltraggio, offesa, questa è una categoria sociologica che applicata alla sola situazione dei terremoti è molto riduttiva, ma se scomodiamo tutti i settori dalla quale può sorgere non ne usciamo più fuori: ogni crisi naturale, fisica o biologica, individuale (come può essere una malattia) o collettiva (come può essere uno tsunami), ogni crisi economica e sociale che ha effetti collettivi e che si manifesta individualmente come licenziamento, fallimento, bancarotta, ecc., ogni crisi politica e militare, come può essere una guerra con il suo strascico di morti, ecc. tutto questo viene percepito dalla "gente" come un'ingiustizia patita, come oltraggio.

Ma tutto ciò non risolve il problema della previsione della singola scossa di terremoto e delle decisioni collettive da prendere. Insomma la formula "R = H + O" come tutte le formule "analitiche" non aiuta la riflessione.

Un altro argomento con il quale Carra ha voluto sostenere la tesi della comunicazione anticipata del rischio, che finisce col ricadere nella categoria del "procurato allarme", è fornito da Giuseppe Grandori, citato dall'autore. Grandori, anche nel caso che le scosse premonitrici avessero una valutazione di probabilità uguale a 98% come "falso allarme" e solo il 2% come "vero allarme", sostiene la validità di una "pacata comunicazione" per poter mettere la popolazione in grado di prendere eventuali decisioni, come dormire fuori casa. Tanto, come ricorda Grandori nel suo saggio pubblicato su Ingegneria sismica (Anno XXVI -3 luglio-settembre 2009), "i disagi provocati dalla sequenza sismica non sarebbero praticamente aumentati in seguito a una pacata spiegazione dell'effettivo aumento temporaneo del rischio di un forte terremoto"." Come ancora cita il Carra, Grandori conclude così: "per contro, se l'opzione è allerta-no e il terremoto, pur essendo poco probabile si verifica, il conto in termini di vite umane è incommensurabi1e con il costo sociale del falso allerta".

Non siamo d'accordo con queste argomentazioni per il seguente motivo: anche se un pacato allarmismo può apparire ragionevole come generico allerta, non risolve il problema a meno di non attingere alla protezione civile soprattutto in situazioni croniche, di lunga durata. Ma di queste il nostro paese è colmo: non mancano in Italia situazioni di rischio "simil-terremoto" e ogni paesino conosce le sue. Qui basti citare i disastri idrogeologici. E se si decidesse in ogni caso di intervenire preventivamente producendo ovvi disagi alla popolazione, se poi non seguisse la conferma del pericolo in tempi brevi o medi, allora sicuramente non mancherebbero le manifestazioni di protesta popolare  per "procurato allarme" e per l'incapacità degli esperti e delle autorità, ecc. di valutare la situazione.

In definitiva, che cosa non va nella posizione sostenuta da Carra? Proprio il messaggio che dovrebbe essere comunicato alla popolazione: nessuno è in grado di comunicare certezze rassicuranti, perché le probabilità non danno alcuna certezza. Così nessuno è in grado di comunicare l'ora X di una scossa distruttiva, perché nessuno conosce il modo di stabilirla. La scienza può conoscere i terremoti come entità complessive, ma non è affar suo, o meglio, non è nella sua natura prevedere singoli eventi. Diversamente da ciò che ha sempre preteso il riduzionismo deterministico a partire da Cartesio, nessuno può determinare alcun evento singolo, compreso quello relativo ai terremoti.

A questo proposito citiamo parte di una analisi compiuta da chi scrive nel 2009:

"Su "Le scienze" (maggio 2009), Castellani prende spunto dal tragico terremoto in Abruzzo per intervenire sulla questione della prevedibilità di singoli eventi, come una scossa sismica distruttiva. Sebbene il titolo del suo articolo, "Alla prova dei fatti", appaia solido e rassicurante, l'autrice è costretta a giustificare la mancata previsione della scossa sismica sul suolo abruzzese con un'argomentazione fragile e inconsistente. Scrive infatti: "Questo può significare che non abbiamo ancora una buona teoria a disposizione, ma anche che il sistema fisico da descrivere è troppo complesso per permettere accuratezza in questo tipo di previsioni".

Si tratta di un genere molto discutibile di previsioni: quelle di singoli eventi (rilevanti). Affermare che una mancata previsione dipende da una teoria cattiva o dalla eccessiva complessità del sistema da indagare significa essere incerti su tutto eccetto che sulla possibilità della previsione stessa (pur che si abbia una buona teoria e il sistema non sia troppo complesso). Quindi il terremoto in Abruzzo diventa per Castellani un'occasione per ribadire che "La questione, dal punto di vista della riflessione filosofica sulla scienza, è quella del valore che assume il controllo sperimentale nella valutazione delle teorie scientifiche e di come questo controllo si possa, di fatto, attuare".

