martedì 13 novembre 2012

III Paola Dessì: disfarsi della causalità?

(Continuazione) Con questo titolo, Dessì apre il terzo capitolo citando Bertrand Russell, che nel 1912 scrisse: "La legge di causalità, secondo me, come molto di ciò che viene apprezzato dai filosofi, è relitto di un'età tramontata e sopravvive, come la monarchia, soltanto perché si suppone erroneamente che non arrecchi alcun danno". Anche Mach, qualche anno prima, aveva considerato la causa come un concetto vecchio, superato. Ma Dessì giustamente ricorda che nel 1864 Claude Bernard aveva pensato di applicare il determinismo in medicina; e così fece du Boys-Reynoud.

Per entrambi "l'esigenza di rigore scientifico" "si concretizzava nell'assumere a modello per la fisiologia la causalità meccanica e il determinismo, anche se la fisica alla fine dell'Ottocento andava evolvendo verso esiti lontani dalla ricerca delle cause". Ma indagare in un solo paragrafo il passaggio "dalle causalità all'indeterminismo" non permette di sviluppare la questione del rapporto caso probabilistico - necessità statistica, che molti, nel periodo più favorevole all'indeterminismo probabilistico, confusero.

Dessì si limita a distinguere la posizione dei fisici dell'Ottocento: "L'introduzione di parametri probabilistici da parte di Clausius, come pure quelli di parametri statistici da parte di James Clark Maxwell, non impedivano di considerare anche questo ambito della realtà come regolato da stabili rapporti di causa ed effetto. Per questi autori l'uso di metodi statistici è soltanto una necessità dovuta al fatto che non siamo in grado di seguire dettagliatamente il movimento delle singole molecole". Insomma, si trattava di deterministi riduzionisti delusi.

Invece, a partire dal principio di indeterminazione di Werner Heisenberh (1927), la faccenda si mise male per il principio di causalità. Ma la frettolosità con la quale la faccenda viene chiusa dall'autrice, per dedicarsi al tema del ritorno della causalità nella pratica umana, non rende ragione dei problemi che sorsero presso i nuovi indeterministi e i vecchi deterministi, rispettivamente, della nuova fisica quantistica e della nuova cosmologica relativistica.

Perciò, qui, ci limitiamo a una osservazione sul seguente passo dell'autrice: "Potremmo anche dire che con l'abbandono della causalità si pretende ridurre la spiegazione a semplice descrizione, analogamente a quanto sostenuto già da Comte quando diceva che con la scienza moderna non bisogna più rispondere a domande sul perché ma chiedersi soltanto il come delle cose". Insomma la scienza, per Comte, doveva passare dall'infanzia dei "perché" all'adolescenza dei "come", rimanendo ancora molto lontana dalla matura coscienza delle contraddizioni dialettiche.

E così, liberatasi da ogni problema di caso, probabilità e frequenza e statistica, Dessì può affrontare il quarto capitolo, il "Ritorno della causalità". Ma questa scrupolosa professoressa ha forse accennato alla concezione di Hegel e di Engels, alla loro critica del rapporto tautologico di causa ed effetto? No! Non ha citato né l'uno né l'altro, trattandoli come cani morti, mentre ha citato autori contemporanei che vivacchiano nella putrefazione generale.

Ma come si fa a provare, ad esempio, sincero interesse per simili logiche: "A partire dagli anni Sessanta, lo sviluppo delle logiche modali, in particolare, della semantica dei mondi possibili, ha permesso di svolgere una nuova analisi controfattuale della causalità (I sali! I sali per non svenire!). Si tratta di un approccio che è in sintonia con l'idea della causa come conditio sine qua non per l'occorrenza dell'effetto": Giratela come volete, ma sempre e solo di tautologia si tratta!

Ma è quando passiamo al concreto della pratica giuridica che ci si accorge della difficoltà di poter procedere senza avere chiarezza del "caso" e della "causa". E' ciò che vedremo, non senza premettere una significativa citazione e una battuta: per Dessy "Proprio l'accertamento delle cause nel processo penale ha messo in luce la difficoltà di questo approccio" che è la difficoltà di un rinnovato determinismo. Per chi scrive, il paradosso è che, nella pratica giuridica, si facciano cause su casi individuali, al fine di scoprire la deterministica colpevolezza o l'innocenza singola!

Non è un caso che Dessì scriva: "Il primo libro a richiamare l'attenzione sull'importanza del concetto di causa fu dunque un libro che si occupava di questioni legate all'ambito del diritto". Come, già sostenuto in altra sede, non potendo governare le cose, ci si illuse di governare le persone mediante il diritto "scientifico", "capace" di scoprire le "cause"; ma il determinismo nel diritto produce facilmente paradossali contraddizioni come la seguente. Si tratta dell'esempio dei due cacciatori che per sbaglio sparano a un terzo cacciatore, entrambi colpendolo mortalmente: "Supponendo che le perizie mediche abbiano accertato che ciascun colpo avrebbe potuto da solo provocare la morte della vittima, -osserva Dessì- applicando conseguentemente la teoria condizionalistica della causalità nessuno dei due cacciatori potrebbe essere ritenuto responsabile della sua morte perché la vittima sarebbe morta anche se uno dei due non avesse sparato quel colpo. Soluzione che appare vistosamente insoddisfacente".

Dessì ammette: "Se l'empirismo di fine Ottocento, rivolgendo la sua attenzione esclusivamente, o almeno prevalentemente, a quei settori della scienza suscettibili di rappresentazione matematica, poteva trascurare le analisi in termini di causalità a favore di analisi funzionali e decretare la fine della causalità, così non potevano certo fare i cultori di discipline meno strutturate come la medicina o, appunto, il diritto. Il medico non poteva permettersi di tralasciare considerazioni eziologiche, così come il giudice non poteva fare a meno di indagare la possibilità di ricondurre l'effetto, l'evento criminoso, alla supposta causa, cioè alla condotta, attiva od omissiva, di un determinato soggetto". "Naturalmente  -aggiunge-, non sono solamente il medico o il giudice ad avere quest'esigenza, ma anche tutti coloro che si confrontano con i problemi posti dall'attività pratica. Ad esempio l'economista, il quale costruisce modelli per prevedere l'andamento del mercato, difficilmente può fare a meno di riferirsi a relazioni di tipo causale, che gli consentono di indicare i modi in cui operare un intervento efficace".

C'è qui da osservare che queste situazioni pratiche riguardano sia casi singolari, sia probabilità, sia frequenze statistiche, dove non si può oggettivamente determinare alcuna causalità. Del resto, se per assurdo fosse possibile l'esatta determinazione della causa, ad esempio nel diritto e nella borsa, dove finirebbero avvocati, giuristi, giudici, finanzieri, operatori di borsa, ecc.? Perciò, la conclusione cui si è pervenuti è la proposta, scrive Dessì, di "analizzare la causalità in termini di probabilità", ad esempio in medicina, con l'illusione di eliminare le contraddizioni. Ma, come abbiamo visto in altro luogo, c'è una contraddizione ineliminabile in medicina, che Dessì non vede nel suo recente libro, e cioè, la differenza di cura relativa a malattie complessive come le influenze o relativa a malattie individuali, magari rare, dove il caso non può essere eliminato dalla  frequenza statistica. (Continua)

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