giovedì 15 novembre 2012

IV Conclusioni sulla critica a Paola Dessì: il paradosso del determinismo statistico

(Continuazione) Passando al capitolo 6 "Complessità, cause, fini", primo paragrafo dal titolo significativo di "Causalità, probabilità e determinismo", potremo trovare i più recenti spropositi della teoria della conoscenza, dei quali la professoressa Dessì si fa garante. "Molti sono i filosofi, scrive l'autrice, che, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, hanno cercato di analizzare la causalità in termini probabilistici", in altre parole "Si può rendere conto di questo fatto in termini di rilevanza statistica positiva". Il seguente esempio, citato da Dessì, ci permette di comprendere questa paradossale combinazione di causalità e probabilità.

Si tratta della valutazione di validità della somministrazione dei farmaci, utilizzando l'esperimento del doppio cieco su due gruppi di malati e di medici. Se il risultato del farmaco testato è positivo si può parlare di causa della guarigione? Secondo la nuova forma di determinismo, sì. Anche se gli sperimentatori si accontentano di buone percentuali di guarigione. Si tratta, insomma, di statistiche con percentuali diverse che non danno la garanzia assoluta di quella causalità che tuttavia viene invocata.  Per Dessì si tratterebbe di causalità, anche se in una forma indebolita! Il lungo brano che segue illustra perfettamente questa nuova impostazione.

"Questo modo di intendere la causalità sicuramente soddisfa molte delle nostre intuizioni, anche se, come ho già avuto modo di notare, la dipendenza dell'effetto dalla causa viene ulteriormente indebolita. Tra causa ed effetto... non vi è più quel rapporto di necessità che aveva contraddistinto le analisi tradizionali della causalità, ma non vi è neanche un rapporto di regolarità; non è vero che alla causa segua invariabilmente l'effetto in tutti i casi di cui noi siamo a conoscenza. Anzi, è vero esattamente il contrario. Ma questo indebolimento potrebbe presentare anche indubbi vantaggi (sic!). Infatti, proprio perché così indebolito, il concetto di causa potrebbe riprendere un ruolo (!) anche all'interno di un settore così importante della fisica qual è quello della fisica quantistica".

Come si vede, non comprendendo (o non volendo accettare come soluzione) che in natura la frequenza statistica rappresenta la cieca necessità, rovesciamento dialettico degli innumerevoli casi singoli nella necessaria frequenza complessiva, la quale non ha nulla a che vedere con la causalità (valevole solo per i prodotti umani, come lo schioppo nell'esempio di Engels), Dessì interpreta la frequenza statistica come una forma di causa debole. In questo modo compiendo un antico errore, quello di nascondere il ruolo del caso, ancora una volta usurpato dalla causa.

Dessì ammette una soluzione metafisica del rapporto caso-necessità in fisica, quando afferma che "la nostra conoscenza è irriducibilmente statistica in conseguenza di una struttura stocastica della realtà". E, citando come esempio la funzione d'onda di Schrodinger, afferma: "Naturalmente si tratta di un determinismo probabilistico" (insomma, un vero e proprio ossimoro). Poi conclude: "In fisica, dunque, il discorso sulla causalità è differente a seconda del livello di realtà che si prende in considerazione e in relazione alle diverse interpretazioni che possiamo dare alle probabilità". Questa sì che è una conclusione soggettivista, condizionata dai diversi punti di vista. Questo sì che è un pensiero debole, incerto.

Se, infine, passiamo alla biologia, veniamo proiettati indietro, di millenni, al finalismo aristotelico. Scrive Dessì: "Si potrebbe adoperare una distinzione di Georg Henry von Wright per render conto della differenza tra due tipi di cause: nella biologia molecolare come in fisica ci occupiamo di cause che ci spiegano perché necessariamente qualcosa ha avuto luogo, mentre nelle spiegazioni relative alla biologia evoluzionista e in generale in tutte le spiegazioni storiche, rintracciamo cause che ci dicono come possibilmente qualcosa ha avuto luogo". Da ciò ricava che "L'irriducibilità della biologia a una prospettiva esclusivamente fisicista fa sì dunque che essa debba fare i conti non solo con cause efficienti, ma anche con cause finali". E conclude: "Se per Aristotele la causa finale era legata all'esistenza di un ordine necessario della natura, per la biologia evoluzionista la causa finale segnala il punto di arrivo di un percorso accidentato, fatto di molteplici eventi casuali, orientati (sic!) dalla selezione naturale".

Insomma, non solo si ritorna ad Aristotele, dimenticando la sua "scienza divina e veneranda" (che solo un dio poteva possedere), ma si dimentica di ricordare che la stessa "selezione naturale" fu da lui intuìta, come fu fatto osservare a Darwin, che ne parlò nella prima pagina della sua Origine delle specie. Ma è nell'ultimo capitolo, il sesto, "Le ragioni di un ritorno", che Dessì afferma decisamente che oggi siamo in presenza di una vera e propria restaurazione del concetto di causa, iniziata già dagli anni quaranta del dopoguerra: "Può essere di un certo interesse indagare quali siano state le spinte che hanno condotto molti filosofi della scienza a fare nuovamente della causalità il perno centrale attorno a cui ruota la spiegazione scientifica".