In questo passo si possono cogliere due questioni: la prima riguarda il controllo sperimentale nel giudicare una teoria scientifica, la seconda riguarda la modalità di attuazione di questo controllo. In sostanza si demanda ai pratici, ai tecnici il compito di risolvere queste due questioni, mentre i filosofi della scienza stanno a guardare garantendo sulla loro parola che la cosa è teoricamente fattibile. Infatti a nessun teorico passa per la mente che si possa trattare del fatto che singoli eventi di complessi naturali siano oggettivamente imprevedibili perché soggetti al caso…

Allora, si tratta di teorie da migliorare e di complessità dei fenomeni sismici, ecc. o non si tratta piuttosto del fatto che il singolo evento di un complesso di eventi analoghi è oggettivamente imprevedibile? Ciò che si deve comprendere è che la teoria scientifica è valida se permette di conoscere la necessità, ovvero le leggi necessarie di un fenomeno o un processo naturale complessivo. La teoria è reale quando determina, risolve, la necessità complessiva. Inoltre, per una valida teoria della conoscenza, il confronto con i dati sperimentali rappresenta solo il punto di partenza, perché il punto di arrivo deve essere una teoria che determini, risolva, le leggi di necessità essenziali in un oceano di dati empirici, singolarmente dominati dal caso.

Ne consegue l'impossibile previsione e verifica di singoli eventi. Ma per dare un'idea di questo principio possiamo utilizzare un facile esempio. Consideriamo il lancio di una moneta: la teoria dice che in un gran numero di lanci nella medesime condizioni il risultato certo e necessario è la frequenza relativa: 1/2 Testa (T), 1/2 Croce (C). Questa è una determinazione statistica assolutamente certa su grandi numeri di lanci. Riguardo al singolo caso, le cose cambiano: la teoria afferma che vale la probabilità (P), secondo la quale esiste una possibilità su due di avere Testa o Croce (P1 = 1/2 T; P2 = 1/2 C). Ora, chi pensasse di verificare la probabilità 1/2 in un singolo lancio non avrebbe capito niente. Il singolo lancio può solo dare a caso o T o C. Se dà Testa, avremo P =1 per T e P = O per C. Come si vede la probabilità o possibilità P =1/2 non è verificabile sperimentalmente. Ciò dimostra che è sbagliata la pretesa di verificare singoli eventi, perché il singolo evento rimane solo una possibilità soggetta al caso.

In questo modo abbiamo mostrato un esempio statistico che rende conto della necessità delle frequenze statistiche. Per rendere conto della necessità delle eccezioni statistiche, come nel caso dei terremoti, dove la scossa sismica dirompente sorge sulla base di grandi numeri di scosse più modeste, ciò che si può sostenere è che, per quanto si possa raffinare il metodo di rilevamento, prevedere la singola scossa distruttiva avrà sempre come ostacolo l'imprevedibile caso".

Ecco la base oggettiva della contrapposizione insolubile tra "procurato allarme" e "mancato allarme". Con ciò la conclusione è che mai sarà possibile prevedere i singoli terremoti? La risposta è: dipende. La scienza può fornire, grazie anche alla statistica, una conoscenza complessiva del fenomeno terremoto. Ma questa reale e importante conoscenza non può fornire la soluzione per la previsione del singolo terremoto.

Che cosa rimane allora come ultima chance? Se il singolo evento dipende dal caso, solo dal caso può trovare la sua soluzione. Ma deve essere un caso eccezionale, com'è appunto il "cigno nero" di Taleb. Rimane quindi il metodo dispendioso della ricerca casuale di una “impronta”, di una “marcatura” che per puro caso si presenti poco prima dell'evento sismico distruttivo. Insomma, se non si riesce a "marcare" il singolo evento-terremoto, esso rimarrà casuale e imprevedibile, ma nello stesso tempo, in quanto esso è casuale e imprevedibile, solo una marcatura casuale può risolvere il problema. Altre strade non ce ne sono. Per fare un esempio paradossale: se il giorno prima di un sisma distruttivo comparisse sempre nel cielo, ben visibile, un cigno nero in uno stormo di cigni bianchi, allora il problema del terremoto imprevedibile sarebbe risolto.
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