giovedì 16 dicembre 2010

Le illusioni perdute della "più fondamentale delle scienze"

In più occasioni abbiamo criticato il riduzionismo di origine cartesiana nella forma che pone come oggetto della scienza il singolo elemento semplice di un complesso; mentre abbiamo trascurato come inessenziale la seconda forma, quella che riconduce tutte le scienze della natura alla "più fondamentale delle scienze": la matematica-fisica. Sembrano due forme distinte e indipendenti: in realtà la seconda è uno sproposito madornale derivato dalla prima che costituisce un profondo errore di teoria della conoscenza.

In sintesi, che cosa sosteneva Cartesio? Il suo metodo della riduzione dalle idee complesse alle idee semplici partiva dal presupposto che le prime sono involute e oscure, perciò devono essere ridotte per gradi alle seconde, "e poi dall'intuito di tutte le più semplici" si deve "salire per i medesimi gradi alla conoscenza di tutte le altre" ("Discorso sul metodo"). In questo modo egli separò metafisicamente il semplice dal "composto", senza alcuna consapevolezza del fatto che il "semplice" rappresenta il singolo elemento casuale dei numerosi elementi che costituiscono il complesso necessario.

Ma Cartesio poteva ritenere di risolvere le "oscurità" riducendole alla determinazione del semplice, per poi indagare come il semplice viene a comporsi, perché partiva dalla premessa, allora comunemente accettata, che la natura fosse immutabile, a somiglianza di una macchina. Il riduzionismo cartesiano aveva la sua ragion d'essere in una natura immutabile, data una volta per tutte, per la quale ogni cosa era posta sullo stesso piano, come parte di un meccanismo complicato.

Con la scoperta della evoluzione naturale veniva però a cadere il presupposto del riduzionismo, perché, esistendo una scala evolutiva, tutto si sarebbe diversificato nei vari piani di questa scala. Questa diversificazione consiste nel fatto che l'evoluzione crea forme materiali sempre più complesse e superiori, dal gradino più basso, iniziale, il big bang, a quello più alto, la specie umana. L'evoluzione significa, quindi, sviluppo verso livelli superiori: così  l'universo è stato teatro delle prime fasi evolutive della materia fisica, realizzate con quella necessità che ha per fondamento il caso, e perciò come eccezione statistica di un grande dispendio; la Terra, a sua volta, è stata teatro delle più recenti fasi evolutive che hanno riguardato la materia biologica, fino all'uomo e alla sua società, sempre in maniera molto dispendiosa.

Stando così le cose, l'uomo può conoscere l'evoluzione naturale solo indagando ogni gradino della scala evolutiva; e può farlo solo fondando, per ognuno di essi, una disciplina scientifica indipendente. Che senso avrebbe, infatti, ridurre un ramo della scienza, che si occupa di un piano superiore della evoluzione, a un ramo della scienza che si occupa di un piano inferiore? Ad esempio, che fondamento può avere la fisica delle particelle per la biologia molecolare? E ancora, che senso ha la matematica pura per la biologia in generale che fa un uso limitatissimo persino della matematica più semplice? Invece, ha fondamentale importanza l'approccio teorico che ogni disciplina deve avere con il suo oggetto d'indagine specifico.

Il madornale strafalcione in cui è incorsa la presunzione dei matematici-fisici di costituire il fondamento teorico ultimo di tutte le scienze della natura -concepite come riducibili per gradi alla "più fondamentale delle scienze", la loro- consiste in ciò, che, partendo dalla prima forma di riduzionismo cartesiano, l'hanno estremizzata nella seconda forma, attribuita ai vari rami della scienza che si applicano ai vari gradini della scala evolutiva della materia.