La prima ipotesi, già vista, riguarda le esigenze di discipline della pratica umana, come la medicina e il diritto, ma qui Dessì sviluppa una seconda ipotesi: "che la nuova centralità attribuita alla nozione di causa nella spiegazione scientifica sia frutto di una nuova riflessione sulla fisica, che tradizionalmente ha costituito il terreno privilegiato dell'interesse dei filosofi della scienza". Però, poi, respinge anche questa ipotesi come improponibile. "La riflessione sulla fisica può aver favorito semmai un ritorno alla causalità attraverso un'altra strada": la strada del metascientifico!? "Come concetto metascientifico, la causalità è stata considerata come una sorta di principio regolativo che interviene quando, per esempio, si tratta di scegliere tra ipotesi teoriche diverse: il fisico può porre come condizione  che non venga violato il principio di causalità. La causalità entrerebbe in fisica, dunque, non come parte della teoria ma come principio extrateorico, come una condizione che le teorie fisiche debbano soddisfare per essere considerate ragionevoli".

Ma, non ancora soddisfatta, Dessì precisa: "Tuttavia neanche una maggiore attenzione a questo riconoscimento parziale della presenza della causalità nella fisica è sufficiente per spiegare il ritorno di interesse per le spiegazioni causali". Rivolgendosi a Salmon "che è per molti versi un autore esemplare di questa tendenza", scrive: Un evento è spiegato, egli dice, "quando si sanno indicare i meccanismi nascosti che fanno muovere il mondo". E questo è un ritorno al meccanicismo del Seicento, un ritorno agli inizi faticosi della scienza moderna (Cartesio, Hobbes).

Dessì dà questo giudizio: "L'esigenza che Salmon vuole soddisfare è chiara, anche se non si può dire che l'autore abbia avuto successo nell'indicare i modi in cui possiamo distinguere i processi causali dagli pseudo-processi e le interazioni causali dalle mere coincidenze spazio-temporali. Salmon è giunto alla convinzione che un'analisi della causalità in termini probabilistici sia insufficiente, ma che tuttavia questa diventa valida se affiancata dall'individuazione dei processi causali".

Questa è solo confusione, o meglio, è garanzia di confusione. Insomma, se Salmon ha preteso l'imposizione del marchio della causalità alla scienza è stato perché inconsapevole del fatto che se tutti i prodotti dell'opera dell'uomo sono "macchine" assoggettate al rapporto di causa ed effetto, tutti i prodotti della natura non sono macchine e perciò non sono assoggettabili alla causalità. Ma di questa inconsapevolezza sono tutti schiavi, anche la Dessì, come si può vedere qui di seguito: "L'enfasi sulla causalità non significa però che Salmon faccia un'implicita ammissione di determinismo: a suo parere, anzi, esiste una sorta di causalità probabilistica (sic!) nel mondo che implica l'esistenza di contesti in cui vige il determinismo".

Invece di criticare la concezione di Salmon, Dessì giunge a una conclusione che, per quanto paradossale, è considerata con rispetto nella comunità scientifica attuale: "Se dovessimo riassumere in poche parole le vicende relative alla causalità in questi ultimi quarant'anni, si potrebbe dire che molti filosofi contemporanei hanno compiuto un percorso che da Hume conduce nuovamente ad Aristotele". Se questo non è segno di degenerazione senile che cosa è? Insomma, oggi, c'è un recupero del meccanicismo, persino finalistico, anche in biologia: gli organismi sono come macchine, magari "plastiche", non rigide! E questo è il solo modo per illudersi di potersi ancora servire del determinismo meccanicistico.

Per concludere questa lunga indagine critica sul libro di Paola Dessì ne citiamo gli ultimi due capoversi  perché illustrano precisamente le attuali difficoltà della teoria della conoscenza, nelle quali questa professoressa è immersa.

"Se si osservano le esigenze pratiche, come sono poste dalla medicina o dal diritto, sono evidenti le difficoltà di fare attribuzioni di causalità isolando le cause dalle altre condizioni che contribuiscono al verificarsi dell'evento considerato. A questi problemi non si sono sottratte neppure le analisi della causalità in termini di probabilità.

Tutte queste difficoltà, comunque, non possono eliminare la consapevolezza che finora i tentativi di fare a meno di questo concetto, per molti versi scomodo, sembrano essere tutti falliti, e che anzi in alcuni settori, come la filosofia della scienza, la causalità è nuovamente considerata il concetto fondamentale intorno al quale ruotano le nostre aspettative di spiegazione del mondo che ci circonda"
.

L'incomprensione della dialettica caso-necessità, favorita dal recupero sempre più spinto della metafisica meccanicistica di causa-effetto, recupero ben illustrato (e anche approvato) da Dessì, rappresenta un ritorno indietro della teoria della conoscenza, tipico di questa fase di regressione della conoscenza teorica della natura, a fronte di un progresso accelerato della tecnologia umana.   

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