lunedì 6 dicembre 2010

Indagine sulla dialettica hegeliana per la soluzione dei rapporti caso-necessità, possibilità-realtà, causa-effetto (parte prima)

Premessa al pensiero di Hegel

L'introduzione di Hegel alla "Enciclopedia" può servire come premessa al pensiero hegeliano sulle difficili questioni riguardanti i rapporti di caso e necessità, possibilità e realtà, causa ed effetto, in relazione ai quali egli ha criticato l'empirismo scettico di Hume, la critica trascendentale di Kant, il sapere immediato di Jacobi e ha elaborato la sua concezione dialettica. 

Hegel inizia distinguendo le rappresentazioni dai pensieri: "Sentimenti, intuizioni, appetizioni, volizioni, ecc., in quanto se ne ha coscienza, vengono denominati, in genere, rappresentazioni: si può dire perciò, in generale, che la filosofia pone, al posto delle rappresentazioni, pensieri, categorie e, più propriamente, concetti. Le rappresentazioni in genere possono essere considerate metafore dei pensieri e dei concetti". Egli poi deplora la "mancanza d'abitudine a pensare astrattamente": "alla coscienza sembra come se, col toglierle il modo della rappresentazione, le sia tolto il terreno, che era suo fermo e abituale sostegno". E ne attribuisce la responsabilità sia alla coscienza ordinaria, i cui pensieri "sono vestiti ed uniti con la consueta materia sensibile e spirituale", sia alla "impazienza di voler innanzi a sé in forma di rappresentazione ciò che nella coscienza sta soltanto come pensiero e concetto".

Così, anche Hegel inizia la sua indagine distinguendo ciò che riguarda l'esperienza sensibile, che chiama rappresentazione, da ciò che riguarda l'intelletto, ossia il concetto; distinzione questa, che riflette la differenza tra ciò appare e ciò che è reale. Dopo aver sottolineato che "l'esistenza è, in parte, apparizione, e solo in parte realtà", egli osserva che a parecchi sono sembrate strane le seguenti "semplici proposizioni": "Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale". E giustamente obietta: "Nella vita ordinaria si chiama a casaccio realtà ogni capriccio, l'errore, il male e ciò che è su questa linea, come pure qualsivoglia difettiva e passeggera esistenza. Ma già anche per l'ordinario modo di pensare, un'esistenza accidentale non meriterà l'enfatico nome di reale": "l'accidentale è una esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile, che può non essere allo stesso modo che è".

Hegel assimila, quindi, il caso alla possibilità, come ciò "che può non essere allo stesso modo che è", ossia come ciò che non è necessariamente determinato in un unico modo. Quindi contrappone ai concetti di possibilità e di caso il concetto di realtà razionale che, dice, "ho accuratamente distinta non solo dall'accidentale, che pure ha esistenza, ma altresì dall'essere determinato, dall'esistenza e da altri concetti".

Nella critica ai tre diversi modi di vedere che respingono la realtà razionale, Hegel se la prende soprattutto con quello di Kant: "Ma la separazione della realtà dall'idea è specialmente cara all'intelletto che tiene i sogni delle sue astrazioni per alcunché di verace, ed è tutto gonfio del suo dover essere, che anche in campo politico va predicando assai volentieri; quasi che il mondo aspettasse quei dettami per apprendere come dev'essere ma non è: che, se poi fosse come deve essere, dove se ne andrebbe la saccenteria di quel dover essere?"

Quindi egli ironizza sul dover essere kantiano, giudicandolo una presuntuosa, sebbene falsa, soluzione di un problema reale. E, nel definire il problema reale, ci fornisce una formulazione del rapporto caso-necessità che, se non rappresenta ancora la soluzione reale, è a un passo da essa. Infatti scrive: "Il nome di filosofia è stato dato a tutto quel sapere, che volge intorno alla conoscenza della misura costante e dell'universale nel mare delle individualità empiriche, e del necessario, delle leggi nell'apparente disordine dell'infinita moltitudine dell'accidentale".

