lunedì 11 ottobre 2010

Beati monoculi (Gould) in terra caecorum (Dawkins)

Kim Sterelny in "La sopravvivenza del più adatto", 2004, sottotitolo "Dawkins contro Gould", tenta una impossibile conciliazione tra due concezioni inconciliabili. Il titolo già la dice lunga sul perdurante equivoco tautologico riduzionistico: nella realtà concreta non esiste una connessione necessaria tra la sopravvivenza del singolo organismo e il suo adattamento all'ambiente; finché esso sopravvive è ovviamente "adatto"; ma se per caso viene colpito da un fulmine, muore pur essendo adatto a vivere.
Insomma, in quanto singolo organismo, è soggetto alla sfera dell'imprevedibile casualità. 

Chi sono i personaggi che si contrapposero tenacemente? Il primo, Richard Dawkins, un etologo inglese, studioso dei costumi e del modo di vivere di piante e di animali; il secondo, Stephen J. Gould, un paleontologo americano di Harvard, studioso di fossili. Entrambi si sono contesi l'eredità di Darwin, il primo con la metafora del "gene egoista", il secondo con la teoria degli "equilibri punteggiati".

Nella prefazione di Telmo Pievani possiamo leggere: "Sul tappeto, i grandi temi della teoria dell'evoluzione (il progresso, la continuità, l'adattamento, la prevedibilità, l'importanza dei geni nel determinare lo sviluppo, il ruolo della selezione naturale) e due visioni profondamente diverse della storia dei meccanismi (sic!) che producono il cambiamento: un mondo di replicatori genetici che mirano a diffondersi quanto più possibile di generazione in generazione, utilizzando organismi e gruppi come loro veicoli, nel caso di Dawkins; una storia naturale influenzata da fattori (!) ecologici molteplici e contingenti (sic!), non ché da vincoli strutturali che limitano la selezione, nel caso di Gould.". Il determinismo di Pievani si rivela con i termini "meccanismi", "fattori", "vincoli strutturali''. Ciò che fa sorridere è l'ossimoro "fattori contingenti". Ma andiamo avanti.

Pievani ricorda che dalle correnti darwiniane uscì negli anni '30 la "Sintesi Moderna", "che pose fortemente l'accento sul carattere graduale progressivo e adattativo dell'evoluzione biologica, frutto dell'azione incessante di modellamento del corredo genetico per opera indiretta della competizione fra organismi e della selezione naturale". Dawkins e Gould vengono fuori da questa tradizione.

"Il primo tradurrà la Sintesi Moderna in una proposta generale di riduzione dell'evoluzione alla competizione diretta fra geni e pool genici, intesi come "replicatori" primari che costruiscono e determinano i loro veicoli di trasmissione (!) (organismi e gruppi di organismi), per massimizzare la propria diffusione grazie al successo differenziale nel reperimento delle risorse e quindi nella riproduzione. Il secondo trarrà spunto dall'insegnamento del maestro Ernst Mayr, rappresentante di quell'ala "naturalistica" della Sintesi più incline ad accogliere l'importanza dei fattori ecologici su larga scala, per ridefinire i meccanismi (!) attraverso i quali le specie, in modo discontinuo e contingente , si originano, si ramificano e si estinguono, come se fossero "individui biologici" di scala superiore".

Insomma, Dawkins e Gould sarebbero "gli eredi delle due anime profonde della Sintesi evoluzionistica novecentesca, quella di marca biologico-molecolare di Ronald Fisher e George Williams, da una parte, e quella di marca paleontologica e naturalistica di Ernest Mayr e George Gaylard Simpson, dall'altra". Pievani collega Dawkins anche a Monod facendo riferimento a "Il caso e la necessità", nel quale la selezione naturale è fondata sul corredo genetico.

