lunedì 6 febbraio 2012

Schrodinger e la soluzione statistica del rapporto caso-necessità in fisica

Il fisico, che più di ogni altro si è avvicinato alla soluzione statistica del rapporto caso-necessità, è Erwin Schrodinger. Basta esaminare un suo breve scritto del 1922, "Che cosa è una legge naturale"*, per convincersi che egli fu a un passo dalla soluzione statistica, passo che non riuscì a compiere solo per mancanza di dialettica.

In quello scritto, l'autore inizia chiarendo il principio deterministico della scienza fisica. Gli eventi che accadono nell'ambiente fisico, egli dice, si mostrano all'esperienza non come successioni casuali, bensì con una notevole regolarità. Da ciò è sorta l'idea della connessione generale e necessaria dei fenomeni fisici, valida anche per quei fenomeni dei quali non si siano ancora scoperte le cause determinanti. "In altre parole si ammette che ogni fenomeno naturale sia quantitativamente e assolutamente determinato almeno dall'insieme delle circostanze o dalle condizioni fisiche iniziali". E questo postulato, egli dice, si chiama "principio di causalità".

Questo principio, che ha dominato le scienze in generale, e la fisica in particolare, viene demolito da Schrodinger nel seguente modo: "Negli ultimi decenni la ricerca fisica ha dimostrato inequivocabilmente che per lo meno la schiacciante maggioranza dei fenomeni, il cui svolgimento regolare e invariabile ha indotto a stabilire il postulato della causalità generale, ha per radice comune della stretta regolarità osservata il caso". Ma come si perviene dal caso alla regolarità, alla necessità?

"In ogni fenomeno fisico in cui osserviamo una regolarità intervengono migliaia, il più sovente miliardi di atomi e di molecole. (Diciamo tra parentesi per i signori fisici: ciò vale anche per quei fenomeni nei quali, come si dice oggigiorno, è osservata l'azione di un singolo atomo; giacché poi in realtà l'effetto osservato è determinato dall'azione reciproca di questo singolo atomo con migliaia di altri). Ora, si è riusciti a spiegare esaurientemente le regolarità osservate, almeno in un numero grandissimo di casi di natura del tutto diversa, in base all'azione collettiva d'un numero enorme di processi molecolari singoli".

Se, dunque, la regolarità osservata riguarda l'azione collettiva di grandi numeri di eventi singoli, occorreva soltanto dichiarare con decisione che l'azione di questi singoli eventi è casuale. Ma Schrodinger trattiene il colpo decisivo e concede quartiere al determinismo: "Il singolo processo molecolare potrebbe avere o no la propria regolarità rigorosa, in ogni caso questa non ha bisogno di essere considerata da vicino, di fronte alla regolarità osservata del fenomeno collettivo; anzi essa si dissolve completamente nei valori medi (i soli a noi accessibili) di milioni di processi singoli. Questi valori medi presentano la loro conformità a una legge puramente statistica, che esisterebbe anche se l'andamento di ogni singolo processo molecolare fosse deciso col gioco dei dadi o della roulette o col sorteggio da un'urna".

Schrodinger è qui molto vicino alla soluzione, ma manca il bersaglio, perché non tiene fermo sul punto principale, e cioè che la statistica si fonda sul caso relativo ai singoli eventi del fenomeno collettivo. Pur avendo compreso l'importanza della statistica come legge necessaria, in opposizione alla casualità dei singoli eventi, egli non conclude in maniera conseguente. Quando sostiene che il singolo evento potrebbe anche avere la propria regolarità rigorosa, non si rende conto che è proprio la mancanza di regolarità, ovvero l'azione casuale dei singoli eventi, la condizione che permette la necessità statistica del fenomeno collettivo. E quando sostiene che la legge statistica esisterebbe anche se l'evento singolo fosse deciso col gioco dei dadi, dimostra di non aver compreso che l'esistenza della legge statistica dipende proprio dalla casualità relativa ai singoli eventi. La statistica dei fenomeni collettivi è possibile proprio perché i singoli eventi sono casuali.

Se Schrodinger avesse chiarito il rapporto dialettico caso-necessità mediante la legge statistica, avrebbe in tal modo sconfitto il determinismo in fisica, nel contempo impedendo il sorgere dell'indeterminismo probabilistico. Infatti, a chi avesse continuato a pretendere di applicare una rigorosa causalità anche, ad esempio, all'urto di due particelle, avrebbe potuto semplicemente obiettare che la causalità non può esistere a livello del caso singolo. Nella questione che stiamo trattando è sufficiente sostenere, decisamente e senza ambiguità, che oggetti e rapporti singoli di sistemi complessivi non possono essere determinati da leggi rigorose e necessarie, per la semplice ma decisiva ragione che essi appartengono alla sfera del caso.