In altre parole, alla sfera della necessità appartiene la "conoscenza della misura costante", "dell'universale" e "delle leggi"; mentre alla sfera dell'"apparente disordine", ossia del caso, appartiene "il mare delle individualità empiriche" e "l'infinita moltitudine dell'accidentale". Se ora consideriamo "l'apparente disordine" come oggettivo, possiamo affermare che la necessità si manifesta attraverso la casualità e che alla sfera della casualità appartiene l'infinita moltitudine dei singoli individui e delle singole cose. Di conseguenza, alla sfera della necessità appartiene la moltitudine finita dei loro complessi.

Ora, riguardo alla connessione tra i fatti singoli e il caso, e alla impossibilità di trovare in questi la necessità, riportiamo un brano nel quale Hegel distingue le scienze empiriche dalla filosofia, le prime, che "hanno di mira e producono" "leggi, proposizioni generali, una teoria: sono i pensieri di ciò che esiste"; la seconda, che ha un solo strumento: il pensiero. Il pensiero è "l'istrumento della filosofia". Ora, se il pensiero vuole la necessità, accade invece che "nella maniera che è propria della scienza empirica, in primo luogo l'universale che essa contiene, il genere, ecc., essendo per sé indeterminato, non è per sé collegato col particolare, ma l'uno resta all'altro esterno, accidentale; come altresì i fatti particolari connessi, presi in se stessi, sono reciprocamente estrinseci e accidentali. In secondo luogo, i punti di partenza della scienza empirica sono dappertutto dati immediatamente, trovati, presupposti. E, per tutti e due questi rispetti, non vi si dà piena soddisfazione alla forma della necessità".

Hegel mette il dito nella piaga dell'empirismo: la mancanza di necessità e l'oggettiva casualità dei nessi empirici. Ma occorre dire di più: il determinismo riduzionistico delle scienze empiriche ha sempre preteso determinare come necessità ciò che invece, essendo singolo oggetto, singolo fatto, singolo nesso, può appartenere solo alla sfera del caso. Il determinismo fallisce perché costruisce falsi nessi causali per singoli momenti casuali dei fenomeni e dei processi naturali, che soltanto come complessi manifestano la loro necessità.

Nel passo che segue, Hegel sembra consapevole del fatto che il principale problema della conoscenza è come si possa giungere alla necessità intrinseca dei fenomeni e dei processi naturali, partendo dalla casualità estrinseca dei singoli nessi empirici. Egli infatti dice che "le scienze empiriche recano con sé lo stimolo a vincere la forma nella quale la ricchezza del loro contenuto viene offerta come qualcosa d'immediato e di dato, come una molteplicità ordinata in una giustapposizione, e perciò, in generale, come qualcosa di accidentale; e ad elevare siffatto contenuto ad alcunché di necessario". E pare proprio che riferisca i nessi empirici alla sfera della casualità, così che l'ordine trovato empiricamente è solo una giustapposizione, non un qualcosa di necessario intrinsecamente.

Possiamo concludere questa premessa riprendendo una geniale intuizione del maestro della dialettica: e cioè che la necessità esce fuori dal gioco delle circostanze accidentali che si elidono vicendevolmente. Scrive Hegel che "l'idea della natura, nel suo singolarizzarsi, riesce ad accidentalità; e la storia naturale, la geografia, la medicina e via dicendo consistono in fatti dell'esistenza, in specie e differenze, che sono determinati da accidenti estrinseci e come un gioco, non già mediante la ragione. Anche la storia rientra in questo caso, giacché, se l'idea è la sua essenza, l'apparizione di questa è nell'accidentalità e nel campo dell'arbitrio". Ma "In tale empiria, mediante l'opposizione e molteplicità dei fenomeni che sono stati messi insieme, le circostanze esterne e accidentali delle loro condizioni si elidono, e l'universale balza innanzi con evidenza".

Rovesciando in senso materialistico, l'idea della necessità che balza fuori dalla molteplice casualità costituisce il punto di partenza per la soluzione dialettica del rapporto caso-necessità, e quindi degli altri rapporti polari ad esso subordinati. Non è un caso quindi che i due maestri della dialettica materialistica abbiano ripreso questa geniale intuizioni di Hegel: Marx, concretizzandola nel concetto di media statistica che s'impone come cieca necessità; Engels, visualizzandola con due metafore, la "risultante delle forze" e la "linea a zig zag" che, considerata nel lungo periodo, diviene una linea retta.

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Tratto da "Il caso e la necessità - l'enigma svelato - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002)

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