mercoledì 15 settembre 2010

L'origine della nuova teoria della conoscenza fondata sulla dialettica caso-necessità

Vicende personali imprevedibili e contingenti orientarono l'interesse dell'autore di questo blog nella direzione del rapporto caso-necessità fin dal 1983, ma inizialmente senza risultati degni di nota. Anche l'approfondimento della "Dialettica della natura", nella quale Engels aveva posto il problema del rovesciamento del caso nella necessità, se era riuscito a indicare una strada, non mostrava però né l'ingresso, né alcuna via d'uscita. Finché, in una calda giornata estiva del 1985, un'improvvisa intuizione: i singoli elementi di un complesso vanno posti nella sfera del caso, mentre i complessi appartengono alla sfera della necessità. In sostanza, i singoli elementi di un complesso, in quanto tali, sono sempre soggetti al caso, caso che si rovescia nel suo opposto dialettico: la necessità del complesso stesso. 

L'intuizione fu il risultato di un confronto tra due esempi empirici: il traffico su strada dell'epoca contemporanea (suggerito dall'esodo estivo) e le battaglie della prima guerra mondiale (suggerite da letture storiche di quel periodo). Nel primo esempio, il singolo incidente mortale può essere concepito come effettivamente casuale, mentre se consideriamo il complesso del traffico automobilistico, troviamo frequenze statistiche effettivamente necessarie, perché rendono conto della regolarità e della costanza degli incidenti mortali nel loro insieme.

Nel secondo esempio, le lunghe battaglie della durata di mesi evidenziavano una statistica di elevata mortalità complessiva, all'incirca di frequenza 1/2. Quindi la cieca necessità era facilmente riconoscibile come statistica complessiva, sebbene il singolo fante fosse abbandonato ai capricci del caso secondo la probabilità 1/2. Insomma, la probabilità in se stessa non garantisce nulla all'individuo, e la sorte del singolo rimane imprevedibile, mentre la frequenza stabilisce la certezza del risultato complessivo. Nel nostro esempio, facile stabilire che su un milione di fanti, cinquecentomila sarebbero morti, ma impossibile stabilire a chi sarebbe toccato morire.

A questa prima intuizione che collegava il caso con il singolo e la probabilità, e la necessità con il complesso e la frequenza, ne seguì un'altra: i grandi numeri delle singole possibilità casuali si rovesciano nella realtà necessaria che rappresenta l'oggetto complessivo, l'unico accessibile alla reale conoscenza. Ne derivarono come conseguenza due serie di concetti tra loro omogenei: la prima serie appartenente alla sfera del caso, la seconda appartenente alla sfera della necessità:

I) caso, singolo, probabilità, possibilità
II) necessità, complesso, frequenza, realtà.

Ecco dunque come il caso si rovescia in necessità: può farlo perché esistono altre polarità dialettiche che, per così dire, glielo permettono. Allora è il caso relativo ai numerosi singoli elementi, soggetti alla probabilità, che si rovescia nella necessità del complesso, soggetto alla frequenza statistica. E in tal senso possiamo essere certi del passaggio dalla possibilità alla realtà. Questa, in sostanza, fu l'intuizione di una calda giornata d'estate, intuizione che avrebbe potuto essere messa alla prova, in tempi relativamente brevi, in economia e soprattutto nella storia politica e militare, discipline nelle quali l'autore aveva una certa dimestichezza.

Ma un'ultima intuizione, quella di trovarsi di fronte a una difficile questione di teoria della conoscenza, appartenente alla storia del pensiero umano, per qualche motivo trascurata, messa da parte e perciò mai risolta, suggerì di prendere un'altra strada molto più lunga e faticosa: cercare nella teoria della conoscenza, a partire dall'antico pensiero greco, se e in quale misura la questione del rapporto caso-necessità si fosse presentata e quali risposte avesse avute, se le avesse avute. Un'analoga ricerca era inoltre necessaria nelle scienze naturali, almeno a partire da Galileo per la fisica e da Darwin per la biologia.

Limitandoci sobriamente ai fatti: otto furono gli anni (1985-1992) necessari per porre le basi di un progetto di approfondimento decennale (1993-2002) che terminò con la stesura di tre volumi (teoria della conoscenza, fisica, biologia). Nel primo periodo, l'autore pazientemente studiò per apprendere i linguaggi specifici, gli argomenti e le difficili questioni (ma anche le più diverse banalità e assurdità) della storia della filosofia e delle scienze naturali. Poi, con uno sforzo raddoppiato, dopo altri quattro anni di studio, nel 1996, erano già pronte le tesi generali che riassumevano la logica dialettica caso-necessità, sviluppata nella teoria della conoscenza riguardo alla evoluzione della materia nel cosmo e alla evoluzione della vita terrestre, fino all'origine dell'uomo e della coscienza.