E questa casualità non è qualcosa di cui dobbiamo essere imbarazzati o di cui dobbiamo sbarazzarci: essa non può apparire nella legge scientifica in quanto casualità indeterminabile, ma dal punto di vista della teoria della conoscenza noi dobbiamo considerarla come fondamento della necessità: è grazie alla casualità dei singoli eventi che si origina la necessità del fenomeno complessivo. E questa è la fondamentale proprietà della materia che le leggi statistiche sono in grado di riflettere con esattezza.

I fisici quantistici, scoprendo l'indeterminazione a livello delle singole particelle, che cosa hanno fatto, se non verificare la proprietà che abbiamo appena enunciato? Essi non hanno fatto altro che confermare che la materia crea l'ordine attraverso il disordine, che la materia segue la dialettica del caso e della necessità, e infine che la statistica è lo strumento che riflette questa dialettica.

Se Schrodinger avesse stabilito questi princìpi, e a nostro avviso era a un passo dal traguardo, nessuno avrebbe potuto esaltare l'indeterminismo in fisica nella forma del divieto di principio. Che cosa rappresenta in fin dei conti l'indeterminismo, se non la compiacenza nei confronti del caso, e la pretesa di poterlo determinare come probabilità, come incertezza, così da far passare per incertezza probabilistica anche la necessità che, invece, si impone come certezza statistica complessiva?

Se consideriamo le ultime pagine dello scritto di Schrodinger, vediamo che egli si limita a sostenere opinioni, dove i termini più ripetuti sono "probabile" e "improbabile". Ciò significa che, invece di sconfiggere il determinismo, egli si limita a porre dubbi sul principio di causalità; così, si accontenta di dire: "Però il compito di dare una dimostrazione incombe a chi propugna la causalità assoluta non a chi ne dubita". Troppo poco, da parte di un teorico che ha appena considerato il caso come radice delle regolarità osservate nei fenomeni.

Forse mancò a questo fisico, uno dei più preparati dal punto di vista teorico, il coraggio di opporsi alla consuetudine millenaria a pensare in termini di causa ed effetto. Eppure,  anche su questo punto, egli aveva chiara consapevolezza, infatti scriveva: "Da dove proviene allora la fede generalmente diffusa nella determinazione causale assoluta dei fatti molecolari e la persuasione che il contrario sia inconcepibile? Semplicemente dalla consuetudine, ereditata da millenni, a pensare causalmente. Essa ci fa apparire un processo indeterminato, un accidente primario, assoluto, come una perfetta assurdità, come una cosa logicamente priva di senso. Donde proviene questa consuetudine di pensiero? Dall'osservazione, protratta per secoli e millenni, proprio di quelle conformità a leggi naturali, di cui sappiamo oggi con sicurezza che non sono causali -per lo meno non immediatamente- ma immediatamente statistiche".

Ma anche Schrodinger non ha compreso la polarità probabilità-statistica, e così ha contrapposto al dogma della causalità (che ha sempre "spiegato" la necessità) la legge statistica, intesa come legge probabilistica (la quale ha sempre "spiegato" il caso). Al determinismo veniva cosi contrapposto l'indeterminismo: un dogma veniva così sostituito da un altro.

Già nel successivo scritto del 1931, dal titolo "L'indeterminismo in fisica", Schrodinger accetterà la concezione dell'indeterminismo probabilistico che confonde tra loro certezza statistica e incertezza probabilistica. Ancora una volta si riproponeva la vecchia contrapposizione tra il determinismo democriteo e l'indeterminismo epicureo. Come Epicuro, Schrodinger finirà con l'accettare ogni ipotesi come probabile, manifestando cosi un'assoluta opposizione all'impostazione dogmatica deterministica.

Anzi, per esser coerente, persino nel rifiuto del dogma deterministico, egli si mostrerà probabilista: "Io credo più probabile (!) che l'emancipazione dal radicato pregiudizio della causalità assoluta ci aiuti a superare le difficoltà...". E così la mancata soluzione statistica ha potuto costituire il punto di partenza di una concezione anarchica della conoscenza: l'indeterminismo probabilistico, che, come si vedrà in seguito, non solo rappresenta l'opposto diametrale metafisico del determinismo causalistico, ma, in quanto metafisico, è altrettano dogmatico.

* Da "L'immagine del mondo" (1963)

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume secondo  Fisica" (1993-2002) Inedito

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