Se era già un errore concepire, per ogni forma materiale, come oggetto d'indagine il singolo elemento, pretendendo conoscerlo mediante la deterministica necessità, e in seguito mediante l'indeterministica probabilità (creando una contraddizione epistemologica all'interno della fisica e al di fuori di essa, cosicché in certi ambiti si continua a utilizzare il più stretto determinismo meccanicistico, e in altri il più ampio indeterminismo probabilistico), diventava un madornale strafalcione concepire tutte le forme materiali della scala evolutiva naturale come oggetti di studio riducibili alla "più fondamentale delle scienze", quella che si occupa del gradino più basso della scala. Eppure c'è chi, pur soprannominato "5 cervelli", "uno più intelligente del tuo", non è riuscito ad andare oltre il più superficiale riduzionismo applicato a tutti i rami delle scienze. E' ciò che possiamo appurare leggendo "Il quark e il giaguaro" di Murray Gell Mann (uscito nel 1994), dove l'autore ha preteso dimostrare che la matematica pura è la più fondamentale delle scienze.

Seguiamo il suo ragionamento: prima egli sostiene sensatamente che la matematica "non è in realtà una scienza, se per scienza s'intende una disciplina che si occupa della descrizione della natura e delle sue leggi", perché "la matematica è più interessata a dimostrare le conseguenze logiche di certi insiemi di assunti"; poi si attorciglia in una tortuosa interpretazione della matematica pura, scrivendo che c'è un altro modo di concepire la matematica: "quello di vedere nella matematica applicata la disciplina che si occupa delle strutture che si presentano nella teoria scientifica, mentre la matematica pura coprirebbe non solo queste, ma anche tutte quelle che si sarebbero potute presentare (o che si potrebbero ancora presentare) nelle scienze. Da questo punto di vista (!) è una sorta di scienza: la scienza di ciò che avrebbe potuto essere o quello che potrebbe essere, oltre a ciò che è".

Da un simile ragionamento contorto ciò che appare è che la matematica pura sia una sorta di scienza dalle infinite possibilità, comprendenti oltre a quelle che si sono realizzate, anche quelle che avrebbero potuto o potrebbero ancora essere realizzate. In senso letterale una simile affermazione non ha senso logico. Per dare un senso effettivo alle conclusioni di Gell Mann occorre evidenziare un presupposto inespresso: che le molteplici possibilità della matematica pura derivano dai molteplici modelli convenzionali concepiti dai matematici puri, da loro pre-parati nella speranza di avere in sorte la fortuna capitata al modello matematico di Riemann.

Ancora una volta, l'esempio di Einstein fa scuola: è solo grazie al suo successo, ottenuto assumendo come modello matematico qualcosa di astratto e convenzionale, formulato in precedenza da un matematico puro, che Gell Mann può chiedersi retoricamente: "Considerata in questo modo, quindi, la matematica non è la più fondamentale delle scienze?" Ma, per non sembrare troppo partigiano, egli si chiede da perfetto riduzionista: "E che dire delle altre discipline? Che cosa s'intende quando si dice che la fisica è più fondamentale della chimica o che la chimica è più fondamentale della biologia? E che dire delle diverse parti della fisica: alcune sono più fondamentali delle altre? In generale che cosa rende una scienza più fondamentale di un'altra?"

Vorremmo proprio saperlo, dato che la locuzione "più fondamentale" non ha alcun senso logico per la teoria della conoscenza. Qualcosa o è fondamentale o non lo è. Così, ad esempio, il riduzionismo non è fondamentale per la scienza, la logica dialettica sì. Ma la matematica pura è diventata la più "fondamentale delle scienze" solo in senso riduzionistico, cioè in un senso che non ha alcun fondamento per la teoria della conoscenza.

Ed è proprio quando Gell Mann tenta di definire logicamente che cosa rende una scienza più fondamentale di un'altra, che possiamo farci un idea più precisa del fatto che la vera logica sembra essere preclusa alla mente dei matematici-fisici. Una scienza A sarebbe più fondamentale di una scienza B, quando "1. le leggi della scienza A abbracciano in linea di principio (sic!) i fenomeni e le leggi della scienza B, 2. le leggi della scienza A sono più generali delle leggi della scienza B". "Se si considera la matematica una scienza, essa è, secondo questi criteri, più fondamentale di qualsiasi altra".

