La reale contraddizione dialettica
(Continuazione) I fisici degli anni '20 del Novecento non potevano neppure subodorare una verità tanto semplice: essi cercavano una verità molto più complicata, strana, eccentrica, si potrebbe dire, a immagine e somiglianza dei loro comportamenti fuori del comune. Del resto erano quelli tempi nei quali si avevano, quasi ancora, sotto gli occhi le immagini di una guerra e di una rivoluzione mondiali, nei quali il genio voleva la sua parte anche immeritata, e la natura doveva per così dire adeguarsi ai tempi, essere per lo meno straordinaria. Poiché, però, la natura ha tempi lunghi di evoluzione, per i quali l'esistenza umana è un momento assai breve, essa ha in uggia l'istante, che all'uomo appare come un tempo di straordinaria rilevanza. In parole povere, la natura è monotona, e non dà soddisfazione che ai complessi ciecamente necessari, lasciando i singoli oggetti e individui alle cure del caso.
I geni della fisica del tempo trovarono, invece, straordinaria la discussione sulla posizione e la velocità della singola particella: per Heisenberg l'una e l'altra avrebbero avuto senso soltanto se fosse stato possibile, mediante determinati esperimenti, ottenerne le misure. Ma il fatto che non abbia senso parlare di posizione e velocità di una singola particella, perché sperimentalmente indeterminabili contemporaneamente, invece d'essere considerato in senso dialettico come prova della oggettiva casualità relativa ai singoli oggetti, fu considerato come conferma dell'idealismo berkeleyano: la materia esiste soltanto se qualcuno l'osserva!
I geni della fisica del tempo trovarono, invece, straordinaria la discussione sulla posizione e la velocità della singola particella: per Heisenberg l'una e l'altra avrebbero avuto senso soltanto se fosse stato possibile, mediante determinati esperimenti, ottenerne le misure. Ma il fatto che non abbia senso parlare di posizione e velocità di una singola particella, perché sperimentalmente indeterminabili contemporaneamente, invece d'essere considerato in senso dialettico come prova della oggettiva casualità relativa ai singoli oggetti, fu considerato come conferma dell'idealismo berkeleyano: la materia esiste soltanto se qualcuno l'osserva!
Per ironia della fisica sperimentale, avviene che, per vedere la posizione di un elettrone, occorra illuminarlo, ma in questo modo l'elettrone viene colpito dai quanti di luce: la conseguenza è che il suo impulso, ossia il suo moto, viene modificato in modo incontrollabile; e così, quanto più precisamente viene determinata la posizione tanto più imprecisa risulta la conoscenza dell'impulso. Questo fatto, che in tutta evidenza appare un disturbo, venne interpretato da Heisenberg nel senso che "la traiettoria esiste solo in quanto noi la osserviamo". Perciò, "poiché noi perturbiamo con i fotoni le orbite degli elettroni, il concetto di orbita non ha dunque alcun significato ragionevole. L'orbita nasce solo con l'osservazione e insieme viene distrutta dall'osservazione stessa".
Se si permette a un fisico di dire che si può perturbare ciò che non esiste, che la perturbazione dell'inesistente è la prova della sua inesistenza, e che la perturbazione dell'inesistente lo fa esistere e nel contempo ne distrugge l'esistenza, allora tutto è permesso. E così fu! Il libero dibattito, primo del suo genere, occupò i principali fisici del momento permettendo a tutti di formulare ogni sorta di paradossi, puri e semplici giochi, chiamati esperimenti ideali. E la soluzione fu un compromesso talmente generico da scontentare tutti senza accontentare nessuno.
Si tratta del principio di complementarità di Bohr, che può essere riassunto nei seguenti termini: una singola immagine non può bastare alla fisica quantistica, perciò siamo costretti a impiegare coppie di immagini contrastanti; non importa se le immagini dell'onda e della particella si contraddicono: ci occorrono entrambe. Esse si limitano e si integrano a vicenda e non implicano una vera e propria contraddizione fisica. "Il conflitto esiste soltanto nella nostra mente, perché noi cerchiamo una singola e semplice immagine quotidiana che non c'è". Nelle nostre immagini non solo abbiamo bisogno di onde e particelle, ma anche di cose come la posizione e il movimento, nonostante che non possiamo conoscerle contemporaneamente perché osservando l'una si altera l'altra.
Come giudicare questa soluzione, se non come un chiaro esempio dell'assenza di una seria teoria della conoscenza? Che cosa significa che "noi cerchiamo una singola e semplice immagine quotidiana che non c'è"? L'immagine dell'onda al pari dell'immagine del corpuscolo non è altro che un concetto, e questo concetto esiste perché da secoli la fisica ne fa uso. La questione è un'altra: si tratta di sapere che cosa riflettono i concetti di onda e di particella. Si tratta di un'opposizione diametrale, o non piuttosto di due poli di una realtà dialettica? Il concetto di corpuscolo si riferisce con tutta evidenza alla singola particella. E il concetto di onda? L'onda non è mai stata concepita come qualcosa di singolare, ma come il risultato di un movimento complessivo. Anche in fisica quantistica, l'onda non può essere altro che un riflesso del comportamento di un insieme di particelle, ad esempio di un fascio di elettroni.