Dawkins, nella sua superba cecità, ha preteso non solo di applicare l'evoluzionismo darwiniano ai sistemi biogenetici, ma anche di far dipendere da essi i sistemi culturali e sociali, "poiché gli esseri umani sono veicoli non soltanto di geni ma anche di "memi", le unità fondamentali di trasmissione culturale". Ma che cosa c'è di più semplicistico di un meccanismo che riduce l'uomo a un veicolo che trasporta cose come "geni" e "memi", quasi fossero mortadelle e prosciutti? Diderot aveva capito che la "cecità" umana ha sempre avuto bisogno di ordine per potersi orientare. Ma l'ordine preteso da Dawkins è tale da confermare la sua assoluta cecità. Anche Gould non ha compreso il reale rapporto caso-necessità, ma ha almeno capito che esiste il caso, la contingenza; Dawkins, invece, con la sua "macchina di sopravvivenza di geni", non ha capito niente. Nella sua completa cecità ha preteso imporsi su chi almeno da un occhio ci vedeva bene.

L'autore del libro, Sterelny, sostiene che, nonostante si fossero "scontrati animosamente sulla natura dell'evoluzione", Dawkins e Gould condividevano molte cose: "Condividevano l'idea che il caso abbia svolto un ruolo decisivo nel fissare il cast che ha recitato il dramma della vita. In particolare, entrambi erano d'accordo che non vi sia nulla di inevitabile nella comparsa degli esseri umani o di qualsiasi cosa simile agli esseri umani: la grande macchina (sic!) dell'evoluzione non ha intento né scopo. Ma concordavano anche sul fatto che l'evoluzione e il cambiamento evolutivo non siano soltanto una questione di fortuna. Infatti, anche la selezione naturale conta. All'interno di qualsiasi popolazione di forme di vita, vi sarà variazione. E alcune di queste varianti saranno un pò più adatte alle condizioni prevalenti rispetto alle altre. Pertanto, esse avranno migliori probabilità di trasmettere il loro carattere distintivo ai discendenti".

Insomma, secondo Sterelny, entrambi concordavano su alcuni luoghi comuni dell'evoluzione stabiliti dai neodarwiniani. Ma il vero contenzioso tra loro, ovvero la principale motivazione della loro animosità, va addebitato al fatto che nessuno dei due ha saputo risolvere il "terribile pasticcio" del caso, lasciato in eredità dallo stesso Darwin. E' ciò che possiamo appurare confrontando le loro posizioni contrastanti.

Dice Sterelny che "I critici di Dawkins spesso lo ritraggono come un riduzionista scatenato, uno che pensa che solo i geni contino nella evoluzione. Ma questo non è il suo modo di vedere le cose. Gli organismi sono importanti, ma principalmente come un'arma nella battaglia fra discendenze di geni". Questa precisazione è ridicola, perché conferma proprio la tesi dei critici alla quale l'autore si oppone. Se gli organismi contano solo come un'arma nella lotta tra i geni, questi ultimi sono inevitabilmente i veri protagonisti della evoluzione, mentre gli organismi sono ridotti al ruolo di semplici strumenti. Non è riduzionismo questo?

Del resto, è lo stesso autore che conferma il riduzionismo di Dawkins quando dice che per lui, la storia della vita è la storia della lotta "fra linguaggi di geni", e quando osserva che, pur riconoscendo la casualità delle estinzioni prodotte dai cambiamenti geologici, climatici, ecc. la sua teoria afferma che, negli intervalli  fra questi episodi, "La selezione naturale è onnipresente e operativa: essa vaglia (!) i gruppi di geni (sic!) e costruisce miglioramenti adattativi negli organismi che ne sono i veicoli, come Dawkins li ha definiti". Insomma, organismi ridotti al ruolo di semplici veicoli di geni, non possono più essere protagonisti dell'evoluzione.

Tanto per valutare l'insulsaggine del metodo "scientifico" di Dawkins, possiamo citare un paio di esempi. Partendo dall'idea del "fenotipo esteso", egli "sottolinea che esistono geni per la lettura",  nel senso che la favoriscono, che la influenzano. Ora, che cosa c'è di più generico di una simile affermazione? Anzi, questo modo di pensare offre un comodo alibi all'ignoranza: pur non sapendo nulla, è sufficiente ogni volta dichiarare che alla base di qualsiasi carattere, proprietà, attitudine, ecc. di un determinato organismo c'è all'opera un gene specifico di questo carattere, proprietà, attitudine, ecc. Ma, così, ne sappiamo meno di prima.

