mercoledì 11 gennaio 2012

I] Il determinismo assoluto non riduzionistico di Spinoza

In questo paragrafo mostreremo l'altra faccia del determinismo assoluto della scienza moderna fondato sulla causalità divina: quella non riduzionistica e anticartesiana, che troviamo espressa nella concezione di Baruch Spinoza (1632-1677). Si tratta di un determinismo concernente non già le singole cose, ma i complessi. Mentre, come vedremo, Leibniz attribuì la necessità alle singole cose e considerò i complessi come aggregati casuali e contingenti, Spinoza attribuì la necessità ai complessi e concepì per le singole cose infiniti nessi causali indeterminabili.

Se Spinoza non fosse stato dominato dalle esigenze teologiche, ovvero dalla obbligatoria subordinazione al dogma della causalità divina*, obbligazione alla quale tutti gli studiosi dell'epoca erano doverosamente vincolati, avrebbe potuto considerare gli infiniti nessi tra le singole cose come espressione dell'oggettiva casualità, e, in questo modo, avrebbe potuto stabilire l'oggettivo rapporto tra la singolarità casuale e la complessità necessaria. Invece, egli non poté risolversi a fare altro che attribuire gli infiniti nessi singoli a Dio: con ciò dimostrando che la causalità divina ha continuato a prendere il posto della casualità naturale,  posto che l'antico pensiero greco, per primo, aveva negato al caso.

Per il nostro scopo, prendiamo in considerazione l'opera principale di Spinoza, l'"Etica", pubblicata nel 1660, ventitre anni dopo il "Discorso sul metodo" di Cartesio e ventotto anni dopo i "Dialoghi sopra i due massimi sistemi" di Galileo. Nella prima parte, "De Deo", con la proposizione VI, egli attribuisce a Dio quegli infiniti attributi che spettano di fatto alla materia: "Intendo -egli scrive- per Dio un essere assolutamente infinito, cioè, una sostanza costituita da un'infinità di attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna ed infinita". Nella proposizione VIII stabilisce che "Ogni sostanza è necessariamente infinita". Quindi, nella proposizione XIV afferma: "0ltre a Dio non si può dare né si può concepire alcuna sostanza." Infine, nella proposizione XV, conclude: "Tutto ciò che è, è in Dio, e senza Dio nessuna cosa può essere né essere concepita". Insomma, in senso teologico, Spinoza pone Dio in luogo della materia.


Alle proposizioni appena citate, segue un lungo scolio con considerazioni confuse, in mezzo alle quali spunta all'improvviso, non preannunciata, la materia: "se si tien conto pure che la materia è dappertutto la medesima, e che in essa non ci sono parti distinte se non in quanto la concepiamo affetta in modi diversi; dal che segue che tra le sue parti c'è soltanto una distinzione modale e non reale".

Ma se Dio ha preso il posto della materia, come unica vera sostanza infinita, la materia può essere solo in Dio, poiché "Tutto, dico, è in Dio". La conseguenza è che Dio rappresenta la causa delle infinite cose e degli infiniti modi della materia. "Dalla necessità della natura divina devono seguire infinite cose, in infiniti modi (cioè tutto quello che può accadere sotto un intelletto divino)"(Proposizione XVI). E "da ciò segue che Dio è causa efficiente di tutte le cose che possono cadere sotto un intelletto infinito" (corollario I). E ancora "Segue II. Che Dio è causa per sé, non già per accidente". "Segue III. Che Dio è assolutamente causa prima".

Sebbene Spinoza utilizzi il metodo geometrico, formulando proposizioni cui seguono pretese dimostrazioni alla maniera della geometria, è soltanto negli scoli aggiuntivi che egli produce argomentazioni interessanti, nelle quali mostra il suo pensiero più libero e profondo. Nello scolio che segue la proposizione XVII: "Dio agisce per le sole leggi della sua natura, e senz'essere costretto da nessuno", Spinoza espone la sua concezione dell'onnipotenza divina da cui derivano le infinite cose in infiniti modi da sempre, senza alcuna creazione.

