sabato 14 gennaio 2012

III] Il determinismo assoluto non riduzionistico di Spinoza

(Continuazione) Nella seconda parte dell'Etica: "De Mente", che prendiamo in considerazione in questo paragrafo, concentreremo la nostra attenzione soprattutto sulle idee di Spinoza a riguardo delle cose singolari e delle cose complessive, in connessione alla necessità, alla causalità e al caso. Cominciamo con la definizione VII: "Per cose singolari intendo le cose che sono finite ed hanno un'esistenza determinata. Che se più individui concorrono in una medesima azione in modo che tutti siano insieme causa di un medesimo effetto, io li considero tutti, per questo rispetto, come una sola cosa singolare". Quindi Spinoza considera cosa singolare, o singola cosa anche un complesso di più cose singole, che, in quanto tale, determina un certo effetto.

Poiché nel 1° assioma egli dice che "l'essenza dell'uomo non implica l'esistenza necessaria, cioè, secondo l'ordine della natura, può accadere tanto che questo o quell'uomo esista, quanto che non esista", ne possiamo dedurre che per lui, relativamente al singolo individuo, non esista alcuna necessità: la determinazione necessaria non riguarda i singoli individui. Non è quindi un caso che Spinoza sia anticartesiano non essendo un determinista riduzionista.

Se Cartesio si preoccupava di ridurre il complesso al semplice, considerando la complessità come qualcosa di confuso e incomprensibile, Spinoza al contrario concepisce la natura come vari ordini di complessità. Infatti scrive: "Quando più corpi di medesima o diversa grandezza sono premuti dagli altri in modo che aderiscano gli uni agli altri, in modo che, se si muovono col medesimo grado o con diversi gradi di velocità, si comunichino reciprocamente i loro movimenti secondo un certo rapporto, noi diremo allora che questi corpi sono uniti tra di loro e che tutti compongono insieme un solo corpo, ossia un Individuo, che si distingue da altri per quella unione di corpi".

Dice Spinoza che, se un "Individuo composto" conserva la sua natura, pur essendo affetto in molti modi, lo stesso accade anche a un Individuo composto di più Individui composti. "Se, inoltre, concepiamo un terzo genere d'Individui, composti di questi Individui del secondo genere, troveremo che essi possono essere affetti in molti altri modi, senza alcun cambiamento della loro forma. E se così procediamo all'infinito, concepiremo facilmente che tutta la natura è un solo Individuo, le cui parti, cioè tutti i corpi, variano in infiniti modi senz'alcun cangiamento dell'Individuo totale".

Come si vede, nella concezione di Spinoza, a partire dal più semplice complesso, o singolo corpo, al complesso di tutti i complessi, la Natura, si tratta della medesima faccenda: il movimento, la variazione dei singoli elementi del complesso non muta il complesso stesso. A partire dal più semplice atomo, quello di idrogeno, per arrivare all'universo, o complesso di tutti i superammassi, possiamo oggi dire che l'idea di Spinoza è valida e geniale: la natura è un "Individuo totale" che contiene in sé "Individui composti" di grado via via inferiore. L'universo è un contenitore di contenitori che possono essere studiati, ciascuno come complesso, contenuto in un complesso più vasto, e contenente numerosi complessi più piccoli. Per questi complessi, a tutti i livelli, la necessità riguarda la totalità, non i suoi singoli elementi che sono casuali, accidentali e contingenti.

Nel secondo scolio alla proposizione XL, Spinoza considera tre diversi generi di conoscenza: la prima, quella che viene "da oggetti singolari che ci sono rappresentati dai sensi in modo mutilato, confuso e senz'ordine per l'intelletto", che chiama "conoscenza per esperienza vaga"; la seconda, che viene "dal fatto che abbiamo nozioni comuni e idee adeguate delle proprietà delle cose"; infine, un terzo genere di conoscenza che chiama conoscenza intuitiva, e sulla quale è poco chiaro. Ciò che qui importa stabilire è che Spinoza respinge la conoscenza del primo genere, ossia degli oggetti singolari. Infatti scrive: "la conoscenza del primo genere è l'unica causa della falsità, mentre quella del secondo e del terzo genere è necessariamente vera". Insomma, per lui, necessità non può riguardare le singole cose contingenti. "E' proprio della natura della ragione contemplare le cose non come contingenti, ma come necessarie" (Prop XLIV).

Nel corollario I, Spinoza dice che la sola immaginazione considera "le cose, tanto rispetto al passato quanto rispetto al futuro, contingenti". E, nello scolio che segue, fornisce della immaginazione una interpretazione simile a quella di Leibniz, che considerò le induzioni degli empiristi fallaci, alla stregua dei condizionamenti che dominano gli animali (e che, quasi tre secoli dopo, Pavlov concepirà, invece, deterministicamente come riflessi condizionati).

L'incertezza della immaginazione, che produce nessi singolari, appartiene, secondo Spinoza, alla sfera del contingente. Egli è dunque a un passo dalla comprensione del caso relativo alle singole cose. Il caso, che appare come contingenza, riguarda, infatti, le singole cose. Ma Spinoza non accetta la casualità singolare, attribuendo le singole cose all'essenza eterna e infinita di Dio. Nello scolio afferma decisamente: "Parlo, ripeto, dell'esistenza delle cose singole in quanto sono in Dio. Benché, infatti, ciascuna cosa sia determinata da un'altra cosa singola ad esistere in una certa maniera, tuttavia, la forza per la quale ciascuna persevera nell'esistenza segue dall'eterna necessità della natura di Dio".

Potremmo concludere considerando che, se gli infiniti nessi che riguardano ogni singola cosa non rappresentano altro, come spiegò Engels, che l'oggettiva casualità del caso singolo, il rifiuto del caso è possibile soltanto se si attribuiscono gli infiniti nessi a una mente infinita: Dio. Così Spinoza, sebbene si sia distinto da Cartesio concependo la necessità scientifica soltanto per i composti o complessi, non ha potuto, in un'epoca dominata dalla teologia, evitare di attribuire alle singole cose una necessità teologica, ossia una generica necessità dipendente "dall'eterna necessità della natura divina".

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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svelato - Volume primo  Teoria della conoscenza" (1993-2002) Inedito

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