Nel caso delle particelle singole, noi parliamo di massa, di impulso, di quantità di moto; ma quando si tratta di complessi di particelle noi parliamo di lunghezza d'onda, di frequenza. Ora, se questi parametri, rispettivamente corpuscolari e ondulatori, si trovano riuniti nella nuove formule di Planck, Einstein e de Broglie, la cosa non deve stupire: se consideriamo un fascio di elettroni, esso manifesterà una quantità di moto come somma delle singole masse per la velocità media, e manifesterà una lunghezza d'onda come comportamento ondulatorio dell'insieme. Ma non si vada a cercare l'onda del singolo elettrone! Non avrebbe alcun senso.
Se si può provare sperimentalmente il ticchettio dei singoli elettroni in un rivelatore, fatto che dimostra la loro esistenza come singoli quanti di materia, non è però possibile sperimentare l'onda di un singolo elettrone. L'onda è una propagazione che necessita di un complesso di particelle. Non è un caso, quindi, che nel cosiddetto esperimento delle due fenditure, dove gli elettroni appaiono inviati uno per uno, all'inizio non si verificano le frange d'interferenza, ma solo dopo il sopraggiungere di numerose particelle.
Da tutto ciò consegue che il carattere discontinuo-corpuscolare riguarda il singolo elettrone e si manifesta come casualità, mentre il carattere continuo-ondulatorio riguarda il fascio di elettroni e si manifesta come necessità. Del resto che cosa rappresenta lo spettro elettromagnetico, se non complessi di particelle qualitativamente diversi a ragione soltanto della diversa lunghezza d'onda media? E' questo un esempio di risultato certo e necessario che non può essere attribuito a singole particelle ma a insiemi complessivi.
I fisici non hanno saputo o voluto distinguere tra singola particella e insieme di particelle, se non quando hanno dovuto rivolgersi alla statistica, ma anche allora non hanno saputo districarsi tra il singolo e il complesso, perché non hanno accettato l'idea della casualità relativa al singolo oggetto: Einstein per primo, affermando di non poter accettare l'idea di un universo probabilistico, nel quale il comportamento delle singole particelle fosse sottoposto al caso.
la vera questione della fisica fu, e rimane ancora oggi, l'incomprensione della dialettica caso-necessità, risolvibile soltanto mediante la comprensione del rapporto esistente tra la probabilità, che esprime l'ambito della casualità relativa alle singole particelle di un complesso, e la statistica che esprime il comportamento necessario e regolare del complesso stesso. Allora, la questione non è la ricerca della singola immagine "che non c'è", ma che la ricerca della singola particella, del suo singolo movimento, della sua singola posizione è improponibile, perché tutto ciò appartiene alla sfera del caso, che è inaccessibile alla determinazione scientifica.
Non avendo compreso che il caso probabilistico dei singoli eventi si rovescia dialetticamente nella necessità del complesso di eventi, come media statistica, fisici come Einstein continuarono a considerare l'indeterminazione dei singoli eventi come incompletezza teorica; mentre i fisici della "interpretazione di Copenaghen" vietarono per principio la previsione dei momenti precisi nei quali eventi spontanei, casuali, come la disintegrazione del singolo nucleo atomico, possono verificarsi. Posero il divieto, perché incapaci a porre una vera spiegazione teorica.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg non è stato, infatti, interpretato come prova del fatto che nella determinazione della posizione e della traiettoria della singola particella la scienza non può nulla, perché si tratta di singoli eventi appartenenti alla sfera del caso. Così Bohr continuò ad ammettere la possibilità di determinare posizione e traiettoria, anche se non contemporaneamente. Ma che valore possono avere questi dati? Soltanto fittizio. Dialetticamente, soltanto i dati statistici ottenuti sui complessi di particelle rappresentano la reale conoscenza scientifica.
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svalato - Volume secondo Fisica" (1993-2002) Inedito
Se si permette a un fisico di dire che si può perturbare ciò che non esiste, che la perturbazione dell'inesistente è la prova della sua inesistenza, e che la perturbazione dell'inesistente lo fa esistere e nel contempo ne distrugge l'esistenza, allora tutto è permesso. E così fu! Il libero dibattito, primo del suo genere, occupò i principali fisici del momento permettendo a tutti di formulare ogni sorta di paradossi, puri e semplici giochi, chiamati esperimenti ideali. E la soluzione fu un compromesso talmente generico da scontentare tutti senza accontentare nessuno.
Si tratta del principio di complementarità di Bohr, che può essere riassunto nei seguenti termini: una singola immagine non può bastare alla fisica quantistica, perciò siamo costretti a impiegare coppie di immagini contrastanti; non importa se le immagini dell'onda e della particella si contraddicono: ci occorrono entrambe. Esse si limitano e si integrano a vicenda e non implicano una vera e propria contraddizione fisica. "Il conflitto esiste soltanto nella nostra mente, perché noi cerchiamo una singola e semplice immagine quotidiana che non c'è". Nelle nostre immagini non solo abbiamo bisogno di onde e particelle, ma anche di cose come la posizione e il movimento, nonostante che non possiamo conoscerle contemporaneamente perché osservando l'una si altera l'altra.