E' dunque un controsenso sottolineare che Dawkins concorda sul fatto che gli organismi svolgano un ruolo centrale nell'evoluzione, quando sono solo veicoli della selezione, per cui "il loro successo determina la proliferazione delle discendenze geniche". L'esempio che segue è una precisa testimonianza dell'insulsa idea che alla base di ogni carattere individuale o di gruppo ci sia l'azione dei geni: "Se ci sono dei geni di babbuino che inducono i gruppi di babbuini a difendere aggressivamente l'intero gruppo contro le minacce provenienti dai leopardi, questo non è altro che un esempio di un gene con un fenotipo esteso".

Ora attribuire a "un gene con fenotipo esteso" un'aggressività che appare finalizzata alla difesa di gruppo è solo un modo di dire pretenzioso, privo di contenuto reale. Come spiegazione è paragonabile alla vecchia "tendenza innata" che senza troppe pretese cercava di giustificare osservazioni empiriche. Insomma, il gene con un fenotipo esteso è solo una vuota metafora. Personalmente non so che farmene e posso facilmente comprendere la mitezza di una pecora di fronte a un lupo considerando che oltre a essere erbivora non ha proprio alcuno strumento di difesa aggressiva. Gli elefanti, invece, nonostante siano erbivori, non hanno molti problemi ad aggredire dei predatori come i leoni. Insomma, la spiegazione "genetica" di Dawkins è uno dei tanti "paradigmi" della scienza della seconda metà del Novecento, ma dei più futili.

Era, dunque, più che naturale che Gould, da paleontologo, non potesse essere d'accordo sulle "macchine dei geni" e desse molta più importanza alle estinzioni, Se avesse accettato le tesi di Dawkins, a che cosa sarebbe servito studiare i fossili? Inoltre il casualismo di Gould era più fondato di quello di Dawkins, in quanto riferito correttamente ai singoli organismi. "La sopravvivenza nella visione di Gould, scrive Sterelny, dipende più dalla fortuna che dal grado di adattamento. Così, nello spiegare la storia evolutiva, Gould dava un peso minore alla selezione rispetto a Dawkins". Non cosiderando i geni come soggetti alla selezione, per lui la selezione agiva sui singoli organismi. Dunque i singoli organismi venivano selezionati a caso.

Però Sterelny non ha torto a sostenere che "Gould simpatizzava con le teorie della "selezione delle specie"." Questa apparente contraddizione interpretativa è invece la reale contraddizione ereditata da Darwin, e dalla quale i darwinisti non sono riusciti a liberarsi: si tratta del fatto che, pur teorizzando la selezione delle specie, Darwin ha preteso talvolta rendere conto della selezione dei singoli organismi, nonostante si fosse reso conto del "terribile pasticcio"  del caso a quel livello.

I darwinisti del Novecento hanno, così, continuato a dibattersi in questa contraddizione, spesso opponendosi l'un l'altro immaginando di dover rendere ragione ora della selezione dei singoli, ora della selezione delle specie, ora, infine, della selezione di gruppi o popolazioni di individui. Insomma, la domanda fondamentale a cui si doveva rispondere era: dove sta la necessità e dove il caso? Si sarebbe dovuto rispondere: la necessità riguarda le specie, il caso i singoli individui.

E, invece, ancora oggi nessuno ha compreso il problema; così Sterelny crede di risolvere la faccenda distinguendo i caratteri più specifici dei singoli organismi da quelli che valgono soltanto per le popolazioni. Ma questa distinzione metafisica non risolve la questione reale. Prendiamo come esempio uno degli attributi principali della sopravvivenza delle specie: la riproduzione sessuata. In se stessa, la riproduzione è un fenomeno che appartiene alla sfera dei singoli organismi che si accoppiano. Ma, sebbene possa apparire un paradosso, la realtà della riproduzione, pur essendo garantita da singole coppie di animali, si manifesta necessariamente soltanto per la specie, mentre per i singoli individui della specie è soltanto una possibilità soggetta al caso. Questo è il principale contrassegno della riproduzione, che distingue i singoli organismi dalla loro specie: ciò che per i primi è casuale e soltanto possibile, per la seconda è necessario e reale.