Qui egli nega che la perfezione divina si riduca all'intelletto supremo e alla libera volontà, quindi nega i decreti divini. Per lui si tratta solo di questo, che "dalla somma potenza di Dio, ossia dalla sua natura infinita, infinite cose in infiniti modi, cioè tutte le cose, sono necessariamente derivate, o seguono sempre con la medesima necessità". "Per questa ragione l'onnipotenza di Dio è stata in atto sin dall'eternità, e rimarrà per l'eternità nella medesima attualità. E in questo modo si stabilisce in Dio un'onnipotenza molto più perfetta..." 

Paradossalmente, se Spinoza attribuisce a Dio un'onnipotenza più perfetta è perché lo libera da qualità umane, sia pure accresciute: cosi, però, egli mina la certezza della causalità come attributo umano (che in Dio è concepito come soltanto potenziato), arrivando fino al punto di sostenere che l'intelletto e la volontà, che vengono attribuite a Dio, non possono essere ciò che gli uomini sono soliti intendere volgarmente: "l'intelletto e la volontà, infatti, che costituirebbero l'essenza di Dio dovrebbero differire radicalmente dal nostro intelletto e dalla nostra volontà, e non potrebbero convenire con essi in nulla tranne che nel nome".

Una simile impostazione, se dal punto di vista della onnipotenza divina non fa una grinza, perché sottrae a Dio quelle qualità che l'uomo prima astrae da sé e poi immagina divinamente potenziate, dal punto di vista della teologia è inaccettabile perché apre la strada al rifiuto dei dogmi religiosi e alla denuncia della impostura religiosa, e, anche senza giungere a questi estremi, favorisce la critica contro il soggettivismo teologico, critica che Spinoza svilupperà soprattutto sul finalismo divino.

Di fatto, Spinoza mina i fondamenti della teologia del Seicento, sebbene non fino al punto di rifiutare la causalità divina. Ma anche sulla causalità apre una breccia in relazione alle singole cose. Con la proposizione XXVIII, egli dice: "Una cosa singolare qualsiasi, ossia qualunque cosa, è finita ed ha un'esistenza determinata, non può esistere né essere determinata ad operare, se non è determinata ad esistere e ad operare da un'altra causa che anch'essa è finita ed ha un'esistenza determinata: e a sua volta questa causa non può esistere né essere determinata ad operare se non è determinata ad esistere e ad operare da un'altra che anch'essa è finita e ha un'esistenza determinata, e così via all'infinito".

Se la determinazione di ogni cosa è rimandata alla determinazione di un'altra cosa, e questa a sua volta a un'altra, e così via all'infinito, il determinismo si rovescia nell'indeterminismo, a meno che non si ammetta che alla fine della concatenazione di cause all'infinito esista una determinazione ultima attribuita a Dio, il quale, con una visione infinita delle cause e degli effetti, può rendere ragione di qualsiasi singola cosa e di ogni sua singola manifestazione. Ma anche su questo Spinoza trova da ridire: sebbene ricordi che "tutto ciò che è, è in Dio e dipende in tal modo da lui che non può essere né essere concepito senza di lui", afferma: "Dio non può essere detto propriamente causa remota delle cose singolari, se non forse per distinguerle da quelle che egli ha prodotto immediatamente, o piuttosto che seguono dalla sua natura assoluta". (Scolio)

La concezione di Spinoza non si distingue dalle altre concezioni dell'epoca che sostengono un determinismo assoluto di natura divina: anzi, il suo determinismo assoluto non ammette eccezioni; così egli scrive: "Nella natura non si dà nulla di contingente, ma tutto è determinato dalla necessità della natura divina ad esistere e ad operare in una certa maniera". (Prop. XXIX) Questo determinismo che non ammette eccezioni, come vedremo, si fonda su due convinzioni: la prima, scientificamente corretta, relativa alla necessità dei complessi, la seconda, teologica, relativa alla necessità delle singole cose in quanto ricondotte a Dio.

Nello scolio che segue la proposizione XXIX, egli stabilisce la differenza tra la natura naturante, "ciò che è in sé ed è concepito per sé, ossia quegli attributi della sostanza che esprimono un' essenza eterna ed infinita, cioè (...), Dio in quanto è considerato come causa libera", e la natura naturata, "tutto ciò che segue dalla necessità della natura di Dio, o di ciascuno degli attributi di Dio, cioè tutti i modi degli attributi di Dio, in quanto sono considerati come cose che sono in Dio e senza Dio non possono né essere né essere concepite".