Queste tesi servirono sia a fare il punto dei risultati raggiunti, sia per tracciare gli ulteriori approfondimenti per i sei anni successivi (1997-2002), anni in cui molte sono state le difficili questioni risolte e molti i punti fermi stabiliti nei tre volumi, dai quali è tratta una parte degli scritti di questo blog. 

Poiché gli approfondimenti successivi non hanno scalfito le considerazioni generali esposte nelle tesi del 1996, le quali perciò restano tuttora valide, l'autore ritiene sia giunto il momento di pubblicarle nel suo blog: blog che ha già fatto la sua parte con decine di scritti che permettono di farsi un'idea sull'importanza della nuova teoria della conoscenza fondata sulla dialettica caso-necessità. Segue...

4 commenti:

  1. L'autore di questo commento è uno studioso autodidatta ormai da tre anni, in lui scorre una vena epistemologica ed ha una forte propensione per l'etimologia, la sua forma mentis si basa sul post-modernismo. Dopo questa presentazione doverosa, volevo innanzitutto complimentarmi con colui che ha scritto il blog e chiedergli una possibile corrispondenza. Secondo (ma non per secondo) volevo sottolineare la divisione che si è posta poc'anzi tra caso e necessità, riunendo sotto gli aspetti del caso sia la possibilità che la probabilità che sono antinomiche. La probabilità si basa su una credenziosa base statistica (frequenza); invece la possibilità si pone verso il tutto in ugual modo (infatti si dice: "tutto è possibile" e non "tutto è probabile"). Il caso quindi chiama nel suo statuto la possibilità perché (perché in senso retorico) nella fattispecie del caso tutto è possibile in eguale modo perché non prevedibile.

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  2. Risposta a commento

    Il mio blog ha praticamente "pubbblicato" quelli che sono gli scritti fondamentali della mia "dialettica caso-necessità". Anzi, questo post nel quale è comparso inaspettatamente il tuo commento è, tra i primi scritti, il più importante per questa teoria.

    Ora, la critica formale, diciamo logica-statistica, sui due termini possibilità e probabilità, rischia di far sparire l'essenziale e cioè che probabilità e possibilità hanno lo stesso contenuto reale: riguardano i singoli elementi casuali di complessi necessari.

    Sono certo che con la tua intelligenza giovanile, sostenuta da una memoria non intaccata da rallentamenti, come capita ahimé al settantenne autore di queste note, arriverai a questa conclusione.

    Quanto a un interscambio di idee, non ho in grande considerazione il post moderno in tutte le sue manifestazioni, anzi ritengo che esso rappresenti una delle tante ideologie che accompagnano la globalizzazione, da me intesa come stadio finale dell'ormai vecchio capitalismo, i cui tempi e i cui modi nessuno può prevedere. Motivo per cui il vecchio autore di questo blog non ha alcuna intenzione di farne, in futuro, oggetto del suo interesse.

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  3. La ringrazio per la risposta, non volevo essere arrogante e non pensavo che il commento debba restare (neanche questo). Il mio commento è stato scritto innanzitutto per complimentarmi del bel lavoro svolto e per un possibile confronto, quindi per me dopo che ha letto questo commento può pure cancellarli entrambi.
    Poi devo aggiungere che ho sbagliato ad puntarmi come post-modernista, ho usato questo termine nel modo d'uso di A. Salvini che lo pone in un'ottica del pensiero filosofico post-neopositivista. Mi scuso per questa incomprensione e se posso vorrei aggiungere che la mia forma mentis (per essere più chiari) è il costruttivismo.
    Detto questo il mio riferimento a possibilità e probabilità si riferiva solo al piccolo schema che aveva proposto,

    I) caso, singolo, probabilità, possibilità
    II) necessità, complesso, frequenza, realtà.

    Il mio suggerimento era di sistemarlo così:

    I) caso, singolo, possibilità
    II) necessità, complesso, frequenza, realtà.

    Ma questo suggerimento non vuole togliere nulla al suo lavoro.

    La ringrazio per l'attenzione

    Saluti
    "la ricerca della verità è più preziosa del suo possesso"
    (Albert E.)

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  4. L'importante è sapere che se, ad esempio, nel lancio di una moneta, due sono le probabilità (che poi sono anche le sole e uniche possibilità) -o testa o croce-, quale poi delle due uscirà, con il lancio, è puramente casuale. Questo è il motivo per cui ho posto la "probabilità" assieme al "caso", al "singolo" e alla "possibilità".

    E ancora, se ho una probabilità non ho niente di certo; devo avere la fortuna (il caso) che questa probabilità (o possibilità) si verifichi, se è un bene, ma non si verifichi se è un male. Per il resto non si preoccupi. Mi ha fatto piacere che un giovane studioso abbia citato lo scritto più importante della mia teoria. E tanti auguri per i suoi studi da autodidatta.

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