Riguardo ai singoli animali, non tutti arrivano all'età della riproduzione, alcuni possono essere sterili per qualche accidente fisico, altri possono anche non trovare il partner, ecc.; insomma, non tutti partecipano alla riproduzione. Riguardo alle specie, invece, la riproduzione è assicurata anche se solo una parte degli individui che la costituiscono riesce a riprodursi e una parte ancor più piccola di prole riesce a sopravvivere. In questo modo il caso singolare e la relativa possibilità si rovesciano nella necessità complessiva e nella realtà assoluta: la cieca necessità della riproduzione della specie altro non è che il rovesciamento dialettico della casuale riproduzione individuale. In conclusione, ciò che per la specie è una realtà necessaria, la riproduzione, per i singoli organismi è soltanto una possibilità casuale; e viceversa, la possibilità, che solo per caso si realizza nella riproduzione individuale di coppia, diventa per la specie una realtà necessaria. E' così che opera la dialettica caso-necessità.

Per chiudere il discorso dobbiamo considerare un'altra osservazione di Gould, quella che nega l'ineluttabile necessità dell'origine dell'uomo sul nostro pianeta. Egli sostenne che se dovessimo ricominciare da capo, potremmo avere una storia biologica diversa, anche senza la comparsa dell'uomo. La tesi è accettabile, ma solo a condizione di considerare l'intero universo e di ragionare con i grandi numeri in senso statistico. Il fatto che noi possiamo riflettere sulla nostra origine dimostra che l'evoluzione della materia è in grado di arrivare fino alla vita cosciente. Ma per comprendere questo risultato naturale, occorre prendere in considerazione il grande dispendio. E' solo perché nell'universo esistono grandi numeri di pianeti come il nostro, che l'evoluzione della materia giunge fino a realizzare la vita e persino la vita cosciente.

Gould afferma che le estinzioni in massa hanno avuto una grande influenza (casuale) sulla evoluzione delle specie per selezione naturale. Possiamo essere d'accordo, ma soltanto se si aggiunge che l'estinzione è un'ulteriore manifestazione del dispendio naturale che produce le necessarie eccezioni statistiche. Possiamo, perciò, ammettere che se un enorme meteorite o qualche altro cataclisma naturale avesse colpito la Terra provocando l'estinzione di tutte le specie animali, l'evoluzione avrebbe potuto interrompersi, fermandosi definitivamente ai batteri. Anzi, possiamo facilmente concepire l'ipotesi che in altri pianeti come il nostro, a distanze incolmabi1i da noi, l'evoluzione della vita si realizzi fino a giungere a diversi stadi evolutivi, il più raro ed evoluto dei quali rappresenta la vita cosciente.

Vedendo solo il caso, Gould ha sminuito l'origine della vita cosciente, cadendo in una forma di vittimismo antropomorfico, ritenendo i batteri più rilevanti delle specie animali e dell'uomo stesso, considerandoli i veri protagonisti dell'evoluzione a ragione del loro numero e della loro durata. Guardando soltanto alla quantità ha immaginato un primato inesistente, ma solo perché ignaro del fatto che la quantità in se stessa rappresenta la misura del dispendio, un dispendio però necessario, per quanto ciecamente, al sorgere della qualità statistica rara: la forma materiale vivente. La rarità statistica della materia vivente rappresenta un risultato eccezionale della evoluzione della materia.

Allora, senza nulla togliere al rango dei procarioti, occorre comprendere che la cellula eucariotica ha inaugurato una fase avanzata della evoluzione che ha raggiunto il suo apice con la venuta al mondo della specie umana: eccezione delle eccezioni.

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 Tratto da "Chi ha frainteso Darwin?" 2009

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