Dio è dunque natura, la natura è in Dio: Dio è la natura che produce; e la natura è il prodotto di Dio. Solo concependo l'esistenza di Dio, natura naturante, si può ammettere una natura naturata. Ma come fa il cervello limitato dell'uomo a comprendere Dio che è infinitamente sovrumano, così che anche parlare di intelligenza divina si compie un errore? Come fa Spinoza ad affermare che "Le cose non hanno potuto essere prodotte da Dio in nessun'altra maniera né in nessun altro modo se non nella maniera e nell'ordine in cui sono state prodotte"? Può affermare questo solo perché, non potendo saper niente di Dio, è ovvio che debba ammettere tautologicamente che tutto ciò che esiste, deve esistere proprio nel modo in cui esiste (Prop. XXXII).

Così dicendo, egli deve, però, parlare di ordine delle cose, ciò che implica necessità. Ma ordine e necessità sono concetti umani: dall'empireo imperscrutabile di nuovo si è costretti a scendere per posare i piedi per terra, dove i teologi si confrontano e si scontrano proprio su concetti umani che possono essere pensati e utilizzati anche senza dover ammettere l'esistenza di Dio: in parole povere, la teologia non ha il monopolio di concetti come necessità o ordine, e, argomentando attorno a questi concetti, essa diventa molto terrena. Spinoza, per avere un Dio più perfetto, toglie al teologo ogni possibilità di concepire, con strumenti concettuali umani, Dio e i suoi infiniti attributi. In questo modo egli costringe il teologo ad argomentare con concetti umani: così non si litiga più attorno a Dio, ossia teologicamente, ma su questioni concettuali, ossia filosoficamente.

Nello scolio che segue Spinoza affronta i concetti di necessario-impossibile e contingente-possibile. E questa è la sua idea: una cosa può essere necessariamente o solo necessaria o solo impossibile. "Ma una cosa è detta contingente per nessun'altra causa se non in relazione a un difetto della nostra conoscenza". Poiché la necessità è considerata da lui in rapporto all'essenza e alla definizione della cosa, o in rapporto alla causa efficiente, di una cosa della quale ignoriamo l'ordine delle cause non possiamo parlare di necessità e impossibilità, perciò la chiamiamo contingente o possibile. Poiché, inoltre, come abbiamo visto, la singola cosa ha un'infinità di nessi, e quindi non è conoscibile nel suo ordine causale infinito, ne consegue che la singola cosa è sempre soltanto contingente o possibile.

Questa soluzione rappresenta la nozione di contingente, di casuale e imprevedibile che il determinismo assoluto ha fatto propria, intendendola come ignoranza delle cause; nozione la cui paternità viene attribuita a Laplace, mentre spetterebbe a Spinoza. Di più, nell'appendice della prima parte dell'Etica, Spinoza afferma che tutte le cose sono state predeterminate da Dio. Come, in seguito, osserverà anche Kant, la concezione deterministica, che considera Dio la causa prima di tutte le cose, è in realtà una concezione predeterministica. Il determinismo assoluto, comunque lo si interpreti, è necessariamente un predeterminismo assoluto.

Ma questo predeterminismo assoluto spinoziano non inventa spiegazioni, non immagina ciò che, derivando da Dio, è inconcepibile all'uomo. E' un pregiudizio degli uomini supporre "comunemente che tutte le cose della natura agiscano, come essi stessi, in vista di un fine, e anzi" ammettere "come cosa certa che Dio stesso diriga tutto verso un fine determinato: dicono, infatti, che Dio ha fatto tutto in vista dell'uomo, e ha fatto l'uomo affinché l'adorasse". (Continua)

* A questo dovere neppure Spinoza si è sottratto, nonostante fosse un ebreo scomunicato dai rabbini della sua comunità proprio per le sue idee religiose: per le quali fu anche considerato un ateo dai cattolici e dai protestanti.

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito

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