Come giudicare questa soluzione, se non come un chiaro esempio dell'assenza di una seria teoria della conoscenza? Che cosa significa che "noi cerchiamo una singola e semplice immagine quotidiana che non c'è"? L'immagine dell'onda al pari dell'immagine del corpuscolo non è altro che un concetto, e questo concetto esiste perché da secoli la fisica ne fa uso. La questione è un'altra: si tratta di sapere che cosa riflettono i concetti di onda e di particella. Si tratta di un'opposizione diametrale, o non piuttosto di due poli di una realtà dialettica? Il concetto di corpuscolo si riferisce con tutta evidenza alla singola particella. E il concetto di onda? L'onda non è mai stata concepita come qualcosa di singolare, ma come il risultato di un movimento complessivo. Anche in fisica quantistica, l'onda non può essere altro che un riflesso del comportamento di un insieme di particelle, ad esempio di un fascio di elettroni.
Nel caso delle particelle singole, noi parliamo di massa, di impulso, di quantità di moto; ma quando si tratta di complessi di particelle noi parliamo di lunghezza d'onda, di frequenza. Ora, se questi parametri, rispettivamente corpuscolari e ondulatori, si trovano riuniti nella nuove formule di Planck, Einstein e de Broglie, la cosa non deve stupire: se consideriamo un fascio di elettroni, esso manifesterà una quantità di moto come somma delle singole masse per la velocità media, e manifesterà una lunghezza d'onda come comportamento ondulatorio dell'insieme. Ma non si vada a cercare l'onda del singolo elettrone! Non avrebbe alcun senso.
Se si può provare sperimentalmente il ticchettio dei singoli elettroni in un rivelatore, fatto che dimostra la loro esistenza come singoli quanti di materia, non è però possibile sperimentare l'onda di un singolo elettrone. L'onda è una propagazione che necessita di un complesso di particelle. Non è un caso, quindi, che nel cosiddetto esperimento delle due fenditure, dove gli elettroni appaiono inviati uno per uno, all'inizio non si verificano le frange d'interferenza, ma solo dopo il sopraggiungere di numerose particelle.
Da tutto ciò consegue che il carattere discontinuo-corpuscolare riguarda il singolo elettrone e si manifesta come casualità, mentre il carattere continuo-ondulatorio riguarda il fascio di elettroni e si manifesta come necessità. Del resto che cosa rappresenta lo spettro elettromagnetico, se non complessi di particelle qualitativamente diversi a ragione soltanto della diversa lunghezza d'onda media? E' questo un esempio di risultato certo e necessario che non può essere attribuito a singole particelle ma a insiemi complessivi.
I fisici non hanno saputo o voluto distinguere tra singola particella e insieme di particelle, se non quando hanno dovuto rivolgersi alla statistica, ma anche allora non hanno saputo districarsi tra il singolo e il complesso, perché non hanno accettato l'idea della casualità relativa al singolo oggetto: Einstein per primo, affermando di non poter accettare l'idea di un universo probabilistico, nel quale il comportamento delle singole particelle fosse sottoposto al caso.
la vera questione della fisica fu, e rimane ancora oggi, l'incomprensione della dialettica caso-necessità, risolvibile soltanto mediante la comprensione del rapporto esistente tra la probabilità, che esprime l'ambito della casualità relativa alle singole particelle di un complesso, e la statistica che esprime il comportamento necessario e regolare del complesso stesso. Allora, la questione non è la ricerca della singola immagine "che non c'è", ma che la ricerca della singola particella, del suo singolo movimento, della sua singola posizione è improponibile, perché tutto ciò appartiene alla sfera del caso, che è inaccessibile alla determinazione scientifica.
Non avendo compreso che il caso probabilistico dei singoli eventi si rovescia dialetticamente nella necessità del complesso di eventi, come media statistica, fisici come Einstein continuarono a considerare l'indeterminazione dei singoli eventi come incompletezza teorica; mentre i fisici della "interpretazione di Copenaghen" vietarono per principio la previsione dei momenti precisi nei quali eventi spontanei, casuali, come la disintegrazione del singolo nucleo atomico, possono verificarsi. Posero il divieto, perché incapaci a porre una vera spiegazione teorica.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg non è stato, infatti, interpretato come prova del fatto che nella determinazione della posizione e della traiettoria della singola particella la scienza non può nulla, perché si tratta di singoli eventi appartenenti alla sfera del caso. Così Bohr continuò ad ammettere la possibilità di determinare posizione e traiettoria, anche se non contemporaneamente. Ma che valore possono avere questi dati? Soltanto fittizio. Dialetticamente, soltanto i dati statistici ottenuti sui complessi di particelle rappresentano la reale conoscenza scientifica.
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Tratto da "Il caso e la necessità - L'enigma svalato - Volume secondo Fisica" (1993-2002) Inedito