La conclusione era già nella premessa: anche astraendo dall'insensatezza di considerare la possibilità che una scienza sia più fondamentale di un'altra, i due criteri di Gell Mann assicurano alla matematica un ruolo privilegiato tra le scienze della natura solo perché i matematici-fisici dànno per scontata la loro illusione, e cioè che le leggi elaborate nella loro "inespugnabile cittadella dell'astrazione pura" siano le leggi più generali e abbraccino tutto quanto. Ma, come vedremo nei prossimi paragrafi, l'illusione della matematica pura d'essere la più fondamentale delle scienze non le risparmia lo smacco prodotto dal fatto che anche sul terreno nel quale domina da tempo incontrastata, la fisica, essa non riesca a stabilire nulla di certo e duraturo, ritrovandosi ingabbiata in modelli che si contrappongono, si fanno concorrenza e non riescono a unificarsi.

C'è però un'ultima affermazione di Gell Mann che fa sorgere il fondato sospetto che il suo interesse per il riduzionismo sia più una questione di status, e di rivalità entro la comunità scientifica, che di teoria della conoscenza: "Anche se ad alcuni chimici la cosa può anche non piacere, alla fin fine la loro disciplina è riducibile in linea di principio alla fisica delle particelle. In questo senso siamo tutti riduzionisti, almeno per quanto riguarda la chimica e la fisica".

Insomma, il riduzionismo sembra servire al Gell Mann solo per ristabilire le gerarchie, proprio nel momento in cui la matematica-fisica è scesa dal piedistallo e può solo rimpiangere le trascorse glorie ottenute dalla relatività e dai quanti, rendendosi conto d'essere persino presa in giro e d'essere privata dei cospicui finanziamenti ai quali si era abituata. E tutto questo avviene proprio mentre una disciplina, la biologia molecolare, che non ha bisogno delle stravaganze della matematica pura, sta acquistando notorietà e finanziamenti crescenti per i suoi molteplici progetti: insomma il decadimento del protone, i preoni, le stringhe, ecc. non possono competere con i geni, le cellule staminali, la clonazione, ecc.

In conclusione, che cosa dobbiamo intendere per realmente fondamentale? Fondamentale non può essere la conoscenza, per giunta convenzionale, del primo gradino della scala evolutiva; fondamentale può essere soltanto la concezione in grado di stabilire le leggi necessarie del processo evolutivo della materia, processo che si manifesta nella creazione di forme materiali sempre più evolute, che hanno tempi e spazi specifici e che sono il risultato ogni volta raro ed eccezionale di un grande dispendio di energia-materia.

Ora, se la critica che abbiamo svolto è sufficiente a ridimensionare il ruolo della matematica pura in fisica e la sua pretesa di costituire la più fondamentale delle scienze, essa non è però sufficiente a riportare la matematica al suo antico ruolo di scienza delle grandezze (reali). Per far questo, occorre partire dal suo interno, cosa che può fare solo un matematico che sia addentro alle "segrete cose" di questa disciplina molto specialistica.

Ma dubitiamo che esistano ancora matematici che non siano stati completamente irretiti dalla logica matematica astratta e siano quindi in grado di svolgere quel compito. Se, però, qualche matematico intelligente e ancora capace di pensare si persuaderà a riportare la matematica al ruolo di scienza delle grandezze reali, allora il risultato sarà infinitamente proficuo per la fisica. Se, al contrario, i matematici puri e i loro mallevadori faranno quadrato, ignorando o contrastando questa esigenza, allora possiamo gia prevedere con assoluta certezza che le assurdità e le stravaganze di oggi sembreranno domani cose troppo sensate.

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Scritto nel 2009

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